E’ LA GUERRA FREDDA 2.0?

E’ LA GUERRA FREDDA 2.0?

Pechino, 25 gen. – Quasi due settimane di guerra informatica. Due settimane di battaglie mediatiche. Due settimane di ritorsioni. Due settimane in cui la presa di posizione di un colosso privato, Google, arriva a condizionare le relazioni diplomatiche tra le due potenze del secolo, Stati Uniti e Cina: dopo circa 15 giorni di escalation, adesso sappiamo a che cosa potrebbe assomigliare una Guerra Fredda in versione 2.0. E forse, dietro le mosse di Google e le reazioni cinesi, c’è molto di più di quanto appaia in superficie. “Siamo solo all’inizio di un conflitto, e il caso Google-Cina rappresenta uno dei più importanti episodi della guerra che stiamo vivendo in questi anni.

Questa guerra ha tre caratteristiche: è coperta, è asimmetrica, ed è globale” spiega ad AgiChina24 il prof. Aldo Giannuli, ricercatore presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università Statale di Milano, esperto di intelligence, ex consulente parlamentare nelle commissioni di inchiesta sulle stragi e sul caso Mitrokhin, autore del recente libro “Come funzionano i servizi segreti” (www.aldogiannuli.it). I fatti: il 13 gennaio scorso il primo motore di ricerca del mondo, Google, minaccia di abbandonare la Cina dopo una serie di atti di pirateria informatica che avrebbero avuto luogo tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, con l’obiettivo di forzare le caselle mail di alcuni dissidenti politici e, soprattutto, sottrarre il know how di almeno 33 compagnie statunitensi del settore tecnologico e militare. La multinazionale di Mountain View, inoltre, minaccia di sottrarsi alla censura di Stato alla quale tutti gli operatori stranieri che operano sul web cinese devono sottostare; Google.cn, in pratica, sarebbe pronto a diffondere sul web cinese contenuti sgraditi al governo di Pechino come le immagini della strage di Piazza Tiananmen o le pagine critiche sul Dalai Lama e sul movimento religioso bandito in Cina, il Falun Gong. Da qui in poi, con l’entrata in campo dei governi, si assiste a una vera e propria escalation che raffredda la temperatura delle relazioni Pechino-Washington ad ogni mossa dei contendenti:  il segretario di Stato Hillary Clinton dichiara che “una nuova cortina dell’informazione sta calando su larga parte del mondo” sancendo, di fatto, un nuovo pilastro della politica estera USA: la libertà su internet. Pechino risponde ogni giorno più duramente, fino ad accusare l’America di aver creato una vera e propria “brigata di hacker” che attraverso social network come Twitter e You Tube sarebbe responsabile dei disordini scoppiati in Iran. Il Dragone, inoltre, nega decisamente qualsiasi responsabilità negli attacchi informatici a Google e difende il suo diritto di “punire chi usa internet per sovvertire l’unità nazionale, diffondere l’odio etnico e pubblicare contenuti pornografici, violenti o terroristici, tutte cose che non hanno nulla a che vedere con la cosiddetta restrizione della libertà su internet”. Un bombardamento mediatico, un sovraccarico di informazioni che rischia di far perdere di vista quali siano le implicazioni di una controversia che potrebbe mutare il volto delle relazioni internazionali.

L’analisi di Aldo Giannuli prende le mosse proprio da qui: “Hillary Clinton non avrebbe potuto dire altro: gli Stati Uniti hanno un’immagine da recuperare e non dimentichiamo che tutti gli interventi USA vengono giustificati con modalità simili” spiega il professore. “Ma il caso tocca diversi aspetti. Qui stiamo fronteggiando il nuovo capitolo di uno scontro che ha abbracciato questioni come quella monetaria – con la polemica sul dollaro e sull’apprezzamento dello yuan che Pechino rifiuta per non danneggiare le sue esportazioni-, quella commerciale, con l’antidumping su varie merci di produzione americana o cinese, quella politica, con la vendita di armi USA a Taiwan, e ora arriva a toccare il problema della libertà su internet. Recepiamo una serie di episodi, sul fronte monetario o su quello delle commodities, ma in generale sfugge che tutto questo potrebbe essere ricondotto a una logica unitaria”. Come? “La chiave di lettura può essere la guerra asimmetrica – dice Giannuli – teorizzata anche da due generali dell’esercito cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui in un saggio di diversi anni fa diventato ormai un classico, ossia ‘Guerra senza limiti’. Le caratteristiche di questa guerra, dicevamo, sono che è coperta, asimmetrica e globale. Coperta, perché giocata su fronti nascosti, o comunque di leggibilità non facile. Globale, perché non entrano in campo solo le nazioni, ma anche altre entità, come le corporation. E asimmetrica, perché la risposta non è mai sullo stesso piano: se mi attacchi sul piano monetario, io magari rispondo finanziando la guerriglia X nel tuo paese; al che, tu mi rispondi con una campagna di boicottaggio delle merci, e io reagisco con un’iniziativa di tipo culturale, facendo, per esempio, pressioni sul luogo in cui si terrà la prossima Expo Universale. Ora, è ovvio che ciascuno Stato ha un rapporto privilegiato con le proprie multinazionali, le condiziona e ne è condizionato, ma in questa situazione la Cina ha un indubbio vantaggio perché le  catene di comando cinesi sono molto più organiche e collegate, lo schema di potere è molto più coeso. In altri termini, non c’è bisogno di convocare degli stati generali in cui la componente politica, quella militare e quella economica-finanziaria, come ad esempio il CEO di Google, siedono insieme: in Cina tutto questo esiste già, grazie all’inestricabilità tra politica ed economia”. Lo scenario di una Guerra Fredda 2.0, inoltre, è molto diverso da quello dello scontro USA-URSS che dominò gli ultimi decenni del ‘900: “La Guerra Fredda era una guerra coperta, ma aveva pur sempre un suo grado di trasparenza politica, mentre oggi la leggibilità in molti casi è prossima allo zero.

Assistiamo a qualcosa che investe indifferentemente la politica, l’economia, la cultura, la società, la preparazione militare e in cui i contendenti non sono, com’è ovvio, solo Stati Uniti e Cina, ma abbiamo una situazione di sfaldamento del sistema bipolare. Le somiglianze, più che con la Guerra Fredda, sono con il mondo balcanizzato immediatamente precedente alla Prima Guerra Mondiale: durante lo scontro tra America e Russia c’erano due schieramenti, con qualche giocatore che assumeva posizioni sfumate; oggi abbiamo molti più soggetti, ognuno portatore di interessi propri diversi, che formano schieramenti dalle alleanze mobili, con delle infedeltà più o meno accentuate. Inoltre, sono presenti dei giocatori in proprio, che fanno una politica a sé stante. L’equilibrio, quindi, è altamente instabile”. Molti esperti di sicurezza web fanno notare come i contorni della vicenda siano ancora poco chiari: perché Google non ha intrapreso un’azione legale né mostrato le prove che inchiodano la Cina? Il fatto che l’IP di origine sia cinese, inoltre, non costituisce una dimostrazione certa; già in passato molti hacker stranieri si sono appoggiati alla rete del Dragone, proprio perché Pechino non collabora con le istituzioni internazionali del web. Un World Wide Web che proprio negli Stati Uniti è nato, e che all’America appare come una naturale prosecuzione del suo spazio d’egemonia, ma sul quale i cinesi stanno rapidamente accrescendo la loro influenza. È da queste constatazioni che Giannuli prende le mosse per un’ipotesi suggestiva: “Lo scontro Google-Cina ha lambito un altro aspetto, poco discusso in questi giorni, ossia l’accesso gratis ai contenuti internet. Pochi giorni prima dell’esplosione del caso, gli scrittori cinesi stavano presenziando a un vertice con Google per la controversia sull’accesso gratuito alle loro opere via Google: è la stessa polemica che sta opponendo Google contro Murdoch. In molti ritengono che il modello di un’Internet in cui tutto è gratuito stia per giungere alla fine.

Ma se i cinesi avessero un asso nella manica? Un motore di ricerca alternativo, che risolve il problema del pagamento dei contenuti accessibili via web coperti da diritto d’autore in maniera completamente inedita? Sarebbe il vero deus ex machina del web mondiale, che spariglierebbe tutte le carte in tavola e giustificherebbe un conflitto di queste proporzioni. Anche se la scrittura cinese, gli ideogrammi, costituiscono un ostacolo a quest’ipotesi, non sarebbe la prima volta in cui Pechino si dimostra più avanti di diversi anni rispetto alle percezioni occidentali”.

di Antonio Talia
da www.agichina24.it

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Aldo Giannuli

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