Dossier Bassetti: materiali per una lezione
Martedì 29 novembre, dalle 8.30 alle 10.30, all’interno del corso di Storia del Mondo Contemporaneo che sto tenendo presso l’Università degli Studi di Milano (aula 5 di Via Conservatorio), terrà una lezione il Presidente Piero Bassetti. In preparazione di questo appuntamento, pubblico alcuni materiali preparatori.
Svegliamoci italici!
Manifesto per un futuro glocal
libro di Piero Bassetti, Presidente di Globus et Locus
Cos’è «l’italicità »? Chi sono gli «italici» di oggi? E come farne un soggetto politico futuro? In questo libro un potente manifesto che invita una comunità globale a prendere coscienza di se stessa
La scheda del libro
«Una sveglia, una chiamata a raccolta. Nascono così queste pagine, un appello per chi nel mondo vorrà ascoltare». Piero Bassetti, politico di lungo corso e protagonista della vita culturale e istituzionale del nostro Paese, lancia un messaggio rivolto ai milioni di persone nel mondo che chiama «italici». Molto più numerosi di quelli che definiamo italiani, gli italici costituiscono una comunità fondata sulla condivisione di valori, interessi ed esperienze, che l’autore esorta a divenire consapevole delle proprie potenzialità. Il mondo di oggi è glocal: ciò vuol dire che sempre di più in futuro sarà il rapporto tra la dimensione globale e quella locale degli eventi a fare la differenza. Per questo è essenziale il riferimento a una presenza valoriale e culturale che trascenda la dimensione nazionale e che l’autore presenta nei suoi tratti essenziali. Nata come intuizione, l’«italicità» si è nel tempo sostanziata di molti elementi: esperienze dirette, elaborazioni teoriche maturate dall’incontro con grandi pensatori e dalla ricerca sul campo. Una ricchezza di spunti che mira a individuare ciò che lega gli italici, per favorirne sempre più il processo di aggregazione in una world community. Il punto di partenza è il mondo degli affari, non solo perché è nelle camere di commercio che questa ricerca ha preso avvio, ma perché è inizialmente nel business che si incarnano valori e interessi. Da questo primo terreno, attraverso l’organizzazione della società civile e la formazione di una classe dirigente, si può giungere al tema politico, alla capacità di influenzare il processo decisionale nella sua nuova dimensione glocal. A metà tra il racconto di un percorso ventennale e l’intervento politico, queste riflessioni assumono il tono di un discorso che invita a guardare con occhi diversi i cambiamenti attuali per prospettarne altri di lungo periodo. Una sfida che si fa pressante, soprattutto oggi, con i confini degli Stati-nazione che appaiono sempre più labili e urge immaginare un futuro diverso.
Piero Bassetti (Milano 1928), laureato in economia e commercio all’Università Bocconi, ha perfezionato gli studi alla Cornell University e alla London School of Economics. Consigliere e assessore del Comune di Milano dal 1956 al 1970, è stato primo presidente della Regione Lombardia (1970-1974), deputato (1976-1982), presidente della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Milano (1982-1997), di Unioncamere (1983-1992) e dell’Associazione delle Camere di Commercio italiane all’estero (1993-1999). Autore di numerosi saggi di politica ed economia, attualmente presiede Globus et Locus e la Fondazione Giannino Bassetti.
Svegliamoci italici! Manifesto per un futuro glocal di Piero Bassetti (Marsilio, pp.126, euro 10).
Leggi anche: L’Italicità: cultura, business e partecipazione (pdf)
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Gaz
L’Unità d’Italia, tra le tante contraddizioni, interferenze, apporti e sfaccettature, è stata portata avanti da un gruppo di famiglie piemontesi e lombarde imparentate tra loro, le quali ritenevano di proiettarsi ed esprimersi sui mercati internazionali come italiani per dire la loro.
Non mi sembra che per lungimiranza e progettualità la classe politica di oggi sia paragonabile a quella di ieri o dell’ottocento.
Eppure vendo molti spiriti notevoli, ma resto dispiaciuto quando vedo le biblioteche vuote.
Paolo Selmi
Professore, buongiorno!
“Per questo è essenziale il riferimento a una presenza valoriale e culturale che trascenda la dimensione nazionale e che l’autore presenta nei suoi tratti essenziali.” […] “Il punto di partenza è il mondo degli affari, non solo perché è nelle camere di commercio che questa ricerca ha preso avvio, ma perché è inizialmente nel business che si incarnano valori e interessi.” Ora, assumiamo pure questo punto di vista, che sinceramente non condivido almeno per questi due punti:
1. perché rappresenta una forma distorta di materialismo, in quanto – secondo la versione più onesta di tale teoria – è in TUTTI i rapporti sociali, anche (e soprattutto) in quelli del bracciante, dell’operaio in fabbrica, del muratore e dei loro cantori, che si manifestano cultura e valori: proprio adesso girano su rai 5 un documentario su BB King che mi sta riconciliando col mondo anche stamattina… da dove nasce il blues? da dove nascono gli spirituals? che influenza hanno avuto sulla musica non americana, ma mondiale? chi c’era a spaccarsi la schiena sui campi di cotone, rossella o’hara?
2. Perché un marxista parla sì di influenza della struttura sulla sovrastruttura, ma anche del contrario: “I looked over Jordan, and what did i see, comin’ forth to carry me home”… L’immaginario veterotestamentario cristiano sugli schiavi afroamericani, la fusione di vecchi e nuovi bagagli culturali, la loro influenza non solo sulla loro volontà di riscatto e liberazione in termini di non solo di certezza fideistica degli stessi, ma anche di loro anticipazione “hic et nunc”: anticipazione per cui tale sovrastruttura, a un certo punto, si sarebbe rivelata insoddisfacente e da lì (altro movimento dialettico) la ricezione del marxismo e dell’islam, i black panthers e i black muslims, ecc. Ho parlato di cultura afroamericana ma se, restando sempre in ambito musicale, si esaminano i canti popolari della nostra tradizione, si giunge alle stesse conclusioni. E andando, per esempio a vedere la tradizione popolare dell’est europa, questa cosa si nota ancora di più. Quindi lo schema proposto appare povero anche da questo punto di vista.
Ciò premesso, ovvero che se questi sono gli “italici” meglio restare italiani, è da anni che sostengo che le camere di commercio dovrebbero tornare a fare il mestiere per cui sono state create, con un intento politico, anche, avente a cuore gli interessi nazionali, quindi – in questa fase – privilegiando e concentrandosi su chi produce ed esporta, e non su chi importa tv, orologi, patacche, vestiti, ricaricandoci del 500% quando gli va male. Lo fanno gia? Non lo fanno abbastanza, mi dispiace, e con la dovuta serietà. Un esempio concreto: Russia-Bielorussia-Kazakhstan, nuova unione doganale, nuove procedure, certificazioni a gogo, il vecchio GOST sostituito da autocerficazioni di agenti accreditati sul posto, ecc. Seguo tutto il seminario, vedo i produttori invitati che prendono appunti, ricevono fiumi di materiali…. e non posso fare a meno di pensare al carico di 100 mc del giorno dopo dove tutti esportano con una fattura semplicissima perché per fare dogana basta quello e per portare in Russia ci pensano poi a Riga, a Vilnius o a Daugavpils altri agenti del nostro cliente… e concludo: ma se queste cose le sapete, ovvero che i baltici hanno trovato una loro collocazione nel mondo, da un lato, lanciando proclami minacciosi all’orso cattivo e facendo fare alla Nato le peggiori porcate al confine e, dall’altro, lucrando per miliardi di euro sull’intermediazione della merce in entrata, facendo quelli che tecnicamente si chiamano “sdoganamenti in grigio”, muovendosi ai limiti della legge, possibile che una camera di commercio ignori deliberatamente questo fenomeno? Poi penso all’UE che, sempre deliberatamente, ha bloccato il passaggio del south stream attraverso la Bulgaria, che ci avrebbe liberato della dipendenza dal cioccolataio poroshenko e dai suoi amici neonazi, salvo poi meravigliarsi della vittoria elettorale dei socialdemocratici bulgari che invece vorrebbero normalizzare i rapporti con Mosca (e emettere una scandalosa risoluzione il 23 novembre contro la propaganda russa, accomunata a quella dell’ISIS, sic!). E penso che sono tutti della stessa pasta. E, anche se non smetto mai di meravigliarmi, cerco di non restarci ogni volta che vengo a sapere queste cose.
Un caro saluto e buona domenica.
Paolo
Paolo Selmi
PS Discorso che fanno da decenni anche i francesi nelle comunità francofone del resto del mondo e i britannici nel cosiddetto Commonwealth. Anche la Russia, peraltro, è da almeno dieci anni che parla di identità russa e di nazionalità russa aldilà dei confini statuali della Federazione russa. E che dire della Cina? In quei casi, però, sempre i nostri “amici” del parlamento europeo, parlano di politiche intrusive e imperiali… evidentemente, c’è chi può farlo e chi no.
PPS Il canton ticino sono insubrici come noi della zona di Varese e Como e Verbania e, anche se da loro statuto si propongono di promuovere gli italici valori in terra elvetica, a Lugano, in genere, preferiscono altri generi di attività, mentre nelle comunità montane sono più affini alle comunità montane delle nostre prealpi. Infine, le comunità migranti in terra elvetica, che conosco anche per motivi familiari, sono tante piccole “pro loco” locali, che promuovono essenzialmente la loro terra d’origine, salvo poi essere tutti “italiani” in occasione delle partite della nazionale. Colpa non loro, ma di un ministero degli esteri che ha sempre sottovalutato la formazione culturale degli italiani all’estero, manodopera di riserva, un problema e non una risorsa, se non nelle rimesse, a differenza di altre comunità nazionali che sono tutelate da consolati e ambasciate che fanno il loro mestiere.