Dopo l’Afghanistan: che ne facciamo del tricolore?

Dopo l’Afghanistan: che ne facciamo del tricolore?

Forse è il caso di discurtere su uno degli aspetti più delicati della nostra cultura politica: il problema dell’appartenenza nazionale.
Parecchie scuole hanno rifiutato di osservare il minuto di silenzio per i caduti motivando con il carattere rituale e retorico del gesto. La destra accusa chi si  dissocia dal lutto nazionale di “spirito antitaliano”.
Effettivamente, la dissociazione dall’omaggio ai caduti si può leggere in due modi: il dissenso verso la decisione di mandare nostre truppe in Afghanistan  oppure il rifiuto di qualsiasi senso di appartenenza nazionale. Non è un punto da poco e conviene discuterne.

Partiamo da una considerazione spicciola: siamo proprio sicuri che ci convenga sputare sul tricolore nel momento in cui a farlo è uno come Bossi? Non è che possiamo difendere l’unità nazionale dalle sguaiataggini della Lega e poi dimenticarcene un attimo dopo.
Chi scrive queste righe è tuttora un convinto internazionalista (avendo una pur remota militanza trotzkijsta). Ma non internazionalismo non è sinonimo di cosmopolitismo e di universalismo. Anzi, la parola stessa implica l’accettazione dell’idea di nazione, anche se per ricomprenderla in un insieme più grande.  Non nega che esistano diversi popoli con diverse culture, ma li vuole solidali.

“Proletari di tutto il Mondo Unitevi” non esclude affatto  l’idea dell’autodeterminazione nazionale, a favore della quale si pronunciarono (se proprio vogliamo essere precisi) sia Marx che Lenin.
Il punto è che senza identità non si dà soggetto che, nel nostro caso, suona: senza identità nazionale non si dà popolo e senza popolo non si dà democrazia.
Prendiamo il caso dei Palestinesi.
Quando qualcuno, intervenendo in questo sito, ha messo in dubbio che essi siano una nazionalità, è subito insorto qualche altro difendendo la loro identità nazionale (ed, anche se con toni meno accesi, anche io sono di questo parere). Dunque, mi pare che la battaglia che stiamo facendo per i Palestinesi è quella di ottenere che possano costituirsi in Stato-nazione e  su questo principio stabilire la pace in Medio Oriente.
E le stesse cose potremmo dire di curdi, armeni, baschi e dei vari popoli senza stato che ricevono la simpatia di tanti militanti di sinistra. Sempre sulla base del diritto di un popolo-nazione a costituirsi in Stato.
C’è stato un momento storico in cui la sinistra marxista ha pensato che fosse possibile un unico Stato Mondiale socialista, che, pur nel rispetto delle identità culturali di ciascun popolo, avrebbe eliminato gli stati nazionali (ricordate la strofa di “Bandiera Rossa”? “Non più confini, non più frontiere, solo ai confini rosse bandiere”). Non so se questo traguardo sia effettivamente raggiungibile, ma è sicuro che, per ora, non è politicamente all’ordine del giorno.

Oggi, la scelta non è fra il governo mondiale dei Soviet e i singoli stati nazionali, ma fra questi e l’Impero americano che non mi sembra una cosa tanto proletaria.
La storia ci ha disillusi sul fatto che “il  Proletariato non ha nazione”.
Cancellando il vincolo della solidarietà nazionale, si ottiene solo di ridurre lo Stato ad una insieme di strutture di servizio, nel quadro del più sfrenato iperindividualismo liberale.
Negri ci spiegò che dovevamo brindare alla fine del principio westfalico, accettare la globalizzazione e che, a contrapporsi all’ “impero” (realtà metafisica che non si capisce con cosa identificare), sarebbe stata l’ “orda nomade”, la “moltitudine”, i “nuovi barbari” e via fumettando. La realtà si è incaricata di dimostrare che la fine dello stato nazionale significa solo il predominio dell’Impero americano (diverso ma non migliore dall’imperialismo che abbiamo conosciuto) e che questo significa la distruzione di ogni principio democratico. Punto e basta.
Certo, il principio westfalico non è riproponibile sic ed sempliciter e richiede un grande affinamento di idee tutto da fare.

La sinistra italiana ha imbarazzo ad usare parole come Patria o simili perchè risente della giusta ripulsa verso il nazionalismo fascista. Ma  il  nazionalismo è una cosa –e va combattuto- e il patriottismo repubblicano (o, se preferire, costituzionale) è un’altra e non è incompatibile con i principi socialisti.
Anche nel caso dell’Afghanistan noi chiediamo il ritiro delle truppe occidentali sulla base del diritto ad autodeterminarsi  del popolo afghano, respingendo la foglia di fico dell’ “intervento umanitario. Cioè, in buona sostanza stiamo chiedendo anche in questo caso l’applicazione dei principi westfalici.
Dunque non si capisce sulla base di quali ragioni non dovremmo applicare  questo criterio al nostro paese. Forse è un gesto poco elegante?
Personalmente non ho alcun imbarazzo a scrivere Patria con la maiuscola ed a considerare il tricolore la mia bandiera, contro Bossi e contro gli americani e non considero la cosa incompatibile nè con l’impegno a favore della libertà e dell’eguaglianza in ogni parte del Mondo, nè con il rispetto dei diritti di tutti gli altri popoli.
La perdurante occupazione dell’Afghanistan è una cosa che infanga il tricolore perchè lede il diritto di un altro popolo a regolare da solo le proprie questioni interne. Ma è anche lesivo degli interessi nazionali perchè ci rende servi sciocchi di una operazione imperiale degli americani, per di più senza alcun vantaggio.
Ma di tutto questo, ovviamente, non posso chiedere conto ai soldati che sono lì e che non considero affatto “mercenari fascisti”.  Sul banco degli imputati ci metto Berlusconi, Prodi, Fini, D’Alema, Frattini, Larussa ecc. che ce li hanno mandati e ce li tengono. E ci metto anche Fausto Bertinotti, Franco Giordano, Paolo Ferrero e Lidia Menapace che, quando potevano far pesare i loro voti, determinanti per il rifinanziamento della missione, non fecero neppure finta di fare una battaglia politica sul tema ed, anzi decretarono l’espulsione di chi, come Turigliatto, si era espresso contro la missione.  Ricordo un trafelato Michele De Palma (della segreteria nazionale) che ci spiegava che “Non è il momento di essere politicamente corretti” perchè i sondaggi davano il Prc in caduta libera se, non votando la missione, avesse fatto cadere il governo Prodi. Infatti,  un anno dopo, abbiamo visto il successo a cui ci hanno portato questi fini strateghi.

Dunque, non ho alcuna difficoltà a rendere omaggio ai soldati italiani caduti in Afghanistan e lo faccio rifiutando di associarmi al lutto ipocrita e oltraggioso di chi li ha mandati lì.

Aldo Giannuli, 24 settembre ’09

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Aldo Giannuli

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Comments (5)

  • Aldo, mi rifaccio al commento di Claudio Francesconi nell’articolo precedente per dirti che ti ho conosciuto attraverso le parole di stima di M, Travaglio nei tuoi confronti e di ciò sono contenta. Commenterò il presente articolo appena letto attentamente.

  • Grazie, non so come mai ma mi ritrovo d’accordo con quello che scrive. Non mi capita mai con altri commentatori. Finalmente Lei ha messo in chiaro un pensiero che non riuscivo a ordinare e che mi frullava nella mente da un paio di giorni.

  • Trotskisti:
    ‘Ricordo un trafelato Michele De Palma … “Non è il momento di essere politicamente corretti”.’
    Beh qualcuno che tutt’oggi si definisce ‘trotskista’, la missione afgana l’ha votata.

    Negri:
    ‘Negri ci spiegò che dovevamo brindare alla fine del principio westfalico…’
    Ma? Il personaggio è conseguenziale ai suoi mentori; basta vedere chi pagava le sue borse di studio e dove passava i viaggi-studio negli anni ’60/’70.

    Più Lenin che Marx:
    ‘“Proletari di tutto il Mondo Unitevi” non esclude affatto l’idea dell’autodeterminazione nazionale, a favore della quale si pronunciarono … sia Marx che Lenin.’
    Lenin sì, per tutti; Marx no, non per tutti. La riconosceva ai polacchi, ma non ai serbi, che bollò come ‘popolo senza storia’.
    I primi erano oppressi dai russi, gli altri dai turchi, i turchi ottomani erano nemici della Russia, che a sua volta Marx vedeva come nemico principale della rivoluzione in Europa.
    Anche Marx si piegava alla realpolitik della geopolitica. (Alla faccia dei puristi del ‘comunismo’.)

    Patria
    ‘La sinistra italiana ha imbarazzo ad usare parole come Patria …giusta ripulsa verso il nazionalismo fascista.’
    Io inzierei da molto prima del fascismo, da Adua, o almeno da Giolitti e la sua avventura in Libia.

  • Pur sentendomi ed essendo di nazionalità italiana, faccio fatica a usare il termine “Patria”. Il termine Patria dovrebbe essere relegato ai libri di storia in quanto appartiene ad un periodo storico. Ho guardato la Costituzione, non è mai citato il termine “Partia”. l’articolo 1 dice: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione -. L’articolo 12 dice: La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano. verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni-. L’etimologia del termine Patria è ‘terra dei padri’, quindi si può interpretare in due modi o ‘terra dei padri fondatori’ (di chi ha combattuto) oppure ‘terra dei padri biologici’ intesa come eredità patrimoniale.

  • Il contratto di permanenza nel nostro territorio degli USA durato 50 anni, fu rinnovato da D’Alema senza chiedere il nostro parere. Mi chiedo che cosa c’era di così importante da nascondere all’opinione pubblica.

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