Distintivi e ideologie.
A volte è nei piccoli particolari che si annidano i segni del tempo, nelle minuzie compare la spiegazione di cose tanto più grandi. E’ il caso dei distintivi di partito su cui vorrei intrattenervi brevemente.
Quando ero giovane (più o meno un secolo fa), erano ancora molto usati distintivi di partito che molti portavano al bavero della giacca come orgogliosa affermazione di identità. Non era solo una forma di propaganda, ma anche una dichiarazione di fede: la politica, all’epoca, aveva sfumature che sconfinavano nel religioso e tutti i partiti erano un po’ chiese, chi cambiava partito era guardato con sospetto e, forse, diventava sospetto a sé stesso. Erano un po’ l’equivalente laico della piccola croce al collo che, non a caso, molti portavano insieme al distintivo, magari di un partito di sinistra.
Ricordo la sofferenza, ancora dopo molti anni, di alcuni ex comunisti che, dopo l’Ungheria, si erano indotti a togliere il distintivo, ma senza sostituirlo con altri: l’abbandono di quella fede aveva lasciato un vuoto che, anche chi era passato al Psi o al Psdi non riteneva di poter colmare con una nuova fede altrettanto pervasiva, ed i distintivi restavano nel cassetto.
L’amara disillusione sul “dio che aveva tradito” li aveva fatti diffidenti verso ogni altra fede. Ricordo anche molti vecchi militanti (non solo socialisti o comunisti, ma anche missini o democristiani) che, morendo, lasciavano come una reliquia il proprio distintivo a figli e nipoti, insieme alla serie ininterrotta di tessere di partito.
Conseguentemente, i distintivi avevano una loro “importanza” anche materica: in genere erano di ottone o ferro su cui era riprodotto a smalto il simbolo del partito, pesavano una ventina di grammi e costavano qualcosina. Il costo, il peso e la materia ne facevano oggetti destinati a durare nel tempo.
Poi vennero le spillette tonde, larghe ma leggerissime fatte di materiale plastico o di stagnola, effimere sino al futile, intercambiabili e quasi mai avevano un simbolo di partito, ma lo slogan di una qualche campagna o di qualche movimento (come quello contro la guerra). Non erano più segni di una identità politica, culturale, forse esistenziale, ma segnali provvisori di confluenze occasionali e segmentate. Ecco, appunto: non una identità invariante, ma l’espressione di un segmento di vita che lascia l’individuo fluttuare fra esperienze e momenti diversi.
Il segnale di una contaminazione fra l’iper individualismo di massa che fece irruzione negli anni ottanta e la secolarizzazione della politica. Laicità ed effimero: con Nicolini, nell’ottanta, iniziò la moda dell’effimero, anticamera dell’esplosione del narcisismo della nostra epoca. I distintivi di partito si fecero di plastica aprendo la strada ai partiti di plastica.
Nostalgia del tempo della politica “pesante”? No, per lo meno non di come essa fu e del come non potrebbe mai tornare ad essere. Ma critica dell’esistente riflettendo su un piccolo oggetto come un distintivo di partito.
Aldo Giannuli
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Gherardo Maffei
Parole che condivido pienamente. Rammento che alcuni miei amici e compagni di giochi, figli d un ex partigiano, comunista irriducibile di stampo staliniano, quando andavo a trovarli all’ora di pranzo, assistevo quotidianamente ad una scena oserei dire pseudo religiosa.La radio unica fonte allora di informazione era perennemente accesa su radio Capodistria, da dove veniva trasmessa in lingua italiana, una trasmissione di canzonette popolari con dediche varie. La trasmissione iniziava con l’inno Bandiera rossa e lo slogan “morte al fascismo”; ebbene ricordo che l’ex partigiano quotidianamente si alzava in piedi ritto sull’attenti per tutta la durata dell’inno. Egli era un militante ingenuo ma sincero, che la domenica andava a vendere l’Unità porta a porta, che sacrificava le ferie per organizzare gratuitamente per il partito, le feste dell’unità.In conclusione si può anche citare un altro esempio sul versante opposto. Durante un comizio tenuto da Almirante a Genova all’inizio degli anni settanta, alcuni oltranzisti di sinistra che godevano all’epoca della più totale impunità, uccisero il militante missino,nonché umile lavoratore Ugo Venturini.Gli assassini non vennero mai cercati e trovati. Almirante coi soldi del MSI comperò alla vedova un appartamento e trovò un lavoro al figlio orfano.Inoltre tutti i Natali vedova e orfano erano ospiti fissi ed d’onore a casa sua.Purtroppo l’interessamento di Almirante non impedì la tragedia, l’orfano a cui era stato trovato un lavoro entrò nel giro della droga, fu licenziato e finì in galera. La vedova in preda alla disperazione si impiccò in casa sua.Se penso che Gianfranco Fini dopo aver ereditato da una nobildonna che lo aveva lasciato al MSI per la “buona causa”, un lussuoso appartamento a Montecarlo e che costui lo ha regalato a suo cognato, il noto fratello dell’ex concubina del bancarottiere latitante a Santo Domingo ex presidente del Perugia calcio, Gaucci, ora diventata sua moglie, dico che l’attuale fase politica quotidiana è il frutto di una assoluta totale era di decadenza, che è vano sperare di cambiare.
leopoldo
pensa il giorno in cui le spille e cartellini saranno elettronici (personalmente ho visto una versione a barre nel ultimo ITC che ti identificava alle diverse presentazioni a cui assistevi) e potranno rappresentare diverse organizzazioni, avere diversi nomi. Diciamo una militanza multi personale e multi organizzativa. Per gli psicoanalisti si prospetta un epoca d’oro, chi sa se oggi inizia con le posizioni dissociative :D.
andrea z.
Il trentennio successivo alla seconda guerra mondiale, quello delle “grandi narrazioni” o delle ideologie, presenta lati positivi e negativi, ma di quell’epoca invidio la fiducia delle persone nella possibilità di migliorare la società aggregandosi e lottando insieme verso obiettivi comuni.
Poi è arrivata la Thatcher con la sua famosa frase. “Non esiste la società, ma solo le singole persone”, che ha dato il via ad un periodo basato sull’individualismo e la ricerca personale della felicità.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: sono state create immense concentrazioni di potere economico e finanziario, di fronte ai quali gli individui sono soli e indifesi, incapaci di organizzarsi per proteggere i propri interessi.
L’età postmoderna, iniziata con la speranza di nuove opportunità e di ricchezza per tutti è terminata con le risorse concentrate in poche, avide mani, col lavoro precario e sottopagato e con lo stato sociale, grande conquista del “trentennio glorioso”, smantellato per lasciar spazio alle offerte previdenziali delle banche e delle assicurazioni.
davidem
D’accordissimo sulle piccole cose che per caso o per sineddoche tradiscono verità più grandi.
So che la discussione sui simboli ci porterebbe troppo lontano, ma parlando di distintivi e involuzione nell’effimero non posso fare a meno di pensare al logo del PD: non serve un sottile esegeta o critico d’arte per notare che la bianca D è un’illusione (come il pd stesso), non esiste; è solo il prodotto di un’assenza di rosso che costituisce solo una parte circoscritta dello sfondo, giustificata in termini risorgimentali. E’ rimasta la P di partito. E’ sparito ogni aggettivo sinistro, ogni falcetto o martelletto per quanto piccolo e nascosto sotto le radici dell’albero; la quercia è stata abbattuta e dell’ulivo rimane solo uno scarno ramoscello che spero presto sostituiscano con del vischio che a natale almeno mette più allegria. Il vero simbolo del pd è lo sfondo bianco e come diceva corrado guzzanti alcuni anni fa imitando Prodi che si volatilizzava: “Io in realtà non esisto: sono morto molti anni fa ma nessuno se ne accorto…”
marcot
Buongiorno Prof. Giannuli,
assolutamente vero. L’esempio dei distintivi che ha riportato è calzante. Viviamo un’autentica “crisi del credere”, che si riflette in qualsiasi aspetto della nostra vita, soprattutto negli ideali politici; ma a ben vedere anche in ambiti più quotidiani, come credere in una persona, in un’amicizia o in un amore. Da qui l’incredibile instabilità dei rapporti sentimentali e di coppia con la conseguente rivoluzione epocale del tessuto della nostra società.
La differenza è che, contrariamente a Lei, io sono convinto che questa crisi terminerà e la gente, in un futuro, tornerà a stringersi intorno a qualche ideale. Perché la “crisi del credere” è soltanto uno degli squallidi sottoprodotti della civiltà del consumismo: si divorano e si cambiano gli ideali e gli amori così come si divorano e si cambiano le magliette. Finito il benessere, i cittadini torneranno ad avere bisogno di punti fermi nella propria esistenza, se vorranno sopravvivere.
Saluti,
Marco
Francesco Paolo Ruffano
Ecco, caro prof. come dire che siamo tutti degli zombie ! Bella schifezza di Mondo di plastica, falso e criminale ! Aquesto punto preferisco il Comunismo reale che almeno pensa di dare un tetto , da mangiare e da bere al popolo !
Giovanni Talpone
La Storia non si ripete, ma i problemi irrisolti si ripresentano, almeno finchè un cambiamento epocale non li spazza via con tutto il resto. Il problema è la gestione della complessità della gestione politica e sociale (faccio anche riferimento all’intervento della politica come specialismo). Per questo, un Partito che voglia davvero incidere sul reale deve essere anche scuola e comunità di ricerca (come indicò Gramsci col proprio impegno). Questi inventori di partiti e movimenti che partono dagli slogan e dalle sommatorie di “personalità” e sigle sono eternamente destinati a fallire, perchè non costruiscono mai un valore culturale nuovo elaborato e condiviso da una “scuola” (cioè da più generazioni di militanti). Quando i problemi si faranno davvero insostenibili, dovranno tornare i distintivi “pesanti” (magari dotati di Identificatori a Radiofrequenza e sistemi di certificazione dell’identità).
Lorenzo
La politica pesante tornerà non appena torneranno le migliori compagne dell’umanità, le uniche che sappiano conferirle una parvenza di dignità: la guerra e la disperazione. E sulla loro ricomparsa – non immediata, diciamo di qui a 30 anni – questa società putrefatta dal consumismo e dall’individualismo ci formisce le migliori garanzie.