Diritto all’insolvenza?
Di fronte alla tragica situazione greca, diversi osservatori come Loretta Napoleoni, Andrea Fumagalli, Damien Millet o Eric Touissant (tanto per fare qualche nome) hanno avanzato -con varie modulazioni- la proposta di uscirne dichiarando default, anzi, Fumagalli ha teorizzato un “diritto all’insolvenza”.
Abbiamo già detto che molti paesi di prima grandezza (Usa e Giappone, oltre che Italia) sono in condizioni di non poter pagare il proprio debito, ma di poter al massimo mantenersi sulla linea di galleggiamento (sinchè dura) pagando gli interessi e sperando che i creditori rinnovino all’infinito il loro prestito. Dunque, il tema si impone ed è necessario discuterne con molta freddezza, senza passionalità.
Va detto che i casi di default di Stato sono più frequenti di quelli di rientro dal debito, ed in particolare sono frequenti i default domestici, in cui lo stato brucia i debiti verso i suoi cittadini, mentre più prudenza c’è nel caso di ripudio o ristrutturazione del debito estero, per le conseguenze negative che ne rivengono. Ma, anche in questi casi, non sempre il default ha conseguenze disastrose per chi lo dichiara anzi, in qualche caso (Argentina ed Islanda degli ultimi anni insegnano) proprio questo è il modo per uscirne e ripartire.
Ma nella maggior parte dei casi le cose non vanno in questo modo, ad esempio, il default del 1826 costò alla Grecia l’esclusione dai mercati finanziari internazionali per 53 anni e questo ha pesantemente condizionato il successivo sviluppo del paese. Più o meno la stessa cosa successe all’Honduras dopo il default del 1873. La Russia ripudiò i suoi debiti nel 1918 e restò fuori dei mercati finanziari per 69 anni. E di esempi negativi potremmo farne molti di più.
Rogoff dimostra che la propensione al ripudio del debito si accompagna più o meno regolarmente ad una crescita più lenta ed ha effetti che spesso superano il secolo.
Comunque, non esiste una regola assoluta che ci dica se e quanto la scelta del default sia auspicabile o meno ed occorre esaminare, caso per caso, tutti gli aspetti della decisione.
Intanto partiamo da una considerazione: la dichiarazione di insolvenza può risolvere il problema del debitore, ma non quello del debito in sè, che continua ad esistere. Poco male se il creditore (o i creditori) è in condizione di assorbire la perdita o perchè il suo credito è coperto dall’assett, o perchè non ha, a sua volta, debiti rilevanti in sofferenza, o perchè il flusso degli altri crediti compensa la falla aperta. I guai cominciano quando il creditore ha debiti e non ha modo di compensare la perdita. In quel caso, anche il creditore va verso il default e la situazione si ripete con il suo creditore (o i suoi creditori). Peraltro, la finanza è un meccanismo che si regge sulla fiducia: se viene meno la sicurezza di essere pagati, nessuno fa credito, se non si è certi che il debitore pagherà non si fanno prestiti e tutto si paralizza.
Può determinarsi una catena di insolvenze con un “effetto domino” per cui il “contagio” si estende e si rischia il crack generalizzato ed una depressione durevole che, ovviamente, è l’esito meno auspicabile che si possa immaginare. E, se il fallimento di una banca può essere compensato dall’intervento dello Stato –prestatore di ultima istanza- magari a favore di aziende e risparmiatori- il crack di uno Stato è molto meno riparabile ed ha conseguenze spesso incalcolabili.
Pertanto, occorre pensarci per bene prima.
Vediamo il nostro caso: la situazione è particolarmente grave per il fatto che lo stato di indebitamento è generalizzato, coinvolge molti fra i massimi attori dell’economia mondiale, spesso indebitati reciprocamente ed ammonta a cifre iperboliche. Dunque, abbiamo una situazione di per sè fragile, dove il default di uno può provocare un effetto contagio di grandi proporzioni.
Un altro aspetto molto delicato è rappresentato dal fitto intreccio fra debito estero e debito interno: gli stessi titoli di debito sono acquistati tanto da acquirenti interni (soggetti istituzionali -come banche, compagnie assicuratrici, fondi di investimento ecc.- aziende, enti locali o singoli risparmiatori) quanto da acquirenti stranieri (fondi sovrani, banche centrali, soggetti istituzionali) in una rete fittissima di crediti e debiti che accomuna investitori pubblici e privati. Pertanto, il contagio passa molto facilmente dai soggetti pubblici a quelli privati per tornare indietro, provocando una “tempesta perfetta” che investe l’intera economia mondiale.
Ad esempio, un default greco non colpirebbe solo le banche francesi e tedesche che detengono la parte più cospicua di titoli, ma anche enti locali stranieri, università o fondi pensione che si sono lasciati attrarre dagli altissimi rendimenti offerti, scommettendo sull’intervento europeo che compensava il loro alto indice di rischio. Le banche francesi, a loro volta, subiscono ancora gli effetti del crack dei mutui subprime e sono al centro di un pesante attacco della speculazione, per cui potrebbero a loro volta non reggere il loro livello di esposizione verso altri soggetti come assicurazioni, fondi pensione, fondi sovrani. L’attesa di una ondata di insolvenze generalizzata, a sua volta porterebbe le banche a non prestare liquidi ad altre banche, paralizzando il mercato interbancario –esattamente come accadde dopo il crack della Lehman Brohers nel 2008-; quello che accelererebbe la tempesta trasformando in insolvenze anche stati di momentanei illiquidità. Contemporaneamente questo potrebbe causare una serie di cadute a catena di altri paesi a loro volta sull’orlo dell’insolvenza (Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda, Ungheria, Pakistan, ecc.).
Come si vede, anche un default di piccole dimensioni come quello greco (300 miliardi di euro, sono all’incirca il 3% del debito dell’Eurozona e molto meno dell’ 1% del totale dei debiti sovrani) può innescare una crisi di proporzioni molto vaste. Questo feedback positivo particolarmente rapido è la conseguenza tanto del fortissimo grado di interdipendenza dei mercati finanziari mondiali, sia del vicinissimo stress del 2007-8 che è tutt’altro che superato: il sistema ha spazi di recupero limitatissimi, per cui anche un urto di proporzioni relativamente modeste lo manda in crisi.
In una situazione di questo genere la cosa peggiore sarebbe un “rompete le righe” con una corsa in ordine sparso a chi arriva prima a dichiarare l’insolvenza. Dunque, parlare di “diritto all’insolvenza” non mi pare che abbia particolare senso: più che di un diritto, si tratta di una situazione di fatto e le cose sono molto semplici: se hai i soldi paghi i debiti, se non li hai non li paghi ed il creditore reagisce nei limiti che gli consentono i rapporti di forza. Il resto sono chiacchiere.
Da questa situazione non usciamo con le petizioni di principio, ma con una presa di coscienza della gravità della situazione e con decisioni politiche conseguenti.
E la situazione è questa: c’è una larga parte di Mondo, praticamente tutto l’ex Occidente (Usa, Giappone ed Eurozona) che non è in grado di pagare i suoi debiti e va verso una serie di rovinosi default che, però, coinvolgerebbero anche i loro creditori. La Cina ha crediti per oltre 1000 miliardi di dollari con gli Usa più una massa doppia di dollari nelle sue casseforti, insieme a titoli europei e giapponesi per somme un po’ inferiori: questa enorme massa di denaro diventerebbe un mucchietto di cenere dopo una serie di default a cascata. Tutt’ora queste tre aree economiche rappresentano di gran lunga la maggior parte dei suoi mercati di sbocco: a chi venderebbero dopo questi fallimenti in serie?
Più o meno lo stesso discorso potremmo fare per Russia, Brasile, India, Sudafrica, mentre si fermerebbe sul nascere il promettente sviluppo di Indonesia, Turchia, Messico, Egitto, Sud Corea. In breve sarebbe una recessione mondiale che starebbe a quella del 1929 come una broncopolmonite doppia ad un raffreddore di stagione.
Ed allora? Allora, come prima cosa la questione va tolta dalle mani della finanza e messa in quelle della politica. Occorre una nuova Bretton Woods, con cinesi, indiani, brasiliani ecc, nella quale ripensare l’ordine mondiale e non solo quello economico-finanziario. In soldoni (è il caso di dirlo): l’Occidente chiede la moratoria di una larga fetta del suo debito con i Bric, in cambio di quote di potere politico. Bonificare parte del debito americano, europeo e giapponese può essere nell’interesse di cinesi, indiani, russi ecc, ma non basta. L’Occidente ha quattro cose da offrire: la fine del dollar Standard, la fine del monopolio euro americano in Fmi e Bm, lo scioglimento della Nato, la diminuzione delle basi americane nel Mondo ed in particolare nell’oceano Indiano ed in quello Pacifico.
Cioè la fine dell’egemonia “occidente” in favore di un ordine mondiale policentrico.
In questo quadro possiamo anche pensare di uscire dal pantano del debito inestinguibile.
Aldo Giannuli
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Lamarca Luciano
Questa analisi appare lucida e purtroppo molto precisa: i Paesi BRIC hanno tutto l’interesse a sostenere le economie occidentali proprio per mantenere il trend di crescita e di espansione.
La recente guerra libica per impadronirsi dell’ultimo petrolio da parte di Gran Bretagna e Francia ed i venti di guerra sull’Iran, ultimo serbatoio petrolifero degli USA, dimostrano però la scarsa propensione da parte dei Paesi Big occidentali di mollare la presa ovvero la leadership mondiale.
La vera incognita sarà l’appoggio o meno da parte di Cina e Russia del governo iraniano.
Igor Giussani
Io roverescerei il discorso dal diritto all’insolvenza a quello di esigere crediti. Ad esempio, gran parte del debito è in mano ai cosiddetti investitori istituzionali, che fanno parte di realtà bancarie che hanno scientemente provocato questa situazione, e in cambio hanno ricevuto massicci finanziamenti a fondo perduto dalla FED dai governo di USA e europa. Sembra ridicolo, ma ci ritroviamo nelle stesse condizioni che hanno animato le campagne ‘cancella il debito’ del Terzo Mondo qualche anno fa: ci vuole un audit per conoscere le singole voci del debito e capire quanto è esigibile, e comunque va rinegoziato. Altrimenti bisognerà rincorrere sogni di crescita impossibili, trasformando quel che resta dell’Occidente democratico in stati estremo-orientali massacrando diritti e ambiente.
Quanto al primato della politica siamo d’accordo tutti, ma non possiamo scordarci il segreto (di Pulcinella) svelatoci da Alessio Rastani alla BBC: Goldman Sachs e le sue consorelle governano il mondo. Le ‘porte girevoli’, il fenomeno per cui i dirigenti delle banche passano ai ministeri del tesoro e viceversa, è tuttaltro che cessato. E chi diventa adesso governatore della BCE? Mario Draghi, ossia un ex(?) uomo di Goldman Sachs, la cui nomina alla Banca d’Italia a suo tempo indignò persino Cossiga (e penso di aver detto tutto).
andrea romanelli
mi presento, è da un pò che la seguo ma è la prima volta che lascio un commento. sono sorpreso da questo articolo, che trovo lungimirante e allo stesso tempo preoccupante. abbiamo vissuto gli ultimi 60 anni in un equilibrio mondiale sostanzialmente stabile, mi riferisco soprattutto all’egemonia politico e prima ancora militare degli stati uniti, che seppur in quello che io considero uno stato a sovranità limitata come il nostro, ha garantito almeno a noi “occidentali” un livello di diritti minimi accettabili… bene cosa accadrebbe se tutto ciò ancora non fosse… in sostanza credo che per quanto perfino augurante possa essere limitare la presenza americana nel pacifico (perchè alla fine è questo cui cina e india in primis mirano) e nel resto del mondo, ancora molti popoli non sia pronti… soprattutto e questo è un peccato, il nostro.
con stima.
Andrea T
Che ne pensa di questa storia del complotto iraniano scoperto sul territorio degli stati uniti, ai danni dell’ambasciatore saudita?
Francamente a me pare una bufala assurda. Un tempo, almeno, gli usa erano decisamente più abili a fabbricare pretesti per giustificare il loro interventismo. Ormai fanno quasi tenerezza.
Questa storia è l’ennesima conferma della mia teoria che alla base della crisi della finanza internazionale ci sia, in realtà, un problema di economia reale dovuto alla tendenza verso una sempre maggior scarsità del petrolio (il vero perno del sistema produttivo mondiale, attualmente insostituibile). Questo fa lievitare tutti i costi che dall’estrazione vengono scaricati a cascata, per intenderci fino ai pomodori che mi vende il bottegaio sotto casa. Quindi rallenta la crescita (e si potrebbe determinare una spirale di decrescita): diminuiscono i margini di profitto perchè, anche se in prima battuta i costi vengo scaricati dai soggetti dominanti ai soggetti sottostanti, il calo del potere d’acquisto significa un calo della domanda, a cominciare dai beni e servizi futili fino a quelli essenziali.
Ed ecco che si aprono le danze: nel 2007 il collasso del mercato immobiliare americano è stato solo il cerino che ha dato fuoco alla paglia. Il contagio tramite i vasi comunicanti della finanza internazionale della crisi di fiducia (che ormai è generalizzata) fa aumentare i premi al rischio e accompagna i soggetti più sofferenti verso uno stato di insolvenza. Siamo in un vortice. Anche il Prof. Romano Prodi, l’altra sera in tv, ha accennato vagamente ad uno scenario simile.
Tornando all’Iran, faccio notare che se si osserva il grafico dell’indice S&P 500 negli ultimi 20 anni si può notare il picco era già stato raggiunto a metà del 2000. Poi il mercato è crollato e si è ripreso nel marzo 2003, cioè (guardacaso) alla vigilia dell’invasione dell’Iraq.
Forse sarà un caso anche il fatto che l’Iran – che avrebbe ordito questo ridicolo complotto sul territorio usa – sia carico di petrolio. Che ne dice?
Paola Pioldi
Caro Aldo,
il tuo articolo è chiaro, se ho ben capito: per uscire dalla crisi… ci abbuonano i debiti e noi molliamo supremazia monetaria, militare e politica. Domanda: secondo te (Aldo politologo) con la classe politica mondiale attuale, abbiamo qualche speranza di risolvere la crisi raggiungendo così un “ordine mondiale policentrico”?
Paola Pioldi
p.s.
Se così non fosse ed il nostro sistema implodesse (per effetto domino: tutti indebitati con tutti), quale scenario possibile ci troveremmo davanti?
Grazie,
Paola
steffa88
continuo a ritenere estinguibili i debiti dei paesi avanzati. I paesi “caldi” sono Giappone, Stati Uniti e Italia, oltre a Portogallo e Grecia, ma già parliamo di economie più piccole. Il Giappone ha un debito/pil intorno al 200% ed è in crisi da una decina d’anni, ma il debito è detenuto quasi interamente da residenti, dunque ritengo non sia un problema, se poi aprissero un po’ di più le porte all’immigrazione si libererebbero anche di questo fardello. Gli Stati Uniti invece sono intorno al 100%, ma quello americano è un debito pubblico storicamente molto volatile, ricordiamoci che in appena dieci anni, dal 45 al 55, passò da quasi 130 al 60% del pil, in piena guerra fredda, con il loro storici tassi di crescita, inflazione e immigrazione se la possono cavare alla grande, se poi tagliano un po’ le stratosferica spesa militare tanto tanto meglio. L’Italia ne esce bene se si trova un governo decente (e qui ci vuole un bel punto interrogativo) il Portogallo è messo peggio, la Grecia sappiamo bene, ma sono comunque economie piuttosto piccole, male che vada ci mette una pezza l’Europa
pierluigi tarantini
“Diritto all’insolvenza” pone due questioni: la prima relativa al “diritto all’insolvenza”, la seconda relativa ad un auspicato nuovo ordine mondiale.
Con riferimento al “diritto all’insolvenza”, credo che certe tesi sul “diritto al default” siano uno sgradevole cocktail di isteria ideologica ed incapacità di valutare fenomeni complessi.
Per limitarci allo specifico italiano il problema attuale non è tanto il debito (creato dalla politica) ma il costo dello stesso, terribilmente aumentato a causa di un governo che sembra preso di peso dal palcoscenico del Bagaglino.
Se qualcuno ci getta in pasto ai pescecani (della Finanza) che, ovviamente, fanno il loro mestiere, la responsabilità di chi è?
Temo, in sintesi, che paventare il “diritto all’insolvenza” sia frutto di una mistificazione volta a indicare al popolo sofferente un nemico, individuabile con ciò che, indistintamente, ha a che fare con la Finanza.
E la cronaca di questi giorni fa pensare che molti si stiano lasciando incantare.
E la manipolazione delle coscienze produce solo ottenebrazione.
E se proprio si sente la necessità di dare (anche) alla Finanza quel che si merita quel qualcosa esiste e si chiama, per esempio, Tobin tax.
Ma per avere leggi del genere bisogna prima dotarsi di una politica decente.
Quanto all’auspicato nuovo ordine mondiale le difficoltà degli States non mi sembrano tali da indurli ad una condivisione del Potere.
Da un punto di vista finanziario ciò risulta evidente se solo si considera che essi pagano il loro debito tra lo 0,50 e il 2%, un tasso inferiore all’inflazione.
In altre parole, gli investitori sono disposti a perdere valore reale pur di investire in treasures.
DSK, immediatamente prima del noto “infortunio”, aveva prospettato una valuta mondiale che sostituisse il dollaro.
Guarda caso il FMI ha oggi un’altro direttore e, con la crisi dell’eurozona, amplificato se non creato dalle agenzie di rating e da Wall street, sta venendo meno anche l’appeal dell’euro.
L’egemonia cui si riferisce Aldo corre il rischio di non essere occidentale, ma esclusivamente americana.
E l’Europa verrebbe rispedita in seconda classe, oggi peraltro affollata dai paesi del Bric.
gae
Aldo, grazie di esistere!
Carlo
Il baratto tra una moratoria di una larga parte del debito occidentale in cambio di un ridimensionamento dell’egemonia planetaria della Nato è un’ipotesi tanto suggestiva quanto fantascientifica (e credo che la tua Aldo sia un’ironica provocazione)in quanto è proprio attraverso il controllo militare delle risorse (petrolio, gas ma ormai anche acqua e cereali)che l’occidente riesce a conservare il suo standard di vita. L’unica via d’uscita è un drastico ridimensionamento di quest’ultimo (meno drammatico di quello che si pensi se si tagliano gli enormi sprechi, si pratica la riconversione ecologica e si ritorna gradualmente ad una auto produzione-consumo). In due parole: Decrescita Felice. Il passo politico è come ben dice Tarantini quello di separare il destino europeo da quello del gigante morente dell’Impero Usa, cominciando a sottrargli il dollar-standard. Quali soggetti storico-politici saranno in grado di guidare questa transizione obbligata? Riusciremo a farlo evitando una nuova guerra mondiale? Questo è il problema. Un abbraccio Aldo, seguirti è sempre illuminante.
mic
A me la situazione sembra proprio bloccata: mettiamo che la Cina chieda agli USA di saldare i debiti, questi non possono pagare, allora i cinesi che fanno? Mandano l’ufficiale giudiziario? Gli sequestrano i componenti Apple che gli operai cinesi – sottopagati – assemblano per i nostri iPAD?
Il discorso vale anche per noi: che succede se il nostro governo un bel giorno dichiara di non essere più in grado di pagare il debito? I privati se la pigliano semplicemente in saccoccia, ma anche gli investitori istituzionali non stanno messi meglio. Che fanno, mandano i tank?
E comunque, ammesso che un governo voglia essere corretto e pagare fino in fondo il suo debito, e contemporaneamente nessuno acquisti più altri titoli, come paghiamo stipendi pubblici, pensioni e sanità?
Pensate un po’ che scenario carino: niente stipendi e pensioni, niente più consumi, quindi niente più introiti per i produttori, per i commercianti, per gli intermediari, stop, tutto bloccato. E dopo?
Mangiano solo quelli che hanno un pezzo di terra, con l’orto, una vacca per il latte e qualche gallina. Gli altri si mangiano il prospetto informativo del fondo pensione dove hanno buttato i risparmi.
Non so, sinceramente non so proprio come andrà a finire.
L’unica cosa di cui sono sicuro, e sono d’accordo con Aldo, è praticamente impossibile che questi debiti possano essere estinti.
E sono d’accordissimo con Carlo: la DECRESCITA dovrebbe essere il nostro faro. Per ricominciare tutto daccapo. L’idea di spingere ancora sulla crescita per aumentare il maledetto PIL e far scendere il debito è una follia holliwoodiana.
marco
ma vi ricordate quando jovanotti andó al festival di san remo a chiedere a d’alema di annullare il debito dei paesi africani nei confronti dell’Italia? sono passati solo 11 anni. Che ne dite di chiedergli di fare un tour dei principali istituti di credito e delle sedi di governo di mezzo mondo?
GA
Certo Marco si potrebbe chiedere ai Bric di organizzare un Live Aid for Italy!!
Sul tema certo c’è molta confusione, uno stato che fallisce non è un problema, come, mi pare, l’Argentina qualche anno fa (il problema era stato per gli italiani).
Altro elemnto di confusione è il caso dell’Islanda spesso citato come caso paradigmatico di ribellione. Ma lì non si parla di debito pubblico, ma di debito privato delle banche che si voleva accollare agli islandesi.
Insomma: si gioca a chi la spara più grossa in un continuo vortice di “nuove” notizie (mi sembra che tu Aldo ne parlasti nel libro sulla storia della storiografia).
Nonostante tutto dobbiamo avere fiducia nella politica, il che non implica averne nei politici, anche se… attenzione ai Vendola, Renzi, Travaglio e compagnia bella. Attenzione ai Repubblica, Financial Times ed Economist. Non sempre il nemico del mio nemico è mio amico. Se i circoli finanziari sono tutti contro Berlusconi una ragione ci sarà pure e dubito che sia a causa del bunga bunga.
Chissà che la privatizzazione della rai in favore di Murdoch, che già riscuote ampi successi tra importanti figure riferimento della sinistra, chissà poi perché visto quello che combina in Usa e Gb, possa essere un prezzo che il csx dovrà pagare in cambio dei favori…
Perché Berlusconi è una gra brutta gatta da pelare, ma ricordatevi che nel ’92 all’odiato CAF è seguito il baratro delle privatizzazioni (csx- Mario Draghi toh?!), riforma delle pensioni (csx) abolizione dell’equo canone (csx).
Insomma non lasciamoci arretire dal canto delle sirene…
ugoagnoletto
l’insolvenza è pilotata dalle banche, e allora il problema è: quale diritto hanno le banche di condizionare così pesantemente l’economia?
steffa88
il fallimento dell’Argentina non è stato un problema?! ma scherziamo?
Don Gonzalo Pirobutirro
La tesi è interessante, ma temo che manchi una variabile indispensabile (e folle) ad una simile negoziazione: il “braccio di forza” continuo sulle risorse naturali e sui paesi del terzo mondo che li gestiscono.
andrea echorn
A proposito della possibilità di sciogliere la NATO, che a quanto pare, secondo lei, potrebbe essere una delle conseguenze di un cambiamento politico radicale, segnalo questa analisi:
(in francese)
http://www.michelcollon.info/La-faillite-de-l-Europe-pourrait.html?lang=fr
(in inglese)
http://www.defpro.com/news/details/28104/?SID=50824a11d84c46b49aa469947308327b
Nicola Mosti
Articolo inizialmente iperlucido, ma che successivamente scivola verso l’utopia (e se ben ricordo, questa era una delle tesi esposte da A. Giannuli in “2012: La Grande Crisi”).
Condivido appieno il principio in base al quale la questione debba essere risolta tramite iniziative politiche piuttosto che semplicemente economico-finanziarie, se non altro per togliere dalla cabina di regia quegli ingordi incapaci che hanno confezionato e spacciato il boomerang dei derivati.
Tuttavia, ritengo altamente improbabile la fine del duopolio euro-americano, sia sul piano economico-finanziario, sia sul piano militare-strategico. A questo proposito, gli interessi sul campo, in termini di controllo globale, sono talmente forti – e tale è la disparità di risorse – che UNA PUR AUSPICABILE “rivoluzione policentrica” è verosimilmente impraticabile. Troverebbe infatti enormi opposizioni ed una sua effettiva attuazione comporterebbe enormi rischi di destabilizzazione mondiale o peggio.
P.S. Non sono certamente un cultore della materia, ma la semplice lettura di vari testi di “economia politica” a carattere divulgativo, scritti anche da insigni economisti, mi consentono almeno di riconoscere a Giannuli una notevole capacità analitica, qualità peraltro non condivisa da molti sedicenti esperti.
aldogiannuli
Che lo scambio moratoria debito contro fine del duopolio imperfetto Usa-Ue trovi accanire resistenze non è cosa probabile ma certa come il giorno che segue alla notte, ma, questo è il punto, queste resistenze saranno rese sempre più deboli dall’incalzare della crisi, sino a ridursi ad una alternativa secca: o un ordine mondiale policentrico e (si spera) bilanciato o una guerra generalizzata. Il che non mi pare una prospettiva allegra.
Diritto all’insolvenza? | Tifiamo default? | Scoop.it
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ugoagnoletto
l’insolvenza in Italia è già in atto. Bot e Btp hanno perso quasi il 10% del valore nominale. E poi mi sembra che si stà allargando la convinzione che i soldi in banca non sono così sicuri.
aldogiannuli
vero però questo non vuol dire che siamo già al default
Dino
Credo che la soluzione proposta possa essere uno delle poche strade percorribili.Ma penso che tutto ciò provocherebbe una guerra civile negli U.S.A.
Michele Rubino
Caro Aldo, ben trovato!spero che tu stia bene e di poter ancora dialogare con te. IO sono a Forlì, ormai in pensione, ma sempre sulla breccia come te. per il problema de quo concordo pienamente con la posizione espressa da Felice Roberto Pizzuti nell’articolo “Gli incoscienti sostengono il default”(ilManifesto del 4.11 u.s.) Un abbraccio ed un augurio di buona salute e di buon lavoro. Michele
aldogiannuli
ro Michele che piacere sentirti, io ora sono a Milano, se qualche volta ci passi fatti vivo