Dilettanti allo sbaraglio sulle leggi elettorali

Le leggi elettorali sono un mio vecchio pallino: nel 1974 furono l’argomento del mio esame di diritto pubblico, sostenuto con il prof. Carlo Alberto De Bellis (allora assistente, mi fa piacere ricordarlo qui a 10 anni dalla sua prematura scomparsa) che mi concesse la lode. Dopo ho sempre continuato a studiarle comparando l’Italia con gli altri paesi. Sono sempre stato un intransigente proporzionalista (uno dei principali motivi di contrapposizione con il Psi craxiano prima e con il Pds-Pd dopo). Ho scritto diversi articoli e saggi in merito e quello che mi dette più soddisfazioni fu l’opuscolo che scrissi per “Avvenimenti” in occasione dello sciagurato referendum del 1993, di cui si vendettero 240.000 copie (quando il direttore, Claudio Fracassi, mi annunciò i risultati delle vendite, prima che potessi fiatare, concluse: “Grazie, è stata una bella sottoscrizione per il giornale!”. E non mi rimborsò neanche le spese di spedizione via fax: va bene, fa niente). Forse per questa mia vecchia passione, provo un’ irritazione invincibile nel seguire il dibattito sulla legge elettorale che periodicamente si accende, dimostrando ogni volta quale penoso livello di analfabetismo affligga la nostra classe politica.Non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere: facciamo un sistema mezzo spagnolo e mezzo tedesco, no, meglio un doppio turno alla francese con primarie all’americana e quota di proporzionale con clausola di sbarramento alla tedesca, e c’è anche qualche scienziato del Pd che ha proposto in tutta serietà un mix fra il sistema australiano e quello belga! Tanto vale, adottare le regole del tressette a perdere abbinato alla lotteria di capodanno con ordalia finale a doppio turno!Non sarà male ricordare qualche regola base:

1-un sistema elettorale deve essere il più semplice e lineare possibile; si può anche ibridare modelli diversi, ma il bilanciamento finale deve avere un suo equilibrio complessivo e senza inutili ridondanze: ad esempio, se c’è un consistente premio di maggioranza è inutile la clausola di sbarramento come soglia minima di accesso, perché la governabilità è già assicurata e, vice versa, se c’è una clausola di sbarramento, è inutile un premio di maggioranza, perché c’è già un effetto premiale a favore dei partiti più grandi, per effetto dei voti dispersi da quelli che restano sotto la soglia. E, infatti, l’Italia è l’unico paese che ha un sistema elettorale che prevede entrambe le cose.

2- Fatta la scelta per un tipo di sistema elettorale (maggioritario, proporzionale o misto che sia) occorre che esso, salvo varianti abbastanza contenute, sia adottato omogeneamente a tutti i livelli e non ci si può permettere (come è attualmente in Italia) che ci siano sei diversi tipi di sistema elettorale (Comune, Provincia, Regione, Camera, Senato, Parlamento Europeo), con il, risultato di un sistema politico a “geometria” variabile che compone e scompone gli schieramenti di volta in volta.

3-Un sistema elettorale può contribuire a dar vita ad un sistema politico, ma da solo non basta: ad esempio, un sistema maggioritario può conservare un formato bipartitico e può contribuire a determinarlo, ma se un paese è attraversato da una molteplicità di linee di frattura non sovrapponibili, nessun sistema elettorale riuscirà a ridurre tutto ad un formato bipartitico. L’Italia è un paese nel quale ci sono diversi partiti perché ci sono diverse linee di frattura che si intersecano: quella sinistra-destra e quella laici-cattolici, per esempio, per cui sia laici che cattolici sono presenti tanto a destra quanto a sinistra;

4-Non bisogna confondere bipartiti con le coalizioni, per cui noi siamo riusciti con fatica a creare un sistema bipolare ma non bipartitico, per cui la nostra forma di governo resta quella del governo di coalizione, solo che le coalizioni si fanno prima del voto. C’è chi dice che questo è un vantaggio per l’elettore che così sa quale coalizione lo governerà per 5 anni, ma lo svantaggio (a mio avviso ben più consistente) è che questo spinge a coalizioni eterogenee che, pur di vincere, mettono dentro tutto ed il contrario di tutto (nella leggendaria ammucchiata del 2006 la sinistra riuscì a mette insieme Clemente Mastella e Luxuria), ma poi viene fuori una coalizione vincente incoerente. In questi venti anni la regola è stata: chi si divide perde, ma chi vince non governa. E, infatti quella del “governo di legislatura” è restata una chimera perché nessun governo è durato più di tre anni.

5-L’introduzione di meccanismi premiali (maggioritario secco, premio di maggioranza ecc.) o penalizzanti (clausola di sbarramento ecc.) aiuta a trasformare la minoranza più forte in maggioranza e cerca di contrastare la tendenza all’ eccessiva frammentazione, ma, inevitabilmente, introduce effetti distorsivi della volontà popolare, per cui qualsiasi legge diversa dalla proporzionale produce un grado di rappresentatività più basso del Parlamento. Dunque, quel che (forse) si guadagna in stabilità, si perde (sicuramente) in rappresentatività.

6- I sistemi maggioritari tendono per loro natura a congelare l’offerta politica esistente. Infatti, con qualsiasi legge elettorale, un nuovo partito deve necessariamente affrontare gli attriti ambientali per affermarsi  (ad esempio la necessità di farsi conoscere, la resistenza degli elettori a votare una cosa nuova di cui non si conosce l’effettivo potenziale ecc.) se a questo si aggiunge un meccanismo che spinge al “voto utile” (maggioritario) o alza la soglia di accesso (clausola di sbarramento) questo rende proibitivo affermare un  nuovo soggetto e conserva gli equilibri esistenti. Di conseguenza, questo consente agli apparati di partito una maggiore autonomia dall’elettorato, accentuando il carattere “partitocratico” del sistema.

7-Il carattere partitocratico (con le derive che ne conseguono, festini alla Fiorito inclusi) è accentuato anche dalla “dipendenza” degli eletti dall’apparato di partito e dall’azzeramento della capacità di scelta dell’elettore sui singoli candidati. Il voto di preferenza è l’unico sistema per ridurre il potere di nomina dall’alto dei parlamentari. Tanto il sistema dei listini bloccati quanto quello del collegio uninominale, si basano su un presupposto: che scegliendo un partito l’elettore sceglie automaticamente il o i  candidati che quel partito gli impone, per cui non è libero di scegliere e questo assegna un potere di “vita o di morte” (politica) sui candidati all’apparato centrale. Attraverso la collocazione di un candidato nella fascia alta o in quella bassa del listino, il partito decide se deve essere eletto o meno. Allo stesso modo, in caso di collegio uninominale, è l’apparato a decidere chi avrà il collegio “sicuro” chi quello disperato e chi quello “marginale” dove può battersi con qualche speranza. Di conseguenza, nei sistemi che escludono il voto di preferenza, gli eletti saranno sicuramente molto più conformi alla volontà dell’apparato centrale sino al limite attuale del parlamento di lacchè, di escort e di burocrati che attualmente abbiamo.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (16)

  • Le difficioltà che sperimentiamo in Italia sulle regole elettorali, da quando il sistema politico imperniato sulla DC è crollato , dipendono primariamente da due fattori preliminari.

    L’uno è che i padri costituenti non le hanno incluso in costituzione, il che le fa diventare parte significativa dei mezzi utilizzati dai partiti per sopravvivere ed andare al governo. Questa cosa è palesemente assurda, e davvero non si capisce come un’assemblea costituente che ha per altri versi lavorato così bene, abbia potuto avere una dimenticanza così grave.

    La seconda cosa è che ancora oggi a livello legislativo, i partiti sono come delle associazioni di amici, e pertanto non vincolati in alcun modo a dettami di legge che ne garantiscano la trasparenza, la liceità delle norme di designazione degli organi direttivi. Qui in Italia, un partito può svolgere il congresso quando vuole, e c’è chi è stato decenni senza mai convocarlo. Con questa situazione di fatto, è evidente che si facilita la frammentazione, in quanto solo in un piccolo gruppo la carenza di norme può talvolta non dare luogo a danni, i famosi partiti personali.
    La mia conclusione è pertanto che solo rimuovendo questi due ostacoli, è possibile ipotizzare la fine dei problemi delle regole elettorali, sennò sarà sempre terreno di rissa e le soluzioni adottate saranno necessariamente le peggiori. Potrei aggiungere che non trovo questa prospettiva minimamente realistica, a quindi mi sa tanto che discuteremo ancora di questi argomenti in ogni periodo che precede nuove consultazioni elettorali: facciamocene una ragione.
    Per questa ragione, le regole elettorali non mi appassionano, sono solo un eleemnto di dibattito politico, dello scontro su chi dvee comandare.
    Nel caso del tutto improbabile che queste cose si facessero, sono assolutamente convinto della necessità di avere un sistema maggioritario. Si vota non per esprimere una opzione politica di principio, ma per definire chi governerà, e questo è tanto più vero quanto più esiste un’omologazione di pensiero nella società. Ciò che andrebbe curato, è l’assicurare la possibilità di svolgere attività politica in maniera adeguatamente significativa a quelle forze che non hanno i numeri per andare in parlamento, nessuno impone di limitare la politica ai parlamentari, trovo anzi aberrante che sia così. Tutti i cittadini indistintamente devono trovare modi per potere fare conoscere ai propri concittadini le loro opinioni politiche. L’essere rappresentati in parlamento non deve costituire titolo per l’accesso a privilegi, e sicuramente sono contro qualsiasi forma di finanziamento, soprattutto se misurato sulla base dei consensi: se hai consenso, che paghi chi te lo concede, se ne hai molti di consensi, avrai anche tanti contributi liberi dai tuoi iscritti e da chi ti vota. Al contrario, bisognerebbe in qualche misura aiutare proprio chi risulta fortemente minoritario, per una forma di compensazione.
    Se le cose stessero come propongo, i sistemi maggioritari andrebbero certamente preferiti (mi rendo conto che però non abbiamo queste condizioni).
    Proseguendo in questa linea ipotetica, l’unico modo per favorire il sistema maggioritario, è l’istituzione di collegi uninominali dove vince semplicemente chi prende più voti.
    Devo vigorosamente dissentire sulla confusione tra un sistema di questo tipo e il sistema di nomina da parte delle segreterie previste dalle norme in vigore. Oggi, chi si presenta, non ci mette la faccia, se ha i mezzi per essere capolista, sarà eletto anche se si trattasse di un emerito idiota. Nel caso dei collegi uninominali, chi viene proposto da un determinato partito, rappresenta con la sua propria faccia quel partito. Le cose si capovolgono, non solo il candidato non si può nascondere dietro il simbolo di partito, ma addirittura è il partito che finisce in secondo piano perchè l’elettore primariamente vota la persona proposta, e se questa non gli garba, non voterà neanche il partito.
    Ciò semplificherebbe il sistema elettorale. L’unica cosa che si potrebbe discutere è l’eventuale istituzione del doppio turno, che non credo cambierebbe comunque di molto le cose.

  • Sono d’accordo in generale, ma non sono molto convinto del punto 2): è così assurdo che il sindaco di Pontremoli venga eletto con regole diverse dal parlamentare europeo?
    Tra l’altro, anche in epoca di proporzionale, non era rarissimo incontrare giunte PCI-PSI, magari con il PSI al governo nazionale con la DC, quindi la ricomposizione degli schieramenti non è necessariamente legata ai diversi sistemi elettorali in vigore.

  • L’Italia è soprattutto il Paese dei furbi. Fanno i furbi i cittadini, fanno i furbi gli imprenditori e fanno i furbi i politici, soprattutto dopo che “fare il furbo” è diventato il valore politico (ma direi anche sociale) più importante sdoganato dal signor Silvio Berlusconi.
    È quindi normale, naturale, che anche un tema delicato e importante per la democrazia, e per la tenuta della governance di un paese, sia trattato utilizzando la strategia idiota “io sono più furbo di te”. Il che significa di conseguenza che l’ordine valoriale è il seguente: prima IO, poi il mio partito e da ultimo il paese, la nostra Italia. Questo è il criterio con cui la maggioranza dei politici si impegna in una revisione della legge elettorale.
    Gli obiettivi politici non dichiarati sono: indebolire i partiti e la politica in generale, indebolire in particolare il Partito Democratico unica forza di peso e discretamente coesa del Paese, per garantire o un governo Monti bis, o un governo di chiunque ma debole, ricattabile, sottomesso e comperabile facilmente. Il progetto è frazionare il più possibile le forze politiche, impedire una coalizione solida, offrire un po’ a tutti l’opportunità di recitare la parte di “ago della bilancia”.

    Per quanto ci è dato di vedere ad oggi chi vuole indebolire il sistema politico ce la farà quasi sicuramente introducendo una riforma elettorale tendenzialmente proporzionale. Se questo accade io consiglierò al Partito Democratico di stare fuori dal governo, perché se queste condizioni si verificheranno sarà un logoramento continuo in uno scenario in cui i poteri forti metteranno in campo tutta la loro disponibilità economica per orientare le politiche (si dice che già attorno alle primarie del PD girino dollari e sheqel).

    Ovviamente, non sono d’accordo, con il solito refrain “tanto sono tutti uguali”. Il PD è diverso.
    Ha elaborato due o tre anni fa una proposta di riforma organica e precisa. Può non piacere ma è quella la proposta del PD.
    Siccome gli idioti pullulano, non esiste luogo dove non ci sia un certo tasso di idiozia. Anche da noi, nel PD quindi, c’è chi si inventa proposte improbabili. Ma la linea la dà il Partito ed è molto chiara: sistema francese.
    Poi, detto ciò, si tratta di prendere atto della realtà e questo significa a volte infognarsi in trattative per cercare di portare a casa qualcosa. Ci si infila quindi nella logica del fare il furbo. Conviene? In ultima istanza forse no, o forse si riesce a fare pressione e modificare realmente qualcosa. Vedremo. In ogni caso il segretario Bersani non perde occasione per dire in pubblico e in privato che attorno alla legge elettorale circolano idee e comportamenti devastanti.
    Dal dicembre 2011 il PD ha detto per bocca del suo segretario “Prima l’Italia”. A questo sono seguiti comportamenti coerenti con questo principio.

    Sistema delle preferenze. Il sistema delle preferenze premia i ricchi, premia chi ha i soldi per fare una campagna elettorale senza badare a spese. Nel mio piccolo Comune hanno avuto il maggior numero di preferenze (come consigliere comunale, retribuzione 22 euro lordi a seduta di Consiglio) quelli che hanno appeso i manifesti con la loro faccia (500/600 euro di spesa) e che hanno fatto una lettera inviata a tutti i cittadini (1500 euro per stampa a colori, bollo, buste, imbustaggio, due giri di posta per 10.000 copie, totale 3000 euro). Il risultato è che questi hanno preso 4 volte le preferenze prese dagli altri.
    A questo si può aggiungere che è proprio grazie alla logica dei soldi che il partito potrà comunque fare eleggere chi vuole “finanziando” la campagna elettorale degli eletti.
    Cerchiamo poi di leggere bene la questione Fiorito perché preferenze = clientele, e non credo che tu non sappia che nel meridione ci sono i procacciatori “semiprofessionisti” di preferenze, che le preferenze sono in vendita. In particolare si è sempre distinta l’IDV nel mettere tra le sue fila uomini possessori di un pacchetto di preferenze personale, uomini che alla fine hanno dimostrato fedeltà zero.
    Quindi, in controtendenza alla vulgata del populismo dilagante, dico che solo il Partito, con i suoi organi democratici, è in grado di selezionare una classe dirigente decente. Se non lo fa il partito non esiste alcun tipo di scorciatoia possibile. E nemmeno le primarie di collegio che il PD si prepara a fare, sinceramente, sono una soluzione perché soffrono degli stessi problemi del sistema delle preferenze.

    La storia del movimento operaio e del movimento comunista dimostrano che non esiste alcuna regola dello “stato borghese” che può rendere proibitiva l’affermazione di un nuovo soggetto politico se tale soggetto politico ha cultura e determinazione. Non è vero che l’attività di un Partito politico si può svolgere se e solo se il sistema della democrazia borghese lo consente, per concessione della democrazia liberale. Non diamo alla democrazia liberale un potere che non ha, non diamo al sistema elettorale potere di vita e di morte sulla vita politica di un paese. C’è sempre la possibilità di una attività politica extraistituzionale, ma per farla occorre una cultura, una moralità, una volontà d’acciaio, e oggi anche a sinistra mancano tutte e tre.

    Insomma dilettanti allo sbaraglio? Certamente no. Forse si potrebbe dire idioti che si credono furbi? Uomini che hanno fatto del nichilismo un principio di vita e quindi del futuro se ne fregano? Squallidi opportunisti? Certamente persone che delle tue considerazioni scientifiche, caro Aldo, se ne fregano di brutto.

    Concordo pienamente con chi scrive qui sopra «Si vota non per esprimere una opzione politica di principio, ma per definire chi governerà». Questa è una verità storica non un principio ma ad oggi, nelle condizioni storiche date, è verità incontestabile.

  • Con rispetto parlando per le opinioni di tutti, ma il “Si vota non per esprimere una opzione politica di principio, ma per definire chi governerà” è roba da totalitarismo soft.
    Uno dovrebbe votare per portare la propria visione del mondo, i propri ideali e principi nella gestione della cosa pubblica (locale, nazionale o sovra-nazionale che sia) non per definire chi governerà in un grande mercato delle facce… per come la vedo io, questo modo di pensare fa tanto “governo Monti”.
    Ho trovato invece fuori luogo lo spot pro PD, che per altro termina con un finale concettualmente molto contraddittorio. Dubito che il movimento operaio votasse per definire una classe politica di governo che non fosse espressione dei propri principi di classe. Se l’avesse fatto più che di movimento operaio si sarebbe dovuto parlare di movimento schizofrenico.

  • “Non bisogna confondere bipartiti con le coalizioni, per cui noi siamo riusciti con fatica a creare un sistema bipolare ma non bipartitico, per cui la nostra forma di governo resta quella del governo di coalizione, solo che le coalizioni si fanno prima del voto. C’è chi dice che questo è un vantaggio per l’elettore che così sa quale coalizione lo governerà per 5 anni, ma lo svantaggio (a mio avviso ben più consistente) è che questo spinge a coalizioni eterogenee che, pur di vincere, mettono dentro tutto ed il contrario di tutto (nella leggendaria ammucchiata del 2006 la sinistra riuscì a mette insieme Clemente Mastella e Luxuria), ma poi viene fuori una coalizione vincente incoerente.”

    mah mi sembra che aldo si contraddica un pochino: come è possibile essere allo stesso tempo per il proporzionale, e quindi per le coalizioni eterogenee e poi trovare proprio queste ultime come un punto negativo del nostro governo? d’altra parte in un sistema proporzionale le grandi coalizioni sono all’ordine del giorno (ed è probabile che ne vederemo una con steinbruck e la merkel, senza contare i balordi pro monti de noartri) e spess e volentieri una coalizione del genere tende da un lato ad appiattire le politiche dei partiti. si critica il bipartitismo americano in quanto normalizzatore della sinistra, ma sotto questo aspetto non è che la proporzionalità tedesca abbia dato risultati molto differenti, anzi direi che tra sisnistra usa e sinistra tedesca non so chi sia peggio, nonostante tutto.
    credo che un sistema elettorale debba distorcere la volontà del popolo il meno possibile, ma credo anche che i sistemi proporzionali sono adatti solo ad un elettorato evoluto e informato, in cui non esistono partitti beceri, ma solo opinioni diverse di gente onesta e non infulenzata da lobbies economiche. in questo caso il proporzionale va benissimo. se l’elettorato è polarizzato e frammentato, non c’è altra via che dei sistemi che garantiscano la governabilità. e peraltro trovo il premio di maggioranza molto meno distorcente del collegio uninominale, per non parlare del doppio turno, che è costituito da elezioni finte il primo turno che fanno credere che ci siano tanti partiti, e poi elezioni vere bulgare al secondo turno.
    d’altra parte credo che cambiare le leggi elettorali prima delle elezioni, sconvolgendo alleanze e prospettive di voto di chiunque sia un comportamento vandalico, e francamente anche de mattarellum non me ne frega più tanto, dato che ora è troppo tardi (sebbene non nego che un governo bulgaro di bersani mi avrebbe fatto piacere). anzi devo dire che sto porcellum sta quasi iniziando a piacermi. in fondo, come diceva vincenzo, il problema dei nominati è che i partiti che li nominano fanno schifo e sono assolutamente antidemocratici.

    ma d’altra parte a che servono ste elezioni? si sta decidendo tutto con le primarie, una brutta copia delle elezioni dove ci sono tre candidati, quello del partito, quello a sinistra e un tizio di forza italia che fa il sindaco di firenze: in pratica un modellino per bambini delle elzioni vere. solo che tutti voti verranno scrutinati rigorosamente a membro di bracco, in modo che la linea del partito che in ogni caso (o quasi) andrà al governo in queste elezioni sia decisa con il classico voto non trasparente. ma a quanto ho capito bisogna abituarsi ai brogli e alla percentuale di voti che si mangiano come se si tratti di un evento atmosferico. ma perchè chavez ha gli osservatori onu e noi ci dobbiamo accontentare della cancellieri che conta le schede, e ritenerci fortunati che il conteggio non lo fa il mordace bobo maroni?

  • @TS
    A me pare piuttosto che sia totalitsario, ma soprattuto triste, un sistema in cui un cittadino per esprimere il suo punto di vista sulla gestione della cosa pubblica disponga solo del suo voto, una volta ogni cinque anni infila una scheda in un’urna.
    Io dicevo, ma mi pare si potesse dedurre dall’intero testo del commento, che ogni cittadino debba essere parte attiva nel definire le scelte politiche in tutti i momenti della sua vita (dicevo appunto che ciò gli dovesse essere garantito per legge), e che in una situazione di questo genere mi pare ovvio che il voto non fosse il momento del giudizio di Dio, ma solo un modo di stabilire a chi tocchi governare.
    Se qualcuno pensa che basti un sistema proporzionale per garantire ai cittadini la partecipazione politica, io non potrei proprio convenirne, mi pare davvero un ben misero vantaggio rispetto alla situazione attuale.

  • @ t.s
    sinceramente non capisco quello che scrivi:

    “Uno dovrebbe votare per portare la propria visione del mondo, i propri ideali e principi nella gestione della cosa pubblica (locale, nazionale o sovra-nazionale che sia) non per definire chi governerà in un grande mercato delle facce… per come la vedo io, questo modo di pensare fa tanto “governo Monti”

    questo è ciò che hai scritto. ma cosa significa “portare la propria visione?” se voti per uno che non governa non porti un bel niente, dato che si può dire che non sei rimasto rappresentato. oppure per “portare” intendi imporre la propria visione? mah. credo che i tuoi siano solo lunghi giri di parole che mostrano un sotanziale disinteresse per la cosa, e un atteggiamento che suona un pò così: ma a me che me ne frega degli altri? io sto bene, e dato che non trovo un partito politico che soddisfi il mio ego abbastanza, trovo che il mio ego sia più soddisfatto se mi ritengo un povero incompreso che però non si sporca mica le mani con la politica”.
    e intanto gli altri governano. anzi devo dire che sono vent’anni che sento sti discorsi, che con berlusconi era uguale, che monti era uguale.

    ma in questi casi è così tanto difficile ammettere che certi temi tra cui la politica non sono ritenuti interessanti? rendere il voto un concorso di bellezza interiore e non uno strumento per esprimere la volontà popolare significa avere una concezione della politica analoga a quella del tifo calcistico.
    ma perchè siamo un popolo di beceri: disfattisti fino al parossismo, non ci sorprendiamo nemmeno se ci governa un pedofilo, ma continuano a sentirsi sti discorsi in cui la politica è dipinta come una panoplia di valori che si esplica nell’interiorità del votante e che deve evitare di avere fini pratici come le banali elezioni di chi ci governa. insomma è meglio fare i buoni ma fare decidere agli altri malvagi elettori chi ci governerà, in modo da potersi lamentare (?) per altri 5 anni. il tripudio del tafazzismo.
    e mi chiedo: ma che senso ha parlare di proporzionale in un contesto del genere. oggi in italia anche le divergenze su quanto zucchero mettere nel caffè possono portare a incolmabili scismi politici e polarizzazioni inutili: e se li metti in un sistema proporzionale si mettono a litigare evitando rigorosamente di governare (la cosa poi ai nostri politici viene pure comoda) fino a quando non arrivano i colonnelli e ci fanno un mazzo tanto così

  • Come ho più volte scritto, io sono un grande fan del maggioritario con doppio turno alla francese. Un modello che in Italia non sembra essere mai stato preso sul serio veramente (tranne che al livello di amministrazioni locali, per i sindaci e presidenti di provincia, dando, secondo me, buona prova: forse non è un caso che innumerevoli sondaggi rilevino come il Comune sia ritenuto, dalla maggior parte dei cittadini, l’istituzione più affidabile – certamente ci sono anche altre ragioni, come la maggior prossimità ai problemi del cittadino).

    Spesso noi italiani, con il nostro congenito gusto per l’esotico e la nostra scarsa sicurezza in noi stessi, tendiamo scioccamente a guardare tanto più ad un sistema quanto più questo sia lontano e avulso sia dalla nostra cultura e tradizione che dalla contingenza con cui è invece imprescindibile fare i conti. Per decenni, improbabili federalismi all’americana (o alla tedesca) – non a caso mai venuti alla luce – hanno popolato i deliri dei nostri politicanti. E’ stato scimmiottato (peraltro con modalità di adozione discutibili) un malinteso, modello elettorale all’inglese (uninominale secco) – che, più che altro, pareva all’amatriciana, con una parte (25%, mi pare) dei seggi assegnati ancora in base al criterio proporzionale – con cui ci si proponeva di provocare una modifica del sistema partitico in modo da favorire l’alternanza, con risultati risibili: dato che il “plurality” originale, in realtà, PRESUPPONE un sistema bipartitico a monte – piuttosto che crearlo a valle, come si voleva maldestramente tentare – insieme ad altre peculiarità assenti nel nostro quadro istituzionale: si pensi, a tacer d’altro, alla cosiddetta “premiership”, presupposto istituzionale essenziale del sistema politico britannico, mentre da noi la posizione del presidente del consiglio, diametralmente opposta, è di “primus inter pares” (almeno formalmente) nei confronti degli altri membri del gabinetto.
    Ecco perchè facciamo dei pastrocchi che ingarbugliano ancor di più la situazione e aggravano i problemi del nostro sistema politico-istituzionale invece che risolverli.

    Non so… a me pare ovvio che, se proprio vogliamo guardare fuori dai nostri confini per ispirarci nel approntare un modello credibile, faremmo meglio a cominciare dalla Francia, che è il paese che ci somiglia di più: in generale, per cultura e storia, e in particolare per quel che ci interessa, per la tradizione nell’amministrazione dello Stato e della Giustizia.

    Tralasciando qui il sistema istituzionale francese nel suo complesso, che meriterebbe un discorso a parte, e concentrandomi meramente sul sistema elettorale, rilevo che:

    – in principio, nessuna legge elettorale può essere perfettamente rappresentativa (ci sarà sempre qualcuno sovra rappresentato o sotto rappresentato rispetto alla realtà dei rapporti di forza nel corpo elettorale)

    – il sistema proporzionale “puro”, in Italia, ha causato ingovernabilità e l’annidamento stabile di un partito (la DC) al potere: con coalizioni e geometrie variabili, ma pur sempre come perno insostituibile. E non è mai salubre quando un partito tende a confondere per troppo tempo il proprio ruolo con quello del Governo (se non, addirittura, con lo Stato).

    – la presunta maggiore rappresentatività del proporzionale viene meno già introducendo soglie di “sbarramento” o premi di maggioranza, come correttivo all’ingovernabilità nel caso di frammentazione .

    – l’impossibilità di un’alternanza di Governo, tra forze politiche differenti, è un altro elemento di logoramento e di corrosione di un sistema politico (soprattutto se accompagnata da frammentazione e ingovernabilità, come nel caso italiano della prima repubblica, cui si faceva cenno supra, o nella quarta repubblica francese).

    – Le preferenze sono lo strumento principe, come chiunque conosca la realtà delle regioni del meridione dovrebbe sapere, con il quale i poteri oscuri e illegali misurano e fanno pesare il loro apporto all’attività elettorale organizzata (ovviamente in cambio di contropartite occulte). Oltre che il principale strumento per misurare la forza relativa dei vari Fiorito che popolano il mercato delle vacche della (bassa) politica italiana.

    – Non è affatto vero che – nel caso del doppio turno – la scelta dei candidati sia assoggettata ad esigenze opportunistiche delle oligarchie di partito. Al contrario, come dimostrano vari casi – il più recente ed eclatante è quello della Segolene Royale, elemento di punta del partito socialista, clamorosamente sconfitta (e, attenzione, rimasta fuori dal Parlamento: v’immaginate D’Alema?) al ballottaggio da un indipendente, fuoriuscito dal partito, e in polemica con le scelte dello stesso – è ben possibile che le scelte non oculate del partito vengano duramente sanzionate dagli elettori del collegio (che, peraltro, si presuppone abbiano validi strumenti per valutare adeguatamente i candidati, solitamente personalità espresse dal territorio) con pesanti ripercussioni, anche al livello nazionale, sugli equilibri interni dei partiti, rendendoli più fluidi al loro interno e scalabili.

    – Il sistema a doppio turno FAVORISCE la tendenza verso un sistema bipartico (al contrario di quello a turno unico, che tale sistema presuppone e che, al contrario, favorisce la formazione di minoranze di blocco in grado di condizionare le coalizioni).

    – Un sistema bipartitico, a mio parere, rende più significativo e vivace il dibattito interno ai partiti (piuttosto che le relazioni tra partiti, all’interno di coalizioni). Questo si verifica perché le minoranze interne non sono incentivate a provocare scissioni per manifestare la propria micro specificità (o i propri interessi di bottega), ma ad organizzare meglio il dissenso interno al fine di prevalere nel tempo e diventare maggioranza all’interno dell’organizzazione politica. Quanto più facile il ricambio di persone e idee tanto più difficile è per i gruppi dirigenti che controllano i partiti (temporaneamente) mettere radici, opporre resistenza, occupare a lungo i nodi chiave di un apparato piazzando i propri accoliti. Quindi, è più facile e più frequente per un partito, in un contesto siffatto, autoriformarsi, tramite la modificazione degli equilibri interni e l’emersione di nuove idee prevalenti, evitando la stagnazione e proponendosi più efficacemente come struttura d’intermediazione tra le istanze della società e la stanza dei bottoni.

  • L’assessore alla Casa della Regione Lombardia, Domenico Zambetti, è stato arrestato dai Carabinieri con l’accusa di aver comprato un pacchetto di preferenze per la sua elezione nelle Regionali 2010 da due esponenti della ‘ndrangheta. L’uomo politico è accusato di voto di scambio per aver COMPERATO 4.000 PREFERENZE, in vista delle elezioni del 2010, pagando 200.000 euro a due esponenti della malavita. A suo carico vi sarebbero intercettazioni telefoniche che documentano le fasi del pagamento. L’arresto è stato chiesto dal pm della Dda Giuseppe D’Amico ed è stato disposto dal gip Alessandro Santangelo.

  • T.S. È realtà che è contraddittoria e la flessibilità tattica è in politica un elemento di intelligenza della realtà, e unica via per concretizzare veramente i principi. Mi sono capitati tra le mani in questi giorni 4 grossi volumi che sono emersi come cimeli da alcuni settori polverosi della mia libreria. Sono la “Storia delle rivoluzioni del XX secolo” pubblicata dagli Editori Riuniti nel 1967-1968. Ho sfogliato il primo volume sulla rivoluzione russa inizialmente per guardare le figure ma poi ho cominciato a leggere. Ho riscoperto che piacere la grande flessibilità tattica del compagno Lenin. Già a partire dalla discussione sul trattato di Brest Litovsk Lenin, contro Bucharin, assume una posizione realista e intelligente che è la pace a qualunque costo, anche a condizioni evidentemente onerosissime.
    Realismo intelligente e quindi aderente alle vie tortuose e contraddittorie della storia reale emerge anche nelle scelte successive, come la statalizzazione lenta dell’industria, gli stipendi molto alti per i tecnici borghesi ecc., tutte scelte che nel partito gli venivano contestate da chi affermava che erano deroghe ai principi del comunismo.

    Uno spot per il PD? No dai, per favore. Una battaglia politica e culturale perché in questo sito, nel sito di Aldo Giannuli, i discorsi sono, mi pare, sempre ad un altro livello, un livello che non ha niente a che fare con lo “spot”. Si ragiona di politica ad un altro livello, niente a che fare con i discorsi da bar della odierna sfera pubblica massmediatica.

  • @ andrea. citi la royale, ma francamente la sua funzione dalemiana è stata proprio quella di perdere e di fare vincere la destra becera di sarkosy. e, ancor più grave, si può considerare il comportamento della socialdemocrazia francese di candidare la royale nonostante il suo bassissimo profilo come un indice del fatto che il maggioritario a doppio turno in francia ha prodotto un establishment politico paragonabile alla nostra dc, e che anche oltralpe il partito può usare il ricatto di proporre un candidato molto vicino al rivale in modo da non lasciare scelta all’elettore e fare vincere comunque l’altro schieramento. e anche in questo caso penso che si possa parlare di normalizzazione della sinistra, che si traduce di solito in un appiattimento su posizioni liberiste. il punto è riflettere su come avviene questa normalizzazione: con i sistemi proporzionali avviene attraverso eventuali coalizioni e attraverso la presenza di determinate soglie di sbarramento che impediscono l’affermazione di nuovi partiti e un avvicendamento parlamentare, e quindi un rafforzamento dei partiti più forti; con i maggioritari invece il processo di normalizzazione è posto a monte, sia in quanto il doppio turno rende egemoniche le posizioni moderate, sia in quanto il bipolarismo che si genera nei sistemi elettorali maggioritari ha sempre portato a un forte appiattimento dell’offerta politica, dato che è un fenomeno quasi statistico l’incidenza tra la rilevanza di partiti collocati all’estrema sinistra e la disponibilità dei partiti socialdemocratici ad accettare istanze provenienti da quei settori.
    ovviamente questo non succede sempre, dato che è sempre possibile che i grossi partiti siano tentati da “grandi coalizioni”.
    insomma non credo che il proporzionale sia sufficiente al rinnovamento partitico, ma perlomeno dovrebbe facilitare il ricambio politico rispetto al maggioritario se ben architettato, e la presenza di “minoranze di blocco” in realtà è lo strumento per l’instaurazione di nuova maggioranze. d’altra parte il tuo discorsco casca completamente se si paragona la francia alla germania:
    nel primo caso l’establishment di sinistra è quanto di squallido e stantio, mentre l’estrema sinistra è ancora più marginale che in italia, sebbene prendano più voti (fino a che non si renderanno conto che è inutile votarli). in germania c’è stato l’avvicendamento con i verdi che dimostra che le posizioni di potere non sono così graniticamente democriste come in francia.

    . ma il problema principale dei sistemi proporzionali è che necessiterebbero di una dialettica politica da sistema proporzionale che manca del tutto: teoricamente un sistema proporzionale permetterebbe a forze politiche divergenti tra loro di mettersi d’accordo su singoli punti programmatici senza per questo doversi alleare tra loro. ma perchè accada una cosa simile dovrebbero parlare lo stesso linguaggio, riconoscere l’avversario come un proprio pari e non come “antropologicamente diverso dalla razza umana”… e qua mi fermo, dato che in fondo non mi sento di dire che queste differenze antropologiche non esistano e non influenzino la vita politica italiana (e non solo quella).

  • @giandavide

    Guarda che io mi riferivo alle ultime elezioni legislative (non quelle del presidente della repubblica, che meriterebbero un discorso a parte, anche se anche li vige il meccanismo del doppio turno) Non confondiamoci!

    Nelle ultime legislative, appunto, la Royale, che era candidata per un seggio all’assemblea nazionale nel collegio di Lille nonché candidata in pectore dal partito socialista a presiedere la costituenda assemblea, ha perso al secondo turno contro un dissidente fuoriuscito del partito che, se non ricordo male, aveva scelto deliberatamente di candidarsi in quel collegio proprio per sfidare lei in polemica col partito. Ed è rimasta fuori dal parlamento (non so se è chiaro).

    E poi, aprendo una parentesi sulle elezioni presidenziali, vorrei ricordare che una volta Le Pen, candidato dell’estrema destra, è arrivato al secondo turno contro Chirac. Ovviamente, con questo, non intendo esaltare Le Pen (verso il quale sicuramente non provo simpatia) ma solo dimostrare che l’affermazione che il sistema francese consenta esclusivamente l’elezione di candidati moderati, secondo me, manca della controprova (e, chissà, magari un giorno potrebbe essere smentita).

    Forse è più ragionevole affermare (come è mia opinione) che è un sistema che rispetta la possibilità per l’elettore di esprimere la propria preferenza elettorale nettamente, ma, dopo, quando si prende atto che la propria preferenza non è condivisa da buona parte dell’elettorato (della comunità politica) dà anche la possibilità di esprimere una preferenza compromissoria, certo, ma pur sempre restituisce dignità e peso a quegli elettore che, altrove, avrebbero visto disperdere futilmente il loro voto.

    Come dire, se io esco con altre quattro persone, di cui due vogliono andare al bar e due ad una presentazione. Poco importa se io avrei preferito andare al cinema (perchè, essendo la mia preferenza minoritaria, da persona matura mi rendo conto di non poter imporre ad altre quattro persone la mia volontà). Eppure posso ancora essere determinante per decidere se andare al bar o alla presentazione. E scusa se è poco.

  • @ andrea
    in effetti non avevo capito che alludessi alla vicenda più recente della royale, ma devo dire che anche in quel caso non mi sembra che la volontà popolare, senza contare che in quell’occasione hanno fatto pure delle prove tecinche di bulgaria zittendo la moglie di hollande che twittava contro la ex del marito. a parte la considerazione che tutta la promiscuità di coppie che ruota attorno alla politica francese è un pò stucchevole, rimane il fatto che il partito si è trincerato su posizioni che mi sembrano abbastanza moderate, il buon melechon è stato marginale, mentre le uniche “novità” delle elezioni siano sempre a destra, prima lepen padre, poi sarko, poi lepen figlia (anche qua tutto in famiglia), tutti degni esempi di invenzione della tradizione. il fatto che questo nuovismo partitico sia concentrato solo a destra e che comporti sempre e solo posizioni estreme e vagamente antidemocratiche – che poi si conosolidano col tempo in una destra istituzionale sui generis – non mi sembra corrispondere a un reale ampliamento della rappresentatività del sistema francese, mi sembrano piuttosto la prova della sua degenerazione.
    oltretutto, il fatto che chirac e lepen fossero andati al ballottaggio non mi sembra che sia stato un fatto significativo di qualcosa, e devo dire che per un elettore di sinistra trovarsi a votare chirac per paura del golpe fascista dovrebbe essere un’esperienza più mortificante che democratica. e che testimonia le enormi difficoltà dei partiti di sinistra con il sistema maggioritario: a destra infatti si riciclano come se niente fosse, facendo vorticosi passaggi da un moderatismo conservatore a un estremismo fascistoide senza che l’elettore abbia troppo da ridire, ma a sinistra i partiti moderati e quelli “radicali” dopo la terza via appartengono a due mondi diversi che non comunicano tra di loro, e il sistema maggioritario non fa altro che accentuare questa mancanza di comunicazione.

    per il resto è chiaro che se si prende la socialdemocrazia dei nostri tempi dove vai vai caschi male, dato che quando penso alla socialdemocrazia tedesca mi viene in mente shroeder che dopo il mandato va a lavorare per putin; d’altra parte questo che hanno scelto adesso non è molto meglio di quegli altri di prima, e che dalla terza via ancora non siamo usciti fuori. però devo dire che il suo programma sembra un briciolo più concreto di quello di hollande, e sotto certi aspetti è pure più radicale. poi certo, può darsi che siano tutte fregnacce per farsi votare, compresa quella che non si alleerebbe mai con la merkel, ma in confronto al veltroniano hollande mi sembra meno pop e più adatto ad elettori ragionanti.
    ma anche senza fare paragoni sul punto dolente dei partiti socialdemocratici (almeno loro li hanno, da noi veltroni ha deciso che la sinistra italiana non deve essere socialdemocratica perchè gandhi non era socialdemocratico) la germania risulta molto più dinamica della francia soprattutto per quanto riguarda le “frange estreme”: i liberali si suppone non superino lo sbarramento, mentre entreranno pirati e forse linke. mi sembra che come avvicendamento non c’è male. senza contare che solo con il proporzionale è possibile l’affermazione di un partito come quello pirata, che intende sostenere le sue posizioni dialogando con tutte le forze politiche per spingere verso l’approvazione di misure care agli elettori, oltre a liquidfeedback e tutto il resto.

    e riguardo alla metafora dell’uscita al bar o al cinema, credo che sia in qualche modo indicativa: infatti uscire insieme e lasciare decidere un percorso ad altri per tutta la durata della serata non è come mettersi d’accordo su singoli punti, tirare fuori ognuno i propri paletti e provare a costruire una serata su misura per tutti. e se non ci si mette d’accordo si può sempre tornare alle urne, piuttosto che nominare un mandatario che abbia potere di vita e di morte (sociale intendo). anche perchè il mandatario poi si abitua a comandare e ritiene di avere un diritto soprannaturale, e si sente sempre meno in dovere di accontentare quei poveracci che lo votano solo al secondo turno, verso i quali spesso prova un sentimento di stizza e disprezzo.

  • e comunque mi autorettifico: se steinbruck sembra più aggresivo nei confronti delle banche, hollande è stato sicuramente più aggressivo nei confronti della redistribuzine della ricchezza, sebbene abbia fatto marcia indietro. ma la sostanza non cambia molto: è più facile uscire dalla terza via con un proporzionale piuttosto che con un maggioritario, dato che sembra che ci volgiano altre numerose sconfitte prima che la socialdemocrazia europea trovi una quarta via o “inventi il progressismo”…

  • Mi sembra di capire, così, a naso, che la preoccupazione di questi innovatori del sistema elettorale sia principalmente quella di ricavare il massimo vantaggio in caso di vittoria, conservando comunque un margine di sicurezza in caso di perdita, alla ricerca continua di un assetto perfetto e variabile a seconda dei sondaggi d’opinione. …A proposito, le opinioni dei cittadini sono escluse!!

  • Mi pare un’analisi semplice ma puntuale. Alcune considerazioni mi paio valide a prescindere. Altre sono strettamente correlate all’assetto costituzionale incentrato sul ruolo del parlamento

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