Il “genocidio palestinese”: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Il mio pezzo precedente, sulla questione del preteso genocidio palestinese, ha suscitato una serie di reazioni negative (alcune, in verità, da bar dello sport) tanto nei commenti sul blog, quanto in fb o in mail. Alcuni usano le parole a caso, per cui genocidio, massacro, pulizia etnica ecc, sono tutti la stessa cosa. Si tratta di piccoli confusionari irresponsabili, che non si rendono conto dei danni che fanno, perché che “le parole sono pietre”, soprattutto in situazioni terribili come quella attuale in Medio Oriente.
La parole, se non si vogliono fare danni alla stessa causa che si intende sostenere, vanno usate con grande cautela e pesandole una per una. Non per “timore di finire in una lista nera” come qualche cretino ha scritto intervenendo in questo blog, ma perché occorre avere la responsabilità di quello che si dice. Ma su questo torneremo alla fine.
Conviene partire dalle cose più facili. Cosa è un genocidio? Chiunque consulti un dizionario della lingua italiana troverà definizioni di questo tipo:
“Genocidio = distruzione sistematica di un intero gruppo, razziale o religioso”.
Ovviamente in un dizionario di diritto, di storia o di politologia la definizione sarà ben più articolata ed argomentata, ma sicuramente, ancora più restrittiva perché molti esigono la dimostrazione dell’intenzionalità. Ma qui stiamo sul semplice e accettiamo una corretta definizione in termini di linguaggio corrente. Vediamo se l’espressione può essere usata con proprietà di linguaggio nel nostro caso, partendo da un esempio, quello del concetto di “pandemia” che, sempre per il vocabolario, significa “manifestazione epidemica di una malattia su larghissima scala, anche planetaria”.
Ne consegue che, se abbiamo un certo numero di casi pari allo 0,1 per mille della popolazione osservata, si potrà parlare di una infezione diffusa, ma non di una epidemia, per la quale occorrerebbe un ordine di grandezza decisamente superiore (poniamo il 5-8%), ma ancora non si potrebbe parlare di pandemia, cioè di larghissima scala, per la qual cosa si richiederebbero numeri ben più alti. Una pandemia fu la grande peste polmonare del XIV secolo in Europa che sterminò un quarto della popolazione del tempo e contagiò più della metà degli abitanti.
Ma ne facciamo una questione di numero? Certo: ne facciamo una questione di numero, se le parole hanno un senso e devono descrivere un fenomeno in base alla sua ampiezza, i numeri sono importanti. Come dimostra il fatto che noi contestiamo quei Pm che parlano di “devastazione e saccheggio” per otto vetrine distrutte. O no?!
Naturalmente, non sempre le soglie sono definibili rigidamente: se una malattia contagia il 20% della popolazione e non il 30%, si può parlare di pandemia o solo di epidemia? E se i contagiati sono il 15%? A ciascuna soglia corrisponderà un certo protocollo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ovviamente si tratta di soglie convenzionali) che deciderà il grado di allarme e le conseguenti misure da adottare; per cui se c’è rischio di pandemia si ordinano i test e la vaccinazione obbligatoria di massa. Ma se c’è una semplice infezione diffusa, una misura del genere produrrebbe danni, come un certo numero di shock anafilattici, che sono un prezzo sopportabile se c’è rischio di pandemia, ma che sono un errore madornale se questo rischio non c’è.
Veniamo al caso del “genocidio”: perché se ne possa parlare è evidente che debba esserci un numero importante di persone uccise relativamente alla popolazione considerata. Quello degli armeni fu un genocidio, perché nella marcia della morte, durante la deportazione, morirono non meno di 200.000 persone (secondo altri 350.000) sul 1.200.000 deportate che, a loro volta, rappresentavano più della metà della popolazione armena nell’impero ottomano.
Quello rwandese fu un genocidio perché produsse la morte violenta di quasi un milione di Tutsi (di cui 500.000 in soli dieci giorni) su circa 2 milioni. Quello dei nativi americani (pellerossa al Nord, precolombiani nel centro e sud America) fu un genocidio, peraltro riuscitissimo.
Ne consegue che il segno più evidente di un genocidio è un forte saldo demografico negativo, che segnala una decimazione della popolazione considerata. Se una popolazione cresce di numero, può darsi che qualcuno voglia sterminarla, ma evidentemente, senza riuscirci, perché la sua azione è molto al di sotto dell’obbiettivo cercato.
Vediamo ora i numeri del caso palestinese: secondo le stime più larghe, le vittime palestinesi sarebbero state 60-70.000 in circa 65 anni. Ovviamente le stime sono molto approssimative anche perché, al solito, è difficilissimo stabilire quanti siano deceduti per effetto di stenti, privazioni, mancate cure prodotte dalle condizioni imposte dagli israeliani nei campi di concentramento palestinesi.
A proposito si impone un’altra precisazione: l’esperienza nazista ha spinto a ritenere l’espressione “campo di concentramento” sinonimo di quello di “capo di sterminio”, ma se tutti i campi di sterminio sono stati campi di concentramento, non è vero il contrario perché non tutti i campi di concentramento sono stati anche campi di sterminio. Ad esempio, i campi di concentramento in cui erano detenuti i prigionieri di guerra inglesi o americani non erano affatto campi di sterminio, come dimostra l’alto tasso di sopravvivenza dei prigionieri lì detenuti (così come i campi di concentramento dei prigionieri tedeschi ed italiani degli inglesi non erano campi di sterminio).
Nel caso palestinese siamo di fronte a campi di concentramento, ma non di sterminio: non mi pare che ci siano camere a gas, forni crematori o fosse comuni e questo non lo sostiene nessuno, neppure la propaganda palestinese. Il che, ovviamente non toglie che si tratta di condizioni di vita molto dure, vessatorie e in alcuni casi inumane e che è intollerabile che questo duri da decenni.
Tuttavia, anche triplicando le stime più fosche, avremmo circa 200.000 vittime in 65 anni, numero sicuramente molto fantasioso che, comunque, dà una media di circa 3.000 all’anno: non è il numero di un genocidio. E, infatti, l’andamento demografico non segnala alcuna contrazione della popolazione palestinese che, grazie al maggiore tasso di fertilità, cresce ben più di quella israeliana: nel 1948 i palestinesi in zona erano 1.400.000 ed ora sono 5 milioni e mezzo, nonostante una diaspora che ha portato il numero dei palestinesi nel mondo a 11 milioni.
Insomma, con tutta la buona volontà e facendo le più spericolate capriole, proprio non si può parlare di genocidio. Dopo di che si può sempre parlare di “tentato genocidio” non riuscito, ma, insomma, con un tasso inferiore all’1 per mille è un po’ dura da far credere.
Semmai, è molto più credibile sostenere che siamo in presenza di un caso di “pulizia etnica”, come ammette anche uno storico di parte israeliana come Ilan Pappe e, tutto sommato, anche il suo critico Benny Morris, che contesta l’intenzionalità della questione, ma accetta che nei fatti il processo sia tale.
E, se contano anche le intenzioni, come nella bizzarra teoria del “tentato genocidio”, non sarei così sicuro che, se Hamas ne avesse le possibilità, non perseguirebbe obbiettivi di pulizia etnica a parti scambiate.
Ovviamente (e prego chi vorrà commentare questo articolo di tenere presente queste righe) la pulizia etnica è un orrore che va denunciato, ma è una cosa pur sempre diversa da un genocidio. Usare il termine pulizia etnica o massacro al posto di “Genocidio”, non implica affatto un affievolimento della denuncia (quasi che si dicesse “Ma no, non è un genocidio, possiamo stare tranquilli: è solo pulizia etnica!”).
Ma allora perché chiamare una cosa con un nome non suo? Solo un eccesso di esasperazione? La cosa ha un senso politico preciso: è una operazione di guerra psicologica che va spiegata. I palestinesi percepirono ben presto che l’opinione pubblica europea ed americana parteggiava apertamente per gli israeliani, per il forte senso di colpa seguito al genocidio ebraico, perpetrato dai nazisti e che gli altri non avevano saputo impedire. Antinazismo e appoggio alla causa ebraica furono la stessa cosa, anche perché i palestinesi non si presentavano bene avendo alla testa quel losco figuro del Gran Muftì di Gerusalemme, che, sono sino a pochi anni prima e per lungo tempo, era stato gradito ospite alla corte di Hitler. Dopo l’occupazione del 1967, esplose il problema della popolazione palestinese sotto dominio israeliano, con la tragica situazione dei campi. Ed, a quel punto, i palestinesi iniziarono a parlare di genocidio, con l’evidente intenzione di ribaltare sugli israeliani l’accusa di nazismo, spezzando il loro principale argomento propagandistico, nello stesso tempo, il tentativo era quello di attirare su di sé i riflettori dei media mondiali con la denuncia di un crimine tanto grave.
Non contesto affatto il diritto morale dei palestinesi a fare questa mossa per difendersi (ogni guerra, lo ripeto, è anche guerra di propaganda e dalla propaganda è insensato attendersi la verità). Il guaio è che si è trattato di una mossa politicamente controproducente che, non solo non ha raggiunto i suoi scopi, ma si è trasformata in un’autorete, togliendo credibilità alla denuncia dei crimini di guerra israeliani (che ci sono e vanno denunciati). La ben più potente e raffinata macchina di propaganda israeliana non ha avuto molta difficoltà -con i numeri che abbiamo detto- a smentire che ci fosse in atto un genocidio e che questo, semmai, era l’ennesima riprova di “antisemitismo” dei nemici di Israele (peraltro, come se gli arabi non fossero semiti anche loro).
La taccia di “antisemitismo”, data con grande larghezza a chiunque osi criticare Israele per qualsiasi cosa, è il rovescio di quella di “genocidio” ma è ben più riuscita: il tentativo di colpevolizzare l’antagonista accomunandolo ai nazisti (un collega accusò me si antisemitismo –bontà sua “inconsapevole”- perché mi azzardai ad usare l’espressione “lobby israeliana” in un intervento in sede Sissco). Il fatto è che anche sul piano della guerra psicologica gli israeliani se la cavano meglio dei palestinesi, come dimostrano i larghi consensi raccolti dalla loro campagna in tema di antisemitismo. Mentre a convincersi della presenza di un genocidio in atto sono giusto quattro gatti iperidelogizzati, che credono, sbagliando, di sostenere la causa palestinese. E guardatevi intorno (non solo in Italia) per costatare quanto sia minoritaria questa convinzione e quanto più diffusa sia la simpatia per Israele in tutta Europa, per non dire degli Usa. Qui si fa già molta fatica ad informare la gente dei delitti contro la popolazione palestinese, se poi ci si inventa un genocidio che palesemente non c’è, questo toglie ogni credibilità a chi sostiene le ragioni palestinesi. Usare termini, molto più appropriati, come “pulizia etnica”, crimini di guerra o strage, sarebbe molto più incisivo sul piano della comunicazione politica. Ed è un errore accostare Israele al nazismo, perché Israele, pur nella brutalità dei suoi interventi, nazista non è affatto ed ha buon gioco a difendersi con il solito refrain dell’antisemitismo.
E questo è già il primo risultato politico negativo dell’uso del termine “genocidio”. Adesso lasciamo da parte altre questioni come se sia giusta o meno l’esistenza di uno stato ebraico, se ci sia un aggressore totale e delle vittime totali o sia in corso una guerra asimmetrica, eccetera eccetera, tutte cose su cui possiamo aprire un altro dibattito. Ora parliamo della conseguenza politica principale che ha l’uso di questo termine: è un macigno sulla strada della fine del conflitto. Infatti, è evidente che un nemico genocidiario è un nemico assoluto, con il quale non esiste possibilità di trattativa, ma solo sconfitta piena e resa incondizionata da ottenere. E’ questa la situazione del conflitto arabo-israeliano?
Di fatto, assumere il conflitto come assoluto e non mediabile è l’argomento principale dei falchi dei due schieramenti che, in questo senso, hanno un interesse convergente a presentare le cose in questo modo. Dire che è in atto un genocidio equivale a dire che la guerra deve continuare sino alla sconfitta finale di Israele ed incitare i palestinesi a fare i gladiatori nell’arena, beninteso, non negandogli il favore del tifo, dagli spalti del Colosseo mediatico.
Cari amici che sostenete questa assurdità, posso dirvi che moralmente mi fate un po’ ribrezzo per la vostra irresponsabilità?
Aldo Giannuli
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Carlo Nocentini
Concordo.
giovanni
“guardatevi intorno (non solo in Italia) per costatare quanto sia minoritaria questa convinzione e quanto più diffusa sia la simpatia per Israele in tutta Europa, per non dire degli Usa.”
la simpatia occidentale per Israele nasce dalla coscienza sporca di chi sa che il suo benessere deriva dalla violenza assoluta del colonialismo,che è sfociata svariate volte nel genocidio, per cui il loro sostegno è solo la conferma del torto marcio di Israele, che infatti nei sondaggi mondiali (dove non si sente solo la campagna dei nipotini dei genocidi occidentali) risulta sempre al secondo posto (dopo gli uSA) tra i paesi considerati più pericolosi per la pace mondiale. E per fortuna quello che pensa l’occidente conta sempre di meno, e quello che pensano altrove sempre di più
aldogiannuli
giovanni: verissimo ma è così
leopoldo
effettivamente la proprietà di parola è un problema, spesso per lapsus altre per ignoranza più frequentemente per superficialità (alfano insegna). E ovunque c’è sempre qualcuno pronto a approfittarne a mani aperte è una esperienza quotidiana al giorno di oggi. )-:
Scichilone Calogero
D’accordo con te, ma non possiamo dimenticare, e penso che questo é il nocciolo della questione,che lo stato d’Israele si definisce come lo stato di tutti gli ebrei.Il paradosso é che un ebreo nato in un altro paese,con degli avi che non hanno mai messo il piede in Palestina, sarà considerato con la legge del ritorno, cittadino d’Israele; allora che un abitante palestinese di Gerusalemme, nato là e con gli avi che sono sempre vissuti là, é considerato residente permanente. Inoltre l’ideologia stessa del sionismo comporta una certa parte di razzismo.
Essa considera che tutti gli ebrei provengono dalle 12 tribù d’Israele, e che sono dunque di “razza” pura ebrea.Il fatto che nelle carte d’identità siano inscritte la nazionalità e la religione ( per i sionisti religione e razza sono la stessa cosa!)accentua questa separazione etnica e dà l’impressione che Israele faccia, non una guerra di difesa e sopravvivenza, ma una guerra etnica con lo scopo di scacciare tutti i palestinesi dalla regione. Da qui é nato il mito del genocidio palestinese. Mito che dimentica che una certa parte dei palestinesi, lo hamas per esempio, prona la distruzione dello stato d’Israele, e là ci possiamo chiedere se non c’é una certa tentazione genocidiaria. Detto questo ne approfitto per ringraziarti del tuo blog, una oasi d’intelligenza laica in un deserto di stupidità dogmatica.
aldogiannuli
Scichilone: questa è un’altra questione di cui parleremo che non c’entra con il preteso genocidio palestinese
Caruto
Nel merito sono d’accordo con l’intervento.
Ma l’argomento e’ spinossissimo.
Sia nei dibattiti televisivi e radiofonici sia quelli sui vari blog, si ha l’impressione che ci sia una efficiente macchina propangandistica d’Israele, che utilizza le comunita’ ebraiche sparse per il mondo.
La sensazione e’ sgradevole.
Pochi giorni fa c’era una dibattito radiofonico (mi pare Tutta la citta’ ne parla a Radio3) su Gaza, alla fine ho quasi spento la radio perche’ non c’era verso di avere un intervento di parte israeliana (o ebrea) che non fosse pre-cotto. Praticamente erano ragionamenti pre-confezionati che venivano usciti fuori non appena il procedere del dibattito toccava un argomento o un altro.
Detto questo, pero’, mi domando come possa fare Israele a darsi una calmata quando vedo quello che sta succedendo in Medio oriente (Iraq compreso) anche se, per es., bisogna vedere la sua responsabilita’ (insieme all’Arabia Saudita nell’armare l’opposizione al Presidente Siriano).
C’e’ il pericolo serio di un andamento ricorsivo (per es. tra due-tre anni un’altra bella sventagliata di missili su Gaza) e non so come se ne possa uscire.
Forse lo stesso dibattito tifoso o da Colosseo nasce da questa sensazione: come se tertium non datur.
Aglieglie Bratsorf
Professore, secondo ma lei ha toppato.
Dal punto di vista logico, è vero che per i palestinesi non si può usare il termine “genocidio”, ma se esaminiamo l’appropriatezza del termine (statistiche, motivazioni politiche e presupposti storici) allora non lo si può usare “stricto sensu” per nessuno: solo per gli indiani d’America e per gli USA che lo praticarono. Dal punto di vista pragmatico, se la parola va usata in modo corretto e responsabile, anche nella propaganda, allora mi sembra poco equilibrato negarla ai Palestinesi quando una settimana fa la si è lasciata usare tranquillamente e a ripetizione da chi annunciava di bombardare l’Iraq, per l’ennesima volta, allo scopo di evitarne uno (di chi, poi?, non è stato detto).
Dopo tutti i genocidi recenti annunciati e evitati dalle nostre bombe umanitarie o dalle nostre spedizioni armate democratiche (le ricordo Croazia, Bosnia, Kosovo, Iraq 3 volte, Pakistan, Libia, Siria, Rwanda, Mali, Congo, Nigeria, tutti casi accompagnati da campagne contro un genocidio) fare boccuccia quando quella parola la tirano in ballo i Palestinesi vuol dire che si teme di violare un “copyright”.
Il termine genocidio quindi sembra che si possa usare solo con il permesso di qualcuno, se no non vale.
La domanda da porre non è la sua, capziosa, “quello dei Palestinesi è veramente un genocidio”, ma quella più storicamente ponderata: “c’è il rischio che Israele possa arrivare a compiere un genocidio?”, oppure “il sionismo è potenzialmente genocida?”.
Per me la risposta è sì. Qual è la sua?
aldogiannuli
Aglieglie: non dica sciocchezze: gli esempi che faccio di genocidio (come quello rwandese) dimostrano che genocidi ce ne sono
poi le puo pensare che il sionismo sia potenzialmente genocidiario, forse si, forse no, ma come si fa a dimostrarlo del sionismo come di chiunque altro: fiacciamo il processo alle intenzioni
La smetta di arrampicarsi sugli specchi
marco
@Aldo:
l’analisi è precisa e ben argomentata.
Poi si può essere d’accordo o meno.
In ogni caso:
sii comprensivo con noi poveri illetterati: siamo annichiliti dall’orrore di massacri simili e non riusciamo proprio a ragionare così lucidamente…
tho86lmb
Buongiorno,
trovo che questo articolo di precisazione sia necessario e corretto.
Anche io sulle prime non ho compreso appieno l’importanza del corretto uso dei termini, pur fidandomi di quanto leggevo, ora sento di aver capito molto meglio la questione.
Rimango tuttavia non convinto sul fatto che si possa parlare di guerre, di propaganda, psicologica etc..non c’é un bilanciamento di forze tale da presupporre una guerra tra due contendenti.
Ad esempio non sono assolutamente convinto che l’opinione pubblica europea ed americana parteggi per gli israeliani a causa forte senso di colpa seguito al genocidio ebraico. L’opinione pubblica é plasmata attraverso l’uso criminoso dei mezzi d’informazione, e grazie che poi parteggia per Israele e la “causa ebraica”.
Se quanto sopra puó essere annoverato al risultato della “guerra di propaganda”, allora questo fatto conferma lo sbilanciamento delle forze in campo. Un elefante (in grado di condizionare l’opinione pubblica) contro una formica (che fatica anche a comunicare).
Con queste parole, non contesto quanto detto da Gianulli, che non solo trovo giusto e importante, ma vorrei dare un giusto peso all’uso delle parole nel modo corretto.
Credo che l’uso inappropriato dei termini rappresenti un errore politico importante ma che non sia un macigno sulla strada della fine del conflitto, o perlomeno, se cosí lo si vuole intendere, che il macigno sia pesante per chi lotta a mani nude (palestinesi) ma insignificante per chi lo fa con i carri armati.
Riassumendo, per quanto giusto e importante sia l’uso delle parole nel corretto modo non é che una goccia nel mare. Se Israele (o meglio i poteri che sostengono i governi d’Israele) vogliono il conflitto assoluto, conflitto assoluto sará. Se finalmente i sostenitori palestinesi usassero i termini giusti nella “guerra” di propaganda, allora da parte “Israeliana” ci sarebbero azioni di controinformazione a sostegno delle opinioni propalestinesi che usano i termini sbagliati, e nulla cambierebbe.
Credo che chi sostenga le ragioni palestinesi attraverso certe argomentazioni (genocidio, nazismo) non sia immorale e irresponsabile, ma cinico e spietato. Non voglio credere che chi ha veramente a cuore questa questione non sia in grado di capire quanto detto da Gianulli.
Aglieglie Bratsorf
Non mi sto arrampicando sugli specchi: sto solamente dandole ragione nel suo assunto di partenza. Usare la parola genocidio è rischioso e fuorviante. Tuttavia vado oltre la sua posizione, dicendo che il termine genocidio è falso di per sé, è il prodotto della retorica e non del diritto: è uno di quei casi in cui il diritto (internazionale in questo caso, che è per sua natura lacunoso e con basi molto più sfuggenti di quello positivo) insegue la retorica o la propaganda per dimostrare di non essere labile.
Il termine “genocidio” è recente (coniato appunto dopo lo sterminio degli ebrei), troppo moderno e contingente per avere alle sue spalle una storia che ne possa definire i contorni e il senso. Troppo abusato e squalificato per essere “applicato” storicamente: resta un termine della retorica politica.
Il “genocidio” ha avuto quel percorso semantico-giuridico che molte femministe e giornaliste specializzate desidererebbero tanto per il loro assurdo “femminicidio”: un itinerario storico che purtroppo né l’uno né l’altro termine hanno percorso a sufficienza per ricevere un “peso” semantico adeguato. Per ora sono termini vuoti: per il femminicidio non è neanche il caso di parlarne, tuttavia anche il “genocidio” è attribuito a fatti disparati, accomunati solamente dalla caratteristica dell’emotività e del tornaconto politico-strategico.
Lei è uno storico, ma io sono un linguista e non le permetto di definire queste “sciocchezze”, come io non definisco così le sue argomentazioni. Lei è uno storico, quindi conoscerà le vicende del Rwanda: la versione migliore di questa storia, la più acuta, anche se non considerare il ruolo geopolitico distruttivo avuto dai Belgi, dai Francesi e dall’ONU, è quella di Ryszard Kapuszinsky (in Ebano). La cosa più bizzarra che emerge da quella immane tragedia è che i Tutsi non erano un popolo, un “ethnos”, e neanche una stirpe, un “ghenos”. Hutu e Tutsi erano della stessa razza, dello stesso ghenos e dello stesso ethnos, con la stessa lingua e uguale religione, la loro differenza era di ruolo: di casta (qualcuno altrettanto improvvido parlerebbe di lotta di classe). Il massacro dei tutsi non fu un genocidio, fu una faida, una vendetta colossale aggravata dal suo essere a cavallo tra decolonizzazione e neocolonialismo economico.
Perciò mi sento proprio di smentirla: quello del Rwanda non fu un genocidio, ma un fatto storico complesso etichettato con una parola nuova e compendiaria, da chi aveva bisogno di imporre alla scena internazionale le categorie giuridiche adatte alla sua azione politico-strategica.
Ripeto: quello dei Palestinesi non è un genocidio, come non lo erano gli altri tranne quello dei Pellirosse, che ci ha messo due secoli per avere il privilegio di fregiarsi di questo titolo.
E ripeto ancora: il genocidio è un “flatus vocis”, è retorica, è propaganda: ma se l’abbiamo concesso a tutti possiamo ragionarne anche sui palestinesi e sui sionisti. Ma non gli ebrei, loro sono stati eliminati dai sionisti: un caso di genocidio virtuale e culturale del secolo della retorica e dei media.
Ho finito di arrampicarmi sugli specchi della mia materia, lascio a lei di arrampicarsi sulla sua, magari facendo la contabilità dei morti, ma io non le dirò mai che lei scrive sciocchezze.
aldogiannuli
Aglieglie: mi scusi ma ho frainteso il suo intervento precedente perchè mi era parso di cogliere una vena ironica che invece non c’è: nel linguaggio scritto queste papere si prendono perchè non hai l’ausilio dell’intonazione di voce e l’espressione del viso del tuo interlocutore. Dunque mi scusi
Nel merito però sono poco d’accordo con quello che scrive: èp vero che di denocidio riuscito potremmo parlare nel caso delle popolazioni precolombiane, ma non sono convinto che l’espressione vada usata solo nel caso di genocidi perfettamente riusciti. I casi di armeni, rwandesi, ebrei (ma in parte potremmo dirlo anche per gli islamici di Spagna nel XVI secolo, anche se in quel caso hanno pesato le conversioni forzate dei moriscos) penso meritino il nome, anche se poi c’è stata una popolazione superstite e non credo che si possa parlare solo di un trucco della propaganda in questi casi. C’è una soglia che va tenuta ben presente e che divide i casi di “genocidio” (se preferisce di tentato genocidio) da quelli di massacri che non hanno questo peso (curdi, palestinesi, ugonotti, pogrom antiebraici in Russia ecc.) ed il segnale, più che nelle intenzioni è negli effetti ed il segnale è il danno demografico che ne è conseguito, per cui possiamno usare l’espressione nei casi in cui ci sia stata una severa contrazione numerica della popolazione, comcentrata in una o due generazioni (ad esempio potremmo adottare la soglia del -10 o -15% della popolazione, ovviamente al netto di epidemie o carestie.).
Lorenzo
Giannulli tecnicamente ha ragione. Tuttavia c’è un detto che dice: “la ragione è dei fessi”. E in questo caso mi sembra pertinente.
Non nel senso che Giannulli sia un fesso, ma nel senso che ad utilizzare categorie rigorose come fa lui in un mondo rivoltato come un calzino dallo strapotere mitogenico dei media e dalle compulsioni ideologiche ch’essi propalano nelle povere teste del gregge, si rischia di credere che il rigore semantico o concettuale abbia una qualsiasi influenza sugli stati dell’opinione e così smarrire il senso della realtà.
Nella misura in cui il pregiudizio umanista è diventato l’unica o quasi unica misura di valore riconosciuta in occidente, e quindi anche il velo ideologico manipolato dalle potenze occidentali per condurre le proprie guerre neoimperialiste e petrolifere, il concetto di “genocidio” ha ormai acquistato un campo d’utilizzo sconfinato, una valenza di significati caleidoscopica ed una platea mediatica illimitata, che lo vedono insediato nelle prossimità di pressoché qualsiasi situazione conflittuale.
Ecco che i palestinesi grideranno al genocidio sionista mentre i giudei risponderanno belando sul ritorno dell’antisemitismo (con rinvio implicito al genocidio nazista). Impetrando il medesimo altare i due contendenti si garantiscono spazi mediatici e corroborano le energie mitofantiche dei rispettivi sostenitori.
Una scelta accurata delle parole è priva di qualsiasi valore propagandistico e non interessa quindi nessuno; a meno di non valorizzarla – come non mi sembra lontano dal fare Giannulli – proprio in questo senso, nel senso di ritenere che la moderazione semantica vada nel senso di una progressiva moderazione della conflittualità in Palestina e convenga quindi “alla causa che si vuole sostenere”, suppongo quella della dirigenza palestinese moderata.
Se però lo scopo è questo sarebbe forse più corretto dichiararlo in anticipo, anziché farsi scudo di precetti di accuratezza cognitiva per corroborare le proprie (ed interamente soggettive) propensioni etiche e politiche.
aldogiannuli
Lorenzo: i media fanno il loro mestiere ma anche gli analisti debbono farlo ed il mestiere dell’analista non è quello di far propri i termini della propaganda, soprattutto quanmdo poi è una propaganda perdente, come nel caso dei palestinesi che con la grancassa dell’olocausto che non c’è fanno un’autorete. Sul campo della propaganda mi concederà che gli israeliani ci sanno fare di più.
Penso invece che la battaglia per un uso consapevole delle parole e contro i veleni della propaganda sia un dovere di chiunque creda in valori come la libertà o la democrazia.
Che poi io non sia schierato con i palestinesi o all’opposto con gli israeliani, ma con le componenti favorevoli alla pace di tutti due gli schieramenti contro i falchi dei rispettivi schieramenti mi pare che lo abbia già dichiarato più volte. Ma non è per questo che insisto sulla questione del preteso olocausto palestinese che, invece, è un caso di pulizia etnica. Appunto: usiamo le parole con consapevolezza
ermanno
https://www.youtube.com/watch?v=uQw9KVeLcr4
paolo
Ho letto con attenzione l’articolo precedente e questo e mi ritrovo appieno nella tua analisi ma soprattutto nella conclusione che non è una questione “risolvibile” con la vittoria di una o dell’altra parte.
Si tratta di una lotta impari per armamenti ma egualmente violenta e vigliacca da entrambe le parti .
Ho timore (ovvio) che una fine non ci sarà mai neppure se politicamente i due popoli dovessero accordarsi e raggiungere una pacifica convivenza; se nel tuo blog hai scatenato le ire o nel migliore dei casi l’indignazione di “esperti”, “teologi”, gente da bar, mussulmani estremisti…..oltretutto lontani dai militari istraeliani o dai missili palestinesi….si può bene immaginare come reagiscano gli stessi oersonaggi che vivono sotto il fuoco nemico cresciuti nell’odio reciproco.
Consiglio a tutti il famoso film “il giardino dei limoni” per capire che se tutti si venissero incontro….vabbe’ ma questa è già utopia di anime belle…e purtroppo come hai citato tu, non vale solo per la questione palestinese…..
Scichilone Calogero
Scusa se insisto, ma se invece di parlare linguistica o aritmetica (100.000 o 1 milione) ritornassimo alla giurisprudenza cioé alla definizione data dall’ONU nella risoluzione 260 A (III) del 9 dicembre 1948, Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio:
« Uno dei seguenti atti effettuato con l’intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale:
1-Uccidere membri del gruppo;
2-Causare seri danni fisici o mentali a membri del gruppo;
3-Influenzare deliberatamente le condizioni di vita del gruppo con lo scopo di portare alla sua distruzione fisica totale o parziale;
4-Imporre misure tese a prevenire le nascite all’interno del gruppo;
5-Trasferire forzatamente bambini del gruppo in un altro gruppo. »
Come dicevo in un altro commento lo stato d’Israele é definito come lo stato degli ebrei, tutti gli altri cittadini sono riconosciuti come individui e non come gruppo al contrario degli ebrei che sono riconosciuti pure come gruppo; la legge del ritorno permette a qualunque ebreo di trasferirsi in Israele non come individuo ma come appartenente al gruppo. In questo caso, e tenendo presente la definizione dell’ONU, possiamo dire che Israele ha, in pratica, cercato di eliminare il gruppo palestinese. Per il periodo attuale, conflitto tra Israele e Gaza, non si puo, legalmente, parlare di genocidio, ma al limite di crimini di guerra. Ma visto che non esiste una legislazione internazionale per regolare cio’; il problema resta e resterà dialettico.
aldogiannuli
Scichilone: il diritto (soprattutto quello internazionale: il più inesistente di tutti i diritti) ha le sue regole ed i suoi linguaggi che la storia deve studiare ma non neccessariamente far propri: per lo storico conta la realtà effettiva, noin quella giuridica, esattamente per la stessa ragione per cui la verità storica non coincide con la verità processuale. La Convenzione che citi, peraltro, fu adottata sotto lo shock del genocidio ebraico e risente di questo bisogno di prevenzione. Infatti lil testo parla di prevenzione e mette al centro della sua definizione l’intenzionalià della strategia genocidiaria.Il che rende la norma applicabile solo dove o ci siano dichiarazioni9 esplicite di voler distruggere un particolare gruppo umano o dove si trovino documenti inequivocabili in questo senso e qui sfido chiunque a troovarmi l’una o l’altra cosa nel caso di cui stiamo parlando (il che, peraltro, non vuol dire che non possa esserci una intenzione del genere ma semplicemente che è quasi impossibile dimostrarlo). Gli atti elencati si riferiscono a “sintomi” di strategie genocidiarie, e, peraltro la norma è un po’ tirata per i capelli: la Chiesa cattolica spesso rapiva i bambini ebrei per convertirli, ma mi sembra un po’ complicato accusarla di genocidio ebraico, nonostante tutte le persecuzioni cui sottoposte i “giudei”. Peraltro, nulla dice la norma sul numero di atti che si ritiene sufficienti a denirire una condotta genocidiaria (indomma: unnidere due persone o rapire dieci bambini o ferire o mutilare altre dieci persone di un certo griuppo etnico o religioso non mi pare che che possa definirsi comne genocidio o tentato tale). Peraltro la norma è insieme troppo ampia (per l’indeterminatezza delle condotte da porre in essere per definire l’antigiuridicità del comportamento) ed insieme troppo restrittiva (per quel rinvio all’intenzionalità), cosicchè non mi risulta abbia avuto particolare applicazione nella giurisprudenza internazionale, salvo casi conclamati come quello rwandese.
Come vede, per lo storico, meglio restare sul solido terreno dei fatti misurabili e definibili con rigore
Germano Germani
Professore lei è giunto ad un bivio: o ripudia l’appello precedente antisionista; oppure c’è qualcosa che inconsciamente la costringe ad una inversione di marcia clamorosa. Azzardo una ipotesi: a lei come alla maggioranza degli occidentali, le è stato praticato una sorta di “circoncisione” mentale, per cui non riesce a ragionare freddamente quando si parla di ebrei-sionisti.Concludo con una riflessione che vale da secoli e secolorum, ma anche di stretta attualità;schiaccia accidentalmente un piede ad un rabbino a Vienna, sentirai un urlo di dolore contemporaneamente a Parigi, Londra, New York. Professore è genocidio.Amen!
aldogiannuli
Germani: lei sragiona. se vuole saperlo c’era chi proponeva di inserire il termine genocidio in quell’appello e la cosa non è passata perche sono stato io ad oppormi, imvece non ho sollebato la questioone di Norimberga perchè l’ho intesa come processo a crimini di querra in generale e non solo genocicdio; quindi noin c’è nessuna marcia indietro. VContinuo ad attaccare i crimini di guerra israeliani senza per questo essere mai stato anti israeliano e continuo a pensare che ci sia una pulizia etnica cui occorre opporsi per arrivare ad una pace con giustizia per entrambi i popoli.
Aew poi lei insiste senza alcuna argomentazione a parlare di genocidio è padronissimo di farlo: a lavar la testa all’asino…
Germano Germani
Professore d’accordo io sono un somaro, un asino.Ma lei è mentalmente un “circonciso”.Vale a dire che scatta in lei, come nella maggioranza degli occidentali, un riflesso condizionato pavloviano, che le impone quando parla di ebrei-sionisti, di “sragionare”.Inutile ogni argomentazione con i “circoncisi mentali”.L’entità criminale sionista,è dal 1948 che attua contro il popolo palestinese un genocidio (o pulizia etnica)ma guai a parlare di genocidio.Esiste il “copyright” che vale solo per il “popolo eletto” da Dio, non per gli altri popoli.Il docente universitario statunitense, Norman Fielkstein, figlio di una copia di ebrei sopravvissuti ad Auschwitz,per aver scritto un libro ove denunciava “l’industria holywoodiana della shoah”, è stato licenziato dalla univerità e additato al pubblico ludibrio.Parlo a nuora, perché suocera intenda.
aldogiannuli
germani: lei non merita nessuna risposta
vito cartolano
Bisognerà dare una definizione anche di “campi di concentramento” perchè è la prima volta che ne sento parlare con riferimento ai rapporti tra israele e palestinesi.
“Campi profughi” semmai, che solo in casi marginali Israele avrà gestito.
Vorrei ricordare che la stessa filo-palestinese Amira Hass, che peraltro scrive su un giornale israeliano Ha’aretz (quanto durerebbe un giornalista palestinese filo israeliano?) riferisce che quando un abitante di Gaza finisce nelle galere israeliane, tira un sospiro di sollievo, perchè sa di trovarsi in un sistema regolato, diversamente da quanto accade nelle carceri di Hamas, dove non si sa mai come andrà a finire.
Vorrei anche ricordare che i “poveri” palestinesi, costano alla comunità internazionale pacchi di miliardi di dollari (ti posso fornire un conto approssimativo), che non si sa bene dove vanno a finire, un costo che è sempre apparso come il prezzo da pagare per non subire aggressioni terroristiche.
Questo senza dimenticare le innumerevoli carognate che Israele propina ai palestinesi, come l’abbattimento delle case o la colonizzazione dei territori.
fabio
Anch’io sono rimasto perplesso dall’uso del termine “campo di concentramento” che prevede a monte un’operazione di polizia o militare tendente a individuare e convogliare gli individui verso un unico punto che si chiama appunto “di concentramento”. Non riesco a individuare nella storia del conflitto operazioni del genere, a meno che la “pulizia etnica” (peraltro praticata per la prima volta dai palestinesi a danno della comunità ebraica di Hebron nel 1929) non sia equiparata ad una forma di concrazionismo. Ma mi sembra definizione troppo ampia. Sui campi profughi invece vorrei ricordare che se la comunità istriano-dalmata del secondo dopo guerra fosse stata concentrata alla periferia di trieste e lì abbandonata a se stessa, avremmo avuto senz’altro un terrorismo istrano-dalmata di lingua italiana. Per dire delle responsabilità dei paesi arabi (Libano, Siria, Egitto, Giordania) in misura maggiore o minore, nella proliferazione dei terroristi palestinesi… (anche a proposito dell’expolit del Di Battista).
aldogiannuli
campo di concentramento è una espressione molto legata all’esperienza nazista, ma in realtà campi in cui “concentrare” i prigionieri ne sono esistiti anche da molto prima, ad esempio ne fecero uso gli americani, a cavallo fra otto e novecento, nella guerra con gli spagnoli per cuba e per le filippine. Il termine è stato adoperato anche per i campi di raccolta dei profughi dalla Jugoslavia nei tardi anni quaranta (ce ne era uno anche a Bari che andò avanti sino a fine anni sessanta, ma va detto che se ne poteva entrare ed uscire liberamente. Insomma il termine, variamente declinato, non è sinonimo di operazione di polizia o campo di sterminio. Anche se spesso la vita anche nei campi non di sterminio è tutt’altro che facile.
fabio
mi scuso, “concrazionismo”: leggi concentrazionismo
Le solite menate
Si mettono i puntini sulle i per non dire ciò che è ora che sia gridato ai quattro venti.
Israele è l’altra faccia dell’ISIS, solo che Tel Aviv è un dato di fatto, lo Stato islamico immaginato dall’ISIS ben lungi dal concretizzarsi.
Dunque, l’indicibile da dirsi è questo: Israele va cancellato dalla storia, perchè uno Stato su base non solo etnica ma religiosa è un orrido che va il prima possibile eliminato, e in questo sono pienamente d’accordo con gli unici ebrei degni di questo nome, gli amici e fratelli d’umanità dei Naturei Karta.
Tutte le altre distinzioni in punta di penna sono un regalo al sionismo, che è della stessa pasta dell’ideologia aberrante degli Afrikaner, nazionalismo razzista (perchè, ovviamente, c’è anche un nazionalismo assai rispettabile).
fabio
sì questo è noto. Anche i superstiti ebrei furono “concentrati” dagli inglesi anche fino al 1947, prima di decidere che farsene. Ma anche con questa spiegazione mi risulta poco comprensibile l’uso del termine nel caso del conflitto israelo-palestinese. Campo profughi sarebbe equivalente a campo di concentramento ? Mi pare una grossa forzatura.
Per il resto concordo con quanto scrive nell’articolo.
fabio
“l’indicibile da dirsi è questo: Israele va cancellato dalla storia, perchè uno Stato su base non solo etnica ma religiosa è un orrido che va il prima possibile eliminato” dice “le solite menate” e mai prima d’ora nomen omen (ma che dire dell’Arabia Saudita ? eliminiamo anche quella ?)
Non resta che aspettare che qualcuno ci riesca, fra un numero imprecisato di anni e di milioni di morti (compresi probabilmente tutti i palestinesi esistenti). Poi, i superstiti, andranno a cercare “le solite menate” per dirgli che cosa avranno pensato delle sue fantasticherie. Non si faccia trovare in casa (consiglio gratuito).
Le solite menate
Certo che anche l’Arabia Saudita va eliminata, e non solo, anche gli emirati costruiti a tavolino da GB e USA, ossia Qatar, Bahrein (nel quale è da tempo in corso un genocidio della minoranza sciita senza che nessuno dica nulla), Kuwait (aveva ragione Saddam, il Kuwait è terra irachena) ecc.
Ma, guarda caso, tutti questi Stati fantoccio sono, come Israele, alleati della bestia yankee.
Le solite menate
E le assicuro, signor fabio, che è molto più probabile che i palestinesi sopravvissuti al genocidio sionista un giorno vengano a trovare lei e quelli come lei che si ammantano di un pacifismo specioso che è il miglior alleato dell’imperialismo Usraeliano..
Forse sono già in viaggio…
Le solite menate
Per quanto riguarda il massacro di Hebron del 1929 in cui una sessantina di ebrei furono uccisi da arabi, bisogna dirla tutta e non ciò che fa comodo alle proprie posizioni preconcette.
Il fatto fu provocato dal precedente omicidio di due arabi da parte dei terroristi ebrei a Gerusalemme e inoltre la restante parte dei 750 ebrei residenti nella zona del massacro fu salvata proprio dalle famiglie arabe che li nascosero nelle cantine.
Dove il signor fabio veda un progrom in questa circostanza, lo sa solo lui.
Io ci vedo il risultato delle provocazioni terroriste delle bande sioniste le cui conseguenze vediamo ancora oggi.
Le solite menate
E per la precisione, nel complesso degli scontri tra arabi e ebrei in Palestina nel 1929 morirono (dati ufficiali) 116 arabi e 133 ebrei.
Ma, ovviamente, il signor fabio vede solo da una parte, direi che è quantomeno strabico.
Giuseppe Aragno
Per la seconda volta in pochi giorni, Giannuli, ci fa la lezione su Israele che macella carne umana in Palestina ma, per questioni di numeri, non giunge al genocidio: i morti non bastano. Non entro nel merito. Mi limito a un’annotazione banale: ho grande rispetto per la libertà d’insegnamento, ma sono convinto che il rispetto dovrebbe essere reciproco. Se lei si lascia andare a pesanti giudizi su chi dubita della sua scienza e non accetta la lezione, manca di rispetto a chi l’ha criticato, il quale, peraltro, per ricorrere alle sue sprezzanti parole, non saprà mai se lei l’ha collocato tra quanti fanno chiacchiere «da bar dello sport», o inserito d’ufficio in una sua lista segreta di «piccoli confusionari irresponsabili, che non si rendono conto dei danni che fanno».
Lei ha indubbiamente ragione: le «parole sono pietre». Purtroppo, però, dopo averlo scritto, se n’è dimenticato e ha preso a tirare sassi su chi l’ha criticato. Basta leggere la conclusione dell’articolo per rendersene conto. Ai “cari amici” dissenzienti, infatti, lei rivolge una domanda a dir poco oltraggiosa: «posso dirvi che moralmente mi fate un po’ ribrezzo per la vostra irresponsabilità?».
Fortuna che sono “amici”.
D’ora in avanti, chi vorrà evitare le sue sassaiole, parlando della politica di Israele, farà bene a stare nei limiti che lei fissa: pulizia etnica, crimini di guerra o strage. Meglio ancora, se, mostrandosi in linea col Giannuli-pensiero, insinuerà ciò che lei insinua: se potesse, Hamas «perseguirebbe obbiettivi di pulizia etnica a parti scambiate». Se prenderemo la sua medicina, noi lettori non le faremo ribrezzo e chissà, forse ci riabiliterà.
E’ vero, ognuno ha diritto di scrivere ciò che crede, perciò mi lasci dire, senza intenti polemici, che a me fa ribrezzo la parola ribrezzo quando è rivolta a chi dissente. Fanno ribrezzo i criminali di guerra, gli autori di stragi e chi fa pulizia etnica. Da un punto di vista morale, mi fa ribrezzo l’insinuazione che riguarda Hamas, perché è tutta da dimostrare e potrebbe essere campata per aria, ma intanto infanga la resistenza palestinese e mette sullo stesso piano truppe di occupazione impegnate in stragi criminali e combattenti di un popolo oppresso che lotta per la libertà.
Perdoni l’intrusione e buon lavoro.
aldogiannuli
Aragno: come vede io sono una persona molto tollerante che pubblica le manifestazioni di dissenso ancorchè -mi scusi- un po’ sconnesse come la sua, ma natutalmente questo è un mio giudizio personale. Non sprecherò tempo a cercare di farle capire perchè il termine genocidio ha qualche rapporto con una idea di misura perchè è evidente che lei non capisce o (èiù probabilmente) non vuol capire, ma la cosa non mi riguarda. Magari. per rispetto agli altri lettori di questo blog farebbe bene a spiegare cosa pensa lei che sia un genocidio e perchè pensa che questa categotria sia apllicabile al conflitto istraelo-palestinese. Quanto al ribrezzo morale non è diretto verso chi dissente (ci mancherebbe!) ma verso chi è interessato a fare propaganda e chiede ai palestinesi di immolarsi come gladiatori nell’arena, ma non si rende conto dei danni e delle sofferenze che contribuisce ad inflierire ad un popolo. Quanto ad Hamas: ne studi la storia ed i documenti e magari qualche sostenno verrà anche a lei a proposito della pulizia etnica. Non merita nessuna considerazione la sua ultima frase.
Giuseppe Aragno
Non so davvero cosa le faccia credere che io ritenga gli israeliani colpevoli di genocidio, Guannuli, ma le sono comunque davvero molto grato per la dimostrazione lampante di “tolleranza”; rimarrà sul suo sito, sicché potrà dargliene atto chiunque si trovi a leggere con un minimo di onestà intellettuale. Per il resto, che dire? Poiché conosco bene i suoi lavori e credo sia studioso valente e uomo intelligente, è giocoforza che io condivida la sua opinione sulla mia capacità di connettere. Non saprei come spiegare altrimenti la sua risposta che, mi perdoni, non affronta i problemi che pensavo di porle. Se lei non ha capito praticamente nulla, è stata di certo colpa mia che, come tutti sanno, sono un incapace.
Cordiali saluti.
aldogiannuli
Aragno: se lei scrive quelle righe iniziali si capisce che ritiene non condivisibile la mia posizione in merito al “genocidio” palestinese e, pertanto, sono autorizzato a credere che Lei pensi che tale sia il comportamento di Israele. Padronissimo e non è questo quello che provoca la mia reazione, ma in quel caso mi aspetto che Lei dimostri perchè ho torto. Contrariamente a quello che Lei pensa io non me la prendo affatto se qualcuno mette in dubbio le mie affermazioni o contesta i risultati cui sono pervenuto, anzi, se questo è fatto in modo duro ma argomentato, per me è un fatto positivo. Ma se uno riptere semplicemente “No per me è un genocidio”, senza spiegare se ritiene falsi i miei dati, o attribuisce al termine un significato diverso ecc, e poi ci aggiunge cose del tipo “lei così giustifica i crimini israeliani” o “lei mette sullo stesso piano aggrediti ed aggressori”, sempre senza dimostrare nulla di quel che dice, mi autorizza a dire che i suoi sono commenti da “bar dello sport” e usa “le parole a caso” perchè il primo a venir meno alle regole di un confronto corretto è stato lui. Quanto al suo intervento: non mi sogno affatto di dire che Lei sia un incapace, ma semplicemente che in questa occasione (forse perchè irritato) non si è fatto capire per nulla. Mi ha accusato di infangare la lotta di un popolo per la libertà -non si capisce perchè- ed è insorto in difesa di non si sa bene quale dissenso. Io ripeto di accettare qualsiasi critica ma rivendico il mio diritto ad esgigere rispetto e di rispondere per le rime agli arroganti ed agli insolenti e se legge i post precedenti di commenti di questa risma ne trova un bel po’. Quindi capiamoci: critiche si, insolenze no, come ad esempio nel suo caso che fa ironia del tutto gratuita sul mio “insegnamento”. Io qui non insegno, esprimo le mie idee cercando di motivarle
Giuseppe Aragno
Non sono irritato Giannuli – se glielo dico, può credermi, anche se non mi è mai capitato che qualcuno, sia pure un ricercatore bravo come lei, mi abbia detto che sono sconnesso, faccio chiacchiere da bar dello sport e uso le parole a caso. Può essere, perché no? Sono cose che possono capitare. Le assicuro, questo sì, e spero voglia credermi, che studiosi non meno valenti di lei si stupirebbero molto. Tuttavia, sulla legittimità delle opinioni non discuto. Piuttosto, mi scusi, ma i commenti lei li legge? Mi prendo le colpe che mi spettano per la mancanza di connessione e magari per il disoriento che le procuro, però se uno scrive chiaro “non so davvero cosa le faccia credere che io ritenga gli israeliani colpevoli di genocidio” e l’altro insiste nell’attribuirgli la convinzione che Israele stia compiendo proprio un genocidio, beh, qualcosa, a mio modo di vedere, non quadra. Almeno su questo si può essere d’accordo, spero. Per quanto mi riguarda, strage, pulizia etnica e crimini di guerra sono più che sufficienti a qualificare i comportamenti di Israele. Non vedo perché dovrei fare una battaglia per aggiungerci il genocidio.
Credo di poter concludere e spero di essere un po’ meno sconnesso delle occasioni precedenti. La risposta che speravo di avere da lei riguardava la sua “tolleranza”; l’ho avuta, gliel’ho anche scritto e questa sua ulteriore replica me l’ha confermata: è complicato avere a che fare con una “tolleranza” che scambia l’ironia per insolenza. Anche questa potrebbe essere, però, un’opinione, così come un’opinione è senza dubbio quella su Hamas pronta a fare “pulizia etnica”. Finché non accadrà, non sarà un “fatto”, ma una supposizione. Al momento invece, un dato di fatto è la “pulizia etnica” che Israele sta compiendo, come lei stesso sostiene. Il fatto è, che quando lei scrive che “siamo in presenza di un caso di pulizia etnica”, riferendosi agli israeliani, poi aggiunge di non essere “così sicuro che, se Hamas ne avesse le possibilità, non perseguirebbe obbiettivi di pulizia etnica a parti scambiate”, mette assieme un fatto (la pulizia etnica eseguita) e un’opinione (la pulizia etnica che forse farebbero i palestinesi). Può chi legge ricavarne l’impressione che questa sia una forzatura logica a tutto discapito dei palestinesi? Mi pare di sì. mi pare che questa possa essere una rispettabile opinione, da cui ricavare la conclusione che, quanto consapevolmente non importa, lei finisca col gettar così fango sui palestinesi. Un’insolenza? Se è così mi scuso, ma lei provi a mettersi nei panni di chi la legge, senza prevenzioni e senza pensare che si tratti di un nemico. Le potrebbe capitare di scoprire dei suoi passaggi un po’ troppo rigidi e schematici e sentire nell’eccesso di rigore uno schematismo pericoloso, una tendenza a generalizzare che raramente giova alla comprensione di quei fatti, che, per uno storico, – lei me lo insegna – sono muti e raccontano solo le parziali verità che nascono non dai fatti stessi, ma dalle domande degli studiosi. Guai a partire dalle nostre certezze: avremo solo le risposte che ci fanno comodo.
Può non credermi, ma sono tornato sul sito per scrupolo; in tutta onestà, ritenevo che lei non mi avrebbe risposto, perché il nostro discorso mi pareva e mi pare chiuso. Non sono irritato, tutt’altro, le sono grato per l’attenzione e non voglio farle perdere altro tempo.
Grazie davvero.
Giuseppe Aragno
aldogiannuli
Aragno, temo che semplicemente non ci siamo capiti
marco
Buona domenica professore,
“solo i superficiali non giudicano dalle apparenze” diceva il grande Oscar da Dublino;da ciò deriva che la forma è sostanza , specialmente in guerra dove i media diventano strategici quanto gli f35.Non si possono usare le parole come si usano in osteria per alimentare partigianerie foriere di odio e rumore di fondo;per cui condivido le sue precisazioni sui termini genocidio o pulizia etnica o strage o quant’altro .Detesto gli scritti di storia quando infarciti di aggettivi e iperboli moraleggianti da tifosi inferociti;mi ricordano le sentenze di Andrej Vyshinskij con la folla sadica plaudente , e nulla aggiungono alla conoscenza della realtà;storici da osteria ,qualche volta simpatici e sempre macchiette di quartiere.
Credo purtroppo che la guerra tra israele e arabi non possa avere alcuna soluzione militare;ho frequentato assiduamente,durante i miei studi universitari,sia ragazzi israeliani che palestinesi , con alcuni di loro si è creato un vero rapporto affettivo di amicizia che mi ha fatto capire più delle centinaia di libri letti ,le vere ragioni di entrambi i popoli;le dirò , in tutta onestà , che provo schifo per coloro i quali si schierano , rischiando nulla ,da una delle due parti senza aver capito che la guerra non solo non porta a risultati stabili , ma allontana l’unica possibile soluzione che si chiama compromesso.Ho trascorso nottate con loro a parlare , qualche volta con gli occhi lucidi , le bottiglie ormai vuote e i portacenere colmi , per capire con la testa e col cuore che la soluzione può solo passare attraverso una cruna difficilissima da centrare.
Che significato reale ha dire agli israeliani “go home”come dicevamo agli yankee in viet-nam?Dove devono andare?Hanno forse una Francia come i francesi d’Algeria o un’america come gli yankee o una unione sovietica dove andare fuggendo da kabul?Tra le cose che ho capito è che nessun israeliano , dico nessuno , nemmeno il più radicalmente pacifista è disposto a farsi buttare nel mediterraneo;combatterebbero con la ferocia dei ragazzi di Stalingrado , persino alle bambine darebbero un fucile , mi creda.
Ecco allora che quello slogan perde ogni significato , come privo di realismo mi paiono le pretese di hamas di distruggere lo stato di Israele.
Ma possono i palestinesi continuare a vivere in quelle condizioni?Possono accettare che i coloni continuino ad occupare la loro terra , distruggendo le loro case , le loro coltivazioni ,erigendo muri e controlli in ogni dove? Possono accettare che Gaza sia completamente isolata dal resto del mondo perchè controllata per mare , terra e cielo da israele? No , non possono e non devono farlo , pena la cosa peggiore:la perdita della dignità.
E che diritto abbiamo noi per giudicare moralmente il terrorismo , quando tutti , in certi momenti storici , lo hanno usato o approvato?
Possiamo certamente giudicare l’opportunità politica di certe scelte, ma ipocritamente moraleggiare sulle scelte terroristiche dei palestinesi o sull’opportunità delle risposte israeliane ai missili di hamas ,senza proporre reali soluzioni alternative mi sembra tutta fuffa di basso profilo ,volta ad alimentare le discussioni nei caldi salotti occidentali con salmone , champagne e salvifica , stucchevole indignazione.
Purtroppo , dico purtroppo perchè consapevole della immensa difficoltà , quella guerra potrà finire solo con un definitivo compromesso cui possa seguire un accordo di pace;gli intellettuali di ogni genere devono sentire l’obbligo di vigilare affinchè le parti si sentano osservate dal mondo e non si sentano libere di fare tutto quanto potrebbero o vorrebbero .
Tolgo il disturbo professore ;ora vado in osteria a fare chiacchere con gli amici;di calcio ovviamente che è molto più bello.
buona domenica.
Lumumba
La “soluzione finale” del Likud per il problema palestinese.
Gaza, il Likud ha la soluzione. È finale
Moshe Feiglin, ammiratore di Hitler e numero due di Netanyahu nel Likud ha la soluzione pronta. Una soluzione finale: concentrare e sterminare. Un documento agghicciante
Gaza come Jaffa, ossia con un numero minimo di civili ostili. Jaffa è una grande città costiera palestinese che è stato etnicamente ripulita dalle milizie sioniste nel 1948 e incorporata nell’attuale Israele. Verso le poche migliaia di palestinesi rimasti in città, sono frequenti i tentativi in corso per costringerli ad andare via. In un post del 1 agosto sulla sua pagina Facebook, Moshe Feiglin, rende pubblico un piano che già circolava dal 15 luglio dall’eloquente titolo “Concentrare e sterminare”. Dei sette punti chiave di Feiglin, l’operazione Border protection, l’invasione di Gaza, ne ha messi in pratica almeno quattro (1) L’ultimatum, dato alla «popolazione nemica», cui viene intimato di abbandonare le aree in cui si trovano i combattenti di Hamas, «trasferendosi nel Sinai non lontano da Gaza». 2) L’attacco, sferrato dalle forze armate israeliane «attraverso tutta Gaza con la massima forza (e non con una sua minuscola frazione)», colpendo tutti gli obiettivi militari e infrastrutturali «senza alcuna considerazione per gli scudi umani e i danni ambientali». 3) L’assedio, simultaneo all’attacco, così che «niente possa entrare a Gaza o uscire da Gaza». 4) La difesa, per «colpire con la piena forza e senza considerazione per gli scudi umani» qualsiasi luogo da cui sia partito un attacco a Israele o alle sue forze armate. 5) La conquista, attuata dalle forze armate israeliane che, dopo aver «ammorbidito» gli obiettivi con la loro potenza di fuoco, «conquisteranno l’intera Gaza, usando tutti i mezzi necessari per minimizzare qualsiasi danno ai nostri soldati, senza alcun’altra considerazione». 6) L’eliminazione, attuata dalle forze armate israeliane, che «annienteranno a Gaza tutti i nemici armati» e «tratteranno in accordo col diritto internazionale la popolazione nemica che non ha commesso malefatti e si è separata dai terroristi armati, alla quale sarà permesso di lasciare Gaza». 7) La sovranità su Gaza, «che diverrà per sempre parte di Israele e sarà popolata da ebrei», contribuendo ad «alleviare la crisi abitativa in Israele». Agli abitanti arabi, che «secondo i sondaggi desiderano per la maggior parte lasciare Gaza», sarà offerto «un generoso aiuto per l’emigrazione internazionale», che verrà però concesso solo a «quelli non coinvolti in attività anti-israeliane». Gli arabi che sceglieranno di restare a Gaza riceveranno un permesso di soggiorno in Israele e, dopo un certo numero di anni, «coloro che accettano il dominio, le regole e il modo di vita dello Stato ebraico sulla propria terra» potranno divenire cittadini israeliani).
Ma Feiglin non è un fanatico qualunque, è un membro di primissimo piano del Likud, il partito della destra israeliana al potere a Tel Aviv. Per lui è stato coniato il soprannome di Hitler della Knesset ed è uno che pensa che il primo ministro attuale, e suo compare di partito, Benjamin Netanyahu, sia una mammoletta rispetto ai palestinesi.
Il suo piano, tradotto dal sito Electronic intifada, prevede la «conquista di tutta la Striscia di Gaza, e l’annientamento di tutte le forze che combattono e dei loro sostenitori». Una vera e propria soluzione finale.
Feiglin è vice-presidente del parlamento, la Knesset, e membro del “Comitato per gli affari esteri e della Difesa” ma anche leader di “Manhigut Yehudit (Supremazia ebrea, oppure leadership ebrea), la più grande corrente del Likud. Nelle elezioni per la leadership del partito nel 2012 ha fatto una campagna contro Netanyahu, troppo morbido e troppo debole nei suoi occhi, e ha ottenuto il 23% dei voti. Dopo gli “Accordi di Oslo” Feiglin aveva condotto una campagna di disobbedienza civile che gli aveva fruttato una condanna a sei mesi di carcere, commutata prontamente in “servizio alla comunità” in un insediamento ebraico, una colonia in Cisgiordania dove vive. In un’intervista a Haaretz nel 1995, ricorda il sito francese Mediapart, Feiglin ha espresso tutta la sua ammirazione per il nazismo: «Hitler era un genio militare senza pari… Giovani cenciosi sono stati trasformati in una classe pulita e ordinata della società… Hitler amava la buona musica… I nazisti non erano un gruppo di teppisti». Per questo e altro, nel 2008, s’era visto negare anche il visto d’ingresso da sua maestà britannica.
Non sorprenderà, a questo punto, apprendere che accolse con favore «l’atto di resistenza», la strage di 23 civili da parte di un estremista ebreo, Baruch Goldstein, nel febbraio 1994, che uccise ventitré fedeli musulmani in preghiera nella moschea di Hebron. Ovvio che un tipo del genere sia favorevole all’annessione dei territori palestinesi con l’espulsione di tutti i palestinesi. Quella che riportiamo di seguito è la lettera spedita a Netanyahu e resa pubblica da lui stesso su fb.
Il suo piano dettagliato, che prevede l’utilizzo di campi di concentramento, comprende l’istigazione diretta e pubblica al genocidio – un reato punibile ai sensi della Convenzione sul genocidio.
Ecco la dichiarazione del 1 agosto di Feiglin su Facebook:
Al primo ministro Benjamin Netanyahu
Signor Primo Ministro,
Abbiamo appena sentito che Hamas ha usato la tregua per rapire un ufficiale. Risulta che questa operazione non è considerata sopra qualsiasi altra.
I fallimenti di questa operazione erano inerenti ad esso fin dall’inizio, perché:
a) Non ha adeguato e chiaro obiettivo;
b) non esiste un quadro morale adeguato a sostenere i nostri soldati.
Quello che ora è necessario è che noi interiorizziamo che il patto di Oslo è finito, che questo è il nostro paese – il nostro paese in esclusiva, tra cui Gaza.
Non ci sono due stati, e non ci sono due popoli. C’è un solo Stato per un popolo.
Dopo aver interiorizzato questo, quello che serve è una revisione profonda e completa strategica, in termini di definizione del nemico, dei compiti operativi, degli obiettivi strategici, e, naturalmente, di adeguate etica di una guerra necessaria.
(1) Definizione del nemico:
Il nemico strategico è estremista dell’Islam arabo in tutte le sue varietà, dall’Iran a Gaza, che cerca di annientare Israele nella sua interezza. Il nemico immediato è Hamas. (Non le gallerie, non i razzi, ma Hamas.)
(2) Definizione dei compiti
Conquista di tutta la Striscia di Gaza, e annientamento di tutte le forze combattenti e dei loro sostenitori.
(3) Definire l’obiettivo strategico:
Per trasformare Gaza in Jaffa, una città israeliana fiorente, con un numero minimo di civili ostili.
(4) Definizione di etica di guerra: “Guai al malfattore, e guai al suo vicino”
Alla luce di questi quattro punti, Israele deve effettuare le seguenti operazioni:
a) L’ IDF [esercito israeliano] designa alcune aree aperte al confine del Sinai, adiacente al mare, in cui la popolazione civile sarà concentrata, lontano dai centri abitati che vengono utilizzati per i lanci e i bombardamenti.
In queste aree, saranno stabiliti accampamenti di tende, come rilevanti destinazioni di emigrazione.
La fornitura di energia elettrica e acqua per le zone già popolate verrà disconnessa.
b) Le aree precedentemente popolate saranno distrutte con la massima potenza di fuoco. L’intera infrastruttura civile e militare di Hamas, i suoi mezzi di comunicazione e di logistica, saranno distrutti del tutto, fino alle loro fondamenta.
c) L’IDF dividerà la Striscia di Gaza lateralmente e trasversalmente, creando dei corridoi, occupando posizioni di comando, e sterminando nidi di resistenza, nella sua totalità.
d) Israele avvierà la ricerca di destinazioni di emigrazione e contingenti per i profughi di Gaza. A coloro che desiderano emigrare sarà dato un generoso pacchetto di supporto economico, ed essi arriveranno in paesi beneficiari con notevoli capacità economiche.
e) Coloro che insistono sul soggiorno, se possono dimostrare di non avere alcuna affiliazione con Hamas, saranno tenuti a sottoscrivere pubblicamente una dichiarazione di fedeltà a Israele, e ricevere una carta d’identità blu simile a quella degli arabi di Gerusalemme est.
f) Quando il combattimento finirà, la legge israeliana sarà estesa all’intera Striscia di Gaza, gli abitanti sfrattati dal Gush Katif saranno invitati a tornare ai loro insediamenti, e la città di Gaza e dei suoi sobborghi sarà ricostruita come una vera città israeliana turistica e commerciale.
Signor Primo Ministro,
Questa è l’unica ora fatidica della decisione nella storia dello Stato di Israele.
Tutte le metastasi del nostro nemico, da Iran e Hezbollah attraverso ISIS e la Fratellanza Musulmana, si fregano le mani allegramente e si preparano per il prossimo turno.
Io avverto che qualsiasi risultato che è meno di quello che ho definito qui significa incoraggiare la continua offensiva contro Israele. Solo quando Hezbollah capirà come abbiamo agito contro Hamas nel sud, si asterrà dal lanciare i suoi 100.000 missili da nord.
Chiedo a te di adottare la strategia qui proposta.
Non ho alcun dubbio che l’intero popolo di Israele si leverà in piedi in accordo con la sua stragrande maggioranza, con me – se solo tu lo adotterai.
Con alti saluti, rispettosamente,
Moshe Feiglin
http://popoffquotidiano.it/2014/08/19/gaza-il-likud-ha-la-soluzione-e-finale/
Sull’INDIPENDENT
Israel-Gaza conflict: Right-wing Israeli politician calls for Gazans to be ’concentrated in camps’ – and then all resistance ‘exterminated’
http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/israelgaza-conflict-rightwing-israeli-politician-calls-for-gazans-to-be-concentrated-in-camps–and-then-all-resistance-exterminated-9649103.html
aldogiannuli
Lumumba: questo è un documento molto preoccupante che occore far guirare e denunciare. Per fortuna credo sia ancora una posizione minoritaria in Israele , ma la cosa non va presa sottogamba
Lumumba
Anche questo, ritengo, sarebbe un documento che andrebbe fatto ulteriormente circolare, considerato l’autorevolezza dei firmatari. Ho anche rintracciato l’originale in inglese
http://ijsn.net/gaza/survivors-and-descendants-letter/
Superstiti dell’Olocausto contro Israele
Trecento ebrei firmano una lettera sul New York Times per condannare il massacro di palestinesi
NEW YORK – Oltre 300 sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti dell’Olocausto hanno pubblicato una lettera a pagamento sul New York Times per condannare “il massacro di palestinesi a Gaza” e per criticare gli Usa per il sostegno che danno ad Israele nelle sue operazioni militari nella Striscia, nonché l’Occidente in generale per la protezione dalle condanne che forniscono al governo israeliano. “Il genocidio comincia sempre con il silenzio”, si legge nel testo.
“Come ebrei sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti e vittime del genocidio nazista, inequivocabilmente condanniamo il massacro di palestinesi a Gaza e l’attuale occupazione e colonizzazione della storica Palestina”, affermano i 327 firmatari della lettera pubblicata del quotidiano newyorkese e sponsorizzata dall’International Jewish Anti-Zionist Network.
Apparentemente l”iniziativa ha avuto origine da uno scritto pubblicato da molti media internazionali in cui il premio Nobel Elie Wiesel paragona Hamas ai nazisti e li accusa di sacrificio di bambini”.
“Siamo disgustati e oltraggiati dall’abuso fatto da Wiesel della nostra storia…per giustificare l’ingiustificabile: gli sforzi all’ingrosso di Israele per distruggere Gaza e l’uccisione di oltre 2.000 palestinesi, tra cui centinaia di bambini. Nulla può giustificare il bombardamento di rifugi dell’Onu, case, ospedali e università”.
“Dobbiamo tutti alzare la voce e usare il nostro potere collettivo per arrivare alla fine di ogni forma di razzismo, compreso il genocidio di palestinesi in corso”, scrivono infine i firmatari della lettera, che si conclude con un appello per “un totale boicottaggio economico, culturale e accademico di Israele”.
http://www.cdt.ch/mondo/cronaca/113498/superstiti-dell-olocausto-contro-israele.html
Paolo Di Paola
Se invece di scrivere interventi aspri come questo, avesse fatto circolare lei, che è uno storico, Giannuli, il documento illuminante che qui riporta Lumumba, sarebbe stato sicuramente meglio. Se non altro, avrebbe coinvolto nel suo “ribrezzo” anche Israele, come ha tentato invano di suggerirle Aragno, bravo storico anche lui, che sul problema del linguaggio da lei usato ha posto invano l’accento, ricordando che il comportamento politico e militare della classe dirigente di Israele non merita ormai equidistanze o improvvidi paragoni. Lo ha fatto con toni moderati, senza accettare il terreno dello scontro, sul quale purtroppo lei trascina chi fa rilievi critici. A corto di argomenti, alla fine ha svicolato: “semplicemente non ci siamo capiti”, ha scritto chiudendo la discussione. Sarebbe stato più corretto riconoscere il suo errore e utilizzare il singolare: “semplicemente non ho capito”. A volte un pizzico d’umiltà non guasta. Ora il documento dei sopravvissuti all’Olocausto dovrebbe indurla a riflettere. Anch’essi propagandisti di cui provar ribrezzo?
aldogiannuli
paolo di Paola: se legge meglio il mio pezzo capisce che quella parola è riferita all’irresponsabilità di chi usa i palestinesi come gladiatori per le proprie ubbie ideologiche.
Sul ribrezzo morale anche per le azioni di Israele mi sono già espresso diverse volte e non vedo perchè debba farlo ogni volta.
Sul tono aspro delle mie repiìliche non è mai gratuito ma sempre reattivo a qualche scortesia contenuta nel messaggio iniziale e credo sia mio diritto rispondere rudemente ad insolenze e insulti. Se scorre le pagine di questo bòlog si accorgerà che rispondo sempre molto pacatamente a chi mi fa critiche in kmodo civile e non di rado accetto il punto di vista del mio interlocutore. Ma, ovviamente, se uno inizia scrivendo fra si del tipo: “Le è dato di volta il cervello” oppure “Secondo me l’autore dell’articolo non ha capito un cazzo dell’argomento” o cose simili (legga e veda quanti ce ne sono così) mi sembra giusto mandarli al diavolo in malo modo.
Con Aragno semplicemente non ho proprio capito cosa volesse dire ed ho notato che non capiva quello che io gli dicevo, forse anche colpa del mezzo che induce ad errori e nervosismi, magari parlando a voce ci capiremmo benissimo. A me è parso che nel merito le nostre posizioni non fossero poi così distanti, ma che lui lamentasse una certa mia durezza nei confronti del dissenso, senza tenere conto del modo in cui quei dissensi erano stati espressi. Ed aggiungendoci un tono canzonatorio che non era certo il modo migliore per porre la questione. Me ne spiace, ma è andata così
Le solite menate
Allora pongo a questo punto la domanda delle domande:
gli ebrei avevano diritto a costituire un loro Stato in Palestina?
Se la risposta del signor Giannuli è sì, spero che saprà motivarla.
Se la risposta è no, converrà con me che non è il tempo a sanare un’ingiustizia.
Anzi, il tempo può solo ingigantirla.
E a chi chiedeva:
dove dovrebbero andare gli israeliani?
rispondo:
lì dove sono andati i 4 milioni di palestinesi che i pulitori etnici di Haganà hanno deportato.
Nei campi profughi, oppure seguendo il ragionamento di molti pro israeliani secondo i quali dovrebbero essere i paesi arabi ad accogliere i palestinesi, potrei dire che gli israeliani “rigettati in mare” potrebbro trovare ospitalità dai loro confratelli statunitensi che tra l’altro stanno anche molto bene ecnomicamente.
Le solite menate
Questo in riferimento ai discendenti degli invasori.
Quanto invece ai discendenti degli ebrei che lì vivevano accanto ai palestinesi, prima dell’impresa coloniale sionista, potrebbero rimanere in una Palestina interetnica e pluriconfessionale.
Le solite menate
Ovviamente il diritto a rimanere si estende ai parenti acquisiti degli eredi degli ebrei che vivevano in Palestina prima della conquista sionista.
Dividere le famiglie, come hanno fatto i pulitori etnici di Haganà, sarebbe criminale.
marco
beh , signor “menate”,penso proprio che gli ebrei “pre 48” e i loro parenti la ringrazino del suo “democratico”sentire , ma , gli storici o quanti possono esprimere opinioni ,possono certamente manipolare i fatti accaduti , ma poco possono sui fatti che devono accadere;pertanto se desidera tanto accompagnare gli israeliani nel mare deve procurarsi un ak47 e usarlo perchè mi risulta che loro non siano per nulla in accordo con lei.
Stia attento a non farsi male perchè non è il risiko.
Le solite menate
signor marco, guardi che se gli israeliani non sono d’accordo con me, di certo i palestinesi non sono d’accordo con lei.
dunque, siamo pari.
a bientot…
marco
Mi scusi signor “menate”ma temo , o sono certo , di non essere riuscito a spiegarmi.
Ci riprovo con qualche speranza, o presunzione.
Vorrei riuscire a comunicarle che ogni nostra opinione , deve passare attraverso il vaglio della realizzabità, altrimenti è solo fuffa da osteria , intriso di deleteri giudizi morali.
La guerra , mi creda , è proprio il concreto contrario della morale.
Se lo immagina il generale zukov o konev o montgomery o patton che si fanno scrupoli se le katiuscia o le bombe cadono su un ospedale berlinese piuttosto che su un asilo di piccoli tedeschi?
La follia dei tempi odierni , è che i nazisti non mettevano le contraeree vicino agli asili come tutti gli attaccati fanno.Perchè?
Sono forse più civili i nazisti degli irakeni o belgradesi o palestinesi? Certo che no!Il problema è che oggi la guerra , una buona parte di essa , la fanno i media , perchè da essi dipende il consenso ,le opinioni , cioè il denaro , cioè il potere.
Questo per dirle che se lei vuole leggere la guerra deve liberarsi da giudizi morali di bene , giusto , terribile , carneficina ,massacro , genocidio ecc. ecc. perchè nel momento in cui accetta la partita , deve accettare le regole e lasciar perdere i media; deve azzittare la pancia , come fanno i militari che freddamante prendono decioni di fattibilità , pesando bene costi (perdite) e benefici.
Pertanto, in guerra , per chi la considera tale , non fa alcuno scandalo l’uso del terrorismo da parte di chi ritiene sia la giusta strategia , non scandalizzano i missili di hamas contro i civili israeliani ;ovviamente , anche le risposte israeliane non provocano stupore in coloro che hanno capito che la guerra nulla ha a che fare col bene e buono.
E’ come se lei , dopo aver giocato a golf per anni , cominciasse a giocare a rugby e , dopo un maschio contatto , se la prendesse col suo avversario perchè scorretto.Risulterebbe ridicolo!
Ecco , mi perdoni , sinceramente , la sua speranza di vedere gli israeliani in mediterraneo mi pare solo ridicola.Conta nulla quello che pensa lei o io o i palestinesi , l’unica cosa che conta è quello che pensano gli israeliani , cioè coloro i quali dovrebbero nuotare. Non trova?O per lei non conta?Hanno armi di quantità e qualità da annichilire il nostro paese popolato dieci volte il loro.Le loro truppe hanno un livello di efficienza riconosciuto da tutto il mondo.Apro parentesi.Lei lo sa che i loro piloti , nei “meeting” NATO , da svariati anni stracciano letteralmente i piloti usa o italiani o tedeschi ecc ecc , tutti…..non c’è storia.Sono in allarme di guerra dal 48 , provi a immaginare il livello di efficienza.
Ma il fatto più significativo , del quale tiene poco conto , è che nessuno , proprio nessuno di loro è disposto a lasciare l’unico paese al mondo dove loro possano essere liberi di essere ebrei , senza dover ascoltare con ansia le news , perchè un doge , uno zar , un coglione di predappio o un’imbianchino austriaco ha deciso di togliere loro la dignità.
Questo , mi creda , non avverà mai più , e se avverrà sarà un’altra Stalingrado con relativa esplosione atomica.
Non avverrà ; l’unica speranza percorribile è un compromesso di pace.
Se così non sarà , la guerra non avrà fine , e tutto l’insopportabile rumore di fondo dei media continuerà.
Buona serata.