Si apre il dibattito sull’Euro in Rifondazione comunista?
Di seguito vi propongo il testo dell’interevnto (nella riunione di luglio scorso della Direzione di Rifondazione Comunista) di Dino Greco, già seretario della Camera del lavoro di Brescia ed ultimo direttore di Liberazione. Nonostante mi sembra che faccia molti “sconti” a Tsipras, il discorso mi sembra un interessante avvio di dibattito sulla questione dell’Euro all’interno di Rifondazione, è auspicabile che esso abbia seguito. AG
Intervento di Dino Greco alla Direzione del Prc del 25 luglio 2015 sulla questione greca
La cosa più semplice, diretta e, purtroppo, definitiva l’ha detta Lucio Carracciolo (direttore di Limes), quando ha scritto che dopo l’accordo della capitolazione “la Grecia cessa di esistere come Stato indipendente”. Non ancora nella forma, ma certo nella sostanza. “Restano i Greci”, ma espropriati di tutto: della giurisdizione politica, economica, sociale.
Ciò perché l’intesa ha il carattere, neppure dissimulato, di una resa senza condizioni.
E’ davvero come se il board dell’Ue fosse entrato ad Atene alla guida dei tanks col mandato di non fare prigionieri e il signor Schauble avesse infine messo il suo sigillo sull’occupazione sbattendo sulla bilancia la “spada di Brenno”.
Il congegno del diktat è concepito per prefigurare una colonizzazione stabile del paese, la sua trasformazione in un protettorato su cui veglia la resuscitata troika, i cui funzionari, prima ripudiati dal governo greco, torneranno come cani da guardia a controllare l’attuazione di ogni singolo punto dell’accordo, prima ancora che su di esso si pronunci (pletoricamente) il parlamento preso in ostaggio insieme al popolo di Grecia.
Evito di riassumere qui l’impressionante incalzare del diktat, i contenuti scolpiti nelle 7 pagine del nuovo memorandum. Alla condizione però che essi siano tenuti ben presenti. Perché c’è un antico vizio, nella sinistra, ed è la tendenza a rimuovere le sconfitte (in questo caso la drammatica materialità di quell’intesa) per “buttarla in politica” e assolversi dall’urgenza di una rielaborazione critica delle proprie tesi.
Di questa pessima abitudine ha in questi giorni libero corso una versione ancor più paradossale, quella secondo cui l’accordo è una tagliola talmente pesante da non potere essere applicata: dunque – sento dire – è come se non esistesse!
Invece l’accordo esiste eccome, come esistono i pretoriani (gli euroburocrati di Bruxelles e Berlino) che vegliano al minuto su ciascun atto legislativo al fine di garantirne la meticolosa applicazione.
Vorrei essere chiaro su un punto preliminare: la questione non si pone in termini di “tradimento”, scorciatoia fuorviante di ogni querelle che annega il dibattito a sinistra in un mare di inutili e autolesionistici insulti.
Tsipras non è Vidkun Quisling. Semmai è una figura tragica che i fatti rischiano di trasformare nell’esecutore testamentario del referendum. Alla radice dell’esito del lungo braccio di ferro c’è un errore (fatale) di comprensione teorica della realtà dell’Unione europea, errore del quale la stessa sinistra radicale italiana divide la paternità.
L’errore è consistito (consiste?) nel ritenere che con la Commissione europea, con la Bce, con il Fmi sia possibile negoziare la fine (o almeno l’attenuazione) dell’austerity.
Un po’ come se una vittima dei “cravattari” si illudesse di potere concordare con i propri aguzzini la fine dell’usura.
Ricordo, per inciso, che quasi tutta la sinistra italiana aveva creduto che le dimissioni di Varufakis, intervenute dopo la vittoria nel referendum e prima che se ne conoscessero le reali ragioni, potessero essere un viatico positivo per l’accordo, quasi che ad impedirlo fosse ormai soltanto un conflitto di caratteri fra i ministri delle finanze greco e tedesco!
Il fatto che non si dovrebbe mai dimenticare è che l’austerity non è altro che la principale missione politica delle classi dominanti europee (privatizzazione integrale, abolizione del welfare, deflazione salariale, concentrazione di potere e ricchezza, mercatismo assoluto, ecc.). E che l’architettura congegnata per rendere inespugnabile questo modo dell’accumulazione, dell’appropriazione privata, dell’estrazione di plusvalore assoluto dal lavoro non può essere incrinata con il consenso dei suoi artefici che in quel caso vedrebbero messa in discussione la propria ragione di esistenza.
Non avere compreso l’irriducibilità del proprio antagonista ha fatto ritenere che la ragionevolezza delle proprie posizioni, il carattere manifestamente ingiusto e per giunta inefficace delle misure imposte sino ad allora alla Grecia potesse dischiudere la porta ad un’intesa positiva.
Nulla di più illusorio.
La trattativa si è svolta su un binario a senso unico, con la dichiarazione condivisa che i trattati europei, a partire dalla moneta, non erano in discussione, e che l’accordo si sarebbe potuto raggiungere solo entro e non al di fuori del perimetro dato.
Poi, una volta scoperto che davanti c’era un muro invalicabile si è detto che la sproporzione nei rapporti di forza era talmente grande da non consentire un esito diverso e che la firma era obbligata.
Ma che i rapporti di forza fossero questi e non altri era ben noto a tutti sin dall’inizio, anche quando si davano per certe la fine dell’austerity e la sconfitta della troika.
E allora?
Il fatto è che ad una ipotesi alternativa, ad un’altra via d’uscita, che mettesse in conto di non firmare la capitolazione anche a prezzo di subire l’uscita dall’euro non si è mai pensato, se non in chiave di tattica negoziale (Varufakis), anch’essa rigettata dalla maggioranza della segreteria di Syriza.
La convinzione che non esistesse una via d’uscita ha fatto sì che la straripante vittoria dell’oki sia stata paradossalmente usata non per sfidare la troika, ma per rendere le armi, senza nulla più negoziare, sotto il ricatto della “grexit” brandito dalla Germania come una clava.
L’accordo (per usare le stesse parole con cui Tsipras commentò le proposte dell’Ue appena prima della resa) è “umiliazione e disastro”, un taglieggiamento dai contenuti violentemente recessivi, un percorso che conduce esattamente là dove la Grecia è stata portata dagli altri memorandum.
Un accordo che distrugge Syriza (o ne muta in radice la natura) perché il vulnus democratico inferto al partito è fortissimo e alquanto difficile da riassorbire.
E’ questo un fatto incontrovertibile che nessuna acrobazia dialettica può relativizzare: mentre la maggioranza del comitato centrale del partito (e non solo la sinistra) respingeva l’accordo il suo segretario andava da un’altra parte, costruendo una nuova maggioranza parlamentare necessaria per approvare l’intesa col voto decisivo degli oligarchi di Potami, dei corrotti del Pasok e della destra di Nuova democrazia.
Ma c’è di più: ora si sta spiegando che l’accordo fotocopia dei precedenti, contro i quali Syriza è nata, ha combattuto e vinto, lascia dischiusa una strada: quello che fino ad un giorno prima era considerato un obbrobrio indifendibile e una taglia insopportabile sul popolo greco diventa una “non sconfitta” che può rilanciare la lotta interna.
Il governo greco oggi simula un’autonomia che in realtà non gli è concessa.
Ecco, io credo che c’è una cosa peggiore del disfattismo ed è la capacità (di cui la sinistra italiana ha credenziali da master universitario) di trasformare le sconfitte in vittorie, il che equivale a non elaborarne e a non apprenderne la lezione, rimanendo prigionieri di una sorta di coazione a ripetere, a percorrere le strade di sempre anche se senza via d’uscita.
E allora?
Nei confronti di Syriza, di Tsipras, del popolo greco tutta la sinistra italiana ha un enorme debito di riconoscenza. Da soli, contro il moloch europeo, hanno saputo ribellarsi e mettere a nudo la violenza cieca del potere incardinato nelle istituzioni continentali, hanno disvelato la natura degli interessi che esso rappresenta mostrandone sino in fondo il carattere predatorio, hanno strappato le lenti deformanti con le quali certo progressismo aveva educato a guardare all’Europa.
Ma hanno anche dimostrato, a loro spese e a memoria di tutti, che quella immensa prova di coraggio e di generosità non basta, perché il meccanismo infernale che hanno combattuto pensando di piegarlo non è emendabile, non è riformabile dall’interno.
La questione di cui occorre prendere finalmente atto è che l’Ue, i trattati che ne formano l’ossatura e la moneta sono esattamente la stessa cosa, per concatenazione logica e simbolizzazione reciproca; e che l’euro è l’instrumentum regni, la tecnicalità monetaria di una politica socialmente reazionaria, di una inaudita oppressione di classe che trascina con sé una drammatica fuoriuscita dalla democrazia.
L’epilogo della vicenda greca dimostra che l’intera configurazione della formazione economico-sociale europea è una “gabbia d’acciaio” dalle cui maglie non si esce se non rompendola.
Vedo che cominciano a capirlo in molti: da Paul Krugman (che da quando se n’è convinto non scrive più su Repubblica) a Oskar Lafontaine, da James Galbraith a Stefano Fassina (che da quando si è affrancato dalla morsa del Pd dice persino cose sensate).
Ebbene, ho l’impressione che l’analisi materialistica della reale essenza dell’Ue noi fatichiamo ancora a compierla, per affidarci, nella pratica (che gramscianamente rivela il nostro reale ambito teorico) a pur generose illusioni volontaristiche.
E’ come se fossimo prigionieri di una sorta di blocco del pensiero, di conformistica adesione all’idea che fuori dall’euro non c’è che il disastro, la degenerazione nazionalistica, la caduta in un buco nero e un’inevitabile deriva reazionaria: anche noi, in certo qual modo, siamo succubi di un nostro “there is no alternative”.
Sicché nessun memorandum, neppure l’inevitabile avvitamento della crisi su se stessa, neppure la distruzione sempre più evidente di ogni aspetto della sovranità nazionale, sono riusciti a sciogliere in noi il timor panico per un’ipotesi che si configuri come vera rottura delle regole del gioco imposte dal capitale, per un salto di paradigma che non ci consegni sistematicamente alla sconfitta.
Eppure chi, se non i comunisti, dovrebbe essere capace di pensiero creativo, dunque “divergente”, tale da rompere continuamente gli schemi dell’esperienza e pensare il non già pensato.
L’elaborazione di una diversa proposta è oggi per noi (per l’esistenza stessa di una sinistra italiana) una necessità vitale. Altrimenti i già zoppicanti tentativi di rendere credibile e fare vivere l’Altra Europa e di immaginare “costituenti” della sinistra antiliberista nascono senza futuro, già con dentro inoculato il virus della dissoluzione.
L’Europa di cui abbiamo discusso sino a ieri e nelle cui coordinate si è mossa la nostra strategia è morta e sepolta. Continuare ad investire sulla sua riformabilità, alimentare questo equivoco significa condannarsi ad un suicidio politico che si compirebbe definitivamente con la firma del TTIP e con l’entrata in vigore del fiscal compact.
Diciamolo in questo modo: se la conclusione della partita greca viene considerata una “contingente necessità” siamo tutti in un cul de sac. Perché nessuno avrà la forza di provarci più.
Un’ultima considerazione su un tema che è spesso tornato nelle nostre discussioni.
Dovrebbe essere ormai chiaro (anche questo è un apprendimento da non buttare) che proprio questa Europa è la più feconda culla del peggior nazionalismo.
Come ha scritto recentemente Marco Bascetta, nella fase più dura dello scontro fra Grecia e Germania il giudizio ricorrente nella stampa tedesca era che il popolo greco è “naturalmente infido”, culturalmente “inquinante”, “moralmente riprovevole”, “parassita”, e – nei casi peggiori – “miscuglio bastardo di Slavi, Turchi e Albanesi”, “altro che età di Pericle”, dunque.
Siamo a pochi passi – ammoniva Bascetta – dal confine invalicabile della dottrina razziale.
Questa è l’altra non meno pericolosa faccia del nazionalismo: il revanscismo sciovinistico tedesco, il bozzolo reazionario coltivato nell’involucro dell’Ue, la costruzione stabile di una gerarchia inossidabile di Stati con in testa la Germania come dominus per vocazione da una parte e i subalterni per costrizione dall’altra.
C’è una strada stretta che noi dobbiamo percorrere. Quella che impone, ad ogni costo, il recupero di una sovranità nazionale da incardinare su una strategia di riunificazione e difesa del lavoro e su una nuova tessitura solidaristica capace di trascendere i confini nazionali per costruire, su una proposta finalmente chiara, una trama democratica che l’attuale assetto dei poteri europei impedisce in radice.
Si tratta, per dirla con le parole di Mimmo Porcaro, di elaborare un nazionalismo democratico, lavorista, solidarista e antirazzista, diametralmente opposto alle farneticazioni reazionarie di Salvini.
Senza questo cimento temo che sarà il capataz leghista ad avere la meglio.
L’uscita dall’euro prima o poi ci sarà comunque, per autocombustione, ma a quel punto non saremo certo noi a determinarne la direzione.
Dino Greco
aldo giannuli, austerità, bce, crisi grecia, dino greco, euro, europa, grexit, lega, liberismo, mimmo porcaro, moneta unica, pd, rifondazione comunista, salvini, tsipras
ilBuonPeppe
Ma che vuole questo qui? Ma non si vergogna?
C’è stato un errore… e bravo! Sì, però lo ha commesso qualcun altro.
Bei giri di parole, bella analisi, ma alla fine tutto il gioco serve solo per non dire le paroline magiche “ci siamo sbagliati, non abbiamo capito niente” (e la metto giù morbida).
Questa gente deve emigrare. Su Marte.
Gian Antonio
Forse ci sono forme di vita intelligenti nel prc. Speriamo non vengano sterminate dagli insulsi euroidioti.
andrea z.
Sempre sulla fine dell’Europa a causa dell’ autoritarismo bancario:
https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/08/05/la-fine-dell-euroforia/
andrea z.
E’ un intervento che dimostra come a sinistra forse qualcuno ha capito il progetto dei centri finanziari.
Che è poi un piano di una semplicità disarmante: si tratta di rendere i popoli , con la complicità dei loro governanti, in uno stato di debito perenne e poi di vivere di rendita sul pagamento degli interessi e imporre un dominio politico fondato sul ricatto del mancato pagamento.
La Ue, l’euro, la BCE, la Commissione etc.etc. sono tutti strumenti che devono portare l’elite finanziaria transnazionale, come la chiama in un suo libro Domenico Moro, ad estendere un dominio perfettamente legale ed accettato, sul resto della popolazione mondiale.
E’ un piano di grande respiro, iniziato negli anni ’80, che l’elite economica e i loro aiutanti politici stanno portando a termine con una determinazione spaventosa, senza margini di trattativa, senza concedere nulla a chi non sta dalla loro parte.
E’ proprio la grandiosità e l’ampiezza di questo progetto che lo rende difficile da decifrare; speriamo che finalmente a sinistra qualcuno si svegli dal sonno pluridecennale.
Giovanni Talpone
L’intervento di Dino Greco mi sembra un’eccellente sintesi dei modi con cui una parte della Sinistra si suiciderà. Il dissenso non è sull’analisi dell’asservimento dell’Europa attuale alla politica economica più restrittiva e reazionaria che si possa immaginare: le cose stanno proprio così. La fantascienza è immaginare che si possa tornare allo Stato Nazionale, facendo nascere dal nulla una classe dirigente onesta, disinteressata, leale, competente, coesa, in grado di disegnare una nicchia di benessere e sviluppo per l’Italia e reggere un continuo conflitto con il resto del Mondo Capitalistico Globalizzato su uso delle risorse non rinnovabili, diritti umani, welfare, migrazioni, diritti dei lavoratori, politica monetaria, corridoi di trasporto a lunga distanza, politica militare, OGM e brevettabilità del DNA, lotta al terrorismo, politica energetica, trattati economici multilaterali, gestione di internet, spionaggio pervasivo, ricerca sanitaria e farmacologica, lotta alla criminalità organizzata… e sicuramente sto dimenticando varie altre cose importanti. Se uno crede a ciò, può credere a qualsiasi cosa.
Claudio Luppi
L’analisi è senza dubbio condivisibile, anche se tende alla comprensione degli errori tragici della sinistra tsipriota. Purtroppo è tardiva. Troppo in ritardo sugli eventi e sulle conseguenze dei popoli europei colpiti dalla aggressione ordoliberista. Come è stato possibile per tutta la sinistra (attenzione, non sto parlando del PD che sinistra non è mai stata) appiattirsi su questa UE forgiata dalle teorie mercatiste e fasciste di von Hayeck ? Che senso ha dichiarare opposizione all’ austerità contabile nel sistema di rigidità monetaria che favorisce l’ economia germanica ? Come è possibile aver ignorato, ripeto ignorato e spesso insultato, un economista come Alberto Bagnai, che in solitudine dal 2011, con libri e pubblicazioni, un blog seguitissimo ( strumento culturale impareggiabile), mostra a noi tutti e con una analisi ineccepibile dal punto di vista economico-storico-politico dichiaratamente di sinistra e keynesiana quello che appare oggi manifestamente reale e incontestabile ? Miopia ? Non saprei. Rimane per me senza risposta la domanda: come sia stato possibile a sinistra rifiutarsi di analizzare criticamente il sogno europeo, divenuto incubo, senza comprendere quale significato profondamente distruttivo e classista avessero per welfare, salari e diritti le regole, i trattati, la essenza stessa della moneta unica ? Molti dovranno fare i conti con questa incapacità di analisi e con gli errori commessi e non credo basterà chiedere scusa perché le conseguenze sui ceti colpiti dalla crisi e dalle misure antipopolari sono e saranno in futuro terribili. L’ incapacità di cogliere elementi di verità inoppugnabile è apparsa al limite dell’ ottusità o, ma non voglio crederlo, della complicità. Non parliamo di Quisling, ma come spieghiamo l’ adagiarsi supino sulle regole del gioco scritte e volute dai ceti dominanti per consentire un solo esito: la sconfitta dei lavoratori, la cancellazione dei diritti, della sovranità e della democrazia costituzionale. Se avete qualche dubbio sulla deriva anticostituzionale dei trattati europei e della UE andate a leggere qualche articolo di Luciano Barra Caracciolo o il suo bellissimo libro. Le tragedie e i tanti morti (suicidi aumentati del 400 %) che contrappuntano il percorso della crisi non possono essere cancellati con un “mi spiace, ci siamo sbagliati”. Ripeto fino alla noia. Tutto era previsto e prevedibile, bastava avere orecchie attente ed occhi aperti. Fin dal 1996, per esempio, quando si parlava della moneta unica europea, e un certo Rudiger Dornbusch, professore di economia al MIT di Boston per 27 anni, uno dei più autorevoli e apprezzati economisti mondiali, maestro di P. Krugman, scrisse su Foreign Affairs parole dure e profetiche che andrebbero scolpite nella pietra : “if there was ever a bad idea, EMU it is.” E lo spiegò con dovizia di motivazioni ineccepibili dal punto di vista della dottrina economica. Quindi, concludendo, mi chiedo: perché quello che era chiaro persino a Napolitano e a Luciano Barca nel 1978 (andate a leggere le dichiarazioni sullo SME e sul significato antioperaio e deflattivo della rigidità del cambio monetario !), negli anni dell’ euro è divenuto tutto nebuloso, impossibile da decifrare ? A voi la risposta.
Gaz
Per tutte le balene dei Sargassi ! Nella Fondazione bancaria comunista si continua a scontare le cambiali, mente gli anseatici con la Grecia non anticipano neppure un euro di tasca propria e dettano legge. L’euro porta alla neuro. Non dico di leggere Keynes, ma almeno di vedervi un cartone animato di Popeye the Sailor Man.
roberto buffagni
Il politico si fonda sulla coppia di opposti amico/nemico. L’europeismo di sinistra, del quale Syriza è un esponente tipico, ha creduto che la UE fosse un compagno che sbaglia, al massimo un avversario, non un nemico. Cioè a dire, l’europeismo di sinistra replica, nei confronti della UE, l’atteggiamento che il “comunismo critico” tenne nei confronti dell’URSS. Il “comunismo realmente esistente” sovietico era falso e cattivo, il “comunismo possibile” vero e buono. Poi, però, nei momenti decisivi, anche il comunista critico doveva appoggiare il “comunismo realmente esistente” contro il Nemico con la maiuscola, il Nemico Assoluto: il Fascismo, la destra, la reazione, etc.
Sostituite URSS con UE, fascismo con populismo, leghismo, etc., e vedete che la dinamica è identica.
Positivo, molto positivo che Dino Greco si accorga, benchè in ritardo, che la UE è un nemico. Resta da compiere il passo ulteriore: definire il nemico principale, secondo l’insegnamento di Lenin.
Se il nemico principale è la UE, allora tutti i nemici della UE (esclusi quelli incompatibili con la nostra civiltà, es. l’ISIS) sono possibili alleati: compreso il “farneticante reazionario Salvini”, compreso il FN di Marine Le Pen, V. Orbàn, etc.
Se invece il nemico principale di Dino Greco è “la reazione”, cioè le forze nazionaliste, populiste, “di destra”, etc. – le quali, si noti bene, sono le più importanti forze antiUe e antieuro che esistano in Europa, sinora le uniche che abbiano la possibilità di vincere – allora il campo che Greco implicitamente sceglie è lo stesso campo della UE realmente esistente, all’interno della quale egli continuerà a muoversi, come “ala sinistra critica” delle forze che hanno colonizzato la Grecia.
E’ per questa subalternità culturale al progetto UE che Tsipras ha portato il suo paese alla sconfitta e al disonore, e sarà ricordato come un emulo di Pietro Badoglio.
Herr Lampe
Per quel po’ di storia che ho studiato non mi pare che si possa dire di Lenin che si scegliesse gli alleati secondo la regola “il nemico del mio nemico è amico” (lasciamo perdere il treno per favore…).
Di Stalin sì, per carità, di Lenin no.
Questa storia che il “fascismo europeista” (usando a caso un termine storico preciso per un preciso fenomeno politico, tanto poi si può dire due righe dopo che la Ue è sovietica e via scemenziando) si debba combattere alleati con il fascismo dichiarato di Alba Dorata o quello non dichiarato della Lega mi sta un po’ stancando.
Poi ognuno è libero di sostenere le lievi imprecisioni (cit.) che preferisce. Ci mancherebbe.
roberto buffagni
Quando Lenin ha fatto la scelta strategica di porre termine, a qualsiasi costo, alla partecipazione russa alla IGM (e il costo sarebbe stata Brest-Litovsk, un trattato catastrofico per la Russia), si è alleato con tutti coloro che volevano lo stesso fine, Imperi Centrali (non esattamente comunisti o progressisti) al primo posto, e ha designato come nemici tutti coloro (per esempio i socialrivoluzionari) che pur condividendo la lotta contro lo zarismo e l’obiettivo di instaurare il socialismo in Russia, volevano la continuazione della guerra (e infatti i socialrivoluzionari hanno anche tentato di ucciderlo). Qui non è questione di Lenin, Stalin o Topolino, è la dinamica politica che è fatta così, piaccia o meno.
Mi spiace di affaticarla, ma vede: io lo capisco benissimo, perchè lei e molti altri chiamate la UE “fascismo europeista”: per sottolinearne l’antidemocraticità, l’illegittimità e l’incostituzionalità (giudizio sul quale concordo). Però, l’apposizione dell’etichetta “fascista” alla UE e all’euro segnala una contraddizione che rischia d’essere incapacitante, e un equivoco pericoloso. Perché? In primo luogo, perché non tutti i regimi antidemocratici sono fascisti: anzi, in questo caso è vero l’esatto opposto. Sono proprio gli eredi legittimi dell’antifascismo (USA + classi dirigenti antifasciste europee, socialdemocratiche, liberali e cattoliche) ad avere impiantato e a sostenere UE ed euro. Mentre il fascismo (che si è reso storicamente responsabile di mali ben più gravi dell’euro e della UE) è affatto incompatibile con UE ed euro: il fascismo storico è una forma estrema di nazionalismo, che tutto avrebbe potuto fare tranne regalare sovranità a una entità sovrannazionale come la UE; il fascismo storico fu anche antiliberale, statalista e dirigista, e dunque non avrebbe mai sostenuto il “più mercato meno Stato”, la libera circolazione di capitali e forza lavoro, la doverosa accoglienza di un numero imprecisato di stranieri sul suolo nazionale, e le altre formule liberali e liberiste care alla UE.
Se si continua a usare la parola “fascismo” per indicare il Male (e di converso la parola “antifascismo” per indicare “il Bene”) si esce dall’analisi politica e storica razionali, e si entra nel dominio del pensiero magico, quello dove l’aritmetica si riassume nella quinta operazione (L. Kolakowski) : quella dove prima si stabilisce il risultato, e poi si adattano i fattori in modo che esso non muti.
Che le forze nazionaliste o populiste che si oppongono alla UE e all’euro possano essere pericolose, nessuno lo nega (tutte le forze politiche possono essere pericolose, sennò non sono forze: la forza è pericolosa per definizione). La domanda è: è più pericolosa la UE+euro (la UE+euro così come sono, non come potrebbero essere nel mondo dei sogni) o sono più pericolosi i nazionalismi e i populismi europei? Se non si sceglie non si fa politica, si fanno chiacchiere e confusione (delle quali abitualmente profitta chi ha interesse a che tutto resti com’è).
Aldo Giannuli
non è proprio così e magari ci scriverò su un pezzo
Herr Lampe
Mi pareva di aver scritto che l’espressione “fascismo europeista” è una espressione idiota, sarà mica che ricordo male?
Quanto a Lenin il suo argomento è ben noto. Purtroppo confonde il senso della parola “allearsi” (Lenin non si “alleò” con il Kaiser, contro cui dovette combattere fino a marzo del ’18, per dirne una). Me ne farò una ragione (così come della buona norma di contenere i commenti ;))
Aldo Giannuli
ma perchè lo dice a me?
roberto buffagni
In attesa del pezzo, che leggerò molto volentieri, la ringrazio dell’attenzione e preciso il mio pensiero. Personalmente NON ritengo possibile, oggi in Italia, la costituzione di una alleanza tra destra e sinistra antiUE/euro. Non la ritengo possibile per ragioni d’ordine culturale e storico, liofilizzabili nel problema “permanenza dell’antifascismo in assenza di fascismo” o anche “persuasione che il fascismo sia una categoria eterna dello spirito e non un fenomeno d’ordine storico”. Il fatto è, però, che così inteso l’antifascismo diventa una trappola mortale: ogni forza di destra diventa un avatar del Fascismo Eterno, e dunque una incarnazione del Nemico Assoluto, del Nemico Teologico. Basta tirar fuori il babau del risorgere del fascismo (via via incarnato in Craxi, Berlusconi, Salvini, M. Le Pen, Paperino) e allora sì che scatta il meccanismo schmittiano amico/nemico: vulgo, “sempre meglio la UE e l’euro del fascismo, adesso l’hanno sequestrata i mercati finanziari cattivi, ma noi lavoreremo dal basso per spostarla a sinistra e farla divenire la vera UE da noi sognata dove i lendemains chantent, etc.” Ciao core…
Un motivo per cui, in Europa, a opporsi sul serio alla UE e all’euro sono solo forze provenienti da destra non le pare che ci debba essere? Gli anni Trenta sono finiti. Chi combatte la guerra ultima scorsa, perde sempre quella in corso.
Aldo Giannuli
se è per questo neanche io auspico una alleanza così ibrida, ma spero che la sinistra prenda in mano la tematica dell’uscita dall’euro
Junius
@Roberto
Condivido solo parzialmente l’analisi: il fascismo fu, come il nazismo *E* come l’europeismo, espressione del grande capitale: quindi LIBERALE per definizione.
Fanculo le distinzioni crociane che menano solo confusione.
Le politiche ultraliberiste del fascismo son proseguite sino alla crisi del ’29: altro che stato!
Spinelli, Rossi, De Gasperi, Monnet, Churchill, Kalergi, de Rougemont, Robbins, Einaudi, Röpke, Ribbentrop, Funke erano tutti imparentati con il capitale. Non sicuramente con i lavoratori: rileggiti Lenin e la Luxemburg cosa scrivevano dell’europeismo.
Le tre ideologie sono tutte sovrastrutture del complesso finanziario e industriale europeo in diverse fasi storiche e con diverse esigenze geografiche del capitale. In Italia ha rappresentato il matrimonio tra imprenditoria agricola e industriale con la funzione – su tutte – di disciplinare i lavoratori.
L’URSS no!
Poi si può discutere sul rapporto tra deficit democratico e imperialismo: ma il socialismo reale – nonostante la FORMA fascio-poliziesca dello stalinismo – non c’entra un’emerita con la SOSTANZA delle altre grandi ideologie della modernità.
Il nazifascismo era nazionalista solo a livello di propaganda imperialista, e, come ricordava la Aarendt, fu INTERNAZIONALISTA, detestava quelli che Hitler chiamava “campanilismi da ridurre in macerie”.
Lenin era il primo nazionalista quando c’era da difendere la Russia socialista: l’Internazionale socialista non c’entra una fava con il delirio cosmopolita di questi minus habens falliti che dal ’68 bestemmiano all’unisono la lotta COMUNISTA.
Aldo Giannuli
si però Lenin e tanto meno la luxmburg non avrebbero mai messo nello stesso mazzo Einaudi, ribbentrop Spinelli, Funke, Kalergi ec. Mi sa che qui andiamo un po’ all’ingrosso
Herr Lampe
Rispetto alla domanda delle 18:22 (se rivolta a me): non mi rivolgevo a lei ma a Buffagni. (credo che il mio browser abbia qualche problema, non visualizza sempre “reply”)
Aldo Giannuli
era riportata come risposta a me per questo chiedevo
Junius
@Professore
Non c’è provocazione a cui non casca… :o)
E perché non avrebbero dovuto? Magari Rosa, come tutte le “aquile” avrebbe fatto le sue stesse obiezioni… cadendo in picchiata. Poi avrebbe capito e “sarebbe tornata a volare alta”.
Lenin avrebbe capito “al volo” e avrebbe corretto in meglio. (Mettendo subito a prova la mia ortodossia… sigh!)
Entrambi conoscevano a sufficienza la storia del pensiero economico, e i socialisti che appartengono alla tradizione marxiana si presume che la conoscano.
Insomma, la sintesi di storia delle filosofia e delle scienze economiche. Quella necessaria per comprendere l’imbecillità delle discussioni “fascisti” Vs. “antifascisti” che, comunque, il buon Buffagni non argomenta a dovere (per ovvi problemi di carattere ideologico: è ovviamente un “liberale”. Ed essendo uno studioso delle classi subalterne è per definizione uno che non capisce nulla di storia del pensiero economico. Come Croce e a differenza del molto più pericoloso Einaudi (Che era l’Hayek italico, o il Giavazzi del fascismo…).
Bene: è evidente che il socialista neoliberal sorride come Lerner a veder citato nel paniere di celebri europeisti l’antifascista Spinelli con il genocida nazista Funk.
Ma, vede… hanno tutti una cosa in comune: sono contro i “miopi localismi”, vogliono il superstato europeo in vista della soluzione mondialista, sono tutti a parole pacifisti (anche Ribbentrop nella propaganda nazista degli anni ’30…), e sono legati TUTTI all’alta finanza o alla “vecchia nobiltà”. Conosce sicuramente la storia di Spinelli e dell’eroico fratello Vaniero, con parantele a 360 gradi annesse…
Insomma: sono tutti LIBEROSCAMBISTI e MONETAUNICISTI. (D’altronde son “mondialisti”…).
Poi certo: se uno non sa una mazza di ‘sta robaccia, che differenza c’è tra URSS ed EURSS? Non esistono più destra e sinistra, la lotta è “sotto contro sopra”, evviva il socialismo liberal, evviva l’eurocomunismo… e i fascisti sono sempre gli altri.
Poi arriva BeppeBritannia.UK.it e si mette a instillare il sommo pensiero reazionario delle maggiori élite mondialiste e trova dai trotzkijsti la praticamente inesistente CRITICA IDEOLOGICA al devastante messaggio grillino (complementare ai compagni della finanza di PD e SEL… e Prc)
Guardi: sarò lapidario, perché non scherzo. Lenin (ma forse neanche Trotskij) non avrebbe mai basato le proprie analisi sulla divulgazione di Rogoff o della Reinhart. Se non come analisi della propaganda nemica della ESTREMA DESTRA ECONOMICA.
E i VERI socialisti sanno che il pensiero politico è sovrastruttura di quello economico.
Paolo Federico
A Junius
Tante belle analisi e voli pindarici, ma alla fine della festa il capitalismo ha trasformato una massa miserabile la cui unica ricchezza era la prole in una agiata e colta classe media, mentre il socialismo reale ha prodotto tante sofferenze come 30 milioni di contadini russi morti ammazzati. Questa è la storia, la realtà e non altro.
E che il capitalismo non l’abbia fatto per filantropia e il socialismo reale non l’abbia fatto che per necessità , non sposta di una virgola la realtà delle cose.
Naturalmente lungi da me l’idea di sostenere bene uno e male l’altro, ma neanche puoi venire a dirmi che non era vero capitalismo e non era vero socialismo, come ho letto affermare da qualcuno.
roberto buffagni
@ Herr Lampe
Nel suo intervento dell’8 agosto non m’era parso di poter leggere che “l’espressione “fascismo europeista” è una espressione idiota”. Se l’ho fraintesa, me ne scuso. Quanto al resto: “allearsi” non significa “trovarsi simpatici” o “volersi bene”; non significa necessariamente neanche “avere lo stesso fine ultimo”. Significa “combattere lo stesso nemico”. Lenin non si è alleato con gli Imperi Centrali perchè trovava simpatico il Kaiser; nè era un agente tedesco, anche se ha accettato la proposta e l’aiuto determinante dei servizi segreti imperiali. Si è alleato con gli Imperi Centrali nel perseguimento dell’obiettivo strategico comune: rovesciamento dello zarismo e uscita della Russia dalla IGM.
Herr Lampe
Scuse accettate, del resto può rivedere quanto scritto tra parentesi dopo il virgolettato “fascismo europeista”.
Per il resto mantengo le mie riserve sulla sua accezione di alleanza, ma sono sicuro se ne farà una ragione.
roberto buffagni
Nella guerra dei Trent’anni, il cardinale di Santa Romana Chiesa Richelieu si è alleato con le potenze protestanti contro la Spagna cattolica. Non vi si è alleato perchè preferisse il protestantesimo al cattolicesimo, ma per difendere la Francia dalla Spagna.
Ecco l’accezione di alleanza alla quale mi riferisco.
Herr Lampe
Do per scontato quindi che ci siamo intesi sul “fascismo europeista”.
In realtà, rileggendo, l’errore è stato mio: le sue tesi (fasci e rossi uniti contro il Grande Satana di Bruxelles, mi passerà l’antifrasi) sono molto simili a quelle di chi usa questa espressione, quindi l’avevo messa in quel calderone.
Pardon.
Ps: visto che è un conservatore, ma al tempo stesso filologo leniniano, la conosce per caso quella di Kerenskij e della corda? Cordiali saluti.
Paolo Federico
Concordo con i commenti che precedono. Troppo tardi! Troppo tardi!Queste cose Prc doveva dirle negli anni novanta o nei primi anni del duemila e se non la hanno dette è perché, semplice semplice, non le hanno capite.
E allora fatevi da parte che nei vostri discorsi e nei vostri occhi, altro che grande progetto politico, si legge solo smarrimento e lasciate che a parlare siano quelli che da sempre hanno tenuto i piedi ben saldi sulla terra, che guardando al sodo, alla realtà minuta di tutti i giorni, dimostrano di avere idee chiare e ferme sul da farsi, giuste o sbagliate che siano ( questo solo il tempo potrà dirlo ).
marcot
Buongiorno Prof. Giannuli,
Condivido interamente il contenuto dell’articolo, con un piccolo dettaglio: il PRC si sta accorgendo ora di cose che a me erano chiarissime 16 Anni fa, ossia quando il PRC votava in aula a favore dell’Euro.
Consiglio ai Rifondaroli di lasciare perdere la politica e di andare a giocare a bocce. Date le premesse, tra 16 anni potrebbero capire le regale di questo sport e vincere qualche partita.
Saluti,
Marco
Aldo Giannuli
anche a @Federico:
Troppo tardi? Non venite a dirlo a me che scrissi (1995) su liberazione un artciolo contro l’adesione italiana all’Euro e sui pericoli per la democrazia della moneta unica. Cioè venti anni fa. Ne parlai brevemente con Bertinotti che non mi rispose e forse neanche mi aascoltò, se avessi parlato in venusiano avreai avuto più successo.
Quindi figuratevi se non penso che Rifondazione sia in ritardo,
Però vediamo se si svegliano e magari danno anche loro un contributo utile alla battaglia con le pochissime forze che gli son rimaste
Marcello Romagnoli
Credo che da tempo ci sia la necessità che le persone con una maggiore cultura
e visione politico-economica facciamo quadrato, dimenticando per un po di tempo le infinitesime differenze di veduta, e che elaborino una proposta politica solida per uscire da questa Europa.
Credo che persone come lei o Bagnai possiate a buon titolo farvi parte. Purtroppo il mio appello suona come un “Armiamoci e partite” di squallida memoria…se sapessi e potessi fare di più lo farei volentieri.
Stefano
Meglio tardi che mai. Ma un “abbiamo sbagliato” sarebbe gradito.
Se posso permettermi un consiglio (e sarà bene per loro che mi diano ascolto) proporrei che cominciassero immediatamente a dire la VERITA’.
Sa com’e’ è morta tanta gente.
Ma perchè hanno contribuito a creare questo mostro che ci ha portato ad avere – 22% di produzione industriale, boom disoccupazione soprattutto giovanile, cancellazione dei diritti per i quali è morto mio nonno, cancellazione art.18 e di quasi tutti gli altri articoli dello S.d.l. di cui si parla poco, compressione dei salari, abbassamento del reddito medio da lavoro ,privatizzazioni selvaggie spingendoci verso la piu grande SPIRALE DEFLATTIVA che si ricordi, peggiore di quella dovuta alla seconda guerra mondiale creando un sistema che scarica gli shok esterni invece che sul cambio sul LAVORO ?
Sono stati scemi? sono stati sciocchi? sono stati volutamente complici del capitalismo internazionale dopo il crollo del muro e sbaraccati tutti gli ideali che avevano?
Bhooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
Ma possibile che non abbino saputo cogliere la grande lungimiranza di Luciano Barca( Il quale parlava così : “Europa o non Europa questa resta la mascheratura di una politica di deflazione e di recessione anti operaia”) ,in parte di G.Napolitano[1](Quando si doveva aderire allo SME ma il discorso è lo stesso) e di quasi tutta la corrente migliorista del PC prima che ci vendessa tramite M.Monti?
PERCHE’? PERCHE’? PERCHE’? PERCHE’? PERCHE’? PERCHE’?
[1]http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/19/eurozona-quando-giorgio-napolitano-era-contro-la-moneta-unica/987141/
roberto buffagni
@ Junius
Grazie della replica. Non condivido la sua lettura del nazifascismo = espressione del grande capitale = “LIBERALI per definizione”. Fascismi e comunismo sono, a mio avviso, tentativi (molto diversi, certo) di risolvere il problema presentato al mondo dal capitalismo e dal liberalismo. Sono falliti entrambi, gli uni sconfitti sul campo, l’altro sconfitto per implosione.
Condivido sul suo rilievo, storicamente esattissimo, sull’europeismo hitleriano. Come lei sa, gli ultimi difensori del bunker di Hitler furono SS francesi.
Jinius
@Roberto
Guardi, la Storia la conosce meglio di me sicuramente: ma qui, come affermo sopra, abbiamo un problema di ordine ideologico. E aborro le ideologie.
Gli unici anti-capitalisti del nazifascismo sono stati, a mia conoscenza, le SA. E han fatto la fine che han fatto.
Il principio primo del liberalismo classico è la libertà di circolazione dei fattori della produzione, in una parola: liberismo. (Libertà economica imprescindibile da quella individuale).
Il fascismo in Italia doveva aiutare a sviluppare il capitale industriale in modo dirigistico, in vista di internazionalizzazione, cercando di limitare le tensioni con la grande proprietà agricola: almeno stando alla storiografia più – a parer mio, e non solo! – “seria”.
Quindi gold-standard, aggancio alla sterlina, deflazione salariale e olio di ricino alle rivendicazioni operaie. In una sola parola: Confindustria.
Grazie.
roberto buffagni
Grazie a lei. Il suo richiamo alla politica liberale del primo fascismo è esattissimo (ministro nazionalista de Stefani). Non credo che si possa esaurire così la posizione del fascismo nei riguardi del liberismo e del liberalismo; ma è un discorso che qui non mi sembra possibile avviare. Approfitto per precisare che deve avermi scambiato per altra persona: non sono “uno studioso delle classi subalterne”. Non sono neanche “un liberale”, ma qui, forse, nella sua accezione, assai vasta, di “liberale” rientra anche uno come me, che è un nazionalista moderato e un cattolico. Cordiali saluti.
Junius
@Roberto
Lei è simpaticissimo.
Mi perdoni l’etichettatura, ma la “tassonomia” è per motivi – oltre al mero nominalismo – dirimente. (Sono in polemica col Professore)
Certo, chi si è autoinvestito a Linneo è lo scrivente.
Ma sa, io son un po’ bolscevico dentro; e son fatto un po’ giù a fette.
Chi non presta la propria intelligenza a servire i Warburg lo considero “studioso delle classi subalterne”; chi non è socialista è liberale.
Siam fatti così noi hegelo-marxiani: tesi ed antitesi.
Tutto il resto è Bernstein.
(E, poiché sono le idee di politica economica che contano, le sovrastrutture fasciste e anti-fasciste non sono tesi e antitesi di nulla: se non di becero tradimento)
roberto buffagni
@ Herr Lampe e @ Junius
Rispondo insieme a entrambi, anzitutto ringraziando delle cortesi repliche.
Provo a sintetizzare, anzi liofilizzare la mia posizione.
1) ritengo l’opposizione fascismo/antifascismo un equivoco anacronistico e una trappola mortale. Sono due cose che non esistono più effettualmente, eppure riescono a farci perdere lo stesso (le mort saisit le vif, diceva il vostro amico Marx)
2) il clivage destra/sinistra è un’altra cosa che non esiste più nella realtà, ma continuando a esistere come afterimage nella soggettività ideologica riesce a farci perdere lo stesso (sì, proprio come fascismo/antifascismo)
3) le classi dirigenti UE (con gli USA alle loro spalle) l’hanno superato eccome, il clivage destra/sinistra: la destra di prima della cura globale ha rinunciato alle sue tradizionali posizioni sull’etica, i costumi, i diritti individuali, la religione (al soft power); la sinistra di prima della cura globale ha rinunciato alle sue tradizionali posizioni sull’economia, la società, il lavoro (l’hard power). Così ciascuna ha conservato, della sua eredità, la parte che era più facile vendere ideologicamente alla propria constituency: il liberismo ai destri, i diritti umani e disumani ai sinistri. Il PUDE, partito unico dell’euro, è questo: il risultato della trasformazione di destra e sinistra europea (entrambe eredi dell’antifascismo, se ci si tiene al lignaggio) secondo le linee suaccennate. Lo dice anche Mario Monti in tv: adesso c’è il clivage tra progressisti (loro) e conservatori (noi: ed è vero, perchè questa gente NON ha la minima intenzione o capacità di conservare la civiltà europea, e in confronto a loro, i comunisti – veri – erano un nido di barbogi).
4) Noi, no: non ci riusciamo, non riusciamo neanche ad avvicinarci di qualche centimetro a questa considerazione elementare. Abbiamo una destra che deve rinunciare alla posizione liberista, e una sinistra che deve rinunciare alla posizione cosmopolita, dirittoumanista, immigrazionista a oltranza, etc. Non ce la facciamo. Eppure, per provare non dirò a vincere, ma a combattere, abbiamo solo le elezioni, e quindi abbiamo bisogno di mettere insieme i voti di un pezzo della destra, e i voti di un pezzo della sinistra: sennò perdiamo. Gli unici che ci sono andati vicino sono i francesi del FN, e anche lì c’è un casino sottopelle che non ti dico.
5) Non mi intendo di superamento del capitalismo, etc. Per me, questa è una guerra tra entità sovrannazionali e stati nazione + popoli, e inoltre tra economicamente piccoli (non internazionalizzabili) ed economicamente grandi (internazionalizzabili e internazionalizzati). Nel corso del Risorgimento, le posizioni di chi voleva l’indipendenza d’Italia andavano da Gioberti a Pisacane a Cattaneo. Chiudendo in una stanza i rappresentanti delle varie linee politiche, facile che ci scappasse qualche morto. Eppure, tutti avevano chiaro un punto: che finchè non ci si organizzava seriamente per mettere gli austriaci fuori d’Italia, si faceva cazzeggio, non politica. E’ così difficile da capire? A quanto pare, sì.
Cioncludo ringraziando Junius per i chiarimenti lessicali, e informando Herr Lampe che no, non la so quella diKerensky e della corda.
Herr Lampe
Rimediamo subito:
https://paginerosse.wordpress.com/2014/03/27/v-i-lenin-lestremismo-malattia-infantile-del-comunismo/
(ma la versione più celebre è, appunto, su Kerenskij)
Junius
@Roberto
Rispetto l’articolata argomentazione e condivido – come credo di aver dato da capire dall’inizio – la sintesi politica.
È “l’articolata argomentazione” che non condivido: a partire dal fatto che non esistono più “destra e sinistra”. Ma ci sarà modo.
Che il nazionalismo e le politiche anti-immigratorie siano di “destra” è l’invenzione dei fascisti che, di botto, son diventati antifascisti il 25 aprile.
Comunque combattiamo tutti dallo stesso fronte, casacca diversa, ma stessi obiettivi.
roberto buffagni
Grazie ai gentili interlocutori, e a risentirci.