Default americano?

Gli americani pretendono:

a- di mantenere intatto il loro livello di consumi, anche se la disoccupazione è quasi al 10% ed i salari sono in flessione

b- di avere un volume di spese militari pari o superiore a quello di tutto il resto del Mondo, producendo un costante disavanzo pubblico peraltro alimentato dagli interessi su un debito che ormai supera abbondantemente il pil annuo

c- di avere il più alto livello di debito aggregato del Mondo ma di mantenere il livello di rating AAA e di pagare interessi sul debito sovrano quasi pari a quelli sui titoli tedeschi

d- di emettere in scioltezza quantità enormi di dollari ma di confermare  il dollaro come moneta di riferimento internazionale

e- di mantenere un livello di tassazione intorno al 30% (quando quello europeo è al 40) ed anzi, possibilmente, diminuirlo.
C’è modo di ottenere tutte queste cose insieme? Credo di si: nominando segretario al Tesoro la Madonna di Lourdes.
E’ possibile che, alla fine, Obama riesca ad evitare il default temporaneo il 3 agosto prossimo, ottenendo, in qualche modo, di innalzare il livello di debito Usa di altri 2.400 miliardi di dollari (che vanno a sommarsi agli oltre 14.000 attuali), ma questo cosa significa?
In primo luogo non è detto che le agenzie di rating –per quanto spudoratamente allineate agli interessi statunitensi- non declassino i bond americani per salvare la faccia. Certo il passaggio da tre a due A non è una tragedia e sposta solo di qualche decimale gli interessi da pagare ma, quando si ha una esposizione di 16.500 miliardi di dollari, anche uno spostamento di un punto percentuale significa 150 miliardi di dollari in più all’anno. E non è neanche questo il peggio. Il problema più serio è a chi collocare questa nuova massa di bond.

Ragioniamo: l’offerta americana non è molto incoraggiante perchè il rendimento nominale dei titoli americani è al 4% per i bond ventennali ma, considerando il deprezzamento del dollaro (diretta conseguenza della politica di liquidità adottata) il rendimento reale scende ad un misero  1,33%, mentre per quelli a 7 anni si scende appena allo 0,1 e per i titoli quinquennali il rendimento è addirittura negativo (S24 24.7.11). In queste condizioni  è evidente che un investitore privano non ha alcun interesse ad investire con rendimento negativo o legandosi alla moneta americana per un periodo lunghissimo nel quale non si capisce bene cosa possa accadere e ad un tasso reale cosi basso. Date queste premesse, non si capisce perchè un investitore privato  non debba acquistarne titoli tedeschi che offrono un rendimento reale maggiore e con ben altre garanzie di solidità.

Ci sarebbero gli investitori “pubblici” (fondi sovrani e banche centrali) che, più che al rendimento, badano a calcoli politici come sostenere un mercato verso il quale si esporta o mantenere certi equilibri generali o, ancora, creare un rapporto preferenziale con un certo stato. Ed, infatti, negli ultimi 15 anni è stato questo il tipo di investitori che ha assorbito masse crescenti di debito sovrano americano. Ma oggi le cose come stanno?

– i cinesi hanno già circa un quarto del debito americano ed hanno manifestato segni di “inappetenza” dei titoli americani già nelle ultime aste. In più, hanno il problema di sostenere anche l’Euro, per cui è possibile che, oltre che rinnovare i titoli in scadenza, possano prendere qualcosa, ma realisticamente si tratterà di spiccioli

– i giapponesi, dopo Fukishima e la conseguente recessione, hanno le loro gatte da pelare ed è già grasso che cola se rinnoveranno  i titoli in scadenza

– idem per gli europei che –fra Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna ed Italia- hanno i loro grattacapi

– gli arabi stanno smobilitando pezzi di fondi sovrani per far fronte alle rivolte acquistando massicci quantitativi di cereali e facendo qualche riforma (la sola Arabia Saudita ha impiegato 386 miliardi di dollari del suo fondo sovrano per far fronte alla situazione),  quindi anche da questa parte non è probabile che venga chissà quale richiesta.

Qualche speranza può venire da Russia e Brasile che sono in una fase positiva per effetto dei ricavi sulle materie prime (soprattutto il gas russo), ma sin qui nessuno dei due ha mostrato la disponibilità a fare grandi acquisti di bond americani e non si vede che interesse politico possano avere ad investire sugli Usa in questa fase. Tanto più che nel caso –più che probabile- di una nuova recessione generalizzata, entrambi si troverebbero in difficoltà per la connessa caduta della domanda di commodities le cui esportazioni rappresentano la principale base delle rispettive economie. E in quel caso una eccessiva esposizione in titoli americani sarebbe solo un problema in più.

Lo spiraglio più promettente potrebbe venire da India e Sudafrica per ragioni diverse: il Sudafrica è in una fase molto positiva per l’impetuoso apprezzamento dell’oro e potrebbe avere qualche interesse a collocare parte della sua liquidità in quella direzione. L’India, invece, potrebbe avere interesse politico ad un riavvicinamento agli Usa, sia per le sue esportazioni sia in funzione antipakistana ed anticinese, approfittando del forte raffreddamento dei rapporti far Washington e Rawalpindi seguita alla vicenda Osama.

Ma, in entrambi i casi è da escludere che possa trattarsi di acquisti risolutivi. Dunque, tutto lascia intendere che la maggior parte di questi nuovi titoli resteranno invenduti. Per cui la soluzione sarà quella che ormai conosciamo a memoria: l’assorbimento da parte della Fed, con una nuova manovra di quantitative easing sostenuta dall’ennesima emissione di dollari. Per quanto tempo ancora potrà andare avanti questo giochetto?

Forse è arrivato il momento di dirci che gli Usa, tecnicamente sono già falliti. Qualche cifra? Calcolando il solo debito governativo, il debito pro capite degli Usa (compresi lattanti e moribondi) si aggira sui 50.000 dollari (circa 11.000 in più dell’analogo debito pro capite greco); aggiungendo i debiti dei singoli states, ed enti locali arriviamo a 70.000 dollari: considerando il totale del debito aggregato (cioè inclusivo di quello di aziende e famiglie)  arriviamo a un po’ più di 160.000 dollari (S24 22.7.11/13). Il che significa che una famiglia media americana di tre persone ha un debito di circa mezzo milione di dollari. E, per di più, tutto lascia intendere che l’indebitamento sia privato che pubblico crescerà per effetto dell’alto tasso di disoccupazione, mentre è difficile immaginare a breve un miglioramento delle finanze pubbliche.

Obama parla di un taglio del disavanzo statale di circa 4.000 miliardi di dollari entro il 2014: non è una gran cifra se si considera che:

a- il disavanzo del bilancio governativo attuale è del 38%

b- che nei prossimi anni crescerà la pressione pensionistica sia per effetto ell’andata in pensione dei baby boomers, sia delle pensioni di invalidità a seguito delle missioni militari (soprattutto ma non solo Irak ed Afghanistan) e che il disavanzo previsto per la spesa pensionistica nei prossimi anni si valuta fra i 1.000 ed i 3.000 miliardi

c- che 42 dei 50 stati dell’unione già prevedono disavanzi fiscali per 103 miliardi di dollari per il 2012 e che altri 24 stati già prevedono ulteriore disavanzo per il 2013

d- che occorre pagare gli interessi sul debito precorso e che è facile prevedere possano aumentare per effetto di un possibile declassamento.

Fatti i dovuti calcoli, anche nella più favorevole delle ipotesi, resterebbe assai poco per riassorbire almeno in parte di debito precedente: calcolando molto ottimisticamente che al riassorbimento del debito possano andare 150-300 miliardi annuali, questo inciderebbe per l’1-2% sulla massa totale. Cioè, a parità di tutte le condizioni, da 50 a 100 anni per azzerare il debito. Ovviamente si tratta di calcoli puramente astratti.
Naturalmente la cosa sarebbe assai problematica se nel frattempo crescesse sensibilmente il Pil (e il relativo gettito fiscale) ma, almeno per ora, non sembra un obiettivo a portata di mano. Sembra, invece, probabile che nel prossimo futuro accada il contrario: che il Pil descresca per effetto di una nuova recessione. Nel qual caso il debito pubblico, pur restando fermo in valori assoluti, si avvierebbe rapidamente verso il 200% sul Pil.

Ma, per di più, l’intesa sul punto con i repubblicani, che controllano il Congresso, non sembra raggiunta e si parla di una “manovretta” da 1.500 miliardi, come dire che il debito, di fatto, crescerà per effetto degli interessi e degli aumenti previsti.
E non abbiamo considerato il debito privato che non si capisce come potrà essere restituito dai singoli americani.

Se si trattasse di una Grecia o di un Portogallo qualsiasi, da tempo le agenzie di rating avrebbero declassato il debito americano a CCC, cioè spazzatura. Ma gli Usa sono la più grande potenza finanziaria del mondo, ed una simile classificazione provocherebbe uno tsunami finanziario senza precedenti, altro che effetto “contagio” ateniese: la maggioranza degli Stati vedrebbero volatilizzarsi gran parte dei propri crediti, molte banche fra le maggiori del mondo fallirebbero, l’effetto domino sarebbe incontenibile e la crisi del 1929 ce la ricorderemmo come un innocuo mal di pancia. Per di più, gli Usa sono la più grande potenza militare del mondo ed un simile cataclisma avrebbe effetti incalcolabili anche sul piano degli equilibri politico-militari del Globo.
Insomma, siamo al solito too big to fail  (troppo grossi per fallire).  Ragion per cui abbiamo deciso tutti di far finta di niente e di prendere per oro colato le 3 A delle agenzie di rating. Va bene: sinchè l’orchestrina suona possiamo continuare a ballare, ma il bastimento su cui viaggiamo di chiama Titanic. Per quanto tempo ancora possiamo continuare con questa recita surrealista? Si badi che sul mercato già oggi i segnali dicono che la tripla A è una foglia di fico a cui bessuno crede: nel mese di luglio, il costo delle coperture assicurative sul debito americano (nel gergo i cd-swap) è arrivato a 45,7 punti mentre quello sui titoli sauditi (che hanno solo 2 A-) era decisamente inferiore ed addirittura, quello per i titoli indonesiani  (BB+) valeva 39. Dunque assicurare un titolo americano oggi costa circa un sesto in più che assicurare un titolo indonesiano cpn classifica assai inferiore. Per assicurare il fallimento di 100 milioni di titoli americani, all’inizio dell’anno ci volevano circa 14.000 dollari, oggi ce ne vogliono 53.000.
D’accordo, si tratta di una impennata dovuta anche alle convulsioni della politica americana e destinata a rientrare dopo  il 3 agosto, ma il segnale è troppo chiaro per non essere inteso: con andamenti di questo genere è facile prevedere che una parte degli investitori privati possano iniziare a non rinnovare i propri titoli (tripla  A o non tripla A) e che la cosa potrebbe anche innescare un effetto a cascata per cui anche gli stati inizierebbero a valutare il rischio di essere quello che resta con il cerino acceso in mano.
Nessuno è mai tanto grosso da non fallire mai.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (19)

  • Quando si mette mano in profondità in questi drammi fanno sorridere sempre un po’ le teorie della cospirazione. Perché ? Beh perché la teoria della cospirazione prescrive ci sia una rete di personaggi molto razionale che grazie al proprio potere domina il mondo e i suoi equilibri.

    A me sembra che questi gruppi di persone molto potenti, che indubbiamente esistono, siano tutto meno che razionali. Mi chiedo se esistano già modelli che evidenzino gli equilibri di potere. Sono sicuro che se si riuscisse a mettere nero su bianco, graficamente, questi equilibri, si vedrebbe che questi personaggi, a livello globale, stanno perdendo molto del loro potere.

    Il caso americano è del tutto evidente, una società che non sta più in piedi che non riesce a risolvere nessuno dei suoi problemi e anzi, agisce in modo tale da amplificarli ulteriormente.

    Forse che la teoria della cospirazione, dopo la morte delle ideologie del novecento (ma poi chi lo ha detto?!) è rimasta l’unica ancora di salvezza? Si perché in fondo se si pensa che tutto quanto stia succedendo è orchestrato la conseguenza è che l’orchestra si fermerà un po’ prima del baratro.

    A naso direi che non è questo il caso. Il ritratto tracciato da Aldo sembra evidenziare uno scenario da Carnevale che precede la quaresima!

    • 1- non credo ci sia alcuna cospirazione ma che gli eventi stiano prendendo la mano a tutti

      2- non descrivo un Carnevale che precede la Quaresima, ma una Quaresima che precede il disastro

  • pierluigi tarantini

    Caro Aldo,
    la questione monetaria/finanziaria ha assunto un centralità tale nelle dinamiche mondiali da far pensare che la finanza sia la continuazione della guerra con altri mezzi.
    Se un tempo sono stato convinto che eventi quali le guerre in Bosnia e Kosovo fossero finalizzati a mantenere al Dollaro la sua centralità a scapito dell’Euro, di recente ho pensato che il concerto delle agenzie di rating su Gracia, Portogallo etc. fosse più efficace degli stealth.
    Ad un certo punto, però, mi son chiesto se quella in corso anzicchè una guerra non sia una “moina”, una sceneggiata finalizzata ad “imbrusare” i comuni mortali.
    Non è che morto Osama, dimenticato il buco nell’ozono e curato l’AIDS ci stanno propinando un nuovo tormentone?
    Certo è che,se da un lato l’operato delle agenzie di rating e della speculazione crea ansia ed è quindi diventato argomento dei TG, dall’altro vedo un interesse convergente delle elites finanziarie e politiche a creare le condizioni necessarie (la paura per l’appunto) per giustificare una colossale abbuffata.
    A ben vedere, infatti, cos’è il quantitative easing se non un gigantesco regalo a quelle stesse istituzioni finanziarie che hanno creato (e guadagnato con)la bolla dei subprime?
    Al contribuente statunitense, però, vien detto che non v’è alternativa, pena la disoccupazione a vita.
    Ed oggi il deficit creato per uscire dalla bolla è ragione per il taglio delle spese mediche.
    E a noi europei cosa vien detto circa la Grecia?
    Che non è pensabile il default di uno stato dell’Unione monetaria, anche se ha truccato i conti come solo a Taranto e Catania, pena il ritorno al baratto.
    Peccato che a beneficiare degli aiuti pagati dai contribuentoi europei siano in primo luogo le banche che hanno prestato i soldi alla Grecia.
    E’ meglio che nel caso dei bond Cirio …i contribuenti non solo vengono “alleggeriti” ma sono anche contenti per lo scampato pericolo annunciato in pompa magna al TG.
    Quanti si rendono conto che questa nuova paura legittima la peggiore macelleria sociale (vedi finanziaria di Tremonti)?
    Questa condizione mi ricorda la guerra in Iraq. Nel 2004 dissi che gli americani quella guerra l’avevano già vinta. Dinanzi alle rimostranze di comuni amici aggiunsi che v’erano americani ed americani e che quelli che avevano perso la guerra erano anch’essi americani (i poveri irakeni con quella guerra non c’entravano niente essendosi solo trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato).
    Un dubbio atroce mi assale … non starò mica diventando anticapitalista?

  • Giusta l’osservazione che gran parte del debito USA è in mano ad altri soggetti pubblici/privati, che non gradirebbero certo veder sfumare le loro ricchezze convertite in dollari (basta notare cosa è successo nel mondo per il solo fallimento Lheman Brothers). Non bisogna dimenticare che gli USA sono anche la più grande potenza militare nel mondo e che a mali estremi….D’altronde negli anni ’80 cosa facevano gli USA nel “giardinetto di casa” e nel resto del mondo? Io, prima di esigere il credito USA, ci penserei 2 volte.

  • non è mai successo che l’orchestra si fermi un pò prima del baratro e questo dai tempi dell’arca di Noè: “Mangiavano e bevevano e non s’accorsero di nulla”

  • alle pretese americane sul piano economico aggiungo quelle sociali-culturali: la società americana è arrogante e aggressiva verso le altre società; vuole essere al centro del mondo e lo invade con la sua cultura e le sue “sentinelle armate”, senza accogliere niente dalle altre culture. Questo non vuol dire che la loro cultura sia solo negativa.

  • pierluigi tarantini

    Suggerisco di ricordare, per comprendere l’attuale situazione economica degli States (e del resto del mondo), la denuncia dei trattati di Bretton Woods avvenuta nell’agosto ’71. A causare la soppressione della convertibilità del dollaro in oro, assimilabile ad una dichiarazione implicita di bancarotta,furono i costi della guerra del Vietnam, finanziata emettendo dollari.
    Anche dopo la fine del gold window il dollaro è rimasto comunque, per altri quarant’anni, la principale valuta di riserva.
    Tale resterà, probabilmente in condominio con altre valute (come proposto da DSK poco prima delle note vicende), per gli interessi cinesi, arabi ed anche europei (una svalutazione significativa del dollaro non conviene neanche a noi).

  • Ciao,
    gli States devono accusare un colpo duro: pretendono, come se fossero ancora potentissimi, pur non avendo più le “carte in regola” per poterlo fare. Questo riguarda anche l’Europa. Gli americani si sentono franare la terra sotto i piedi, ma non riescono ad ammetterlo … troppo abituati a dettar legge – sia in senso economico sia in senso politico – ma il loro sistema, probabilmente, è destinato a implodere. Penso anch’io che gli eventi stiano sfuggendo di mano anche alle lobbi più potenti e occulte. Prefigurare un futuro scenario, anche a breve-medio termine, non è facile, forse è quasi impossibile.
    Buona giornata,
    Paola

  • Sono perfettamente in linea sia con l’analisi di Aldo, sia con i commenti. Togliamo di mezzo la teoria della cospirazione, giacché questa crisi sta dimostrando come i potenti siano potenti, ma non onnipotenti. Di tutti i commenti, quello che mi ha colpito di più è quello di Pierluigi Tarantini. Provo a spiegare il perché. Il problema del capitalismo, e non da oggi, è che non sa gestire la ricchezza. Sembra un controsenso (ma tutta la scienza è, in qualche modo, controintuitiva)che provo a spiegare rapidamente. Il capitale non nasce per produrre benessere e sviluppo, ma per fare profitti. Ricchezza sociale e sviluppo non sono, aristotelicamente parlando, la sostanza del capitale, bensì un accidente. Per il capitale la forma-denaro è una specie di totem, il dio-Montezuma al quale sacrificare tutto. Perché ci troviamo in questo disastro? Riallacciandomi a Tarantini, posso dire che, essendoci troppi capitali in giro, bisogna sfoltirne un po’, in quanto rischiano di mostrare ciò che è sotto gli occhi di tutti: e che cioè il denaro-capitale è divenuto una specie di gabbia d’acciaio che costringe l’economia e la società ad un’assurda penuria artificiale. E così vengo al dunque. Se ciò che disse lord Beveridge (non un pericoloso estremista) sessant’anni fa era valido (non è il denaro che deve governare la società, ma è la società che deve governare il denaro), lo è ancora di più oggi. Tutta la sostanza del neoliberismo (quello che Marx chiamerebbe la scienza di questi sicofanti) sta in un concettino piccolo-piccolo: ridate i soldi ai ricchi e vedrete come crescerà l’economia e con essa l’occupazione. Era la teoria del trickel-down: quanto più i ricchi si sarebbero arricchiti, tanto più, a cascata, si sarebbe arricchito il resto della società. E via con le privatizzazioni di banche e società pubbliche (trasporti, energia, acqua, salute, pensioni). Meno Stato e più mercato, si diceva. Peccato che la mano (in)visibile del mercato ha arricchito pochi e impoverito moltissimi (con in più il dilagare dell’instabilitrà internazionale con la lacerazione di intere nazioni: vedi Iugoslavia, Iraq, eccetera). La shock economy fu peggio di uno shock: fu un vero e prorio processo di impoverimento a livello globale. Bene, cioè male. Davvero surreale, l’ammuina tra democratici e repubblicani a proposito del deficit federale: è evidente che i seguaci del Great Old Party non vogliano mollare sul piano delle tasse (non tanto per una questione di egoismo di classe, quanto per una questione squisitamente ideologico-culturale: dare ragione ad Obama e dirgli, “beh, sì, in effetti, caro Barak, abbiamo un po’ troppo esagerato con il taglio delle tasse, che ora dobbiamo riequlibrare” significherebbe ammettere che la loro teoria era sbagliata in radice. Insomma, come dice Aldo nel volume 20012 i Suslov non esitevano solo in Unione Sovietica. Dunque, a mio avviso, dobbiamo preparaci al peggio. Ma dopo la tempesta viene il sole: il problema è che noi si tragga insegnamento da questa tempesta, per non ricaerci in un secondo momento.

  • pierluigi tarantini

    Riporto, ad integrazione del primo intervento, parte di un’articolo pubblicato oggi su una nota rivista complottistica.
    <>.
    La rivista in questione si chiama Trendonline ed è rivolta a trader, analisti finanziari ed altri appassionati delle trame occulte.

  • ma tutto questo non porterà ad
    una “socializazione” della politica americana,società più povera = governo più forte e presente ?.può un paese come l’america, sia dal punto di vista storico che reale sostenere un processo di quel tipo ?

  • credo che dovremmo mollare la barca prima che affondi
    non abbiamo alternative, abbandonare un’economia globalizzata e basata sullo sfruttamento cieco delle risorse, perché si stanno esaurendo
    pensare un modo come prefigurato in questo trattato sull’ambiente di una decina di anni fa. Si parla di riconversione delle risorse militari per bonificare l’ambiente, per esempio, mentre attualmente la sola industria non in crisi e in cui si investe moltissimo, è proprio quella militare…
    http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A4-1999-0005+0+DOC+XML+V0//IT#Contentd1075016e334

    forse per aver sviluppato tutte le armi bandite da questo trattato ambientale, un giorno verranno accusati di crimini contro l’umanità e devastazione ambientale (non so se esiste, ma dovrebbe…)
    http://lombardia.indymedia.org/node/39300

    grazie per questo articolo 🙂

  • ma perché, in genere quando uno stato dichiara default gli altri dichiarano guerra per riavere i soldi? i titoli del debito pubblico come tutti gli altri hanno un certo rischio, chi li compra si assume il rischio, e se uno stato dichiara bancarotta l’investimento è perduto, fino a prova contraria la sovranità statale esiste ancora.

    Il debito americano paga poco, e paga poco perché è garantito, e questo a prescindere dalle agenzie di rating che hanno la credibilità che hanno. Il Giappone ha un debito/pil intorno al 200% e nessuno parla di default, nessuno parla di default perché in Giappone, come negli Stati Uniti l’economia è forte e competitiva, e può permettersi di sostenere quel debito, nel caso americano poi basterebbe rinunciare a un po’ di quell’anacronistico potere militare che assorbe una percentuale non indifferente del bilancio federale. Insomma, io mi preoccuperei più dell’Italia (ultimo paese per crescita nell’ultimo decennio dopo Haiti), agli altri PIIGS e in generale all’intera Europa, incapace di coordinarsi tanto economicamente quanto politicamente.

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