Venezuela: si approfondisce la crisi economica, sociale e politica
Molto volentieri torniamo a pubblicare un contributo di Angelo Zaccaria, autore del volume “La revolucion bonita” ed esperto di Venezuela ed America Latina. Per tutti gli interessati, appuntamento a Milano il 25 Maggio alla Libreria Les Mots h 18,30, per cercare di fare il punto. Buona lettura!
Sono passati appena poco più di sei mesi dalle elezioni parlamentari venezuelane del 6 Dicembre 2015, la prima vera sconfitta elettorale in oltre 17 anni di “rivoluzione bolivariana”, e si approfondisce lo scontro e la crisi politica dentro il paese. Sull’esito del cruciale appuntamento elettorale di dicembre, rimando ad un altro contributo da me pubblicato su questo blog poco dopo. Mi limito solo a ricordare che il chavismo raccolse allora poco meno del 41% dei voti validi, mentre l’opposizione raccolse oltre il 56%. La situazione che ne è scaturita, è piuttosto complicata.
La crisi politica ed istituzionale. Sì è aperto come previsto un conflitto permanente fra i maggiori poteri del paese, cioè da un lato la nuova Assemblea Nazionale a larga maggioranza antichavista, e dall’altro il TSJ (Tribunale Supremo di Giustizia), il CNE (Consiglio Nazionale Elettorale), ed ovviamente la stessa Presidenza della Repubblica. Oggetti principali del conflitto sono anzitutto l’attività legislativa della nuova Assemblea Nazionale. Diversi provvedimenti legislativi, alcuni dei quali davvero indecenti come la cosiddetta “Amnistia a favore dei prigionieri politici” (fra i quali la opposizione ha inserito anche i responsabili di gravissimi fatti di sangue per i quali in Italia sarebbero stati comminati ergastoli su ergastoli), son stati bloccati dal TSJ, dove tuttora prevale una attitudine tendenzialmente favorevole alle tesi del governo, il quale proprio al TSJ si è rivolto attraverso ricorsi per incostituzionalità delle leggi in oggetto.
Altro nodo cruciale dello scontro è la promozione da parte della opposizione antichavista del referendum revocatorio nei confronti del presidente Nicolas Maduro, strumento previsto dalla CRBV (Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela, art. 72), e che consente di sottoporre a referendum tutte le cariche istituzionali elettive una volta giunte a metà del loro mandato, scadenza che nel caso di Maduro si è compiuta lo scorso mese di Aprile. Anche qui lo scontro si presenta nella forma di contenzioso politico e giuridico sulle procedure e soprattutto i tempi di svolgimento del referendum. L’opposizione preme perché esso si svolga entro l’anno in corso. Il governo sostiene che non ci sono i tempi per farlo entro l’anno, appellandosi sia alla necessità prioritaria per il paese di far fronte alla crisi economica e sociale, sia ai ritardi dell’opposizione nell’attivare la richiesta di referendum, sia alla complessità delle stesse procedure referendarie: le firme da raccogliere per l’attivazione del referendum sono circa 4 milioni (il 20% del corpo elettorale), ed il governo ha già annunciato di volerle “verificare una ad una “.
Lo scontro sul referendum è fondamentale. Esso infatti è lo strumento legale è costituzionale più facilmente attivabile dal blocco antichavista, per capitalizzare il suo successo alle elezioni parlamentari, defenestrando Maduro ed imponendo nuove elezioni presidenziali e quindi il possibile pieno ritorno al potere.
In questo quadro anche la questione dei tempi è assolutamente centrale: se il referendum dovesse svolgersi quando alla scadenza del mandato di Maduro mancassero meno di due anni, non si andrebbe a nuove elezioni presidenziali, ma il mandato verrebbe completato dall’attuale Vicepresidente della Repubblica Aristobulo Isturiz, anch’egli esponente di primo piano del chavismo. In altri termini, se il governo attuale riesce ad allungare il brodo ed a far svolgere il referendum dalla seconda metà di Aprile 2017 in poi, gli effetti politici della probabile vittoria antichavista al referendum, verrebbero di fatto quasi azzerati, ed il chavismo guadagnerebbe altro tempo sino alla primavera del 2019. Senza entrar troppo in tecnicismi, va aggiunto che la tesi del governo si fonda su una forzatura di quanto previsto dall’art. 72 della CRBV, il quale stabilisce chiaramente date certe condizioni la possibilità di sottoporre a referendum revocatorio il Presidente giunto a metà del suo mandato: in particolare il governo si appella sia ad un altro art. della CRBV, il 233 che regola i casi di “mancanza assoluta” del Presidente, che ad altre fonti di rango chiaramente inferiore come due risoluzioni emanate nel Marzo e Settembre 2007 dal CNE ( si veda a riguardo il contributo dell’avvocato costituzionalista chavista Jesùs Silva)
La crisi economica e quella sociale. Basti citare due numeri. L’inflazione nel 2015 in Venezuela ha raggiunto il 180% circa, e nel 2016 si prevede un ulteriore significativo aumento. Il numero di omicidi nel paese nel primo trimestre del 2016, secondo dati resi noti dal TSJ, ha superato le 4700 unità. A questo si aggiungano varie altre problematiche citate anche di recente dai media italiani: carenza di generi di prima necessità e medicine, lunghe code davanti ai centri di distribuzione, problemi di approvvigionamento nel sistema sanitario ed ospedaliero, razionamento della energia elettrica (dovuto anche alla siccità). Permane irrisolto, nonostante la chiusura della frontiera terrestre, il problema del massiccio accaparramento e del contrabbando verso la Colombia di beni primari e carburanti venduti in Venezuela a prezzi calmierati e controllati. Altrettanto irrisolto permane il problema di quello che in Venezuela viene definito come “sicariato”, ovvero gli omicidi mirati ai danni, nella prima fase del chavismo, soprattutto di attivisti e dirigenti delle lotte contadine, ma ora e sempre più anche ai danni di esponenti politici del campo bolivariano, spesso militanti molto giovani, attivi in contesti di fabbrica o urbani, ed anche di esponenti istituzionali sia nazionali che locali. Anche in Venezuela quindi, così come storicamente avvenuto in forme ancora più drammatiche nella confinante Colombia, si tende ad imporre il ruolo attivo e letale di gruppi paramilitari e di settori della stessa criminalità, dentro lo scontro politico, sociale e sindacale.
Il governo chavista attribuisce, con molte ragioni, parte significativa dei gravi problemi economici, e quindi dei conseguenti contraccolpi nella vita sociale più in generale, ad un preciso piano golpista di boicottaggio e sabotaggio peraltro non nuovo in America Latina (si veda il Cile di Allende), il quale ha l’obiettivo di dimostrare che “il socialismo non funziona” anzitutto economicamente, che non garantisce stabilità e benessere, l’obiettivo di indebolire il governo minandone le basi popolari di consenso, spianando così la strada al ritorno al potere della destra liberista variamente camuffata. Questo piano ha diversi attori, politici, economici e sociali, parte dei quali operano nel segreto ed in incognito, perché lo stesso piano si avvale di un altrettanto ampio ventaglio di strumenti, alcuni legali ed altri no, ma tutti mirati allo stesso obiettivo: cancellare il processo bolivariano.
Dove il governo ha meno ragione invece è quando attribuisce quasi esclusivamente le proprie difficoltà alla “guerra economica” scatenata dalle varie articolazioni delle opposizioni antichaviste, oppure al calo dei prezzi del petrolio, notoriamente centrale nella economia del paese, glissando sul fatto che la crisi non sarebbe arrivata a questo stadio se non avessero concorso alcuni limiti e contraddizioni interne al processo bolivariano, limiti i quali tanto per intenderci erano già emersi prima della morte di Hugo Chavez: inefficienza, sprechi, corruzione sia civile che militare, difficoltà a far decollare un modello economico e produttivo più autonomo e meno incentrato sulla rendita derivante dalle esportazioni energetiche (e quindi sull’utilizzo di parte rilevante di questa rendita per promuovere il consenso attraverso politiche di tipo sociale ed assistenziale).
La crisi politica continentale. Forse pochi governi come quello Venezuelano dall’avvento alla Presidenza di Hugo Chavez in poi, hanno goduto della ostilità concorde di tutte le amministrazioni USA, sia repubblicane che democratiche, ma anche della ostilità delle classi dirigenti europee, incluse anche qui quelle della “sinistra neo-liberale”. La ragione è evidente: il chavismo ha rappresentato un tentativo di riproporre in una logica di governo le ragioni di una sinistra che pone il problema della costruzione di alternative al capitalismo, lo ha fatto in modo socialmente e politicamente sostenibile e presentabile, e soprattutto su questo ha creato alleanze nel continente contribuendo a spostarne verso sinistra gli assetti politici. E’ evidente che proprio su questo piano gli equilibri si stanno spostando nuovamente. Ai primi cupi segnali rappresentati dai golpe contro i governi progressisti in paesi relativamente minori come Honduras e Paraguay, si aggiungono ora il ritorno al potere della destra in Argentina, e soprattutto ed ancora di più le recenti vicende in un paese chiave come il Brasile. E’ altrettanto evidente che questo mutamento degli equilibri continentali rappresenta un altro essenziale fattore problematico e di indebolimento per il governo di Maduro, il quale appare chiaramente come il prossimo obiettivo nel mirino del potere globale in quell’area del mondo.
Riflessioni finali. Non penso sia qui il caso di rifare tutta la riflessione già fatta sul tema del rapporto fra la “Revoluciòn Bonita” venezuelana, la questione della democrazia e quella del consenso. Su questo rimando a quanto contenuto nelle conclusioni del libro “La Revoluciòn Bonita” ed in quelle del relativo Opuscolo di Aggiornamento.
Qui mi limito a ribadire che se la crisi del Processo Bolivariano è arrivata a questo punto, è anzitutto perché l’opposizione ha giocato e tuttora gioca molto sporco e su molti tavoli e senza disdegnare nessun mezzo pur di tornare al potere, ma è avvenuto anche per errori e limiti tutti interni al processo. Se tutto questo ha condotto ad una riduzione o crisi di consenso, peraltro già emersa negli ultimi anni con Chavez presidente, ed esplosa in modo plateale con la sconfitta elettorale dello scorso Dicembre, la risposta non penso sia quella di ricorrere ad artifizi ed arzigogoli giuridico-procedurali, per sottrarsi di fatto all’appuntamento col referendum revocatorio vanificandone gli eventuali effetti.
Il referendum revocatorio è uno dei fiori all’occhiello della Costituzione Bolivariana e di un intero progetto politico fondato sui principi della democrazia dal basso e della promozione del potere popolare, un fiore ispirato addirittura alla Comune di Parigi la quale come noto prevedeva l’ampia revocabilità di tutti i funzionari pubblici. Ricordiamo inoltre che Hugo Chavez, all’apice del suo prestigio ma in un momento di crisi politica non certo meno cruenta di quella attuale, nell’Agosto del 2004 si sottopose al referendum revocatorio, e lo vinse.
Il fatto che l’opposizione giochi sporco quindi non mi pare ragione sufficiente per rinnegare nei fatti gli stessi principi politici ed etici fondativi di tutto il processo bolivariano. Questo sia detto nella massima consapevolezza di quanto sporco sia il gioco della destra e di quanto esso venga giocato su tavoli che van ben oltre il Venezuela: si vedano le recenti dichiarazioni dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, il quale nei giorni scorsi durante una conferenza a Miami in Florida, ha chiesto che “fuerzas armadas democráticas internacionales sean puestas al servicio de la protecciòn de la oposición en Venezuela”.
Infine penso che sottrarsi ai possibili effetti del referendum revocatorio facendolo slittare, non risolverebbe la crisi politica del chavismo ma rischierebbe anzi di approfondirla, tanto più in vista di altri appuntamenti elettorali importanti, che incombono sul governo al di là di come evolverà la vicenda del referendum: si vedano le elezioni dei governatori dei singoli stati, previste per Dicembre 2016. Affrontare questa crisi vuol dire quindi non solo contrastare le strategie di sabotaggio e golpiste di settori importanti della opposizione, cosa che in qualche modo il governo di Maduro sta pure tentando di fare, ma vuol dire anche aggredire i propri limiti interni e quindi ricostruire l’appoggio ed il radicamento sociale in parte perduti.
Queste mie riflessioni non son del resto così originali, ma del tutto interne alla discussione in corso oggi in Venezuela fra le varie anime del chavismo: si vedano le recenti posizioni di Marea Socialista ed il dibattito sul sito www.aporrea.org.
Di tutto questo discuteremo Mercoledi 25 Maggio alle 18,30 a Milano, nella Libreria Les Mots in Via Carmagnola angolo Via Pepe (MM Garibaldi), in occasione della presentazione degli “Aggiornamenti” al libro “La Revoluciòn Bonita”.
Angelo Zaccaria, Milano, 16 Maggio 2016
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Paolo Selmi
Grazie mille Sig. Zaccaria per questo contributo importante e che fa luce sui torbidi amerikani in corso nella repubblica bolivariana.
Le difficoltà di trasformazione economica, e di mentalità, nella transizione dalla mono-cultura e mono-coltura terzomondistica alla pluri-cultura e pluri-coltura tipiche di un’economia, mi si passi il termine, “autoportante”, pienamente inserita nel mercato globale, e senza eccessive dipendenze nei suoi settori chiave, sono enormi. Noi stessi, a casa nostra, dovremmo solo tacere per decenza circa la desertificazione delle attività produttive, la concentrazione capitalistica di risorse e mezzi in alcuni settori chiave a scapito di altri e dello sviluppo sociale complessivo, la disoccupazione e la sottoccupazione crescenti, l’altrettanto crescente degrado culturale.
Tuttavia, il nostro, è un governo “amico” e scrive bene quando dice che ai nostri “radical chic” fa specie essere superati a sinistra da “peones” senza arte né parte, che non mangiano i bambini e che hanno dimostrato, nei fatti, che il modello da loro tanto vituperato e buttato in cantina, nonostante gli squadroni della morte, il contrabbando, i sabotaggi, la corruzione, tutto sommato “funziona”, per cui si associano volentieri anche loro agli attacchi americani. Italia e Venezuela sono due sistemi completamente diversi, per cui nessuno si sognerebbe da noi di diventare “bolivariano” o riproporre qui le sue tematiche, eppure il fatto stesso di vederli ancora in piedi dà loro talmente tanto fastidio che venderebbero l’anima al diavolo, se potesse servire a farli sparire dalla faccia della terra.
Ciò detto, definire prioritario far uscire di galera i narcotrafficanti, invocare la guerra civile con l’intervento militare amerikano (non CIA che c’è già), e raccogliere 4 milioni di firme per mandare a casa Maduro, con l’inflazione al 180% e una crisi nazionale che va soltanto peggiorando, la dice lunga sul carattere di questa opposizione “liberale” e “democratica”.
Grazie ancora e un caro saluto
Paolo
Tenerone Dolcissimo
concentrazione capitalistica di risorse e mezzi in alcuni settori chiave a scapito di altri
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Immagino che Lei stia parlando della rapina fiscale che sottrae il 70 e passa per cento di reddito prodotto ai settori produttivi (leggi imprenditori e lavoratori) per girarli nei settori parassitari come lo stato con il suo esercito di mignotte e portaborse e nullafacenti e insegnanti che non sanno che vuol dire insegnare e corrotti ecc ecc.
Il tutto nel rispetto della costituzione più bella del mondo.
Cordiali saluti
Paolo Selmi
Si, ma non solo… per lavoro vedo passare container pieni di merce che non produciamo più, con già l’etichetta in euro appesa: ditte con meno di cento dipendenti che fatturano come avrebbero fatturato una volta ditte con migliaia di dipendenti (i furbi, che continuano a ingrassare); dall’altro lato, ditte che cercano di andare avanti ma trovano le porte chiuse (i fessi, che chiudono) sia dell’accesso al credito, sia per la promozione dei loro prodotti a livello internazionale (ed è l’unica che ci salverebbe, come ci ha sempre salvato l’export): camere di commercio autoreferenziali, fiere inutile spreco di risorse. In tutto ciò, strade che non finiscono mai di essere costruite, speculazione edilizia condonata, ecomostri sui letti dei fiumi, grandi opere destinate a fare da cattedrali nel deserto (una giusto giusto qui vicino… http://www.ticinonews.ch/ticino/263148/pedemontana-e-flop). Senza parlare della speculazione finanziaria. Intanto, chi si doveva intascare i soldi, se li è intascati e se ne intasca sempre di più. Fa anche il filantropo, finanzia enti culturali e società sportive, è quasi commovente. Il problema è che quando una ditta chiude, tutto il suo sapere, il suo patrimonio, la sua capacità produttiva (il cosiddetto capitale fisso) va a farsi benedire. Il capitale variabile è già difficilmente rimpiazzabile (concetto difficile da capire dal nostro padronato, che anzi sbanfa quotidianamente, a destra e a manca, il suo “nessuno è indispensabile”). Ancor più difficile da ricostruire è il capitale fisso. E quando un settore è bruciato, è bruciato, specialmente di questi tempi dove la concorrenza mondiale è spietata. Non è quindi – solo – un problema di coefficiente di Gini o di s80/s20, il problema è a monte, di desertificazione produttiva. Per questo non mi sento di colpevolizzare particolarmente i chavisti se non son riusciti a diversificare nell’immediato le loro attività produttive, proveniendo da un’economia coloniale a monocoltura e monoproduzione. Noi abbiam fatto meglio, stiam facendo terra bruciata a casa nostra e ci stiamo arrivando… Un caro saluto.
andrea z.
“Da anni avvertiamo che gli USA, perdendo potere a livello mondiale e ridotti progressivamente a potenza regionale saranno costretti a concentrarsi sempre più sul continente americano. Tutti i loro sforzi saranno diritti ad impadronirsi delle ingenti risorse naturali presenti nei vari stati del continente americano e particolarmente negli stati dell’America del Sud; ovviamente l’obiettivo principale è e continuerà ad essere il petrolio del Venezuela, la più grande riserva del mondo, che per il momento supera i 300 miliardi di barili, ma nel futuro immediato grazie a nuove certificazioni potrebbe arrivare al doppio.
Il Venezuela oltre ad essere la più grande riserva di petrolio del mondo ha numerose altre riserve naturali e strategiche, come il gas, l’acqua dolce, il coltan, la bauxite (alluminio), le terre rare e molte altre; inoltre, si stima che il Venezuela possieda nel suo sottosuolo riserve aurifere per non meno di 7.000 tonnellate (A tal proposito vedasi articolo di Selvas “Venezuela dispone di 7000 tonnellate d’oro”), che potrebbero rivelarsi anche superiori alle 30.000 tonnellate, ossia la più grande riserva di oro del mondo, equivalente – tanto per avere una idea – alla riserva di oro di tutte le banche centrali del mondo”.
Tratto da: http://umbvrei.blogspot.it/2016/05/in-venezuela-prorogato-lo-stato.html
andrea z.
Per capire come gli USA agiscono in Sud America, per destabilizzare e controllare i governi, sono fondamentali i documenti segreti pubblicati da Wikileaks:
http://znetitaly.altervista.org/art/9918
http://www.pressenza.com/it/2015/11/rivelazioni-di-wikileaks-limpero-usa-secondo-se-stesso/
Valdo
Non so francamente come si possa difendere il governo venezuelano. Ciò del resto fa il paio con chi urla al golpe in Brasile, quando in termini di legge l’impeachment è totalmente e pienamente giustificato (e parlo sapendo quello che dico, visto che in Brasile ho vissuto anni, ho rapporti quotidiani con quel Paese e non sono certo filoUsa o antiPT per convenienza; tuttavia non sono neppure addentellato con questo o quel circolo “!de sinistra”! come gli autori di contributi che imperversano nella cosiddetta controinformazione). Quando non hai più la maggioranza, in democrazia devi andartene e se le norme non lo permettono c’è qualcosa che non va in esse, perché sono antidemocratiche (vedi la “!meravigliosa” Costituzione bolivariana di Chavez). Il fatto che l’opposizione giochi sporco (però bisognerebbe saperlo provare, e vedere come e in che misura, perché qui di fatti ne vedo zero) giustifica lo stato pietoso di miseria, violenza endemica (tassi di omicidi da zone di guerra, inediti anche per l’AL), corruzione dell’apparato di regime? Si sta commettendo lo stesso errore fatto per certi regimi del socialismo reale: per avversione (anche giustificata) verso il modello capitalista anglosassone, si finisce per giustificare regimi antidemocratici, disastrosi sul piano economico, basati su un sistema di corruzione mischiato a forme di assistenzialismo usato come voto di scambio, laddove ancora si vota. Facile fare i rivoluzionari da salotto mentre il popolo è alla fame.
Braccobaldo delle Cim' d' Rap
Veramente i rivoluzionari da salotto sono quelli che vanno dietro a Soros…che poi sono gli stessi che godono quando fanno i golp’ d’ cartun’ in Brasile Venezuela eccetera eccetera
Invece è da sempre stata democratica la destra in sudamerica,ancora tutti si ricordano quanto erano bravi e democratici Pino osce’ ,Giorgio Vitella o Castello Branco…è facile parlare contro i governi socialisti che hanno tolto di mezzo questi stinchi di santi quando si è vissuti col sederino al caldo in europa.
Oreste delle Brasciole
Ciao Signor Giannuli, grazie per trattare anche le questioni sudamericane su questo blog, soprattutto in questi momenti di profonda e dannosa ingerenza antidemocratica americana in America Latina, come dimostra anche il recente golpe avvenuto in Brasile che ha deposto la legittima presidente Dilma Rousseff.Ormai tutta la gente della strada,al mercato del pesce a quello della frutta,nelle sale biliardo,anche al bar di Uccio delle Birre siamo tutti consapevoli e stufi degli stati sunniti d’america, democrat o neocon che siano.Non ne parliamo poi dei radical sceicchi…
Saluti e complimenti per il blog.
Gaz
@O. delle Brasciole
complimenti per gli stati sugniti d’america e per i radical scheicchi
Michele a' Zampogn
Quello è amico mio queste intuizioni gli vengono perche’ cudd’ mangj sempr’ li cozz’ crud,’ che come tutti sanno contengono fosforo…altro le porcherie che ci vuole fare mangiare cudd’ Baracchin’e Biricchin’e col TTIPette e tappete…Quello l’amico mio mi ha detto che questi ci vogliono rizzare come tanti polpi perche’ Vladimir U’Rusch è il piu’ serio e leale amico che l’Italia puo’ avere…
andrea z.
Nel 1999, l’arrivo al governo di Hugo Chávez segnò una svolta in America Latina, dopo anni di politiche neoliberiste, di tagli che colpivano la maggioranza della popolazione e di corruzione. La svolta a sinistra in Venezuela e in molti altri paesi non è stata accompagnata da una rivoluzione dell’onestà, ma comunque in tutta la regione la povertà e la disuguaglianza sono diminuite mentre aumentavano i prezzi delle materie prime, da cui Messico e Sudamerica dipendono molto.
In un paese come il Venezuela, dove il petrolio rappresenta l’88 per cento delle esportazioni, quando il prezzo del greggio è salito dai 15 dollari del 1999 ai 140 del 2008, la spesa pubblica per il welfare è potuta passare dal 12 al 20 per cento del pil, la povertà è diminuita dal 49 al 23 per cento e la disuguaglianza misurata dal coefficente di Gini è scesa dallo 0,48 allo 0,39 (1 è il massimo dell’iniquità). Questa fase politica, economica e sociale è finita.
http://www.internazionale.it/opinione/alejandro-rebossio/2016/05/02/venezuela-crisi-sudamerica
Luca Bagatin
Come sempre un ottimo articolo di un ottimo Angelo Zaccaria 🙂
Gaz
@Giannuli.
Ecco il riassunto da pubblicare in altra pagina. Non so in quale altro modo spedirlo.
Se persino il super presidente Obama (che qualcuno chiamò abbronzato) si è detto contrario alla Brexit, figuriamoci se la Riina ‘mbetta dell’Angliterra terra terra non si è sentita autorizzata a dire la sua a complemento. Sebbene entrambi fossero stato avvisati dai contrari della Brexit sull’opportunità di aprire bocca e sull’effetto boomerang delle loro dichiarazioni hanno deciso ugualmente di dare fiato alle loro ugole. Il tanned è arrivato a minacciare los anglos di chiudergli i rubinetti in caso di Brexit. Non avrei mai pensato di ringraziare la Riina e Obama, ma nella vita mai dire mai, come diceva un celebre spione mezzo alcolizzato e sodale della Riina.
Dal canto suo Camerone (Dave per gli amichetti scavezzacolli), il necrofilo animalista dei porcellini, ha chiesto e ottenuto tanto di tante deroghe dagli altri paesi dell’UE per poter sbandierare l’utilità della permanenza con un piede in Europa ai suoi elettori-affaristi. Come se non bastasse ha intrapreso un pellegrinaggio per le capitali europee alla ricerca di pubblicità e alleati. Si è recato da Clouseau e insieme hanno combinato qualche affaruccio, è andato dall’Angelona, alla quale puoi toccare tutto, ma se le si tocca la tasca tira fuori dalla riserva e scaglia contro Sigfrido, Crimilde e aggiunge anche Brunilde: purché siano altri a pagare il Camarone può dire tutto quello che vuole. Dave è atterrato anche a Roma per incontrare l’inquilino abusivo della sede vacante di Palazzo Chigi, il quale (non so per quale sortilegio) si è dichiarato contrario alla Brexit. Ahh Italia!! Renzaccio, prenditi come consigliere Farange, che è un politico vero, il quale in perfetto stile commercial imperiale ha detto che l’appartenenza al club europeo costa 55.000 sterline di troppo al giorno. Renzi non sa che il prezzo della permanenza dell’Angliterra terra terra lo paga anche l’Italia: tanto non lo pagano i suoi amici, ergo la cosa si può fare. Ci scommetto che tra le sue letture manca la Fattoria degli animali di Orwell, perché non ha il concetto di uguale più uguale degli uguali in politica internazionale.
Siccome i sondaggi non sono proprio a suo favore, Dave con un colpo di genio si inventa il nemico virtuale, il cattivo unificante contro cui combattere, per affermare la superiorità morale dei buoni. Più cattivo dell’Isis è difficile da trovare e visto che si trova ci aggiunge anche il cattivello Putin, -poco importa se si combattono in Siria- . Dave si è affrettato a far sapere urbi et orbi che il duo dei cattivi gioirebbe per la Brexit. Lavarov, diplomatico di lungo corso, ha fatto sapere che la Russia accetterà ambo gli esiti del referendum e non si ingerisce in affari che esulano dalla propria influenza, ovvero Yalta mon amour: accetterà il risultato delle urne. Non c’è che dire, una vera e propria lezione di diplomazia, a fronte delle pesanti interferenze statunitensi, lamentate per diversi motivi dall’intero schieramento politico britannico. Nello stesso tempo, la nota russa, unita all’attivismo di Piggy e Zio Sam, contiene molti elementi utili per illuminare la questione. Da una parte ci sono le costanti della politica estera russa sin dai tempi dello zarismo circa gli interessi di prossimità non sacrificabili – e le Isole Britanniche, come la penisola italiana, sono lontane da un impero estesissimo- dall’altro c’è sottotraccia, vivo più che mai, il substrato nazionalistico isolazionista anti europeo/continentale/tedesco che allarma nei sondaggi l’establishment euro britannico atlantico. Il Regno Unito, malgrado tutti i suoi acciacchi, resta una pedina fondamentale del disegno statunitense atlantista e non solo. Se con l’affossamento della CED ad opera dei francesi fu chiaro che l’Europa per via militar politica non si sarebbe fatta perché andava contro gli interessi dei franzesi, con il primo allargamento della CEE del 1973 fu altrettanto chiaro che la via dell’unione politica era definitivamente morta, perché d’un sol colpo venivano imbarcati tre passeggeri che di remare nello stesso senso non ne volevano sapere. La Danimarca antitedesca e agricola pretese tutta una serie di deroghe a proprio favore; il neutralismo irlandese era un vero e proprio bastone all’integrazione politico militare, caso mai ce fosse stato un spiraglio; l’antieuropeismo britannico con un piede nel Commonwealth e l’altro nella CEE chiudeva il cerchio per la creazione degli Stati Uniti d’Europa a favore dell’Europa degli Stati Uniti. C’è da dire che il Regno Unito ha eseguito la propria missione egregiamente, per altro in buona compagnia.
Nell’Europa a trazione tedesca una eventuale Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea costituirebbe una eccentricità ai margini dell’Europa, foriera di turbolenze finanziarie, in quanto Londra resterebbe pur sempre un mercato finanziario di primaria importanza fuori da ogni controllo esterno. Inoltre il Regno Unito accentuerebbe il carattere di giocatore in proprio. Di conseguenza molte tensioni si scaricherebbero sul Continente e sarebbe la fine della fragile Unione Europea, proprio ciò che gli Stati Uniti non vogliono e tentano di scongiurare: va contro i propri interessi commerciali. Effetto non voluto della Brexit sarebbe una forte spinta alla devoluzione della Scozia, dove dovrebbero ricordare il Darien Disaster e l’origine del loro sottosviluppo endo-coloniale. Non occorre molto per prevede un riaccendersi dei fuochi in Ultster. Di buono c’è invece che la sepoltura di quel cadavere che risponde al nome di Europa, e con essa la demolizione di quel nido di vipere che è palazzo Carlo Magno, dovrebbe indurre a ripensare radicalmente il concetto di Europa, ammesso che esista una unità politico democratica con un centinaio di lingue diverse.
Sullo sfondo ci potrebbero essere ideazioni su come influenzare il voto all’ultimo minuto, in una compagna elettorale che è partita con molto anticipo per non dare a qualche losco la possibilità di pensare colpi bassi, nel senso di manipolazione psicologica.
Al 20 giugno, data del fatidico referendum, manca un mese e la temperatura politica è già alta per le fredde isole britanniche.
P.s. Non chiedete nulla sulle idee di prega persino in latino per Brexit.
Aldo S. Giannuli
be spero che risulti leggibile
Gaz
Mhhhh ! Non ci spero, perchè a supposte e presupposte molte cose, al di là dei non facili raporti anglo francesi fino a de Gaule. Lasciando le supposte, restano le presupposte .. e in quest’ ultima Italia fiorentin renziana è una specialista.
Angelo Zaccaria
Anzitutto ringrazio coloro che hanno apprezzato il mio contributo. Alcune osservazioni invece su quanto scrive Valdo. Se si pretendono fatti incontrovertibili a riprova del fatto che l’ opposizione giochi sporco, uno almeno non può essere messo in discussione: il fallito golpe di 48 ore contro Chavez nell’Aprile 2002. Inoltre io mi riferisco alla “opposizione” in senso largo, intendendo oltre quella politica anche quella legata ai poteri economici e finanziari privati. Un solo esempio….Le enormi truffe legate alla vendita di dollari a cambio preferenziale agli importatori privati , han visto come protagonisti non solo i grandi corrotti nella amministrazione statale, ma anche e soprattutto il mondo dell’impresa privata, da sempre schierato in buona parte contro il processo bolivariano. Inoltre, invito Valdo a valutare meglio il taglio del mio approccio alle vicende venezuelane, che non è mai stato propagandistico o agiografico e non ha mai sottaciuto, neanche nel presente articolo, i pesanti limiti della “rivoluzione bolivariana”. Infine, lei parla di “popolo che ha fame”…Ricordo che, a parte la crisi di questi ultimissimi anni, le conquiste realizzate dai governi di Chavez nella lotta contro la povertà, il dimezzamento sia di quella relativa che di quella assoluta, gli investimenti in campo sanitario ed educativo, son state riconosciute da agenzie internazionali legate alle Nazioni Unite, dalla FAO e perfino da settori della stessa opposizione politica venezuelana.
Gaz
Tutti i colonialismi, anche quelli della dottrina Monroe, fanno disastri.