Il crack cinese: siamo sull’orlo di un nuovo 2008?

Non è detto, ma la cosa va presa molto sul serio. Al momento in cui scrivo (lunedì sera), la crisi cinese sembra momentaneamente tamponata: la borsa di Shanghai è rimbalzata oltre il 5% il primo giorno e del 4 e mezzo il secondo dopo il Crack ed anche le altre borse asiatiche –che ne avevano risentito – sembrano in ripresa.

Il deciso (e se vogliamo, un po’ rude) intervento del governo -che ha proibito di vendere azioni a chi ne possegga più del 5% di una società ed ha obbligato le imprese di stato ad acquistare le azioni in calo- sembra aver funzionato, bloccando la caduta dei listini.

Come scrive il “Sole 24 ore” (venerdì 10 luglio p. 1) per ora ha vinto lo stato sul mercato, aggiungendo, però, che questo non è in linea con le  “civiltà finanziarie occidentali”(“civiltà finanziaria”: Sic! A volte i giornalisti battono Totò). Falso allarme quindi? Non direi.

In primo luogo ci sono parecchi titoli che sono ancora sospesi in borsa e che, a breve, devono tornare a definire il prezzo delle proprie azioni e non sappiamo (ma questo non può saperlo nessuno) a che livello si attesteranno. Poi è possibilissimo che parta un’ondata di panico che coinvolga alche i titoli sin qui restati solidi e non sospesi. E questi sono gli effetti da affrontare a breve periodo.

Poi ci sono quelli a medio periodo: l’immobilizzo di capitali delle aziende di Stato non possono durare all’infinito e la proibizione di vendere per i “grandi azionisti” (quelli che hanno più del 5%) è fissato a sei mesi, e magari lo si potrà prorogare ancora quel qualche mese, ma anche questo non può durare all’infinito e nel giro di una anno il problema si ripresenterà. Inoltre questo crack non viene dal niente, ma dalle scelte operate dopo la crisi del 2008 che hanno innescato una catena di cause-effetti di cui questo è il punto di arrivo. E le cause sono ancora tutte lì. Per dirne una: il Partito ed il Governo hanno incoraggiato i privati ad investire nei mercati azionari per alleggerire la bolla immobiliare, che stava crescendo in modo allarmante e la gente è arrivata ad indebitarsi per speculare: è così che la borsa è arrivata alla performance straordinaria del 150% in un anno. Da cui l’inevitabile crollo odierno. Ora, a parte i polli che ne usciranno pelati, quello che avranno salvato almeno parte del gruzzolo che faranno?

Non è da sottovalutare il rischio del riprendersi della bolla immobiliare che, per la verità, non si era granché sgonfiata in questo anno. Il guaio è che in Cina (come anche in Occidente del resto) c’è troppa liquidità che non va verso l’economia reale e invece continua a viaggiare nei canali finanziari, spostandosi da una bolla all’altra.

Tutto questo accade in un momento delicatissimo in cui la Cina deve fare i conti con tre cose: governare il passaggio dagli alti tassi di crescita del “trentennio glorioso” a tassi più normali, evitando un hard landing, gestire la delocalizzazioni e affrontare la battaglia contro la corruzione diffusa.

Infine ci sono gli elementi di debolezza strutturale dell’economia cinese: la bomba demografica che sta appena iniziando a far sentire i suoi effetti e che, nel giro di 5 anni, entrerà nella sua fase acuta, la debolezza del mercato interno e la dipendenza dai mercati esteri, la fragilità infrastrutturale, le diseguaglianze interne. La caduta demografica, nel 2008, era lontana un’era geologica, ora è dietro l’angolo.

Dunque, questo intervento del governo non sarà certo l’ultimo e ce ne saranno molti altri. Il punto è: sino a dove?

La Banca centrale cinese ha una capacità di intervento fortissima, su questo non c’è dubbio, basti pensare ai 4.000 miliardi di dollari, fra titoli di stato e liquidi, che giacciono nei suoi forzieri. Ma proprio questo è il problema principale. Sin qui i cinesi hanno tolto dal mercato questa massa di dollari per tutelare il loro principale mercato di sbocco. Tanto più negli anni della crisi (nonostante la politica di liquidità della Fed che certo non gradivano), quando avevano ragione di non appesantire la difficile situazione dei loro debitori. Ebbene, se ora fossero costretti anche solo a non ri-sottoscrivere bond Usa in scadenza, per recuperare la liquidità necessaria a spegnere l’incendio in casa propria, quali sarebbero gli effetti sul valore del dollaro e sull’andamento dell’economia statunitense? Qui il rischio è che, a distanza di sette anni, la crisi stia completando il girotondo per tornare al punto di partenza.

Ma, prima ancora di questo scenario estremo, ce ne sono di più prossimi e poco tranquillizzanti anche essi. In particolare, può accadere che la crisi cinese faccia da detonatore per le situazioni più fragili in atto.

Facciamo un esempio: sappiamo tutti che uno dei punti di maggiore criticità finanziaria è il Brasile che, come tutti i produttori di materie prime, è fra quelli che hanno più risentito della crisi. In più, si sono aggiunti altri problemi contingenti (il tasso elevatissimo di corruzione, le discutibili scelte di politica interna e le conseguenti tensioni sociali ecc.), che hanno reso molto pericolosa l’esposizione finanziaria del paese.

Se adesso dovesse seguire una flessione degli acquisti cinesi (che rappresentano una fetta minoritaria, ma significativa delle esportazioni brasiliane), la situazione potrebbe farsi decisamente critica e spingere ad un crack brasiliano. E questo avrebbe quasi certamente l’effetto seguente di un crollo del Banco di Santander che è il più esposto su quel versante. A sua volta, un tonfo del Santander avrebbe conseguenze pesantissime sulla City. Quel che darebbe il via ad un effetto domino generalizzato. E staremmo peggio del 2008.

Altro punto critico è l’Indonesia, forse il maggior interlocutore commerciale della Cina, che già da alcuni mesi ha visto sensibilmente ridursi gli acquisti cinesi e, di conseguenza, ha notevolmente rallentato il ritmo di crescita (si parla di un mezzo punto in meno sulle previsioni annuali di crescita del Pil) e, a sua volta l’Indonesia è una presenza significativa nell’interscambio con molti altri paesi del Pacifico.

Altro nodo delicato è l’Australia che ha nella Cina il suo principale cliente. Infine, la Cina ha varato una grande quantità di progetti nella rete dei trasporti: ferrovie, porti, tagli di istmi (dalla penisola di Kra al secondo canale di Panama), per culminare nel grande progetto della nuova via della seta, ebbene, quanti di questi progetti rischiano di essere cancellati? Va da sé che ad ogni cancellazione corrisponde una revisione al ribasso del tasso di crescita di questo o quel paese ed, ovviamente, delle stime della domanda aggregata mondiale.

Come si vede stiamo solo facendo un inventario dei “punti a rischio” e siamo ben lontani dall’averlo esaurito. Aspettarsi una nuova impennata di questa crisi mai finita è tutt’altro che irrealistico (anche se si può sempre sperare in un’ insperata evoluzione positiva) e, questa volta, non c’è una Cina a fare da locomotiva dell’economia mondiale.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (14)

  • C’è anche il problema della Deutsche Bank con i suoi 54 trilioni di euro di derivati, venduti per fornire protezione finanziaria ad altri istituti impegnati in operazioni a rischio.
    Una situazione simile a quella dell’americana AIG, che vendette protezione a Goldman Sachs, Merryll Lynch, Lehman Brothers, rischiando il tracollo.
    I depositi della Deutsche Bank sono pari a un centesimo del valore dei derivati.
    Un’altra bomba da disinnescare e un pò più importante dei 340 miliardi del debito greco.

  • Governo cinese sta tamponado situazione con un suo QE in salsa cinese appunto. Così accanto al QE USA EU e Japan, si aggiunge la Cina.
    Il risveglio sarà amaro, perchè sotto il QE c’è solo debito.

    • “…Così accanto al QE USA EU e Japan, si aggiunge la Cina.”

      sarebbe quindi come dire che il piu’ sano ha la tubercolosi. Potrebbe essere che certi dati che si apprendono dai media siano un po’ esagerati, ma potrebbero essere anche sottostimati, purtroppo non abbiamo modo di verificarli. Per quanto riguarda la Cina una carta in piu’ da giocare l’avrebbero: aumentare i salari per avere uno sbocco nel mercato interno, e forse gia’ stanno pensando a questa soluzione. Ma la malattia piu’ grave e’ data dal modello unico economico globalizzato, che funziona come una societa in cui tutti fanno lo stesso mestiere, cioe’ non funziona. Si e’ detto che il comunismo sovietico e’ crollato perche era un sistema economico insostenibile, per adesso stiamo vedendo cosa sta succedendo con questo tipo di capitalismo: tutti gli stati fortemente indebitati e una serie di crisi ad ondate di cui non si vede la fine, con gli economisti (i primi a non capire) che si parlano addosso senza saper proporre alcunche’.
      Ma a questo punto la domanda piu’ interessante e’:
      Se tutti sono indebitati, dove stanno i creditori? Verrebbe da pensare che i debiti siano fittizzi.
      Perche allora non azzerare questi debiti e ripartire daccapo? Diversamente l’alternativa temo sarebbe la terza guerra mondiale, in questo caso io spero di essere tra quelli che muoiono subito perche’ il peggio sara per i sopravvissuti

  • Mi rivolgo sia al Prof. Giannuli che ai frequentatori di questo blog.

    Vorrei gentilmente chiedere un consiglio: un buon testo di economia monetaria per chi, come me, ne è a digiuno e non è “della materia”. Vorrei capirci meglio perché vorrei capire meglio (nel senso: più rigorosamente) il filo del discorso che, naturalmente, è molto tecnico.

    Ringrazio anticipatamente quanti vorranno essermi d’aiuto.

  • A Giancarlo Russo
    Ma lei perché si vuole così male? Al mondo vi sono personaggi che se ne infischiano delle teorie economiche e che imbrogliando il prossimo e aggirando e infrangendo le leggi, fanno una montagna di soldi. Pensi che riescono ad arricchire pure andando falliti!
    Si cerchi delle letture più edificanti e soprattutto più divertenti di un manuale di economia monetaria e per il resto continui a frequentare questo blog, vedrà che non mancherà di trovare ciò che le serve per capire.
    Naturalmente tutto il rispetto per la sua richiesta, il mio tono è scherzoso.

    • Avevo intuito che il tono fosse scherzoso ma, pur precisando di non aver tendenze masochiste, sono solo uno che, con le proprie forze, vuol cercare di studiare e capire qualcosa.

      Ps: proprio perché quegli “imbroglioni” si arricchiscono persino quando perdono (ricordo di aver visto in “Inside Job” un banchiere, credo di Goldman Sachs, dire: “quando le cose andavano bene, guadagnavamo molto, quando andavano male, guadagnavamo un po’ meno”), occorre studiare per contrastarli dialetticamente. Non conosco alternative al contrasto alla strapotenza di simili personaggi.

      Pps: non leggo mica solo quello, io… 🙂

  • E quando gran parte della produzione industriale verrà rimpiazzata mano a mano dalle stampanti 3D?
    Le esportazioni della cina diminuiranno, perchè anzichè andare “dal cinese” a comprare roba potremmo stamparla per i fatti nostri. E se la cina inizierà ad usarle nella sua produzione industriale dovrà anche dar da mangiare alla mole di persone rimpiazzate dalle stampanti.
    Non è anche questo un problema?

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