Capire la corruzione in Italia. 4. La “corruzione sistemica”.
Fine settanta-primissimi novanta. Sino alla metà degli anni settanta, i partiti conobbero una costante espansione occupando sempre nuovi spazi di vita sociale: gli enti di stato, i sindacali, le cooperative, l’associazionismo, i mass media, la pubblica amministrazione, l’università, gli ospedali, tutto venne assoggettato ad una brutale spartizione partitica prima e di corrente dopo (basti citare il mitico “manuale Cencelli”). Questa tendenza ad invadere la società civile e lo Stato, sino a quel punto, trovò un doppio argine. Da un lato i movimenti spontanei sorti dal lungo sessantotto italiano, che, per la prima volta, misero in discussione il monopolio di rappresentanza dei partiti e la profonda spaccatura del sistema attraversato dal solco che opponeva i partiti anticomunisti al Pci.
Poi i movimenti, dopo l’ultima fiammata del 1977, declinarono rapidamente per sparire in brevissimo tempo.
Quanto alla “linea di frattura principale”, quella dell’anticomunismo, essa fu sanata, in qualche modo, con la fine della strategia della tensione, fra il 1974 ed il 1976. La politica di solidarietà nazionale, anche se non portò il Pci al governo, creò una saldatura nel sistema dei partiti che si espresse attraverso la “solidarietà di ceto politico” al di là delle appartenenze partitiche.
Prova ne siano i ripetuti interventi legislativi per il finanziamento diretto, indiretto e surrettizio dei partiti e della relativa stampa, in materia di provvedimenti previdenziali per i funzionari di partito, per l’istituzione dei “portaborse”, per i frequenti aumenti delle retribuzioni di parlamentari e consiglieri di enti locali, ecc.
Nello stesso tempo, il sistema politico registrava una marcata ossificazione del correntismo organizzato dei partiti che comportava, fra l’altro, una devastante corsa al voto di preferenza ed al controllo dei pacchetti congressuali che, a loro volta, determinavano un aumento senza precedenti nei costi dell’attività politica.
In questo quadro va inserita anche la trasformazione del fenomeno corruttivo che investì qualsiasi rapporto fra cittadini e Stato: dalle pensioni di invalidità alle forniture degli enti pubblici, dalla concessione delle licenze commerciali -o anche solo dei taxi- a quelle edilizie, dai tributi agevolati per la benzina agricola agli ammassi della sempre attiva Ferconsorzi, dai concorsi per l’assunzione del personale di qualsiasi ordine e grado alle prestazioni sanitarie, dalla concessione delle case popolari al credito agevolato alle imprese artigiane, dai contributi a fondo perduto della Cassa del Mezzogiorno ai corsi per la formazione professionale, dagli insediamenti industriali delle Ppss ai finanziamenti alla ricerca: un ceto politico avido e sfrontato esigeva il proprio balzello su ogni prestazione pubblica per grande o piccola che fosse. Questo fenomeno fu definito più tardi, da Antonio Di Pietro “dazione ambientale”.
Tutto ciò non poteva essere realizzato che a queste condizioni:
a- la piena fusione fra la corruzione del ceto politico e quella della dirigenza amministrativa
b- una estesa connivenza del ceto politico tanto di governo quanto di opposizione
c- una sostanziale acquiescienza tanto degli organi di controllo contabile (ragioneria dello Stato, Corte dei Conti, organismi probivirali e di revisione delle società pubbliche ecc.) quanto della magistratura ordinaria
d- la sostanziale accettazione del sistema delle tangenti da parte del ceto imprenditoriale che, lungi dall’avvertirlo come una estorsione (e, infatti, non di concussione si trattava, ma di corruzione, appunto), lo accettava come garanzia di ottimi affari e di tutela da sgraditi concorrenti.
e- la partecipazione di un nutrito gruppo di professionisti (ingegneri, avvocati, commercialisti ecc.) chiamati a progettare singole opere o a gestire l’aspetto giuridico di molti affari.
Un sistema che alleava tutti i vari settori delle classi dirigenti: politici, imprenditori, magistrati, dirigenti amministrativi, tecnici e professionisti. E va detto che anche settori non piccoli di società civile, di semplici cittadini, ritennero accettabile un sistema dal quale, in qualche modo, riuscivano ad ottenere vantaggi personali.
E le cifre delle preferenziali ottenute dai vari candidati sono assai eloquenti sull’ampiezza dei consensi al sistema: nelle politiche del 1987, nel collegio di Milano- Pavia (per non citare la solita circoscrizione meridionale) e limitandoci ai soli eletti dei partiti di maggioranza (quindi non considerando nè le preferenze per i candidati degli altri partiti, nè quelle dei candidati non eletti) i parlamentari della Dc ottennero 723.636 voti, quelli del Psi 493.520, del Pli 15.653, del Psdi 10.659 del Pri 67.230 per un totale di 1.310.698 voti su 3.191.699 voti validi espressi a tutte le liste. Vero è che si era ancora in regime di preferenze plurime, ma occorre anche considerare che non abbiamo conteggiato le preferenze dei candidati non eletti e quelle dei candidati dei partiti di opposizione).
Il fenomeno è spiegabilissimo: la corruzione, nel breve periodo ha un effetto positivo sull’economia, perchè aumenta la massa del circolante, stimola la velocità di circolazione del denaro, redistribuisce risorse. Anche se essa comporta anche costi aggiuntivi sia per il profitto illecito di corrotti e corruttori, sia per l’attuazione di opere pubbliche funzionali solo alla percezioni della tangente sia per spese “collaterali” (partecipazione alla tangente di tecnici, professionisti ed amministrativi vari, dal dirigente apicale alla dattilografa che sa troppo), il costo non è immediatamente percepito, mentre già si forma un primo gruppo di beneficiari.
Peraltro, il profitto del politico corrotto va in gran parte va alle spese per l’attività politica (mantenimento degli apparati, campagne elettorale e congressuali ecc.); in misura più ridotta, ma comunque consistente, alla sua personale accumulazione e, in piccola parte, alle sue spese personali (anche nel caso di uno stile di vita faraonico).
Tutto questo crea un “circolo allargato” della corruzione che include tanto i “beneficiari collaterali” di cui dicevamo, quanto gli apparati politici (funzionari, consulenti ecc.) sino all’indotto della spesa politica (galoppini, fornitori vari, dal tipografo che stampa i manifesti al negoziante di abbigliamento o al ristoratore che servono il politico). E questo crea un’area di consenso non piccola, cui si aggiunge l’elettorato di clientela.
Ovviamente, la ricchezza destinata a quanti godono dei benefici del sistema corruttivo, viene dalle tasche dei cittadini esclusi da questi benefici e che sono i potenziali elementi di rottura del ciclo malversativo.
Ma la classe politica degli anni settanta-ottanta, trovò un modo molto semplice per ampliare le schiere dei beneficiati ed assottigliare quelle degli scontenti: consumare le risorse future facendo crescere in modo iperbolico il debito pubblico. Un ulteriore ausilio venne dalla sistematica omissione della manutenzione ordinaria delle opere pubbliche e dal limitato ricambio tecnologico delle imprese pubbliche (se pensi in particolare al caso delle Ffss), per cui il sistema si “mangiava”le sue infrastrutture e le sue aziende.
Si trattò di un gigantesco spostamento di ricchezza (non è esagerato stimare che il volume complessivo della corruzione politica abbia toccato il 12-13% del valore del Pil annuo negli anni ottanta), ma questo avvenne solo in parte a spese di una parte dei contribuenti, la parte più rilevante delle risorse venne sottratta alle generazioni future.
E’ evidente che il meccanismo della corruzione apporta benefici economici solo nel breve termine, mentre sul medio-lungo periodo comporta diseconomie e può diventare causa di crollo del sistema, tuttavia, il ricorso al debito pubblico (sostenuto dal costante incremento del Pil che ne relativizzava l’aumento) avrebbe potuto far durare il meccanismo per diverso tempo ancora, se non fossero intervenuti imprevisti di cui diremo più avanti.
Aldo Giannuli, 17 giugno ’10
1- tardi anni quaranta-primi cinquanta: corruzione endemica
2- metà anni cinquanta-metà sessanta: corruzione diffusa
3- fine anni sessanta-metà settanta: corruzione generalizzata
4- fine settanta-primissimi novanta: corruzione sistemica [prima parte | seconda parte]
5- prima metà anni novanta- fine anni novanta: disgregazione delle precedenti reti corruttive e metamorfosi del fenomeno
6- anni 2000: iper corruzione finanziaria.
aldo giannuli, antonio di pietro, psi, storia della corruzione, tangentopoli
ugo agnoletto
dopo aver letto questo articolo mi viene in mente il sottotitolo a MAONOMICS di Loretta Napoleoni: “L’amara medicina cinese contro gli scandali della nostra economia” in cui si dice che i cinesi hanno fiducia nel loro governo