Un nuovo ’93? Il contesto internazionale

La maggiore differenza fra la situazione del 1993 e quella attuale sta nel contesto internazionale che stava costruendo un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziari e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare nel 1993 e che oggi è l’esatto contrario.

Oggi, l’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare. Gli Usa conservano ancora consistenti residui dell’ordine monopolare: il controllo della moneta di riferimento internazionale, una supremazia militare scossa dalle sconfitte mediorientali ma che ne fanno ancora la maggiore potenza mondiale e di molte lunghezze, la maggiore centrale della finanza mondiale, il peso preponderante negli organismi internazionali…), ma non hanno più la forza di imporre unilateralmente le decisioni della comunità internazionale, non riescono ad avere un colpo d’ala che li trascini fuori dalla cris e questo determina un malessere interno che si è espresso nell’elezione di Trump.

D’altra parte, i Bric sono fortemente cresciuti (e dietro di loro avanza una nuova schiera di emergenti come Messico, Indonesia, Corea…) stanno diventando rispettabili potenze militari (India e Cina) o lo stanno ri-diventando (Russia), ma iniziano a risentire della crisi euro-americana, hanno perso lo slancio economico di otto anni fa, non riescono a sovvertire la preponderanza americana.

Gli Usa continuano ad essere l’unica superpotenza in grado di intervenire militarmente in ogni angolo del pianeta, ma, a differenza del passato, devono fare i conti con la grande potenza della regione in cui intervenissero; mentre gli emergenti hanno la forza di imporsi come grande potenza di area regionale, ma non riescono a ridurre al loro livello la super potenza americana. Abbiamo una sola super potenza e quattro grandi potenze regionali.

Insomma gli Usa non hanno più la forza imperiale di venti anni fa, ma hanno la forza per impedire che si affermi un equilibrio multipolare basato su grandi potenze regionali e senza nessuna super potenza. Ma i Brics hanno la forza per impedire l’ordine monopolare, ma non quella per  ricacciare gli Usa entro la rispettiva area regionale.

Per di più,c’è una profonda asimmetria fra i paesi occidentali, a regime liberaldemocratico e ad economia liberista, nei quali la finanza ha un forte potere condizionante, ed i paesi emergenti, in particolare Russia e Cina, dove il potere politico ha assai meno condizionamenti ed in cui sussistono molti elementi di capitalismo di stato.

E così non abbiamo due ipotesi di ordine mondiale ma nessun ordine mondiale vigente, mentre i vari attori si sfidano indirettamente in  varie crisi locali sempre più numerose (Ucraina, Siria, Iran, Oceano Pacifico, Oceano Indiano ecc.) che, per ora, scaricano la tensione che si va accumulando e se ci si consente l’ossimoro, siamo in una situazione di “stallo instabile”.

D’altra parte il blocco euro-americano è stato investito da una crisi finanziaria, che è man mano divenuta economica con i tassi occupazionali più bassi dell’ultimo trentennio, una massiccia erosione dei salari ed una conseguente caduta dei consumi. Il suo eccezionale prolungamento (di fatto, l’unica crisi paragonabile è quella del 1929) sta ora ripercuotendosi sui paesi fornitori di materie prime (Brasile in primo luogo, ma anche  Russia ) e sui paesi in cui era stata delocalizzata la manifattura (in particolare in Cina, che resiste in parte grazie alla tenuta del mercato interno). Di fronte a questo andamento economico-finanziario, le banche centrali e quelle di investimento, non hanno trovato altro rimedio che continue ondate di liquidità che hanno avuto soprattutto l’effetto di ingigantire il debito grazie al meccanismo degli interessi.

Le classi dirigenti rifiutano di prendere atto dell’origine della crisi: la strutturazione iper-finanziaria dei mercati che ha trovato sfogo prima nel crollo dei mutui sub-prime e dopo nello scoppio delle successive bolle delle materie prime e nel gonfiamento dei debiti pubblici. Dell’enorme massa di liquidità emessa ben poco è andato all’economia reale (forse neppure il 10%) mentre il resto ha trovato re-impieghi finanziari. Si è affermato un modello di “produzione di denaro a mezzo denaro” saltando il passaggio della merce che nessuno ha messo o mette in discussione. Così come non è messo in discussione l’assurdo ordinamento tributario punitivo nei confronti dei ceti medi e delle classi subalterne e premiale nei confronti delle grandi centrali finanziarie. La mobilità incontrollata dei capitali ha di fatto concesso al grande capitale privato di scegliersi lo stato cui pagare le tasse e che, prevedibilmente, è sempre quello a minor costo. L’inevitabile risultato ‘ stata una fortissima pressione fiscale dei paesi più indebitati (come Grecia, Portogallo ed Italia) che sta soffocando ogni possibilità di ripresa di quei paesi.

Peraltro, questa sordità delle classi dirigenti economiche ma anche politiche, è del tutto comprensibile dal loro punto di vista, dato che rivedere le regole dell’ordinamento neo liberista implicherebbe una secca perdita di potere delle classi capitalistiche.

D’altra parte, la persistenza del sistema di potere neo liberista è anche prodotta dalla assenza di una opposizione interna al sistema politico: la completa omologazione delle socialdemocrazie al neo liberismo, di cui, ormai, sono solo una piccola variante, ha privato il sistema di ogno possibilità ai autocorrezione.

E questo è il principale  motivo dell’ondata neo liberista che si è scatenata tanto in Europa, quanto negli Usa. La crisi continua a mordere e non c’è una ipotesi riformista, per cui l’elettorato esce dallo schema prefissato e vota partiti neo populisti prevalentemente di destra. Questa prevalenza di una protesta di destra è fortemente assecondata da due fattori: il fenomeno migrativo e la protesta contro un ordinamento che, minando  il principio di sovranità nazionale, svuota di significato il principio della sovranità popolare e, di conseguenza, la democrazia.

Il fenomeno dell’immigrazione fornisce un comodo nemico su cui scaricare la colpa di tutto, un po’ come con gli ebrei nella crisi degli anni trenta e, nello stesso tempo, la coincidenza con il terrorismo jihadista fornisce alimento all’industria della paura.

La sinistra, da questo punto di vista (parlo della sinistra non liberista, ovviamente,) non riesce a muoversi sui due terreno per retaggi ideologici che, privi di qualsiasi aggiornamento alla situazione esistente, impediscono ogni chiarezza di pensiero e di azione. Sulla questione dell’immigrazione, la sinistra (dalla Linke a Podemos alla sinistra italiana) non riesce ad andare oltre un genericissimo internazionalismo venato di buonismo, ma non è in grado di prospettare una concreta politica di accoglienza ed integrazione. Sulla critica alla globalizzazione, la sinistra teme ogni presa di distanza da essa (in particolare in tema di unificazione europea e moneta unica) come un ritorno al nazionalismo di cui diffida. Il risultato è una sostanziale paralisi che rende irrilevante la sinistra che non vuole i tecnocrati di Bruxelles e le politiche di austerità, ma difende l’Euro (come se le due cose fossero estranee l’una all’altra), e si accontenta di favoleggiare su “un nuovo Euro” che nei fatti non può esistere. Il risultato è di diventare irrilevante nello scontro fra l’ondata populista e l’establishment.

Per troppo tempo la sinistra ha smesso di studiare e di discutere, accontentandosi di mandare il Parlamento un drappello di politici di professione privi di ogni cultura politica. Ma si può sempre ricominciare.

Dunque, ora abbiamo una ondata di protesta che delegittima le classi dirigenti dall’interno, quel che costituisce un elemento di fragilità in più ed una condizione favorevole al crollo del sistemi politico italiano  ancora più spiccata che nel 1992-93.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (47)

  • D’accordo su tutto, tranne su di un punto: assimilare la costruzione di un potere federale europeo alla resa alla globalizzazione. E’ vero l’esatto contrario: l’alternativa fra globalizzazione e nazionalismo è di fatto l’alternativa fra due Destre entrambe antidemocratiche. La terza via (per noi europei) è costruire una federazione che permetta di negoziare in posizioni di forza a livello globale e comunque garantisca libertà e democrazia e (se vince la Sinistra) giustizia sociale all’interno. La differenza principale fra il nuovo federalismo (Varoufakis e il suo movimento Diem25) e il vecchio federalismo (alla Prodi, per intenderci) sta in questo: il vecchio vedeva nel rafforzamento delle attuali strutture dell’Unione Europea un cammino tortuoso ma possibile verso la Federazione, il nuovo è giunto alla conclusione che il nemico da battere non è più solo il nazionalismo, ma la stessa attuale struttura dell’Unione Europea, che si è rivelata strumento delle peggiori politiche neoliberiste e che comunque non risponde a un mandato democratico diretto e controllabile. Solo un movimento democratico e federalista da parte dei cittadini potrebbe trarre l’Europa dalla crisi attuale.

    • ma la Ue non è l’unità europea, è solo l’espressione europea del dominio finanziario e tecnocratico neo liberista. Non è possibile nessuna Europa democrratica se prima non togliamo di mezzo la Ue. In altri anni avremmo detto: la Ue si abbatte e non si cambia

      • Divide et impera, a favore di quali soggetti?

        Per certi trucchetti come l’elusione fiscale si può agire solo con una federazione.
        E per l’unità europea non ci sarebbe nulla di più cogente come una fattuale partecipazione a referendum abrogativi transnazionali.

        Ordunque, quali direttive non blindate da trattati internazionali sarebbero capaci di unire tutta la popolazione europea nonostante le barriere linguistiche e culturali?

      • Il problemi è chi l’abbatte, come e perché: se il populismo nazionalista, o un movimento internazionale che chiede istituzioni federali democratiche. Gli esiti sarebbero esattamente opposti.

          • Per “Allora ditelo”: so bene che anche gli Usa hanno il problema dell’elusione: anch’essi con la loro legislazione hanno accettato la “libera circolazione dei capitali” con relative conseguenze. Nel caso europeo tali norme, relative sia ai rapporti tra gli Stati dell’Unione sia a quelli tra essi e il mondo esterno, sono frutto dei trattati dell’Unione. Di per sé, tutto ciò non indica che la dimensione sovranazionale sia in ogni caso necessaria per evitare l’elusione, anche se potrebbe esser così, si dovrebbe dire precisamente perché.

        • @francesco cimino L’elusione fiscale da queste parti è intraeuropea!!!

          Gli USA sono una confederazione di stati in cui è si svolge il “libero movimento di capitali” ma l’elusione fiscale avviene all’esterno di tale perimetro confederativo.

          Nel caso dell’unione europea ad essere il problema è l’ordinamento che risulta compatibile con tali pratiche invece di ostacolare elusione fiscale sull’intero territorio sovranazionale.

          La questione dei tax ruling di favore sollevata contro alcuni stati membri mostra un tardivo interesse alla questione.

      • Giannuli, il piano di integrazione degli immigrati c’è, da parte di molti soggetti europei, il problema è che le forze che le propongono sono minoritarie o vengono escluse dal potere o isolate quando ci arrivano. Comunque sia lei dimentica che l’integrazione non la fanno tanto le leggi ma la solidarietà dimostrata dalla società che accoglie, e su questo punto l’Italia è molto deficitaria.

  • C’era un tipo che si aggirava per Milano dalla querela facile, che prima era vestito di nero, poi passò alla giacca, del quale mi sono scordato il nome.
    Non è che le cose non si sospettasse di come andassero ai suoi tempi. C’e voluto il pensionamento di un altissimo papavero usa loquace per averne la semi certezza del tempo che fu.
    Nelle nostre lande ci sono le elezioni politiche in vista, cui prima o poi ci si dovrà giungere.
    Il punctum è come ci si arriverà e il prima e il poi, ovvero cosa c’è da mutare perchè nulla muti nei grandi quadri, proprio perchè c’è un equilibrio instabile, che nessuno ha interesse e forza sufficiente per destabilizzare severamente più di tanto nelle case altrui.
    La conservazione dell’esistente è ipotesi regressiva per motivi che sono sotto gli occhi di tutti.
    Sta da vedere quanta sovranità/libertà di manovra/indipendenza riusciranno a conquistare nel framework alla faccia dei proconsoli, tenendo presente che in Europa gli equilibri si sono spostati verso oriente.
    Però per fare certe cose bisogna essere attrezzatissimi e non avere alle calcagna marioli, allucinati politici vari, incompetenti, venduti et similia, altrimenti si è fottuti dalla quotidianità transeunte.

  • Temo sia tutto vero, più o meno. La “sinistra” vera o presunta non osa mettere in discussione l’assetto del “liberismo globale” per un pregiudizio favorevole a qualsiasi “cosmopolitismo” e anche, direi, per paura di crolli economici peggiori dell’attuale( in particolare quando si tratta dell’euro )o per semplice interesse acquisito. Qualcosa si mouve, peraltro: negli Stati Uniti Bernie Sanders ha avuto il coraggio di denunciare la “globalizzazione” come negativa, mentre l’economista Dani Rodrik, che mi sembra un autentico keynesiano, ha propugnato la restituzione di un maggior potere agli Stati nazionali. Almeno a breve termine però, a guidare l’opposizione al liberismo saranno la destra nazionalista o gruppi dalle idee piuttosto confuse come i 5 stelle. Il che potrebbe voler dire: nulla di fatto o peggioramento delle cose. Ma quelle forze potrebbero anche, in qualche modo, avviare o preparare un mutamento positivo.

  • Come si integrano gli immigrati?
    Forse cambiando la società anche per i nativi?
    La gente accetterebbe un piano di integrazione oppure il popolo rifiuta a priori qualsiasi integrazione?

  • Bellissimo articolo, grazie Aldo!
    Mi permetto di aggiungere una riflessione che non sento mai fare, ma penso che sia da aggiungere alle altre tue giuste motivazioni sulle cause della crisi politica attuale, come sempre diretta conseguenza di quella economica. Forse dirò delle banalità, e me ne scuso.
    Quando a fine anni ’90 c’è stata una decisa apertura dell’occidente, in primis gli USA, nei confronti della Cina, quando poi abbiamo cominciato a vedere sulle bancarelle, ad esempio, ottime camicie in puro cotone a 5 euro (e anch’io come tanti ne ho approfittato), oppure cravatte in pura seta a 3 euro, scarpe griffate a 15-20 euro, eccetera, qualche domanda me la sono fatta.
    Tutta roba che normalmente sarebbe costata 5/6 volte tanto nei negozi. Come poteva essere possibile? Quale sarà il vero prezzo da pagare per godere di tanto a cosi poco?
    Poi abbiamo assistito al fuggi-fuggi degli imprenditori, aziende anche prospere che chiudevano da noi (e non solo da noi), per andare a produrre in Cina, portandosi via macchinari, maestranze e, sopratutto, know-how e lavoro.
    All’epoca si diceva: è inevitabile, è il prezzo da pagare per avere buone camicie a 5 euro e per permettere alla Cina di abbracciare l’economia di mercato capitalista, scrollarsi di dosso il fallito sistema comunista che non è più in grado di reggere, e dunque apriamo i mercati, “Aggiungiamo un posto a tavola, ci sarà un amico in più”. Qualcuno, più cattivo, ma anche più sincero, diceva (e dice tuttora), “colpa dei sindacati, che proteggono i nullafacenti!”.
    Il tutto nella completa e colpevole assenza dei governi e della politica .
    E’ vero che dove c’è da mangiare per 10, stringendosi un po’ ce n’è anche per 11, ma perdiana, allora i posti a tavola da aggiungere furono 1,2-1,3 miliardi, a cui si aggiunse presto un’altro miliarduccio di indiani, per limitarci ai maggiori!: un po’ troppi per pretendere di continuare a vivere come prima.
    Il tutto in pochissimo tempo, un decennio o giù di lì. Mai accaduto prima nella storia del progresso umano un fenomeno di tali proporzioni in così poco tempo (il prof. forse mi correggerà).
    Risultato, come era ampiamente prevedibile col senno di poi, le classi povere sono scivolate nella miseria, la middle class ha dovuto rivedere i propri stili di vita, molti sono scivolati nella povertà, denaro e beni si sono accentrati sempre di più in poche mani, in gente divenuta ricca, sempre più ricca, mostruosamente ricca. Pare che oggi in Cina ci siano più di 40 milioni di milionari.
    Che farne di tutto quel denaro? Un Bill Gates non può mica divenire imprenditore di conserve alimentari, calzature, automobili, e quant’altro: ma non può neppure tenere fermo il denaro, magari costruirsi un deposito stile Paperon de Paperoni ed andare a nuotarci. Perciò lo investe in azioni, compra o assume il controllo di maggioranza di aziende anche se non hanno nulla a che vedere con la sua attività di elezione (Benetton che diventa azionista di maggioranza di Autostrade SpA: che ci azzeccano le strade con i maglioni?).
    La prima finanziarizzazione è iniziata così: poi sono arrivati i pescecani veri, che neppure comprano le aziende, creano, comprano e vendono pezzi di carta. Creano denaro virtuale, elettronico, custodito nei computer di mezzo mondo, grazie ad un sistema bancario anch’esso fuori controllo, libero di fare e disfare senza che nessuno si azzardi a regolamentare. Mi pare di aver letto che il totale del circolante, almeno delle monete più forti, non è neppure il 10% di quello virtuale.
    Come se ne esce? Per parte mia, solo un grandissimo BOH!
    Ma è Natale, non ci spacchiamo troppo la testa (e qualcos’altro).
    Auguro un felice e sereno Natale a te Aldo ed a tutti quelli che ti leggono.

    • Come se ne esce? Il regime produce la soluzione ai propri mali, o come si diceva un tempo, il capitalismo sega il ramo su cui sta seduto. Il sistema è sempre più vicino all’esplosione, tenuto assieme da finanza creativa e trucchi contabili (qualcuno crede davvero che il debito sia poco sopra quota 130%? Ricordate come scoppiò la crisi greca…). L’unico rimedio dei banchieri centrali è somministrare al malato di cuore dosi sempre più masssicce di stimolanti per farlo arrancare ancora un po’.

      Se ne uscirà colla distruzione di ciò che rimane del nostro benessere, la guerra e la dittatura.

      • C’è all’orizzonte una guerra con la Svizzera, da perdere astutamente per accollargli il nostro debito pubblico e far curare nella stessa clinica neuro linda e pinta tra le Alpi e i laghi Euro e Europa?
        Attenzione a non allearci con i francesi, altrimenti quelli ci mettono a fare le competenze!

      • Intanto con l’elezione di Trump, se non gli faranno fare presto la fine di tanti altri Presidenti, gli States saranno i primi ad esplodere. E non è un augurio.
        Forse per la prima volta il popolo americano è così diviso: le classi più povere, ad iniziare da neri e portoricani, sono rimaste scottate dalla presidenza Obama.
        Si aspettavano chissà quali provvedimenti per venire loro incontro: hanno ricevuto solo un abbozzo di riforma sanitaria e tanta, tanta disoccupazione (anche se i media sbandierano il contrario).
        Contrariamente alle aspettative, e nonostante l’enorme dispiego di denaro e mezzi, l’appoggio quasi unanime dei media, la Clinton è stata rigettata nella spazzatura della storia, come probabilmente si merita insieme al maritino.
        Ma questi non si rassegnano, in questo mi ricordano molto il nostro PD, continuano ad agire ed a sobillare contro il nuovo Presidente: qualcosa di simile era accaduto anche quando è stato eletto Obama, ma non in queste proporzioni e con queste modalità. Alla fine il popolo americano si è sempre raccolto intorno al suo Presidente. Alla lunga, questo non potrà che sfociare in una instabilità politica e sociale fuori controllo: a meno di un’altra Twin Tower o qualcos’altro simile, gli Usa dovranno cominciare a curare un po’ di più io fatti di casa loro, il giochetto di portare la guerra fuori dai propri confini non è più tanto facile da fare, quando sei in clima di guerra civile.
        Comunque, caro Lorenzo, come vede anch’io non sono affatto ottimista, ma non sono neppure del partito del “muoia Sansone con tutti i filistei”: il nichilismo distrugge soltanto, non costruisce nulla di buono.

    • Devo ancora incontrare qualcuno che mi spieghi perché la crescita produttiva di una nazione esige l’impoverimento di un’altra. Non se ne può più di sentire i discorsi che “spiegano” il peggioramento di condizioni di molti occidentali con il miglioramento di quelle di molti cinesi. Tale argomento è usato dagli apologeti delle politiche degli ultimi decenni, tra l’altro in modo contraddittorio: sono “liberisti” pronti a dire che lo scambio avvantaggia tutte le nazioni quando si tratta di legittimare la “libera circolazione”, mentre quando devono spiegare l’impoverimento di molti occidentali diventano “mercantilisti” che descrivono la crescita come una lotta tra nazioni per le esportazioni, come se le esportazioni degli uni non fossero le importazioni degli altri. Un legame tra l’ascesa cinese e le condizioni occidentali esiste, ma non è automatico, come se si trattasse di aggiungere posti ad una “tavola” che non cambia.

    • Nel suo ragionamento ci sono due falle enormi: 1,2-1,3 miliardi è un numero spropositato dato a casaccio e la tavola a cui si riferisce, per prima cosa non rimane della stessa grandezza (il lavoro non è una variabile fissa), in secondo luogo è piena di cibo solo in un piccolo spicchio, il resto son solo briciole, forse sarebbe il caso di redistribuire meglio prima di pensare ad allargare la tavola.

      • Nel 2000, anno a cui traguarda il mio commento, le popolazioni cinese e indiana erano, rispettivamente, oltre 1,263 e 1,042 miliardi.Assommavano quindi ad oltre 2,300 miliardi su una popolazione globale, all’epoca, di poco più di 6,1 miliardi di persone. Bei numeri, non c’è che dire, e non numeri “a casaccio”.
        Tutta gente che si è affacciata allora alla società dei consumi, chiedendo di partecipare a pieno titolo ai nostri stessi stili di vita.
        Perché questo fosse possibile, in attesa che si raggiungesse un punto di equilibrio ancora molto di là da venire, bisognava per forza che fossero ridistribuiti diversamente quei beni (materie prime, manifatture cioè lavoro, automobili, beni voluttuari, ecc. ), fino a quel momento nelle disponibilità della società occidentale per oltre 80%.
        Perciò non sono io ad auspicare un allargamento della tavola, ho solo registrato dei fatti. E arrivo buon ultimo con queste considerazioni, addirittura banali e scontate oggi alla luce di quanto è successo e continua ad accadere.
        Forse farebbe meglio a leggere con più attenzione e documentarsi bene, prima di postare commenti, quelli si “a casaccio”, poco coerenti con quello che vuole contestare.

        • Insomma, Roberto B: cosa significa che “il lavoro” o i beni prodotti dovevano esser “distribuiti diversamente”? Cina e India hanno accresciuto la loro produzione industriale; non c’è nessuna ragione di principio per la quale ciò dovrebbe implicare una diminuzione della produzione occidentale, proprio come il decollo industriale dell’Italia o del Giappone, nel dopoguerra, non aveva implicato una diminuita produzione dei Paesi già da tempo prosperi.
          Se l’Occidente importa più di prima dalla Cina, deve poter esportare di più per poter pagare( salvo indebitarsi, il che rinvia soltanto la questione al futuro ); se l’Occidente s’impoverisce, deve importare meno dalla Cina e il danno è reciproco.
          Resterebbe un’ultima spiegazione del suo presunto argomento “scontato”: la Cina esporta di più in, e importa di più da, parti del mondo diverse dall’Occidente e lo fa in modo tale da costingerlo a limitare le sue esportazioni e importazioni complessive. Ma non mi pare sia accaduto.

  • Credo che per capire meglio l’evoluzione del quadro internazionale e la sua influenza sull’Italia sarà decisivo il 2017, perchè nel corso del prossimo anno inizieremo a capire quali saranno gli eventuali cambiamenti nella politica estera americana col nuovo presidente e soprattutto vedremo quali saranno le conseguenze delle elezioni francesi e tedesche.
    Rispetto al 1993 l’Italia di oggi è molto più dipendente da ciò che avviene all’estero: se la Le Pen dovesse vincere e portare la Francia fuori dall’euro, ad esempio, noi saremmo completamente in balìa degli eventi esterni e molto più vulnerabili di fronte ad una implosione della costruzione europea, a cui i nostri sciagurati politici ci hanno incautamente legato.
    Lo stesso varrebbe in caso di sconfitta della Merkel.

    • Prospetti uno scenario da considerare, ovvero che la Francia si defili.
      Cosa è successo le volte in cui Germania e Italia (sopratutto quando non esistevano come entità politiche autonome) si sono strettamente legate?
      C’è uno storico in blog che sappia rispondere ??

      • Egregio Prof. ,sono analisi logiche le sue! Ineccepibili ,se si sposa questo punto di vista critico e propositivo di alternative ! Le cause della crisi attuale potrebbero essere comunque altre oltre alle enunciate e descritte (che condivido)…come quella psicologica non misurabile ,ma esistente, del rigetto di “consumismo di tre soldi”e ,paradossalmente,del tentativo di avere da parte di ciascuno di più di tutto secondo i propri desideri. Una “cosa” imponderabile,ma ,per me,più illuminante della sola analisi della crisi della finanza,della globalizzazione,delle forzate delocalizzazioni di tecnologia,della politica delle larghe intese,ecc.,cui per contraltare si ha il ritorno del nazionalismo e del populismio.Su queste cose ,sull’influenza con effetto leva della pisicologia individuale e della cultura contemporanea sulle crisi odierna è da me dsecritta su un libro da me pubblicato.Vorrei su di esso sentire la voce del Prof.Giannuli. Il libro si intitola “Antropologia di un declino” ,edito da Europa Edizioni di Roma.
        In esso ,si parla della crisi dell’imperialismo attuale,ma si prospetta anche una soluzione che esige tra breve un mondo multipolare e di macro.aree -regionali,soprattutto per salvare l’economia sostenibile,l’occupazione e il contenimento ragionevole delle immigrazioni che tanto ci disperano .

  • Professore, buongiorno e ancora tanti auguri!
    Grazie per l’analisi che condivido appieno. Aggiungerei un elemento antropologico, o sociologico, a seconda dei punti di vista da cui lo si vuole approcciare. In questi trent’anni è caduta, in Occidente come in Oriente, una visione del mondo che prevedeva, più che auspicare, un imperativo: il benessere delle masse popolari. Non uso nemmeno una terminologia di classe, intendo proprio il populus, a cui già i romani dovevano dare panem, così come gli imperatori di terra di Cina, gli Scià di terra di Persia, e via discorrendo. Il welfare state, compromesso fra Capitale e Lavoro per non portare qui la rivoluzione socialista, il motto paolino “chi non lavora non mangia” presupposto per la fondazione di una società, socialista in senso marxiano, che offrisse “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo/* lavoro”, vigente invece in tutti i paesi del variegato campo socialistico, dopo la caduta dell’URSS sono svaniti come neve al sole. Baffetto, ovvero il conte Max, parlava non più di “diritti”, ma di “opportunità”. L’ubriacatura neoliberistica, pensiero unico adottato da destra a centro-sinistra, contagiava tutti e faceva dimenticare questo principio, in tutte le sue declinazioni storicamente realizzate (o realizzabili). L’Est Europa degli Oligarchi, faceva passare come “demokracija” lo smantellamento dell’apparato produttivo, insieme ai sistemi di protezione sociale, di assistenza e previdenza socio-sanitaria, riducendo popoli interi al lastrico e creando fenomeni di sottoproletarizzazione catastrofici. La Cina delle (contro)riforme, allo stesso tempo, accettava che “i ricchi dovessero mostrare la strada ai poveri”, avanguardia del nuovo Verbo, e legittimava così l’impennata verso l’alto del coefficiente di Gini, minatori che crepavano nelle miniere manco fossimo ai tempi di Germinal, operai sfruttati per due turni di lavoro consecutivi al giorno, lavoro minorile nelle fabbriche di beni di consumo, clandestini (sic!) per migrazione interna, e via discorrendo. Morale: può esistere crescita economica senza giustizia sociale, riducendola al minimo per non eccedere il massimo della sopportazione della classe operaia a cui la si deve somministrare? Certo. Ed è il nuovo che avanza. L’ultima, in questo senso, viene dalla Russia. Per la precisione da Irkutsk. Coglioni, perché mai parola fu più azzeccata, di turno al rullo di rainews, una settimana fa scrissero una cosa del tipo “30 morti in Russia per aver ingerito una lozione per capelli”. Coglioni, ripeto, perché non puoi permetterti di scrivere una cosa del genere senza approfondire un minimo. Praticamente, in Russia per combattere l’alcolismo hanno aumentato l’accisa sugli alcolici e, pertanto, gli alcolisti senza soldi ricorrono a surrogati alcolici che vengono venduti come medicine, lozioni per capelli, eccetera, aggirando così l’accisa e la legislazione. Vengono venduti sia nei negozi sia nei distributori automatici. Ora, il numero delle vittime di intossicazione, morte per aver ingerito quelle porcherie è salito a 75 (https://ria.ru/trend/poisoning_alcohol_Irkutsk_17122016/) e le autorità “corrono ai ripari”!
    Premetto che sono il primo a salutare la nascita di un mondo multipolare, se non altro perché è più facile scardinare un sistema traballante, piuttosto che un blocco monolitico. Ma non mi si venga a dire, come accade spesso in molta sinistra, che in Cina o in Russia ci siano degli elementi sistemici di forza rispetto al modo capitalistico occidentale. Capitalismo lobbistico contro capitalismo monopolistico di stato: sempre di capitalismo stiamo parlando.

    Tanti auguri ancora.

    Paolo

  • Alcuni punti condivisibili, ma questa frase è un concentrato di banali accuse e propaganda ‘mainstream’: “Il fenomeno dell’immigrazione fornisce un comodo nemico su cui scaricare la colpa di tutto, un po’ come con gli ebrei nella crisi degli anni trenta e, nello stesso tempo, la coincidenza con il terrorismo jihadista fornisce alimento all’industria della paura.”
    Invece, ormai da decenni, c’è l’industria della frode e dell’immigrazione.

  • Ottima analisi. Anche se la via per essere contro l’UE senza portare acqua alla retorica nazionalista di destra mi sembra molto stretta. Questo punto potrebbe essere ulteriormente approfondito?

  • .. può essere che ci sia qualche avversativa di troppo.
    Demograficamente .. solo per prendere in considerazione un dato il più possibile neutro .. il fenomeno è più che rilevante.
    Mi permetto di aggiungere che anche i fenomeni in uscita hanno una qualche rilevanza .. cecchè ne dica quel tipo con la barba che va alle cene perigliose. O no?

    • I nuovi ingressi, e le nascite dei figli degli immigrati, sono molti più delle uscite. Un circolo vizioso: gli immigrati votano partiti favorevoli all’immigrazione, vecchia e nuova. Come conseguenza la demografia distrugge la democrazia. Il risultato finale è il declino delle civiltà occidentali e l’islamizzazione.

  • ACME NEWS
    Nell’ambito del programma Gov. Erasmus.eu 3.0 teso a dare la possibilità di scambio tra ministri dei Paesi dell’Unione per effettuare in una Istituzione straniera un periodo di amministrazione legalmente riconosciuto dal governo italiano, è stato designato dal consiglio dei ministri, riunitosi d’urgenza il giorno di Santo Stefano, il Ministro Barbetta Bianca, per un soggiorno presso il Bund-Governat di Kurliandia per un periodo di sei, mesi rinnovabili.

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