Brexit. Che succede ora?

Contro sondaggi ed exit poll, ha vinto Brexit: 48 a 52, la Gran Bretagna decide di uscire dalla Ue.  L’assassinio di Joe Cox non ha giocato il ruolo sovvertitore delle tendenze dell’elettorato che si temevano ed ora rischia di essere un boomerang che torna sul governo. Sulle ragioni di questo distacco ragioneremo quando potremo analizzare i risultati di dettaglio. Ora cerchiamo di capire che scenari si preparano.
In primo luogo di carattere politico a cominciare dal destino del governo: le regole della politica (e della correttezza istituzionale) vorrebbero che Cameroon ne traesse tutte le conseguenze, ma siamo nel tempo dei giullari e Cameroon è solo un Renzi che parla con la bocca a culo di pollo, per cui non ci aspettiamo alcun gesto onorevole, anche perché, a differenza del nostro, questo giullare ha messo le mani avanti per non cadere ed ha detto che, qualunque sia il risultato, lui non se ne va. Però non è detto che resti, perché dipende dalla tempesta che può scatenarsi.

In secondo luogo c’è un dato che deve far pensare: Brexit ha vinto in Inghilterra strettamente considerata (salvo la cosmopolita Londra), però ha perso in Scozia, il che lascia presagire una possibile conseguenza diretta: il riproporsi del separatismo scozzese.

In terzo luogo, gli effetti sulla Ue. Vero è che l’Uk è sempre stata con un piede dentro ed uno fuori dall’Unione, però è la prima aperta sconfessione popolare di un paese importante verso la Ue. E questo ha due conseguenze dirette: ha stabilito un precedente che potrà essere seguito da altri e rilancia  le tendenze separatiste in tutti i paesi, in secondo luogo saltano tutti gli equilibri istituzionali. Infatti, pur non facendo parte dell’eurozona, la banca centrale inglese partecipa al board della Bce: può continuare così? E Se esce, chi rileva la sua quota percentuale? Ed ha un senso la presenza di parlamentari inglesi nel Parlamento di Strasburgo? Ed ovviamente, anche Commissione e Consiglio d’Europa devono adeguarsi. Aumenta ancora il peso della Germania, ma questo non fa che alimentare le tendenze secessioniste altrui.

Non c’è dubbio che la Ue ne esca terremotata. Non è detto che questo abbia riflessi più di tanto sull’Euro, ma è evidente che, in una certa misura da capire, le avrà. Non so se ci sarà il terremoto finanziario che molti temono e non è affatto scontato che esso debba esserci. In sé la decisione inglese non implica le conseguenze paventate dai fautori del Remain, però è anche vero che c’è un interesse specifico di diverse centrali politiche e finanziarie a che ciò accada. Una uscita inglese troppo indolore potrebbe aiutare le spinte separatiste, e questo non è sopportabile dall’establishment europeo. Peraltro la situazione finanziaria mondiale è già molto debole con nubi minacciose all’orizzonte: ad esempio c’è il rischio di un crollo brasiliano nel giro di qualche mese e, se ciò si verificasse, implicherebbe un possibile crollo del Banco di Santander, particolarmente esposto in quella direzione ed il Banco è un pezzo importante della City londinese. Poi c’è il riflesso sulle banche europee ed in particolare italiane e tedesche che sono quelle messe peggio. Insomma tutto da vedere, ma che possano esserci forti movimenti tellurici già a partire dai prossimi giorni e settimane, è una certezza.

Ma, al di là dell’esito che ha dato la vittoria a Brexit il punto centrale dell’analisi è che il paese è spaccato a metà. Certo, chi ha la maggioranza, anche per un solo voto ha vinto, ma che vittoria è quella ottenuta con una manciata di voti? Esattamente come accadde meno di un anno fa nel referendum per l’indipendenza della Scozia, è ovvio che gli sconfitti non si rassegnino e preparino la rivincita o nelle prime elezioni politiche o, se appena possibile, in un nuovo referendum che, nel caso specifico, sarà ancora più avvelenato di quello appena passato. Per non dire di possibili eventuali accuse di brogli.

Insomma un risultato che non può avere piena legittimazione e che certamente determinerà un’accentuata instabilità politica. La situazione politica inglese avrebbe richiesto, più che l’alternativa secca del referendum (dentro/fuori), una più accorta opera di mediazione, per cui il “fuori” avrebbe potuto essere un fuori che però considerasse costi e rischi e adattasse a questo tempi e modi del percorso ed il “dentro” avrebbe potuto essere un “dentro” a condizioni rinegoziate, tenendo conto della domanda politica degli ostili alla Ue. E magari il referendum sarebbe potuto svolgersi fra ipotesi meno diametralmente opposte e non avere il carattere di duello all’ultimo sangue che ha avuto. Oggi il Regno Unito è un paese drammaticamente spaccato e con odi difficilmente ricomponibili. Lo stesso assassinio della Cox, che si sia trattato di un assassinio su commissione per avvelenare lo scontro referendario o che sia stato l’opera di un pazzo solitario, è il segnale di una carica di odio del tutto inedita in un paese la cui storia non annovera episodi cruenti di questo genere da almeno tre secoli.

Ma il problema è che il senso della mediazione politica è saltata in aria. Ormai mediazione politica è sinonimo di intrigo, di maleodorante retrobottega politicante, di “inciucio”, mentre prevale una logica sopraffattoria ammantata di retorica calcistica.

Ma gli assetti costituzionali di un paese, ed a maggior ragione l’appartenenza ad una comunità internazionale che incorpora pezzi di sovranità e che innerva profondamente l’economia, non possono essere decisi a botta di maggioranza con tre voti di scarto. Per definizione essi non posso essere che essere terreno di condivisione e devono trovare una larga base di sostegno.

La Repubblica, in Italia, vinse con due milioni di voti di scarto, circa il 10%, un risultato non proprio risicato, ma sicuramente non plebiscitario, ragion per cui nella Assemblea Costituente si cercò il massimo di condivisione ed, alla fine, il testo fu approvato con circa il 90% dei voti essendosi pronunciati a favore socialdemocratici, comunisti, socialisti, democristiani, azionisti e repubblicani. Questo richiese una forte opera di mediazione per cui, ad esempio, i comunisti accettarono l’inserimento dei patti lateranensi  nell’articolo 7 (e forse fu una concessione eccessiva) mentre i Dc accettarono una formulazione ambigua dell’articolo 49, per la quale, il riferimento al “metodo democratico” non implicasse alcuna indicazione di merito sul regime interno di ciascun partito. Le sinistre  accettarono il bicameralismo e la nozione di “salario familiare” e non individuale, mentre i Dc accettarono che nel testo non vi fosse alcun riferimento all’indissolubilità del matrimonio e che non vi fosse alcun riferimento a Dio nell’art 1, la cui formulazione (“Repubblica democratica fondata sul lavoro”, al posto di “Repubblica democratica dei lavoratori” come proponeva Di Vittorio) fu un capolavoro di mediazione.

Perché la cultura politica della nascente Repubblica era largamente permeata dal senso della mediazione, come era necessario che fosse in un paese che usciva da una dittatura e una guerra entrambe rovinose e nel quale occorreva far convivere forse socialiste, cattoliche e laiche senza che nessuna prevaricasse. La guerra fredda spinse verso un conflitto che rischiò più di una volta di travolgere questo fragile argine che, però, tenne proprio grazie al senso di equilibrio che derivava da quella cultura della mediazione. E questo è sempre caratteristico dei sistemi costituzionali parlamentari.

Ma, dagli anni novanta, prese piede una cultura politica profondamente permeata dallo spirito neo liberista. Chiusa nel recinto del “pensiero unico”, che legittimava come forze di governo solo partiti politici di marca liberista, la nuova cultura politica non aveva bisogno di alcuna mediazione, perché presupponeva un ricambio politico fra élite politiche omogenee, distinte solo da limitate differenze interne allo stesso orizzonte ideologico. La differenza era essenzialmente quella delle caratteristiche personali del capo coalizione.

Questo ha implicato uno spirito sostanzialmente fondamentalista: il tempo della globalizzazione, almeno sin qui, è stato tempo dei fodamentalismi e, se gli islamici hanno avuto lo Jihadismo, l’India il radicalismo induista, altrettanto per Israele, l’occidente ha avuto sua espressione fondamentalista nel neoliberismo.  Ed il fondamentalismo, per definizione, non ammette mediazione. Da questo è scaturita una visione della lotta politico-elettorale per la quale chi vince vince tutto e chi perde tutto, ed il potere di decisione appartiene tutto e solo al vincitore, mentre alla minoranza non resta altro ruolo che restare in panchina come possibile squadra di ricambio.

E’ di qui che dipende anche l’uso inappropriato dei referendum come suggello finale di chi ha vinto e chi ha perso. Il populismo di cui tanto spesso ci si lamenta (spesso confondendolo con la democrazia tour court)  si alimenta proprio di questa cultura della sopraffazione.

E questo è il frutto velenoso del neoliberismo. Ma le sue regole iniziano a saltare ed il confortevole recinto del “pensiero unico” inizia a registrare più di un varco Il sistema non tiene più.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (53)

  • Il giornalista Mario Appelius, durante il “bieco ventennio”, esordiva dai microfoni della radio EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) nei suoi commenti quotidiani, scagliando la nota maledizione contro la perfida Albione e il popolo dei cinque pasti giornalieri :”Che Dio stramaledica gli inglesi”. Che cosa c”è di più attuale? Da sempre la perfida Albione è nemica giurata di ogni tentativo di unificazione del vecchio continente. Lo fu ai tempi di Napoleone, lo fu con l ‘ultimo grande cancelliere germanico.Invito tutti ad unirsi al coro e all’unisono pronunciare : “Che Dio stramaledica gli inglesi”!

    • Tenerone Dolcissimo

      Da sempre la perfida Albione è nemica giurata di ogni tentativo di unificazione del vecchio continente

      Meno male che c’è la perfida Albione

      • @ Tenerone Dolcissimo e Lorenzo. Ovviamente l’Europa che ho in mente io è non questa Europa dei banchieri e dei politici loro camerieri, per dirla con Ezra Pound. L’Europa che ho in mente io è l’Europa dei popoli, quella indicata dal nazionalista rivoluzionario belga Jean Thiariart e dal suo movimento Jeune Europe; che vide tra i suoi giovani aderenti anche Renato Curcio.Poi per quanto riguarda il liberalismo egregio Tenerone Dolcissimo, a seguito di un corto circuito mentale io potrei diventare comunista, ma liberale mai! Aborro tutto ciò che è liberale e liberalismo sopratutto in materia economica! “Tutto nello Stato, niente fuori dello Stato, nulla contro lo Stato.” Stato totalitario a partito unico; che la faccia finita una volta per sempre di parlamento, democrazia, sindacalismo, partitismo,giornalismo, antifascismo, borghesia,plutocrazia e sudditanza agli USA. Ancora una volta e per sempre: “Che Dio stramaledica gli inglesi” compresa la loro maledetta isola, la loro storia, il loro isolazionismo nemico di ogni tentativo storico di unificazione dell’Europa. Senza dimenticare lo schiavista,negriero, etilista acuto, Winston Churchil!

        • Tenerone Dolcissimo

          Caro Maffei, non si diventa liberali. Liberali si nasce, come si nasce aquile o polli destinati alla batteria in attesa di essere spennati e finire in tavola.
          Ti consiglio di prendere ad esempio il buon Giannuli, che sarà sempre comunista ma almeno ha cominciato prendere atto che i nazicomunisti della UE glielo stanno mettendo in (bip)
          Certo Giannuli ancora crede che la sinistra non sia composta di tassatori a oltranza, ma spero che col tempo …

  • Professore buongiorno!
    All’inizio era il referendum sulle preferenze, con Vauro che aveva fatto una vignetta emblematica per l’occasione: Stanlio e Broglio (raffigurando quello che restava del CAF). E io a votare SI convinto. Poi quello Segni, che utilizzava le stesse parole d’ordine del primo (niente inciuci, quindi meno possibilità di corruzione concussione concorso esterno/interno in associazione mafiosa politici ladri ecc.) e in più aggiungeva una nuova parola d’ordine: go-ver-na-bi-li-tà. Tu parlavi di rappresentanza democratica, loro ti rispondevano governabilità. Tu parlavi di dialogo, loro ti rispondevano governabilità. Qualsiasi cosa dicessi, loro tiravano fuori lo stesso mantra. I casini nel nostro Paese trovavano di colpo un responsabile, il maggioritario mancato prima, imperfetto poi. Sarà vero… sinceri democratici ci cascavano. Un grimaldello dopo l’altro, un piede di porco dopo l’altro, quella cultura politica è stata completamente scardinata. In altre parole, la fine delle ideologie ha consentito il recupero da parte del Capitale di quella che era una borghesia “atipica”, quella italiana, figlia di una mobilità sociale inedita, quella verso l’alto del dopoguerra, e che vedeva regioni “rosse” e “bianche” benestanti del centronord ancora affezionate alle idee di provenienza: una socialdemocrazia più o meno radicale nel primo caso, il cattolicesimo solidaristico e, per certi versi, molto postconciliare, nel secondo. In entrambi i casi, era viva la memoria della guerra, delle macerie, e dei sacrifici fatti da chi era sopravvissuto per rimettersi in carreggiata. In quei “trent’anni di safari, fra antilopi e giaguari, sciacalli e lapin”, Aida era e restava sempre bella: il patto frutto di un dialogo sociale inedito (e scomodo) era nei fatti, non nelle parole. Finita l’URSS, “finita la storia” (giusto il richiamo che fa a Fukuyama), finito quel compromesso, schifoso, imperfetto quanto si voglia, fra Capitale e Lavoro che ormai stava stretto ai nuovi padroni del vapore. Così come il dialogo. “Non ti sta bene? C’è fuori la fila. Anzi, chiudo tutto e vado in Cina.” Anche la rete – paradossalmente – ha fatto la sua parte: un cervello educato o ri-educato, in cuor mio penso mal-educato, alla messaggistica istantanea, è un cervello limitato nelle proprie potenzialità, che risponde istintivamente e immediatamente agli stimoli (messaggi). Tanti messaggi nel minor tempo possibile: questo è il nuovo “pensiero”, da cui ovviamente sono esclusi i bradipi come lo scrivente che pensano, poi scrivono, poi si correggono, poi inviano: poi magari scrivono cazzate lo stesso, per l’amor di Dio, ma il rileggersi, il correggersi è già un segno di attenzione verso l’Altro, il primo passo per la costruzione collettiva di un pensiero o, meglio ancora, di un progetto. Potremmo partire da questo.
    Un caro saluto.
    Paolo

  • Tenerone Dolcissimo

    Cameroon è solo un Renzi che parla con la bocca a culo di pollo
    ***
    In questo momento di gioia, rivolgiamo un pensiero reverente a mrs Margareth Thatcher, silurata dagli esponenti del proprio partito come Cameron, cioè provenienti dalle classi aristocratiche, che la
    Disprezzavano perché figlia di un piccolo droghiere di provincia e quindi alfiere della piccola borghesia produttiva
    Odiavano in quanto fortemente critica della UE

    When Britain first, at Heaven’s command
    Arose from out the azure main;
    This was the charter, the charter of the land,
    And guardian angels sang this strain:
    “RULE, BRITANNIA! BRITANNIA RULE THE WAVES:
    “BRITONS NEVER WILL BE SLAVES.”

  • Tenerone Dolcissimo

    Ci si dovrebbe chiedere un’altra cosa che ci riguarda molto da vicino.
    Che fine farà il progetto di imposta patrimoniale ….
    – ideato nelle stanze di DEUTSCHE BANK
    – adottato dalla UE
    – propagandato da CGIL e CISL e MONTI e PD (*)
    ???????????
    (*) nel PD in modo unitario da Renzi e dai suoi nemici, tutti insieme appassionatamente tassatori. La sinistra si divide su tutto, ma quando si tratta di pappare ritrova subito l’unità.

    • (problemi tecnici…).
      La necessità, dicevo, si esprime attraverso il caso.

      Lo aveva capito anche Mieli, dopo il voto austriaco.

  • Cosa succederà ora é presto e difficile da comprendere. In primo luogo perché le previsioni si fanno valutando situazioni precedenti, che non esistono; inoltre, i dati di domani non saranno quelli di oggi. Nel senso che conosciamo la situazione europea, istituzionale. Ignoriamo quella britannica. In primo luogo il premier si é dimesso. Il partito conservatore dovrà trovare sostituto (si vocifera Johnson, ex sindaco di Londra che ha consegnato l’autorità della City al sindaco laburista di origini pachistane Khan) per le elezioni. Territori come Irlanda del Nord e la Scozia non sono così propensi a seguire l’Inghilterra… Non sarà una passeggiata, in primo luogo per chi esce. Il voto però certifica una variabile di politica nazionale che ormai é primaria, come vado ripetendo, rispetto ad elementi del secolo scorso (destra, sinistra, etc) di cui ci siamo divertiti a trattare nelle recenti elezioni amministrative ma che contano in una misura prossima allo zero. La politica non é più right/left ma in/out. Il caso Cameron lo certifica. Non puoi indire un referendum e poi non schierarti apertamente. O, ragionando in termini italiani, creare aggregazioni politiche confuse pro/anti euro al loro interno. O stai dentro, o stai fuori. Poi puoi provare a starci in vario modo, ma la prima variabile é quella, fino a che regge la cornice istituzionale europea

  • Professor Giannuli, mi permetta un commento cinico e senza cuore: la morte della deputata laburista Jo Cox (tra parentesi: l’unica sostenitrice della campagna contro il brexit ad essere anche pubblicamente filo palestinese, ma sarà sicuramente una coincidenza) non è stata opportuna, come da titolo di un Suo precedente articolo. E’ stata inutile.

  • La Gran Bretagna è la patria della moderna democrazia; è difficile per gli inglesi accettare un super stato europeo, i cui organi decisionali non sono elettivi, ma composti da membri scelti per cooptazione all’ interno di logge e gruppi di potere non controllati dal popolo.
    L’Ue è un sistema oligarchico caratterizzato da scarsi controlli democratici; se vuole sopravvivere deve essere riformato e rappresentare i cittadini, non lobby finanziarie e gruppi industriali con sede nei paradisi fiscali.
    La Gran Bretagna torna al Commonwealth e ci dimostra che la democrazia e la dignità di un popolo non sono soggette a compromessi e non si comprano.
    Anglia docet.

  • …non so quale dovrebbe essere il gesto che dovrebbe fare Cameron di sicuro lui ha dato le dimissioni…io certo non sono una intenditrice di politica tanto meno di quella internazionale però io trovo una immensa differenza tra Renzi a Cameron…certo è che il referendum inglese è consultivo quindi sarà il parlamento a mettere l’ultima parola…anche se dubito che vadano apertamente contro al volere popolare…ma non si sà mai sempre inglesi sono 🙂

  • La grande incognita è rappresentata dalla posizione USA di fronte a questa decisione inglese.
    La Gran Bretagna è sempre stata la sentinella americana in Europa, che aveva il compito di controllare che non si verificasse la saldatura tra un’ Europa a guida tedesca e la Russia, cioè tra tecnologia e materie prime; un’unione che relegherebbe gli USA ai margini della grande politica mondiale.
    Ora, di fronte a questo pericolo, gli Stati Uniti potrebbero decidere di rompere il giocattolo europeo, mediante una serie di terremoti finanziari e tornare a controllare il continente tramite accordi separati con i singoli Stati nazionali.

  • Che Dio benedica gli inglesi, nonostante la Sua inesistenza. Mesi fa, proprio su queste pagine, proposi questa lettura: in Europa ci sono tre Paesi molto meno federabili degli altri, il Regno Unito, la Svizzera e la Svezia. Questi Paesi hanno in comune l’assenza, negli ultimi secoli, di gravi crisi di sovranità e legittimità istituzionale dovute a dittature o invasioni militari. Per essi, l’Europa è esclusivamente un contratto economico più o meno conveniente, non rappresenta anche un progetto storico che faccia tesoro degli errori e delle tragedie del passato. Svezia e Svizzera hanno deciso fin dall’inizio che non conveniva. Il Regno Unito è stato coerentemente anti-federalista, con un ruolo politico reso ancora più ambiguo dalle Relazioni Speciali con gli USA. Ora farà la Taiwan dell’Europa, ma senza più diritto di veto sul complicato processo di Federazione. Però non mi aspettavo che il mio ragionamento si applicasse così bene anche ai casi dell’Irlanda del Nord e della Scozia (che sotto traccia si sono sempre sentite “nazioni conquistate”).

  • Due considerazioni si impongono.
    Checché se ne dica, gli inglesi sono e rimangano in prima classe dal momento che le loro decisioni, giuste o sbagliate, impattano in maniera così rilevante sull’intero globo.
    Scelgono quel che più a loro conviene, liberamente, e senza farsi condizionare da eventi traumatici esterni come si è visto, con buona pace dei nostrani Aisi/Sifar degni esclusivamente di un Paese sottosviluppato come il nostro.
    Ma la lezione che ci dovrebbe bruciare di più sono le immediate dimissioni di Cameron: se la tua linea politica viene sconfessata dagli elettori, ne prendi atto e ti dimetti.
    E mica fai il teatrino del abbiamo perso qui ma vinto là.
    Stop, la tua carriera politica è finita, sei fuori, ed al più te ne vai ai Lords.
    E mica fondi nuovi partiti o altre idiozie alla italiana
    Altro che rottamazioni, TTR per Renzi e altre penose sceneggiate di un ceto politico da strapazzo. Sic!

  • La Gran Bretagna è sempre stata una nazione tenuta in particolare riguardo dall’elite finanziaria, che ha imposto quel trattamento privilegiato, un piede dentro e uno fuori dall’Europa, che ha caratterizzato i suoi rapporti con il continente.
    L’esito di questo referendum verrà considerato come il tradimento di un figlio dai signori della finanza e la punizione, secondo me, sarà sanguinosa.
    Se non ci saranno ripensamenti inglesi dell’ultimo momento, si comincerà con l’uscita punitiva della Scozia, dell’Irlanda del nord e del Galles; verrà colpita la sterlina, il valore degli immobili, forse ci saranno fughe consistenti di capitali etc.
    E’ probabile che si cercherà in tutti i modi di far capire ad eventuali aspiranti ribelli quali sono le conseguenze di certe decisioni.

  • Cameron annunciò il referendum nel 2013 e la Commissione UE ha avuto tre anni per mediare; con la sua tipica arroganza non l’ha fatto: ‘Brexit’ ne è la quietanza.
    Se uno Stato avesse la struttura politica dell’UE e chiedesse l’adesione alla UE non verrebbe ammesso per mancanza di democrazia: come si può pretendere da delle persone onorevoli di identificarsi con un’entità del genere?

  • Esimio prof., ho una domanda. A prescindere dalla simpatia o meno degli inglesi (che comunque preferisco a quelli di Bruxelles) mi domandavo: i crociati del Brexit hanno anche proposto dei piani e progetti per il futuro (a lunga e corta scadenza) o hanno solo tuonato per il “fuori tutti” che è come dichiarare guerra ad Al Queda con missili e senza un minimo di buonsenso tattico ed intelligence? In fin dei conti la UE non è solo andare all’estero con la carta d’identità. Sono trattati ed interessi economici che nascono con la CECA, la CEE e il MEC. Non ho trovato risposte sui quotidiani nazionali. In GB avranno un mezzo programma su come procedere, presumo! Per quanto ci sia Cameroon al governo, lì c’è gente che ha respinto Carlo V, Napoleone e Hitler… figuriamoci Junker!
    Cordialmente

      • Leggevo tempo fa su Limes che l’economia inglese è legata a doppio filo con quella cinese e che per attaccare questi si sta cominciando dagli alleati più prossimi. Lunedì se non avviene il crollo della borsa vorrà dire che hanno già assorbito la botta. Altrimenti l’isteria potrebbe essere totale

      • Vero!
        Prendiamo per esempio Farage: ha fondato l’Ukip, partito per l’indipendenza del Regno Unito. Adesso che ormai l’UK è indipendente può chiudere i battenti visto che per tutti gli altri temi i Tories sono cento volte più attrezzati a gestirli rispetto a lui (in pratica non ci sarà più alcuna ragione valida per votare Ukip).
        Se poi ci metti anche che è solo un eurodeputato inglese e come tale presto verrà allontanato, non mi stupirei vederlo prossimamente far la fila all’ufficio collocamento.
        E rideva e stappava champagne per la riuscita della Brexit!
        Un altro caso di impareggiabile pirlaggine politica al pari di Cameron che ci ha rimesso la pelle sul referendum da lui indetto quest’anno solo per regolare i conti con i suoi avversari interni del suo partito…..

  • Articolo interessante. Manca però, come frequentemente avviene presso gli storici liberali, una considerazione adeguata del contesto internazionale, che influenza in maniera decisiva gli sviluppi di politica interna.

    Gli equilibri del dopoguerra furono dominati dalla situazione internazionale. E’ possibile se non probabile che il referendum repubblica/monarchia sia stato truccato per far vincere la forma di stato desiderata dai vincitori. Le ampie intese di cui parla Giannuli furono il puro e semplice portato degli accordi di Yalta. Senza condizionamenti esterni avremmo quasi sicuramente assistito a una guerra civile fra demoplutocratici e comunisti.

    Anche il fondamentalismo liberista degli ultimi 25 anni deriva in gran parte dalla vittoria degli Stati Uniti sull’Unione sovietica e dalla rincorsa / imposizione ad uniformarsi ai dettami del conquistatore di turno. E la sua (del neoliberalismo) crisi segue da presso quella della globalizzazione, termine politically correct per significare l’impero mondiale statunitense.

  • La City rimedia un occhio nero.
    Il brexit ha sconfitto un’enorme sfilza di quelle che Zygmunt Bauman ha definito le elite della modernità liquida: la City di Londra, Wall Street, l’FMI, la FED la BCE, i maggiori fondi d’investimento, tutto il sistema bancario mondiale.

    La City ha votato per restare per più del 75%. Più di 2.7 trilioni di dollari sono mossi quotidianamente nel “miglio quadrato”, dando lavoro ad oltre 40.000 persone. Non si parla solo del miglio quadrato, dato che la City ora include Canary Wharf (quartier generale delle maggiori banche) e Mayfair (zona di ritrovo dei maggiori hedge fund).

    La City – indiscussa capitale finanziaria europea – gestisce inoltre 1.65 trilioni di dollari di asset dei clienti di tutto il pianeta. Su Treasure Islands, Nicholas Shaxson afferma “le società di servizi finanziari si sono spostate a Londra perché lì potevano fare ciò che non potevano a casa loro”.

    Deregulation a briglie sciolte assieme ad un’influenza incomparabile sui mercati finanziari globali si sommano in un mix tossico. Per cui il brexit può anche essere interpretato come un voto contro la corruzione di cui è impregnata l’industria più lucrosa dell’Inghilterra.

    Le cose cambieranno. Drasticamente. Non ci saranno più “passporting”, per cui le banche possono vendere prodotti a tutti i 28 membri dell’UE, con libero accesso ad un’economia integrata da 19 trilioni di dollari. Tutto ciò che serve è un quartier generale a Londra e alcuni mini-uffici satellite. Il passporting sarà argomento di dure negoziazioni, così come le contrattazioni in Euro che Londra può sostenere.

    http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16597

  • Condivido ciò che dici sui referendum. Non li amo da quando passò quello Segni, pur avendo firmato le ultime proposte referendarie perchè purtroppo non c’è rimasto altro.
    Io non avrei fatto nemmeno quello istituzionale del 1946, avrei fatto decidere l’ Assemblea Costituente. Temo che si confonda democrazia diretta con qualcosa che le è contrario.
    Ma, sul tema specifico, mi chiedo, la Brexit può frenare il terribile trattato TTIP? Se ciò avvenisse allora sarebbe stato un fatto positivo.

  • L’alleato dei pentastellati, l’Ukip di Farage ha vinto mentendo durante la campagna referendaria del Brexit. Aveva promesso di finanziare il sistema sanitario con i 350 milioni di sterline versati ogni settimana dall’Uk alla Ue. In realtà la cifra è decisamente inferiore e Farage, nel dopo voto ha dichiarato che i soldi “risparmiati”, non verranno dirottati sul sistema sanitario pubblico (http://www.lastampa.it/2016/06/25/multimedia/esteri/farage-confessa-i-soldi-che-davamo-allue-non-andranno-alla-sanit-k85x63rQuJHBJy0WietoMO/pagina.html). D’altra parte fino al 2012 l’Ukip era per la privatizzazione del sistema sanitario (http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/leaked-documents-show-ukip-leaders-approve-nhs-privatisation-once-it-becomes-more-acceptable-to-the-9993050.html).

    Non solo. Gli Uk non ottengono nessun “risparmio”, ma in realtà hanno avviato la loro “decrescita infelice”. La sterlina è crollata del 10% in poche ore, e ciò significa che questa scelta sciagurata sta già costando carissima all’Uk.

    Di più, il Brexit riaccende le spinte secessioniste scozzesi, portando il Regno dis-Unito al rischio di un’ulteriore arretramento economico.
    L’indice di Londra ha già perso l’8,7% ed ora dovrà avviare i negoziati per l’exit della Ue. Negoziati che si aprono per via di un divorzio “non consensuale” e che costerà ancora più caro ai britannici. (fonte: forexinfo.it)

    Lo stesso Soros ha dichiarato: La Brexit renderà alcune persone molto ricche, ma la maggior parte degli elettori diventeranno molto più poveri.
    I prossimi giorni tapperanno la bocca al populismo nazionalista degli autarchici d’Europa.
    Accadrà sulla pelle del proletariato britannico.
    E’ il caso di dirlo: “dio” stramaledica …i capitalisti e gli sciovinisti! Altro che perfida Albione…

    • che fai il tifo per la Ue? Adesso si apre uno scontro intercapitalistico lo sappiamo, ma credimi: meglio Salvini e Farange che la Ue ed il Pd

      • No prof. non tifo per nessuno, tanto meno per la Ue.
        La politica che si divide in tifoserie non mi ha mai appassionato.
        Tanto meno in questo contesto.
        Auspico in maniera anacronistica la linea leninista: https://www.marxists.org/italiano/lenin/1915/8/23-statiunitideuropa.htm

        Mi pare che non ci siano tifosi di questa linea nell’attuale scenario politico. Il testo che le ho segnalato penso confermi la teoria della rivoluzione permanente.
        Le segnalo un passaggio:
        “…Ne risulta che è possibile il trionfo del socialismo all’inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente. Il proletariato vittorioso di questo paese, espropriati i capitalisti e organizzata nel proprio paese la produzione socialista, si solleverebbe contro il resto del mondo capitalista, attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi…”

        Insomma detto francamente… preferisco predicare nel deserto che uniformarmi agli eventi. forse non si incide, ma almeno si salva l’anima e il patrimonio teorico del marxismo. Vero che Marx affermava: Non basta interpretare il mondo, bisogna cambiarlo. Tuttavia il primo passo per cambiarlo è avere una corretta interpretazione degli eventi. L’informazione è guerra e non a caso è una materia di studio delle strategie militari. Accettare la logica che o si sta con i sovranisti o con la Troika è riduttivo, se si vuole rilanciare un’ipotesi internazionalista e di classe è bene costruire la propria strategia indipendente.

        Segnalo inoltre che nel terziario a Londra ora sono a rischio dai 70.000 ai 100.000 posti di lavoro. In questo caso il Labour si è posizionato a sinistra degli aderenti all’Lexit (SWP, PCgb, ecc).
        Non a caso ora c’è chi auspica lo scenario fantascientifico in cui la capitale (o ex-capitale) finanziaria d’Europa dovrebbe riallinearsi alla Ue e separarsi dall’Inghilerra e dagli Uk. Una petizione provocatoria che ha raccolto in poche ore 170.000 firme.

        La balcanizzazione degli Uk, e il ritorno ai nazionalismi mi “spaventa” …non meno della Troika.

      • “meglio salvini e farange che…” spero sia una provocazione, professore. la somma di quei due non fa uno. cirticare l’assetto attuale non significa abdicare dall’intelligenza. un’ altra europa è possibile ma la strada è decisamente più lunga è complessa delle “soluzioni” che propongono personaggi di quel genere.

  • Lo stato attuale dell’Unione è catatonico, in rotta accelerata verso l’implosione. È evidente a tutti che senza iniziative drastiche, l’Europa come progetto politico ha, se non i mesi, di certo gli anni contati. Nessuno dei problemi che l’affliggono è stato risolto. Non la crisi dell’euro, le cui cause strutturali non sono state mai affrontate, e che rischia periodicamente di riesplodere sotto forma di offensiva dei mercati contro i debiti sovrani. Non la soggiacente disparità dei regimi fiscali dei vari paesi, né gli sbilanciamenti commerciali e delle bilance dei pagamenti, né la disomogeneità delle politiche economiche. Non certo la questione delle frontiere, e quindi dei rifugiati/immigrati (la distinzione tra le due categorie essendo capziosa e farisaica, dovendo distinguere tra chi fugge dalla morte per armi da fuoco e chi dalla morte per inedia). Soprattutto, non sembra importare a nessuno la totale assenza di legittimità democratica degli organi realmente decisionali dell’Europa: chi può mai sfiduciare la trojka?

    http://temi.repubblica.it/micromega-online/una-brexit-per-il-bene-dell’europa/

  • E se gli inglesi ci ripensassero? O se, viste le catastrofiche (e non da tutti previste) conseguenze della Brexit, ci avessero addirittura già ripensato e volessero riportare indietro di 48 ore l’orologio della storia e rimanere nella Ue? Non si tratta di fantapolitica, ma della realtà che emerge dalla immediata raccolta di circa due milioni di firme, che aumentano di ora in ora a ritmi vertiginosi, sotto una petizione per chiedere una legge che preveda la ripetizione dei referendum quando questi non raggiungono la partecipazione del 75% (domenica ha votato il 73,2) e almeno il 60% di sì (domenica sono stati il 51,9%).
    La norma prevede che le petizioni corredate da almeno centomila firme vengano prese in esame da una apposita commissione del Parlamento, che ha deciso di affrettare i tempi e affrontare il caso già martedì. Se la commissione desse parere favorevole, sulla proposta dovrebbero poi pronunciarsi i deputati in seduta plenaria. E poiché a Westminster la maggioranza contro la Brexit è schiacciante, ci sono buone possibilità che la legge venga approvata. Certo, si tratterebbe di un provvedimento retroattivo, che i vincitori del referendum potrebbero impugnare, ma poiché la Gran Bretagna non ha una Costituzione scritta, tutto diventa possibile.

    http://www.ilgiornale.it/news/politica/inglesi-si-sono-pentiti-2-milioni-firme-rivotare-1276061.html

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