India: con chi commerciare in Europa?
Summit G20, Australia. Tra una stretta di mano e l’altra, Narendra Modi ha trovato il tempo per una veloce chiacchiera con il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, ormai al tramonto del suo mandato. Il Primo Ministro belga, sfoggiando uno speranzoso sorriso, ha ricordato a Modi dell’esistenza del vecchio continente e di un discorso in sospeso in merito ad un possibile trattato di libero scambio commerciale. Il Primo Ministro indiano, sorridente e rassicurante, ha informato Van Rompuy del vento di rinnovamento che soffia nel subcontinente, dichiarandosi certamente disponibile a rispolverare i negoziati. Con lui, quando si parla di affari, la porta è sempre aperta.
L’Unione Europea è il primo partner commerciale indiano. Il volume degli scambi va oltre i settanta miliardi di euro, superando di gran lunga Cina ed Emirati Arabi Uniti fermi a quota cinquanta. Nonostante la generale buona salute, la crisi economica si è fatta sentire: dopo un lungo periodo di crescita, gli ultimi tre anni hanno lasciato sul terreno più di venti miliardi di euro. Stesso campionato, lato europeo, e la situazione cambia un po’: l’India è solo all’undicesimo posto in una classifica, dominata a mani basse da Stati uniti e Cina.
I primi negoziati per la nascita di un sistema di libero scambio risalgono al 2007 e si sono infranti più volte. La stretta regolamentazione della proprietà è lo scoglio più duro: aprire un’attività in India è quasi sempre possibile, ma solo a patto che si sia soci minoritari e che il socio maggioritario sia indiano. Comprensibile come negli anni non si sia creata una fila di investitori esteri pronti a rischiare capitale in un’attività di cui non possono avere il totale controllo. Il governo indiano, inoltre, applica una politica dei prezzi poco chiara e piuttosto disinvolta verso settori ritenuti di importanza nazionale. Alcuni prodotti, se provenienti da aziende pubbliche, sono venduti a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato, privilegio che non vale per i privati (qui per un esempio). Il meccanismo azzera la reale competitività, un po’ come iniziare una partita con tre goal di svantaggio.
Ultimo e insormontabile – per ora – scoglio è il problema della sicurezza dei dati. L’Ue non considera l’India abbastanza sicura per permettere il transito di brevetti e tecnologie ritenute sensibili, conditio sine qua non per avviare processi di delocalizzazione.
Dall’ultimo incontro, nel 2012, è cambiato il governo e l’inversione di rotta è netta. Narendra Modi, si propone come l’uomo della svolta; gira il mondo, stringe mani, incontra industriali e vende l’idea di un’India nuova, di un clima business friendly, promettendo sgravi ed agevolazioni. Tutti slogan a cui non è ancora seguito un riscontro fattuale.
Federica Mogherini, nel suo discorso di insediamento come Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dichiarato di ritenere l’India un paese di strategica importanza per il futuro dell’Unione Europea e di voler recuperare e migliorare i rapporti con il nuovo governo. C’è da capire, però, se anche a Delhi la pensano così. Modi potrebbe preferire una continuità con la linea del suo predecessore Manmohan Singh, privilegiando accordi bilaterali con le singole nazioni europee piuttosto che trattare con un parlamento che, de facto, ha poteri politici limitati e richieste poco malleabili. Se ci fosse un motto per questa situazione, potrebbe essere: meglio un cane alla volta che il branco tutto insieme.
L’esempio francese è esplicativo. La Francia è il secondo paese produttore di energia nucleare al mondo e, nel 2008 – scavalcando le trattative e il riserbo europeo – Nicolas Sarkozy e Manmohan Singh firmavano un accordo per la cooperazione e lo sviluppo dell’energia nucleare civile. Il presidente francese si impegnava per la costruzione di un nuovo reattore in Maharashtra – lo stato di Mumbai e per la fornitura di combustibile nucleare. I lavori sono ancora sulla carta: le revisioni degli accordi in materia di sicurezza a seguito del disastro di Fukushima prima e le elezioni poi, hanno congelato momentaneamente il processo. Modi, a un mese e mezzo dalla sua elezione, ha incontrato e rassicurato il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius: nessun ripensamento, solo burocrazia.
Se il governo indiano avesse mantenuto la trattativa sul nucleare a livello di Unione Europea, le tempistiche sarebbero state decisamente più lunghe e non ci sarebbe stata garanzia di successo. Sono infatti molti i membri della Ue che non avrebbero approvato una collaborazione nucleare con uno dei quattro paesi non firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare. Per dovere di cronaca, gli altri tre sono: Pakistan, Israele e Corea del Nord.
Nonostante le rassicurazioni di rito, non sembra che Modi abbia l’intenzione di considerare il rapporto con l’Ue come prioritario. Il suo campo d’azione privilegiato è l’Oriente e, se proprio deve guardare a Occidente, lo fa rivolgendosi agli USA e a Israele. Quasi a intendere: gentile Unione Europea, i nostri commerci godono di una generale buona salute e non abbiamo gravi tensioni diplomatiche. Certo, si può fare di meglio e noi siamo prontissimi e disponibilissimi a farlo. Nel frattempo, però, stiamo lavorando al nostro ruolo politico ed economico in Asia e nel mondo. Mettetevi comodi e bevetevi un chai.
Da New Delhi, Daniele Pagani
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