Come insegnare la storia (pars costruens).

Qualche giorno fa, abbiamo dedicato un pezzo di critica alla didattica tradizionale della storia, che ha il suo fulcro nello studio del manuale, delle cui varie versioni proponevamo il rogo con in cima i rispettivi autori. Dopo la pars destruens, veniamo alla pars costruens: che fare di fronte alla decadenza degli studi storici ed al disamore crescente dei ragazzi nei suoi confronti?

Primissima cosa: basta con la noia ed il nozionismo. I ragazzi non sono otri da riempire di nozioni, ma cervelli che devono essere chiamati ad un ruolo attivo nella formazione della conoscenza storica. E questo lo si ottiene in primo luogo non dandogli la pappa pronta del manuale e rimandando sine die il loro ruolo attivo, ma sollecitando il loro intervento costantemente ed, in secondo luogo, privilegiando un approccio concettuale rispetto ad uno meramente nozionistico-cronologico.

Qui però dobbiamo capirci. Una ventina di anni fa (se non ricordo male), promossa da Antonio Brusa,  nacque a Bari l’associazione Historia ludens, mossa da scopi assai simili a quello che abbiamo indicato: evitare la noia e riconquistare l’interesse per la storia presentandola quasi come un gioco.

Frutto particolare di tutto ciò fu un manuale fortemente innovativo. A mio avviso, Brusa esagerò un pochino, sia accentuando troppo la dimensione ludica (va bene che Clio è una delle Muse e che può divertire, però la storia resta una scienza che richiede anche applicazione e sforzo intellettuale non solo giocoso) sia, soprattutto, sopprimendo del tutto la dimensione cronologica per sostituirla con un approccio un po’ funambolico, che affiancava disinvoltamente cose fra loro troppo distanti nel tempo, con il risultato di confondere un po’ le idee agli studenti e si attirò una severa reprimenda di Chiara Frugoni (blasonatissima ordinaria di Storia medievale a Pisa) su Repubblica. Ecco: non esageriamo, la cronologia è uno strumento indispensabile per uno storico come la bussola per un marinaio.

Lo studente deve essere in grado di collocare un personaggio o un avvenimento nelle sue coordinate spazio temporali. Per fare questo potrebbe essere utile il ricorso a tavole sinottiche e magari tavole a “sviluppo progressivo”: una base iniziale generalissima per grandi epoche, poi altre più analitiche su periodi più ristretti, poi altre ancora più di dettaglio. La cronologia è importante, ma va ridotta all’osso e poi sviluppata man mano che cresce l’interesse per un determinato periodo o paese: ormai con l’ipertesto si fanno cose prima impensabili e nel 2016 non dobbiamo necessariamente lavorare solo sul cartaceo, vi pare?

Quindi va bene la cornice cronologica, ma senza inzeppare lo studente di nozioni che poi, scommetteteci, dimenticherà. Una prova? Vediamo quanti di voi, onestamente e senza ricorrere a consultare testi o internet, ricordano:

1. a che secolo risale l’imperatore Claudio?

2. Chi era Romolo Augustolo?

3. Chi era il pontefice che formò la Lega di Cambrai ed in che anno?

4. Chi erano gli “sculdasci”?

5. Quando finì la guerra dei 30 anni e chi era Axel Oxestierna?

6. Cosa vi dice il nome di Louis Antoine de Saint-Just?

7. Anno e contendenti della guerra di Crimea?

8. Chi vinse la battaglia di Verdun?

9. Quando ha preso il potere Mustafà Kemal?

Siccome sono buono, vi ho ordinato le domande in ordine cronologico eccetto una: quale? E questa è la decima domanda. Fatemi sapere quante ne avete azzeccate e non barate. Se poi sapete rispondere a tutte, per voi c’è una domanda supplementare: a che diavolo vi è servito saperlo?

E non parliamo di periodo successivo alla II guerra mondiale: fra i miei studenti di due anni fa, su circa 140, solo due sapevano collocare giustamente Nenni, De Gasperi e Togliatti nei rispettivi partiti. Poi, il manuale è andato via via “ingrassando” perché, mentre venivano lasciate tutte le nozioni precedenti, se ne aggiungevano di nuove e giustamente: nel 1935 era possibile ignorare la rivoluzione russa? E nel 1970 si poteva non sapere nulla su quella cinese? Ed oggi, con la globalizzazione in corso, è lecito che una persona di cultura media ignori cosa sia stata la decolonizzazione o la guerra del Vietnam? E via di questo passo. Solo che è perfettamente inutile aggiungere capitoli su capitoli, tanto l’orario di lezione è sempre quello e le altre materie da studiare sono sempre le stesse. Allora, non è preferibile, data una cornice generale, insegnare ai ragazzi come scoprire quando c’è stata la lega di Cambrai, quando la guerra dei trenta anni, come è andata la rivoluzione russa e la guerra del Vietnam ecce cc? Ma, soprattutto, saperle collocare concettualmente in un contesto coerente? Quindi, in primo luogo l’insegnamento deve avere un carattere metodologico e spiegare a che serve sapere certe cose: ora che abbiamo saputo chi è il papa della Lega di Cambrai, come sono andate la rivoluzione russa e la guerra in Vietnam, cosa ci cambia? E questo significa insegnare ai ragazzi a formulare il quesito storico cui si intende rispondere.

La ricerca del sapere è sempre la risposta ad una domanda, in mancanza della quale si fa solo dell’imparaticcio inutile o utile, forse, a “far bella figura in società”.

Dunque va preferito un approccio prevalentemente concettuale sia con schede per argomento (feudalesimo; sistema sociale protocapitalistico; protestantesimo; simbolismo ecc.) sia curando “percorsi” tematici (storia dello Stato; storia delle città o della tecnologia ecc.) sia schede per paese via via espandibili sempre con la tecnica dell’iper testo. Il ragazzo che si chiede quali siano le ragioni storico-culturali del perché l’auto europea è diversa da quella americana e quali conseguenze ha questa differenza storica, deve essere messo in grado di rispondere a questa domanda e, quindi saper ricercare le fonti, saperle criticare e confrontare e ricavarne una conclusione ragionevolmente fondata. E se poi ignora tutto sulla Lega di Smalcalda? E chi se ne frega?! Quando avrà ragione di occuparsene, andrà a vedere di che si tratta seguendo lo stesso metodo usato per la storia dell’auto. L’importante è che questo avvenga all’interno di una visione unitaria della storia (ed unitario non significa analitico o, peggio, ultra analitico): la storia è sempre spiegazione del presente, dunque un approccio più esplicativo che narrativo.

E le fonti? Viviamo in un’epoca di sovrabbondanza di fonti (libri, riviste, televisione, cinema, web, per non dire archivi, musei eccetera), bisogna insegnare ai ragazzi a saper valutare le fonti e la loro funzione (un film non va preso come il racconto veridico di determinati avvenimenti, non è un libro di storia), pesarne l’autorevolezza, scomporle, verificarne autenticità e veridicità attraverso la verifica incrociata di esse ecc. Ogni tanto mi capita di sentire dei colleghi che inveiscono contro quella fonte di nequizia che è il web, sentina di ogni perversione storiografica e mi sorprendo a pensare: “Su caro, torna nel sarcofago che prendi freddo!”. Certo che nel web viaggiano fior di schifezze, lo sappiamo. Ma, perché, libri e riviste sono solo oracoli di pura scienza? Il problema è saper valutare l’autorevolezza della fonte, soppesarne la struttura metodologica, la ricchezza documentale, la logicità delle affermazioni. E se lo studente è stato opportunamente addestrato, state tranquilli che riconoscerà le frescacce, che si tratti di web o di carta stampata.

Dunque, insegnare come lavora uno storico deve essere uno degli assi portanti dell’intera impostazione formativa. Ed anche la storia ha una… storia, cambia nel tempo in base alle esigenze del tempo. E il tempo presente richiede una visione mondiale, chiede alla storia un importante lavoro di “traduzione” capace di rendere possibile quella “mediazione culturale” senza la quale non riusciremo a costruire alcun ordine mondiale.

Anche per questo, più che una impostazione analogica, serve un approccio comparativo. Il che, peraltro, impone un metodo non mono disciplinare: la storia va intesa come specialismo transdisciplinare.

E, dunque, riassumendo, dove il paradigma tradizionale aveva un carattere nozionistico-passivizzante, narrativo, disciplinare, analogico, ossessivamente cronologico, evenemenziale, eurocentrico, a dominante politico militare e precettiva le esigenze del tempo presente chiedono un approccio attivistico, anti nozionistico e concettuale, esplicativo, transdisciplinare, comparativo, processuale, mondiale, non esclusivamente politico-militare e lontano da ogni pretesa moraleggiante.

Lo scopo della storia non è il giudizio morale, tanto caro a Croce, ma la spiegazione rigorosamente avalutativa dei fenomeni storici. Poi il giudizio morale può esserci, se proprio se ne ha l’esigenza, ma è un aspetto successivo ed esterno alla ricostruzione storica. Non è il catechismo quello che dobbiamo scrivere. Iniziamo a discutere da questa base.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (30)

  • Tutto molto bello e condivisibile, ma la domanda vera è questa:

    “Come si cala tutto questo nella concreta pratica didattica delle scuole, specie superiori, dove ci sono degli argomenti fondamentali indicati dal Miur da svolgere e ci sono degli esami da fare? E ci sono due ore di storia alla settimana? E in quinta si va da Giolitti a oggi? Perché non produrre delle unità didattiche di esempio?”

    Le idee sono spesso belle, ma il difficile è concretizzarle. E lo dico come stimolo, non come critica distruttiva.

      • Immagino dica per programmi e numero limitato di ore. Ma rimane comunque lo scoglio della traduzione in pratica didattica. Devo anche dire, contrariamente a ciò che è scritto in un altro commento, che gli studenti (Sì, sono anche un insegnante) non amano il lavoro di gruppo, la classe capovolta, ecc. Almeno per quanto riguarda la mia esperienza. Vogliono la lezione frontale, coadiuvata da mezzi tecnologici, ed essere sorpresi con visuali inedite dei fatti (do quindi parzialmente ragione ad altro commentatore: ad esempio, il Grande Gioco, assente dai libri di scuola, li appassiona in quanto da Napoleone passa per l’unità d’Italia, voluta in chiave Canale di Suez, e arriva fino all’Isis). Non credo affatto, come scrivono altri, che sia colpa dei social il disinteresse per la storia, quanto la svalutazione della scuola come momento importante e formativo in atto da 35 anni in qua.

        • allora: il lavoro di gruppo, le ricerche ecc ecc le facevo anche io al liceo 45 anni fa, Ma qui parlo di altro. Comunque: la lezione frontale, ridotta ad un numero circoscritto di occasioni, serve e va fatta, non mi meraviglia che i ragazzi prediligano l’uso di nuove tecnologie (ci torneremo: lo prometto) e soprattutto un approccio tipo “Grande gioco” ed hanno ragione loro. Il problema è saper utilizzare questi momenti di curiosità e guidarli. Il punto centrale resta la formazione del quesito e questo lo debbono tirar fuori loro e l’insegnante li seve guidare a formularlo correttamente. Imoprima a svalutare l’insegnamento scolastico sono i docenti che non sanno fare il loro mestiere, vale a dire almeno la metà del totale

  • Gli anarchici sostengono che gli unici libri storici (compresi gli autori storici) da leggere, sono quelli che vengono definiti “pericolosi” dal potere. Da quando portavo i calzoni corti,ho seguito tale norma, vale a dire che non ho mai creduto alla vulgata in corso, alla versione dei fatti storici fornita dai vincitori, ma prediligevo quella degli sconfitti, dei perdenti, da qui la mia simpatia per i pellerossa, mai per i “visi pallidi”, per i soldati tedeschi, per i sudisti,per la Vandea, cioè quelli che nei manuali storici, vengono dipinti come dei mostri disumani. Vi è nella storia una “terza dimensione”, dimensione occulta, in cui cause ed effetti vengono deliberatamente falsificati e mistificati, al solo scopo di “intossicare”, turlupinare, addomesticare le masse. Se si riesce a far innamorare i giovani di tale versione della storia, lo studio della stessa, è cosa consequenziale. Se poi si continuano ad organizzare da parte della scuola italiana, dei pellegrinaggi, mettendo a disposizione perfino degli aerei militari, nei lager,ma solo nei lager tedeschi, non si fa della storia,ma solo della becera manipolazione mentale. Forse i giovani sono meno stupidi di quello che i burocrati ministeriali pensano,percepiscono la realtà della manipolazione, imposta dal potere.Il famoso e non compianto leader sovietico scomparso Nikita Krusciov, definiva gli storici, come gente pericolosa….ecco svelato l’arcano per far piacere e quindi studiare la storia ai giovani.

  • Tenerone Dolcissimo

    Io comincerei con eliminare le incongruenze del tipo di certi libri che prima dicono che la 2GM ebbe inizio nel settembre del1939 e qualche pagina dopo affermano che l’URSS combatté e vince la 2GM a fianco di USA , UK ed altri alleati.
    In questo un’attenta analisi cronologica puo’ aiutare a non farsi prendere per i fondelli.

      • Tenerone Dolcissimo

        Nel settembre 39 Germania e URSS fraternamente unite facevano insieme a pezzi la Polonia. A Brest Litovsk ufficiali tedeschi e sovietici brindavano fraternamente, cosa che avveniva spesso in quel periodo anche se è stato tenuto nascosto.

        • Sul brindisi polacco nulla da eccepire, del resto fece scandalo anche allora.
          Sul brindisi del ’18 ho invece più di un dubbio (fonti?), e soprattutto non capisco in che modo sia collegato a presunte incongruenze della ricostruzione della ii guerra mondiale.
          L’incongruenza sarebbe il fatto che l’Urss e Germania erano inizialmente quasi alleate e poi si combatterono? Ma un banale Sabatucci-Vidotto no?
          L’Urss venne attaccata nel ’41 dalla Germania e Uk prima e Usa poi si allearono con Stalin. E vinsero, anche e soprattutto grazie a Stalingrado.
          Dove diavolo starebbe il mistero è un vero mistero.

          • Tenerone Dolcissimo

            Del brindisi del 18 non ho parlato.
            Quanto al mistero i casi sono due:
            1) o c’è stato un tradimento tra urss e germania -tipo Italia dell’8 settembre- e allora dovrebbe essere trattato ampiamente;
            2) oppure la guerra non è iniziata nel 39 e allora germani e urss, alleate nella guerra del 39 sono diventate avversarie nella guerra successiva.
            COndisce il tutto il fatto che il patto Ribbbentrop Molotov e’ sempre presentato come un atto di opportunismo, ma se si scava si scopre che germania e urss erano molto vicine spiritualmente in quel periodo.

          • Il Molotov-Ribbentrop fu firmato a Mosca per quel che ne so. Se cita Brest Litovsk parla del ’18. Non deve fidarsi di me, controlli lei.

            In ogni caso ci fu un tradimento: la Germania attaccò nel ’41 l’Urss, e i motivi, i tempi, le modalità, etc, sono tranquillamente spiegati nei manuali di storia delle scuole superiori a mia disposizione.
            L’inizio di una guerra – così come la sua fine – ha sempre un carattere arbitrario, visto che sia nella i che nella ii gli schieramenti cambiarono nel corso del tempo con l’ingresso di nuovi attori o l’uscita di alcuni di essi.

            Domanda per Giannuli: siamo proprio così sicuri che un po’ di nozionismo in più non farebbe bene?

            (Chiedo venia per la prolissità)

  • Ma, professore, queste cose nelle scuole italiane si fanno da almeno 30 anni. Nell’aristocratico liceo classico che frequentai agli inizi degli anni ’80 la docente di storia usava farci lavorare in gruppo, produrre report e manifesti ecc. Se sapevamo gli anni del pontificato di Giulio II era contenta ma certamente non pretendeva che lo imparassimo a memoria. Oggi gli insegnanti sono andati anche oltre, cone le (inutili) LIM, la visione di spezzoni di film o documentari ecc.
    La selezione delle fonti e la verifica di attendibilità è certo la base di qualunque lavoro di indagine, non solo storico, ma lei è consapevole del modo con cui gli studenti fanno una ricerca, con quella cloaca maxima che è wikipedia? Copia e incolla. Punto. A volte senza manco togliere le note!
    Non è problema che imparare la storia è noioso, il problema è che agli insegnanti non si può chiedere di più: la materia umana che hanno di fronte è purtroppo manipolata, coartata, disfatta, disarticolata dai social media che inaridiscono qualunque pensiero cirtico

    • in realtà io propongo cose molto più om là di quelle che lei indica e che, peraltro, non sono affatto la media delle scuole italiane. Credo che lei sia troppo indulgente con gli insegnanti e troppo severo con gli studenti, ma ne parleremo (sospetto lei sia un insegnante)

  • Mi sono cimentato. Ecco i risultati (e.sti.ca):

    1) I dc (giusto);
    2) l’ultimo imperatore della parte occidentale dell’Impero romano (giusto ma troppo facile);
    3) non ne ho idea, sparo una prima metà del secolo xvi (toppato clamorosamente, la avevo confusa con quella di Cognac, stesso secolo ma per puro caso trattasi di tutt’altro contesto);
    4) manco ci provo, mai sentiti (ma questa dove cavolo l’ha recuperata???);
    5) 1648, ‘sto Axel lo leggo per la prima volta in vita mia (giusta la data – facile – ma sul nome scopro una lacuna personale non lieve);
    6) rivoluzionario francese, uno dei miei eroi personali (giustissimo!);
    7) 1856, ma non sono sicurissimo; Russia vs Inghilterra, Francia e Regno di Sardegna (porca vacca, ho confuso l’inizio con la fine e mi sono dimenticato dei turchi);
    8) nessuno, il classico massacro inutile della grande guerra (giusto ma facile);
    9) senza dubbio dopo Sevres, ma sull’anno esatto sparo un 1921 (cavoli, sbagliato di un anno)
    10) sulla domanda non in ordine cronologico dovrebbero essere gli scudalsci (giusta);
    11) per lavoro.

    Bene, ora sarei tentato di chiederle i poteri dell’arcivescovo di Magonza, il governo di Flensburg, i lucumoni o il cavillo dello Statuto che impedì a Vittorio Emanuele iii di entrare in guerra nel ’15 senza un voto del Parlamento. Ma non lo farò… 😈

  • Confesso di essre andato in testa coda con gli sculdasci. Ho ricordato la connessione con Paolo Diacono, ma non l’essenziale, ovvero i rapporti con le altre magistrature.

  • La valutazione dell’articolo passa da una domanda di fondo: è scritto per la sola università o anche per la scuola media e superiore?

  • Buongiorno Professore!
    Per far sì che uno studente riesca correttamente, alla fine del suo percorso di studi, a padroneggiare fonti, eseguire collegamenti, formulare ipotesi di lavoro, verificarle con prove empiriche (controlli incrociati) e logico-deduttive (il ragionamento fila?), fino a iscriverle nel proprio “libro”, la Tesi, occorre sicuramente una scuola diversa dalla attuale, una scuola che insegni a pensare, come diceva il buon Il’enkov. Ho avuto la fortuna di nascere in un periodo dove con internet sei praticamente in grado di scaricare gran parte di quell’insieme di fonti, in tutte le lingue del mondo che, solo trent’anni fa, avrebbero costretto a costose trasferte in biblioteche nazionali e straniere, o ad attendere i tempi del prestito interbibliotecario. Restano solo gli archivi non digitalizzati, e anche per quelli con un minimo di collaborazione puoi chiedere a distanza un pdf di quello che ti serve. Poi, se un professore si può permettere di prendersi l’anno sabbatico e andarsene in Russia, India, Cina o in Giappone spesato, questo è un altro paio di maniche: è la stessa differenza che passa fra leggere “Arrampicarsi all’inferno” e andarci per davvero, sulla parete nord dell’Eiger. Questo porta alla seconda parte del discorso: la prassi. Occorre una scuola che insegni a fare, a imparare attraverso la pratica, attraverso percorsi guidati certo, ma che ci devono essere per formare i futuri metodi di studio e lavoro. Quando ero piccolo, l’unico straniero in classe l’ho avuto alle elementari: era un italiano nato “in Isvizzera” e rientrato con i suoi a sei anni. Oggi la situazione è diversa, e una scuola che educa alla comprensione reciproca, alla conoscenza dei rispettivi percorsi di vita di ogni studente, anche di quelli che piombano da un centro di prima accoglienza, con foto, filmati, materiali costruiti con quanto disponibile, coinvongendo bambini e famiglie, è una scuola che insegna a fare, a sporcarsi le mani. Sporcandosele per davvero, poi, le mani, ci si accorgerà che la parete nord dell’Eiger la si aveva tutti i giorni davanti agli occhi, e non la si vedeva. E si formeranno cittadini meno “indifferenti” e più “partigiani”, per dirla alla Gramsci.
    Un caro saluto
    Paolo Selmi

      • Permettimi di non essere d’accordo, Lorenzo. Lo storico non è un entomologo. Capire i fatti ed eseguire collegamenti non è un’attività ludica, non stiamo smontando un giocattolo per puro divertissement o, peggio ancora, per cinismo. Non lo è per le classi dominanti, che infatti sviluppano uno spiccato quanto nascosto senso di autocritica, cercando sempre di migliorare le élite che formano, con notevole investimento di risorse, perché evitino gli scivoloni delle precedenti. Non vedo perché non lo debba essere per i poveri cristi che frequentano una scuola pubblica e che vorrebbero esser tutto meno che destinati a un ruolo passivo di carne da macello. Essere partigiani significa, contrapposto all’indifferenza, acquisire strumenti democratici di comprensione e partecipazione alla vita civile. Un tempo, mia madre l’ha fatto, un insegnate giurava sulla Costituzione, una Costituzione nata dalla Resistenza, non da un copiaincolla di qualcos’altro come fu, per esempio, nel caso del Giappone. Questo non è indottrinamento. Credimi, mi trovo spesso a leggere monografie e articoli cinesi di storia contemporanea e mi rendo conto che l’indottrinamento è un’altra cosa. O forse sono io rimasto troppo indietro ed è giusto che le cose vadano avanti così.
        Buona giornata!
        Paolo

        • Paolo, fra presa di coscienza e indottrinamento c’è una differenza non sempre manifesta ma sostanziale: nella prima il discente sceglie di formare la propria coscienza nella direzione che desidera, nel secondo la deve formare in una direzione prestabilita. Ecco perché l’idea di usare la storia per acquisire strumenti di comprensione della realtà attuale mi trova d’accordo. Quando invece sento dire che questi strumenti debbano “essere democratici” ed “educare alla comprensione” di chi arriva dal centro di accoglienza, il tutto condito da giuramenti coatti di fedeltà al regime partorito dal conquistatore di turno, parlo di indottrinamento, e del genere più turpe, della gioventù in età scolare.

          Come poi tu pensi di conciliare questa pantomima con un principio di “rigorosa avalutatività” dell’insegnamento, è cosa che mi resta totalmente oscura.

          • Capisco bene la tua presa di posizione, e la condivido. Occorre, almeno secondo me, tenere presente che non siamo né nella Cina di Mao, né nell’URSS di Andropov. In altre parole, fra società e scuola c’è uno scollamento valoriale pressoché totale: una scuola pubblica ridotta a parcheggio per futuri precari insegna materie che nella vita non servono, almeno apparentemente, a nulla. Cosa vai a scuola a fare? Domanda che circolava nel mio quartiere già alle medie. E parliamo di quarant’anni fa… Oggi leggo i primi quattro art. della Costituzione, oppure il titolo III (in particolare l’art. 41) e penso che più che di scollamento occorrerebbe parlare di voragine. In altre parole, più che “indottrinare”, sostenere alcune posizioni da parte di un corpo docente oggi può, tutt’al più, seminare dubbi. Poi i rapporti sociali che si costruiscono al di fuori della scuola hanno, e non potrebbe essere altrimenti vista la situazione di degrado attuale, il sopravvento. In altre parole, la “rigorosa avalutatività”, ammesso e non concesso che sia mai esistita (io ho i miei dubbi in proposito), è uno stadio ultimo della ricerca, un po’ come nella vita con i figli: a due anni gli stai davanti, a dieci di fianco, a quindici dietro a corta distanza, non facendogli proprio prendere ancora tutte le capocciate possibili, a diciotto lasciandoli prendere il volo. Penso però che siamo andati fuori argomento e prima o poi saremo – giustamente – “cassati”. Possiamo continuare via mail. Un caro saluto.
            Paolo

  • Giannuli non risponde: “io a te non ti parlo più!”

    Le proposte dell’articolo sono interessanti e se ne può discutere ma principalmente a livello accademico. Se introdotte nelle scuole medie e superiori presentano rischi elevati:

    – che i ragazzi finiscano per ignorare totalmente la storia convenzionale, come avviene negli Stati Uniti quando si esce dal liceo senza sapere chi erano Giulio Cesare o Napoleone Bonaparte. Sapere l’anno preciso in cui finì la guerra dei Trent’anni può servirmi a poco, sapere cosa furono e quali conseguenze ebbero le guerre religiose in Europa mi serve eccome.

    – che la revisione metodologica si risolva praticamente in un ulteriore abbassamento del livello degli studi, condotti a suon di filmetti, chiaccherate di gruppo e copia-incolla da Wikipedia;

    – che ad onta della conclamata avalutatività dell’insegnamento, su cui concordo appieno, questa china inclinata finisca – Paolo Selmi docet – per accentuare la già forte (e ulteriormente rafforzata dalla controfirforma renziana) tendenza all’indottrinamento dei ragazzi in età scolare.

    • non ho risposto per mancanza di tempo. Penso che la revisione metodologica possa riguardare anche le medie superiori, ma com grano salis: è ovvio che qui si rende necessaria una dose un po’ più consistente di storia cronologica (senza mai esagerare: peraltro Napoleone e Giulio Cesare dobrebbero averli studiati alle elementari ed alle medie inferiori) mentre la storia per percorsi ecc si può iniziare a sperimentarla, ma tenendo presente le difficoltà iniziali dei ragazzi. Il cuore del problema sta nella capacità dell’insegnante di guidare i ragazzi nella formazione del quesito che è alla base della ricerca. Noin si studia volentieri nulla che non risponda ad un quesito che è nella mente

      • Insomma, per la scuola superiore (che è quella che mi interessa particolarmente), un equilibrato mix di storia per temi e ricerche e storia cronologica, fermo restando che si dovrebbe partire sempre (come in effetti si cerca di fare) da delle domande che riguardano l’oggi.
        Ovvio che questo comporterebbe una diversa articolazione dei programmi e un maggiore numero di ore, ma anche dei libri di testo (che non partono mai da una domanda che attualizzi l’argomento storico).
        Non solo però: una cosa che riscontro nella mia pratica didattica è una limitata consapevolezza del mondo in cui si vive, che rende le generazioni cresciute nel mondo neoliberista radicalmente diverse da quelle che le hanno precedute, concentrate come sono sul loro ruolo di adolescenti consumatori. Quando, ad esempio, mi trovo ad affrontare la lotta per le investiture, parto sempre dall’attualizzazione del fenomeno, cioè la radice del contrasto tra Stato e Chiesa: cito le controversie su matrimoni gay, aborto, divorzio, ecc. Certo, l’interesse aumenta, ma è comunque non straordinario, forse perché l’argomento poi si conclude alla data del 1122 e non prosegue nel tempo fino ad oggi. Concordo quindi sul fatto che occorrerebbe ripensare i programmi, ma al contempo mi chiedo quanto ne soffrirebbe la contestualizzazione delle varie tappe del fenomeno storico, contestualizzazione che, secondo me, è sempre madre di una comprensione corretta di qualsiasi fenomeno.
        Insomma, professore, la Sua proposta mi intriga parecchio, ma mi piacerebbe un sacco poterne esaminare degli esempi concreti di attuazione.

  • Fare manuali di storia è il mio mestiere. Sono editor e con gruppo di amici lavoro e ho lavorato per tutte le grandi case editrici di scolastica.
    Il punto cruciale è il seguente: privilegiare quello che qui viene definito come «approccio concettuale». In termini di programmi attualmente vigenti (da poco introdotti) si tratta di insegnare per «competenze», come qualcuno (Saverio) ha osservato nell’articolo precedente. Il punto è che il 90% degli insegnanti non sa che cosa significa e, il che è peggio, nemmeno si da da fare per capire che cosa significa. Penso che proporre testi innovativi sia ancora oggi una iniziativa complicata.
    Nella scuola statale non esistono meccanismi di controllo e verifica e misura della qualità dell’insegnamento. I tentativi di inserire sistemi di valutazione del lavoro dell’insegnante vengono osteggiati, ignorati e percepiti come una minaccia. La scuola così non può migliorare se non a macchia di leopardo molto ma molto rada per la buona volontà di pochissimi. Le esperienze positive (Scuola Media Rinascita di Milano) rimangono isolate e a volte osteggiate.
    Aggiungo una considerazione filosofica: il rapporto col presente è estremamente problematico per tutti in tutte le pieghe della esistenza. Il carattere antropologico dell’uomo nichilista lo colloca chiuso e inscatolato nel presente, inchiodato all’istante che scorre cronologicamente, in una dinamica esistenziale basata sul meccanismo stimolo-reazione. È una dinamica che distrugge il rapporto ermeneutico con l’esistenza, un rapporto che prevede invece un presente ampio, non istantaneo, come intreccio tra passato (aver già interpretato) e futuro (aver da interpretare).
    Solo il vissuto personale di un corretto rapporto con il presente può riqualificare l’insegnante e quindi l’insegnamento della storia, ma anche di tutte altre scienze sociali.

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