Che succede in Cina?

Brutte notizie dalla Cina, sia sul lato politico che sul lato economico.
La successione al duo Hu Jintao-Wen Jabao, che sembrava cosa fatta e tranquilla, si sta complicando e non poco. Intendiamoci: la nomina di Xi Jinping a capo dello Stato e del Partito non è in discussione così come, sembra, quella di Li Keqiang a capo del governo. Ma il problema è il rinnovo dei membri dell’Ufficio Politico che potrebbero essere due (se il totale restasse a nove) o quattro (se esso salisse a undici come sembra che chieda la corrente dei tuanpai) e questo cambierebbe l’equilibrio fra le tre componenti principali del partito. Si fanno vari nomi, fra cui alcuni di compromesso, ma sembra di capire che l’accordo non sia tanto facile da trovare. Il gruppo di Shanghai (di ispirazione neo liberista) è alla riscossa, dopo le umiliazioni subite nei tre anni precedenti, ed ha sfruttato alla grande la destituzione di Bo Xilai. Ma, considerando che il posto più importante, va a Xi Jinping –che appartiene alla corrente dei “principi rossi”- questo potrebbe implicare un forte indebolimento dei tuanpai, cui appartiene Li Keqiang che rischia di diventare un’ “anatra zoppa”.Nel frattempo si sono infittiti i segnali di una lotta durissima nel gruppo dirigente in vista del congresso: l’arresto della moglie di Bo Xilai rischia di travolgere altri dirigenti, c’è stata la strana morte in incidente d’auto del figlio di uno dei maggiori “principi rossi”, si dà per scontato il rinvio del congresso di due e forse di quattro mesi, è stato annunciato con insolito anticipo la “fine del dibattito sulla politica economica” (si scrive così, ma si legge: “il dibattito prosegue a porte chiuse”).
Il tutto si mescola ad una bufera economica in arrivo.

Già in marzo era chiaro che la Cina non avrebbe raggiunto l’8% di crescita del pil annuale (da sempre ritenuta il punto di equilibrio, per far fronte al continuo arrivo nelle città delle masse di contadini) e poco dopo è stato annunciata la riduzione dell’obbiettivo annuale al 7,5%. Ma a fine maggio i dati indicavano che le cose stavano andando male e forse si sarebbe dovuti scendere ancora sotto. Il che prospetterebbe una ondata di disoccupazione paragonabile a quella di quattro anni fa, quando la recessione americana, seguita al crollo della Lehmann Brothers, bruciò 20 milioni di posti di lavoro in Cina. Ora a preoccupare è la crisi del mercato europeo e, per di più, la fiacca ripresa americana che –per dirla tutta- si sta dimostrando un vero bluff.

D’altra parte, brutti segnali di frenata vengono anche da Brasile, India e Russia. Ma per la Cina è più grave, perché si tratta di affrontare la congiuntura economica più difficile degli ultimi trenta anni contemporaneamente ad un momento delicatissimo come un congresso con mutamento del gruppo dirigente.

Per buttare acqua sul fuoco, almeno momentaneamente, la Pboc (la banca centrale cinese)  a fine maggio ha tagliato i tassi di interesse, nella speranza di rimettere in moto la machina. Ma le cose non devono essere andate nel modo sperato se, nei primi di luglio è stato annunciato un secondo taglio, senza neppure tentare la carta della riserva obbligatoria, il che fa pensare che il tempo si stia mettendo decisamente al brutto. E così la cosa è stata capita dalle borse asiatiche che hanno reagito molto male all’annuncio.

Il punto è che la cura della liquidità (unico rimedio conosciuto da queste classi dirigenti sia occidentali che orientali) è ormai un’arma spuntata. E, infatti l’economista cinese Dong Tao (analista del Credit Suisse) dice che ormai anche la Cina sta cadendo nella “trappola della liquidità” (S24 7 luglio 2010 p. 26) a suo tempo teorizzata da Hyman Minsky: gli investimenti stagnano non perché il costo del denaro sia alto, ma perché gli investitori non lo ritengono “conveniente con queste condizioni di business”. In altri termini: “che investo a fare nella produzione di beni e servizi se poi non vendo quel che offro?”

E le attuali condizioni di business dicono che  i mercati di sbocco occidentali non assorbono (o assorbono sempre meno), quelli degli altri emergenti si stanno fermando a loro volta (e, peraltro, erano una fetta troppo piccola dell’export cinese) e quello interno non riesce ancora a decollare.

E, infatti, nonostante il taglio degli interessi, le maggiori banche cinesi hanno erogato in giugno 188 miliardi di yuan, cioè 60 in meno di quelli erogati nel mese precedente, quando i tassi erano più alti. Qu Hongbin (economista della banca Hsbc) la dice chiara: “nel momento in cui la domanda esterna si è indebolita e la domanda interna non è migliorata significativamente nonostante le misure adottate, la crescita probabilmente continuerà a rallentare” (F, 7 luglio 2012 p 1). Il che significa forti rischi occupazionali che farebbero salire la temperatura sociale oltre i limiti di sicurezza.

Ma allora perché i cinesi non puntano ad una rapida crescita del mercato interno? Più facile a dirsi che a farsi: un aumento veloce dei salari potrebbe determinare una ondata inflattiva difficile da governare, ma soprattutto, ci sono una serie di esigenze contrastanti: evitare di gonfiare ulteriormente la bolla immobiliare di cui si aspetta l’esplosione da un momento all’altro, reggere l’indebitamento degli enti locali, correggere le forti diseconomie del sistema industriale… Troppe cose tutte insieme.

Ma se anche l’ultimo pistone funzionante dell’economia mondiale, la Cina, smette di pompare, vuol dire che siamo ad un passo dalla caduta della domanda aggregata mondiale e che sta per spalancarsi il tunnel di una depressione mondiale senza precedenti.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (10)

  • scenario tragico, la guerra (ma quale guerra) sarebbe l’unico elemento di discontinuità in questa caduta libera verso la stagnazione globale.

  • Leggevo oggi che il governo cinese ha fatto dietro front alla costruzione di una fabbrica di lega di rame a Shifang dopo delle proteste e degli scontri. L’autore segnalava come “La velocità con cui il governo ha ceduto, evidenzia i timori del Partito comunista di una rivolta nazionale, in quanto l’economia esportatrice comincia a mostrare segni di collasso.” (la fonte è libcom.org)

    Sembra quindi che la strategia del governo sia difensiva e di fronte a delle proteste piuttosto di insistere in una repressione duratura che potrebbe trasformarsi in qualcosa di più impetuoso, si ferma e accetta la volontà dei manifestanti. Tuttavia cosi crolla anche l’autorità dello stesso governo che, pare, abbia fatto dietrofront senza cercare alcun tipo di negoziazione e affermando solo la fine del progetto.

    Lei cosa pensa? La Cina sta cercando di rallentare un processo di crisi che non è solo di natura economica oppure mostra intelligenza di fronte ad un imperversare conflittuale che potrebbe peggiorare ulteriormente il declino cinese?

  • Oramai il ‘miracolo cinese’ (virgolette quanto mai d’obbligo) si dimostra per quello che è: un gigantesco fuoco di paglia. So bene che adesso si potrebbero snocciolare tutti i dati ‘prima e dopo la cura’, e verrebbero fuori aumento di reddito pro capite, aspettativa di vita, ecc. ma la realtà è che la storia si giudica nel lungo periodo e il loro sicuramente furbo tentativo di aderire al Business as usual alle loro regole del gioco è stato una meteora destinata a scoppiare fragorosamente.

  • Maurizio Melandri

    Si potrebbe sempre consigliare ai “compagni” cinesi di dare 500 euro ad ogni italiano, così da far ripartire i consumi 🙂

  • Mettiamola così: in termini politici è solo un rallentamento, in termini storici sarà qualcosa di più. Ricordiamo tutti che si parlava di ‘secolo cinese’, ‘dominio cinese’, ‘Cina al posto degli USA nel dominio mondiale’ e via discorrendo. E se il PCC è riuscito a pianificare ‘la svolta capitalista’ in modo sostanzialmente ottimale (almeno in base ai termini del business as usual) mi chiedo se la sua composita oligarchia sarà abbastanza flessibile per affrontare i problemi che si approssimano.

  • Salve, in merito al discorso Cina etcetera vorrei porre al prof. Giannuli il seguente quesito:
    Non pensa che ci possa essere una minima correlazione tra la Cina attuale e gli Stati Uniti ante seconda guerra mondiale?
    Tutti sappiamo che all’epoca gli americani erano il “magazzino” del mondo c.d. occidentalizzato e anche in quel caso il grande consumo avveniva in Europa.
    Tale magazzino traboccava di merci invendute stante la crisi che colpiva il vecchio mondo (conseguenza anche in quel caso di una crisi finanziaria degenerata in crisi dell’economia reale).
    Ebbene con la guerra venne raso al suolo tutto cosicchè gli Stati Uniti potevano investire parte della propria ricchezza in quel piccolo luogo del mondo che in poco tempo avrebbe riattivato un certo tipo di domanda di beni e di servizi da soddisfare (piano Marshall docet).
    Lo schema era preciso e si consolidò per circa una quarantina d’anni.
    C’era un grande mercato, l’Europa.
    C’erano vaste risorse da poter sfruttare (America Centrale e Meridionale in primis con le loro materie prime e il medioriente in secundis con il suo petrolio) e un contrappeso non da poco come l’Unione Sovietica.
    La soppressione della convertibilità totale del dollaro in oro prima e il crollo del muro di Berlino dopo potrebbero essere state fra le cause che ci hanno portato alla situazione odierna?
    Attualmente la Cina fa importantissimi accordi commerciali con l’Iran e il Venezuela (petrolio), Russia (strategia politica) e si sta comprando mezza Africa.
    Gran parte del debito americano è nelle sue mani e prevale la paura di reinvestirlo all’interno delle proprie mura in quanto si è consapevoli che uno stravolgimento reddituale troppo audace e frettoloso potrebbe minare il sistema burocratico che governa da decenni il paese più popoloso del mondo.
    La mia potrebbe sembrare una tesi di puro stampo imperialistico.
    Ma qualora crollasse definitivamente il sistema euro (con conseguenze devastanti anche per gli Stati Uniti) rischieremo a quel punto una nuova guerra mondiale?
    L’altolà della Cina sulla questione Siria/Iran potrebbe rappresentare un campanello d’allarme?
    La ringrazio per la pazienza

  • Un paio di anni fa ho letto un intervento (non ricordo di chi) su quello che potrebbe fare il governo cinese: aumentare e migliorare il welfare interno (aasistenza sanitaria, pensioni, assistenza ai piu’ poveri, ecc.).

    Il risultato sarebbe un aumento della spesa, una parziale diminuzione delle riserve, un aumento del consenso, ecc.

    L’idea mi sembro’ molto interessante. Mi domando se questo sta avvenendo e se la ricetta e’ semplicista.

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