Che ci faccio io qui? Note e appunti per viaggianti connessi
Connettività, tecnologie della connettività, parole alle quali il marketing dell’automobile e i pubblicitari non rinuncerebbero per niente al mondo. Da consumati navigatori del mercato sanno bene che, nella scelta della nuova automobile, la connettività conta assai più del design, della potenza del motore, delle prestazioni, della sicurezza stessa.
Percezione del mestiere che trova riscontro nell’indagine di mercato condotta da McKinsey, quotata società di consulenza, secondo la quale la tecnologia installata sulla vettura gioca un ruolo fondamentale fra le motivazioni all’acquisto. Nessun segmento si sottrae a questa regola: dalle piccole di segmento A e B, ai più sofisticati Suv, alla costellazione dei Crossover.
Ed è proprio la pubblicità di un crossover, la nuova Fiat 500x, a esaltare, nella versione extended edition, la tecnologia della connettività di cui la vettura è dotata.
Il concept del filmato, che si rifà al celebre Ritorno al Futuro di Robert Zemekis, è un emozionante viaggio nel tempo. Una giovane coppia partita a bordo di una Fiat 600 viene, dopo essere stata colpita dal fulmine, catapultata ai giorni nostri, questa volta a bordo della nuova Fiat 500x. Da qui si sviluppa la storia. Tra le strade di una moderna metropoli lui e lei hanno l’occasione di scoprire le incredibili (per la loro epoca) funzionalità dell’automobile: dalla telefonia di bordo, al sistema di navigazione, dal riconoscimento della segnaletica stradale, all’indicazione del carburante residuo, al sensore di parcheggio fino ai sistemi ADAS (Advanced Driver Assistance System) di frenata assistita, di warning lane control, di assistenza al parcheggio.
Se nella pubblicità della Fiat l’elenco della tecnologia è dettagliato e minuzioso, altri scelgono per comunicare un messaggio breve ed assertivo che diventa, esso stesso, il claim intorno al quale ruota la pubblicità: “Connected with your life” (Volkswagen Tiguan), “ Sette posti, sette sistemi attivi di connettività” (Skoda Kodiaq 7 Tech), “Per arrivare ovunque restando sempre connessi” (Audi E-Tron).
Nel secolo della globalizzazione la vettura è sempre più connessa, non più concepita come “un ecosistema chiuso”, isolato dal mondo esterno, ma come un centro pulsante che smista informazioni, messaggi, voci, suoni, immagini.
E’ paradossale pensare che in una fase storica – il filosofo polacco Zygmunt Bauman la definisce di “modernità liquida” – nella quale il comportamento sociale e quello individuale è sempre più condizionato da un atteggiamento di chiusura e di rifiuto, spesso sconfinante nel Familismo Amorale descritto da Bainfield, dove il senso della comunità e dell’accoglienza si è andato mano a mano assottigliando, venga invece avvertito in modo prepotente, a volte compulsivo, il bisogno di confermare al mondo la nostra presenza attraverso la connessione, perpetuando così all’infinito l’atteggiamento di restare alla finestra, osservando senza partecipare.
E’ logica conseguenza che l’automobile si adegui al bisogno collettivo offrendo agli utenti un universo di tecnologia da utilizzare quando si guida.
Oggi l’automobile è permeata e avvolta dalla connettività. Fino agli ultimi anni del secolo scorso le attività di bordo erano funzionali alla guida, come ruotare il volante, premere i pedali di frizione, freno e acceleratore, cambiare marcia.
Nella nuova era, la connettività di cui l’automobile è dotata consente di svolgere funzioni complementari. E’ possibile ricevere radio in streaming, utilizzare Whats-up con interazione vocale, chiedere al navigatore di impostare un percorso secondo parametri che abbiamo richiesto, ricevere aggiornamenti in diretta sulle condizioni del traffico o sull’evoluzione del meteo, solo per citarne alcune.
Senza contare il ruolo che le connessioni avranno in un futuro prossimo venturo quando le automobili always-on si sposteranno in modo autonomo, dialogando con la segnaletica stradale, interfacciandosi con tutti gli attori che si muovono sullo stesso scenario. Domani gli itinerari da percorrere saranno in funzione dei flussi di traffico per ridurre i tempi di percorrenza e il rischio di incidenti. Anche la velocità non sarà più una scelta individuale ma sarà stabilita in funzione del traffico, delle condizioni di visibilità, dell’aderenza del fondo stradale.
Se riusciremo a sfruttare la tecnologia della connettività, evitando che si trasformi in un’ulteriore forma di emarginazione, potremo ottenere il vantaggio di svolgere compiti complessi senza avvertire la sensazione di disagio che si avverte di fronte alle difficoltà.
Abbiamo tutti sperimentato come sia più semplice, girare per una città sconosciuta servendoci del navigatore piuttosto di una mappa stradale: chiedere al navigatore di guidarci alla stazione di servizio più vicina o all’albergo in cui sostare o al ristorante in cui pranzare. Il sistema Waze, una diffusa app di navigazione, non solo ci guida nel labirinto di strade ma indica sullo schermo gli amici che stanno percorrendo la nostra stessa strada. Ci consente di dialogare con loro, di invitarli alla sosta per un caffè. Addirittura il sistema assegna “punti fedeltà” che maturano ad ogni chilometro percorso.
In sintesi l’automobile always-on ridefinisce, rispetto ad un passato anche recente, lo spazio e il tempo del viaggio, inteso quest’ultimo non come la distanza percorsa per recarsi al lavoro o accompagnare i figli a scuola ma come un più ampio “movimento” che consente al viaggiatore di ampliare i propri orizzonti fisici e culturali.
Ed è proprio in questo spazio che sta il nocciolo della questione che ci ha indotto a scrivere. Viaggiare utilizzando solo la tecnologia della connessione (navigatore, notifiche, indicazioni etc) finisce per trasformare lo spazio reale in una superficie virtuale intorno alla quale si concentrano le informazioni filtrate dalla rete. Una superficie virtuale dominata dall’assenza di storia, identità e relazioni: un non luogo lo definisce Marc Augè. Uno spazio in cui gli individui si incrociano senza entrare in relazione gli uni con gli altri, guidati solo dal desiderio frenetico di accelerarne il passaggio. Il viaggio spogliato di ogni significato interiore si riduce a un’area di solitudine nella quale i sistemi di connessione offrono la illusione di non sentirsi mai soli.
Così nell’immagine tridimensionale della strada si perde l’essenza stessa del viaggio, la sua cultura, la percezione dello spirito dei luoghi attraversati.
La perdita del significato del viaggio, di cui le parole movimento, spazio, tempo, libertà, ne costituiscono il cuore pulsante ha cancellato la nostra identità di “Viaggiatori” che la letteratura ha indissolubilmente legato ad una dimensione romantica e avventurosa, per trasformarci in semplici “Viaggianti”, figure che, alla guida dell’automobile, si trasferiscono, in modo passivo, da un punto ad un altro, senza conservare nessuna memoria del viaggio.
Sembrano lontani i tempi in cui correndo in automobile prendeva forma “il senso dell’andare, l’imprevedibilità del viaggio, l’intrigo e la dispersione dei sentieri, la casualità delle coste, l’incertezza della sera, l’asimmetria di ogni percorso”.
Oggi l’efficienza chirurgica della connettività esclude la casualità e l’incertezza del viaggio. Essa evita a noi tutti il disagio di scegliere il percorso, di seguirlo e soprattutto cancella la consapevolezza che ormai, senza il navigatore acceso, senza le indicazioni tracciate sullo schermo, non siamo più in grado di muoverci.
Il sistema di navigazione, che nello spot della Fiat 550x il protagonista enfatizza come “Space Time Navigator”, cancella l’ansia del territorio sconosciuto, dei riferimenti che non conosciamo, del trascorrere del tempo – quanti chilometri mancano alla fine del viaggio? Per quanto tempo ancora dovrò guidare? Porterò ritardo? – che rischia di sfuggire al nostro controllo.
Nella “modernità liquida” perdersi lungo la strada, come perdersi nella vita, è un fatto imprevisto, non contemplato, che lascia inermi e disarmati di fronte al suo imprevisto accadimento, “Quando hai tutto sotto controllo ti senti libero” garantisce il claim della Skoda Kodjak.
Viaggiando, non tutto e non sempre, può essere sotto controllo. La vera libertà consiste piuttosto nel sapere accettare il rischio, l’imprevisto e le incertezze che ogni viaggio riserva.
Lo sanno i viaggiatori che in fuoristrada o in moto percorrono le piste di pietre e sabbia del Nord Africa affrontando l’inquietudine degli spazi sconosciuti e l’assenza di ogni punto di riferimento, uno qualunque che ti possa fare esclamare con sollievo “ecco, io sono qui”. Ore e ore di viaggio, di calcoli, di osservazione del paesaggio, di fiducia nella propria capacità a orientarsi anche nella polvere e nel nulla. Un bel saggio di “navigazione, di matematica interiore” avrebbe scritto Daniele Del Giudice “Se questa notte vi perdete in volo, niente paura. A destra c’è l’Africa, a sinistra l’Europa” cosi il comandante Buscaglia istruiva i più giovani ed inesperti piloti dello stormo sul come riportare a casa “pelle” e aeroplano. Dall’Algeria alla Sicilia volando con gli SM79, ala contro ala, sul pelo dell’acqua. Nel cielo buio solo le stelle: “Seconda stella a destra, questo è il cammino” canta Edoardo Bennato. Tanto basta(va).
E adesso? Conosco persone che ogni giorno, per recarsi al lavoro, percorrono la stessa strada, gli stessi incroci, si fermano agli stessi semafori, gesticolano contro lo stesso lavavetri che si avvicina con la spazzola in mano, nondimeno, immancabilmente, il primo gesto è quello di accendere il navigatore e impostare la rotta. Sempre uguale, sempre quella. Over control, tutto deve essere sotto controllo.
Il vantaggio della connettività non può però essere esclusa tout court perché sono innegabili i vantaggi che offre sia in termini di praticità che di sicurezza.
Se nel secolo scorso le automobili fossero state dotate di un navigatore in grado di dialogare con la rete, ciò avrebbe reso più confortevole il soggiorno ai viaggiatori, soprattutto stranieri che percorrevano in lungo e in largo la nostra penisola.
Consultando TripAdvisor i flanneur, nel loro vagabondaggio culturale, si sarebbero sottratti a spiacevoli disagi. Leon-Gustave Schlumberger avrebbe così evitato di trascorrere una notte a Campobasso in un albergo spaventosamente sporco dove “stendendosi sul letto aveva fatto cadere a terra una pistola dimenticata dall’ospite della notte precedente”. Osbert Sitwell non avrebbe dormito nella stanza di un hotel dove “sembra che le locomotive passino sotto il letto” e Aldous Huxley non sarebbe stato costretto a dormire in una camera talmente gelida che “avrebbe potuto conservare i corpi mummificati degli ospiti per l’eternità”.
Per un bizzarro paradosso ci siamo persi quando abbiamo realizzato gli strumenti per non perdere la rotta. Ogni nuova tecnologia che si affaccia all’orizzonte determina sempre un guadagno e una perdita. Dobbiamo semplicemente capire se in queste attuali tecnologie il guadagno giustifica le perdite. Chiederci più semplicemente: il “gioco vale la candela?”.
Beppe Ameglio
Riferimenti bibliografici
Beppe Ameglio “Una incerta Via Emilia” in rivista “Oltre”, settembre 1990
Edwuard C. Banfield “The Moral basis of a backward society”, Free Press, Usa
Daniele del Giudice, “Pauci sed sempre Immites” in “Staccando l’ombra da terra”, Einaudi, Torino 1994
Cristiano Guidotti “L’auto sarà always-on” in www.webnews.it 2015
Giulia Niccolai “La Via Emilia” in “Esplorazioni sulla Via Emilia. Strutture nel paesaggio”, Feltrinelli 1986
mirko g. s.
Mi scusi ma questo pezzo mi lascia perplesso tanto quanto quello del prof. sulle “luminarie” di qualche anno fa, scrissi un commento molto polemico e mi beccai un sonoro “commenti i suoi da bar dello sport”. Senza voler incorrere nuovamente in polemiche mi lasci dire che come tanti studiosi innamorati della filosofia e della retorica ad essa connessa andate cercando profondità là dove manca. Scusate ma cosa mette in relazione Baumann colla moda di oggi di vendere auto farcite di minchiate inutili? La connettività è un mantra di cui i consumatori medi manco si accorgono e come tutti gli slogan non ha significato. La storia dell’uomo è sempre stata segnata da mode e slogan pubblicitari vacui che spingevano a comprare roba spesso superflua e perchè adesso ci dovrebbero essere risvolti filosofici, metafisici, sociologici da spazio-non-spazio et similia? Il concetto (vuoto) di connettività ha come unico risvolto pratico, come unica urgenza seria cui rispondere l’infantilismo dei guidatori che portano l’auto mentre si baloccano con Va’azzapp (e poi vanno a sbattere). Non cercate l’oceano nelle pozzanghere. E soprattutto non citate con leggerezza la navigazione aerea che è un affare ad un altro livello di difficoltà perchè la storia dell’aeronautica espone diversi casi di piloti che si sono persi e, esaurito il carburante, sono scomparsi con tutto il velivolo inghiottiti dalle onde.
Gaz
Lettura piacevole.
Visto che il navigatore ne sa più di me, dirò alla macchina di andare a votare in mia vece.
E io che pensavo che il “navigatore” fosse un tipo alla Vespucci o alla Verrazzano !
Quando Berta filava, il pusillibus si risolveva in questo modo:
https://www.youtube.com/watch?v=s31qf1sEVbM
auto++
bhe! La polizia stradale oggi è dotata di tablet che fotografano la strada dal cruscotto della pantera, scanzionano la foto riconoscono le targhe, si sincronizzano con i database della questura della Motorizzazione Civile, verificano lo stato del veicolo e tutte le pendenze relative. Direi che circolare per certi personaggi sarà più difficile, e probabilmente la corruzione si inerpicherà con sistemi più sofisticati. Non escluderei un bracialetto elettronico o mo’ di passaporto per circolare per tutti ((-: