La Procura di Palermo e Napolitano

La Procura della Repubblica di Palermo ha presentato alla Corte che dovrà giudicare il caso della “trattativa” Stato Mafia, un elenco lunghissimo di testi e, fra essi, anche il Presidente della Repubblica Napolitano. Sorge un problema: si può adire come teste il Capo dello Stato? In che casi? Ci sono criteri di opportunità che lo sconsigliano?

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La politica della paura: il modello greco e la strategia della tensione in Italia (1969-1974)

La politica della paura: il modello greco e la strategia della tensione in Italia (1969-1974)


La notte del 20 agosto 1965, una serie di incendi dolosi si svilupparono in tutta Atene. La responsabilità venne addossata ad imprecisati “estremisti di sinistra”. Più tardi sarà chiaro che ben altra era la mano che aveva acceso il cerino.
Il 22 maggio 1963 il deputato della Sinistra Grigori Lambrakis era stato assassinato; ne era seguita un’inchiesta giudiziaria (seguita d un giovanissimo magistrato Christos Sartzetakis) che, partendo da alcuni squadristi locali, si era spinta sempre più in alto, sino a  lambire i vertici della Polizia, lo Stato Maggiore dell’esercito e, dietro essi, l’ombra degli ambienti di Corte (chi ne ha voglia, si riveda lo straordinario film di Costa Gavras “Z: l’orgia del potere”).

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“Il segreto di Piazza Fontana”: la risposta di Paolo Cucchiarelli

Di seguito pubblichiamo la risposta di Paolo Cucchiarelli all’approfondimento bibliografico curato da Aldo Giannuli alcuni giorni fa sul suo ultimo libro “Il segreto di Piazza Fontana”. La risposta è molto lunga e articolata e si inserisce nelle righe dell’approfondimento stesso di Giannuli, per cui abbiamo segnalato il testo di Cucchiarelli in rosso e il testo di Giannuli in nero.

Caro Aldo,

ti conosco da troppo tempo per non sapere quale è il tuo modo di ragionare, risolvere i problemi, confrontarti.

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“Il segreto di Piazza Fontana” di P. Cucchiarelli: analisi del testo

Il libro di Cucchiarelli, è il risultato di oltre dieci ani di lavoro. Il libro è diviso in tre parti narrative: la prima sostanzialmente dedicata ad un attento scandaglio di perizie, verbali, rapporti di polizia giudiziaria e stampa d’epoca; la seconda in cui l’autore avanza una sua ipotesi di come sia andata la vicenda della strage; la terza, nella quale si rileggono i casi Feltrinelli e Calabresi alla luce delle risultanze precedenti.

La prima parte costituisce un lavoro assolutamente prezioso che fa riemergere tanti particolari passati ormai nel dimenticatoio dopo la lunga serie di inchieste giudiziarie e parlamentari che anno accumulato molte migliaia di documenti per oltre 1 milione di pagine. Diverse riflessioni sul tema dell’esplosivo aprono la strada a sviluppi investigativi di notevole rilievo che maturano in particolare nella terza parte, quella in cui si parla di Calabresi e Feltrinelli. La parte più debole, lo diciamo subito, ci pare la seconda che propone una spiegazione della vicenda che qui di seguito riassumiamo in breve.

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La tesi del “doppio Stato” non è una barzelletta

Il 30 maggio 2009, Marco Clementi ha pubblicato sul quotidiano Liberazione un articolo in cui ritorna sul dibattito sul “doppio Stato” in corso in questo periodo. Questo l’articolo in risposta apparso, sempre su Liberazione, di Aldo Giannuli.

Si sta facendo molta confusione a proposito del “doppio Stato”, sovrapponendo superficialmente significati ed usi dell’espressione. Il termine, come categoria teorica, venne elaborato da Ernst Fraenkel in riferimento alla Germania nazista, venne poi ripreso e usato in senso più generale da autori come Wolfe o, più recentemente, Klitsche de la Grange. Altri (De Felice ed il sottoscritto) hanno svolto una riflessione teorica in riferimento al caso italiano, peraltro con esiti divergenti. Altri ancora (Casarrubbea, De Lutiis, Tranfaglia, Ginsborg ecc.) la hanno utilizzata incidentalmente e con sfumature molto diverse. Infine esiste un uso da caffè dello sport per il quale il doppio Stato, come dice Pier Luigi Battista, è “la chiave per svelare ogni segreto”, il racconto cospirazionista della nostra storia repubblicana, nella quale ci sarebbero stati due apparati statali: uno visibile e legale l’altro coperto e criminale che muoveva i suoi burattini sul teatrino di una finta democrazia. Dello stesso avviso mi pare Marco Clementi (“Liberazione” 30 maggio). Ognuno è libero di scegliersi gli obiettivi della propria polemica e, se si vuol restare sul piano del bar dello sport, lo si può benissimo fare; l’importante è dirlo. Se invece si vuole polemizzare ad un altro livello, occorre mettersi all’altezza dal punto di vista delle conoscenze.

Ad esempio, tanto il lavoro di De Felice che il mio, pur divaricando fortemente, muovono dallo stesso rifiuto di complottismi e dietrologie come strumenti di interpretazione idonei, in particolare in un caso complesso come quello italiano, segnato dalla compresenza di una democrazia vera e vitale con gravi patologie politiche come lo stragismo, la forte corruzione politica,  i tentativi di colpo di Stato, ecc.  La teoria del “doppio Stato” segnala questa tensione che non vi sarebbe, se la democrazia fosse solo una finzione teatrale, come Battista e Clementi fanno dire ai loro antagonisti. Dunque, essa è il tentativo di superare ogni complottismo per trovare sul piano sistemico una spiegazione dell’accaduto.

Peraltro, non ho mai pensato, detto o scritto che il “doppio Stato” coincida con una qualche organizzazione, istituzionale (come i servizi segreti) o privata (come la P2), legale  o illegale, perché esso non è un soggetto ma un processo. Lo Stato duale non consiste neppure in una doppia rete istituzionale, una legale, l’altra segreta e illegale o in una immaginaria “cupola” politico-criminale che tutto dirige e tutto manovra. Semmai è uno stato di fatto nel quale cupole grandi e piccole di politici corrotti, mafiosi, ufficiali sleali, finanzieri corsari ecc possono trovare spazio. E mi sembra di ricordare che in Italia non siano mancati e non manchino né politici corrotti, né ufficiali sleali, né mafiosi, né finanzieri corsari. O vi risulta diversamente? Peraltro, a differenza di De Felice, non credo che il doppio Stato coincida con la doppia lealtà allo stato italiano ed agli Usa. Insomma un organismo come la P2 o il “noto servizio” possono esistere (e sono esistiti), così come comportamenti servili nei confronti degli Usa di interi settori di apparati istituzionali possono verificarsi ( e si sono verificati), ma non vanno scambiati per la sostanza del fenomeno, che va al di là di tutto questo.

A questo proposito conviene essere chiari sino in fondo. Fra i militanti della sinistra è serpeggiato in questi anni un mito autoconsolatorio, per il quale le sconfitte politiche subite si spiegano proprio con l’esistenza del “doppio Stato”, inteso, appunto, come apparati occulti e sovranità limitata dagli Usa. Insomma: se gli altri non avessero giocato sporco, la sinistra avrebbe vinto da un pezzo e sarebbe stata la naturale classe dirigente del paese. Questo è un grave errore che ostacola la formazione di un giudizio storico obiettivo. La sinistra non ha mai superato il 45% dell’elettorato non perché glielo abbiano impedito Gelli, De Lorenzo o Sindona, ma perché non è riuscita a costruire il consenso e la rete di alleanze necessarie e, quando è stata ad un passo dal riuscirvi (fra il 1976 ed il 1979) ha fatto la scelta della solidarietà nazionale, che si è rivelata disastrosa. Avremo modo di discutere in altra occasione le ragioni della sconfitta epocale della sinistra italiana, ma intanto sgomberiamo il campo da questo mito costruito su un uso improprio della teoria del “doppio Stato”.

La rilevanza del tema è un’altra: il giudizio sul funzionamento della nostra democrazia. Quello che è inseparabile dalla fenomenologia dello Stato duale è il funzionamento extra o anti-ordinamentale di alcuni apparati istituzionali. Dunque, non un doppio apparato, ma un modo duplice di funzionare dello stesso apparato. Quello che, mi sembra,  ha ricevuto abbondantissime conferme da quel che è emerso sia in sede giudiziaria che parlamentare o storiografica: non si è trattato dell’occasionale devianza di un certo numero di funzionari, alti ufficiali o ministri (quel che accade in ogni epoca ed in ogni paese), ma di disfunzioni sistemiche, per cui la nostra è una democrazia vera, che poggia su un solido consenso popolare, ma presenta delle patologie che vanno analizzate. La democrazia non è l’Immacolata Concezione, per cui può benissimo subire dei processi degenerativi. Saperli riconoscere è il primo passo. La teoria del doppio Stato cerca di fornire un contributo in questo senso, può darsi che sia errata o insufficiente, discutiamone, ma, per cortesia, non fermiamoci agli slogan e cerchiamo di leggere i libri prima di parlarne.

Aldo Giannuli, 4 giugno 2009, Liberazione, pp. 13

1964: quando il PCI occupò canzonissima

1964, “Canzonissima” era la trasmissione più seguita dell’anno: sabato in prima serata, una gara di canzoni abbinata alla superlotteria con premi da 150 milioni in giù. Una formula imbattibile che assicurava punte oltre i 15 milioni di ascoltatori. Quell’anno, sul finire del 1964, i dirigenti Rai avevano pensato una cosa particolarmente “ruffiana”: una gara fra la canzone napoletana e canzoni del resto del mondo – “Napoli contro tutti” sul modello di alcune gara calcistiche-, condotta dal popolarissimo comico Nino Taranto.

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Un’alleanza coi socialisti: l’ultima mossa dei repubblichini

Nell’estate 1944, alcuni gerarchi di Salò (il ministro Pisenti, Franco Colombo, capo della “Ettore Muti“, il capo della polizia Renzo Montagna, Junio Valerio Borghese ed altri) iniziarono a cercare una via d’uscita con l’ “operazione ponte”: spaccare il Cln, trattare una tregua con socialisti ed azionisti con i quali dare vita ad un governo di “unità nazionale”. Più tardi si arrivò ad ipotizzare una nuova repubblica socialista, neutrale. Questo avrebbe posto gli Alleati di fronte alla scelta di usare le armi contro una repubblica governata da partiti antifascisti o invitare i due governi (repubblica del nord e monarchia del sud) a trovare una mediazione. Ed avrebbe messo il Pci in una situazione assai imbarazzante: appoggiare il governo monarchico contro una repubblica socialista o rischiare di compromettere l’ intesa con gli inglesi. Nella situazione di stallo fra due governi antifascisti, avrebbe avuto qualche possibilità di sopravvivenza anche al progetto del “ridotto alpino” della Valtellina, tanto più che Mussolini si illudeva di giungere ad una pace separata con i sovietici. In questa ottica, il duce autorizzava la costituzione del Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista, guidato da Edmondo Cione e da Carlo Silvestri (già spia dell’Ovra).

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Le spie di Salò: i doppi giochi per infiltrare la democrazia

Nell’ottobre 1943, Mussolini ordinò la costituzione di un servizio segreto speciale per sviluppare la “guerra dietro le linee”, nell’Italia occupata dagli Alleati, e ne affidò il comando al nobile fiorentino Puccio Pucci che, a sua volta, nominò suo vice il suo concittadino Aniceto del Massa. Ci furono anche altri servizi segreti analoghi nella Rsi -come i Nuotatori paracadutisti della X Mas o le volpi argentate, tutte donne, del colonnello David- ma questo fu il principale ed ebbe i suoi uffici nella sede centrale del Partito Fascista Repubblicano in via Mozart 12 a Milano. La sua azione, infatti, fu strettamente coordinata con quella del partito guidato da Alessandro Pavolini, fiorentino anch’ egli come il suo segretario Olo Nunzi.

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