Catalogna verso l’indipendenza? La storia dell’ultimo biennio (2012-2014)

Leggi anche la prima puntata: La questione catalana e la crisi spagnola

Non è possibile comprendere ciò che sta succedendo in Catalogna estrapolando la questione catalana dalla situazione di crisi generale che sta vivendo la Spagna in questo ultimo lustro. Anche perché i dati macro e micro dimostrano che la Catalogna è stata colpita tanto quanto la Spagna dalla crisi economica e che le ricette applicate per “uscire dalla crisi” dal governo regionale catalano – guidato dal conservatore Artur Mas dal novembre del 2010 – sono state le stesse applicate poi da Rajoy e sono iniziate ancora prima.

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La questione catalana e la crisi spagnola

Con estremo piacere torno ad ospitare sul sito un contributo di Steven Forti, da Barcellona, che invito tutti a leggere perchè di assoluto valore ed interesse, in particolare in giorni decisivi per le questioni catalane e scozzesi. Grazie a Steven per la collaborazione e buona lettura! A.G.

Oggi la Catalogna torna a fare notizia. Anche sui giornali italiani. Come negli ultimi due anni, anche questo 11 settembre una grande manifestazione occuperà il centro di Barcellona. L’11 settembre è la Diada, la festa nazionale catalana. È una festa molto particolare perché non si celebra una vittoria, ma una sconfitta: la caduta di Barcellona che, in quello stesso giorno del lontano 1714, fu riconquistata, dopo quattordici mesi di assedio, dalle truppe spagnole del duca di Berwick. Atto che pose fine alla guerra di successione spagnola.

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Ucraina: quali prospettiva dopo la tregua?

A quanto pare siamo ad un cessate il fuoco nella questione ucraina. Molto bene, ma questo non basta. La questione va definita, perché non possiamo tenerci questo barile di dinamite con miccia innescata nel pieno centro d’Europa. E dunque occorre passare dalla tregua alla trattativa per definire la situazione stabilmente. Vorrei riprendere il discorso per il quale, appurato che non ci sono ragioni di principio per un intervento militare Nato nella crisi ucraina, questo dipende piuttosto da calcoli di ordine politico che, per di più, sono molto probabilmente sbagliati. Quali sono questi calcoli?

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Ucraina: le ragioni dei russi.

(Con preghiera vivissima, prima di commentare, di leggere il pezzo per intero e non limitarsi alle prime righe)

Diversi intervenuti sul pezzo precedente (probabilmente a causa di quell’enfatico “Entra” al quarto rigo) hanno centrato l’attenzione solo sul punto iniziale e mi accusano di accettare acriticamente la versione occidentale che dà per scontato l’avvio dell’entrata russa in Ucraina. Più che altro, la mia impressione è che Putin sia sul punto di farlo e ci siano le prime avvisaglie: il milione di persone che lascia le zone più a rischio, alcuni filmati che, per quanto non decisivi, costituiscono indizi che non è possibile ignorare del tutto, la stessa dichiarazione di Putin “Se voglio prendo Kiev in due giorni” ecc.. D’altra parte sembra ormai chiaro (nessuno lo contesta seriamente) che automezzi e soldati russi partecipino alla battaglia di Mariupol. I carri armati non ci sono ancora, ma, insomma…

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Ucraina: attenti che qui rischiamo grosso.

Siamo allo showdown della partita ucraina, il momento in cui tutti buttano giù le carte e si vede chi ha il punto più alto. Putin ha deciso di andare giù duro e tagliare ogni esitazione, entra con i carri armati a sostegno della Repubblica del Donetsk. Va da sé che tornare indietro sarebbe molto difficile e potrebbe costargli un crollo di consensi senza pari, sino al punto di doversi dimettere. La Ue, dal canto suo, avendo appena firmato un atto di associazione dell’Ucraina, perderebbe la faccia lasciando mano libera ai russi. Adesso, poi, capiamo il senso della nomina della Mogherini: tanto poi ad esprimere veramente la posizione Ue è Tutsk che già parla di guerra e non confinata alla sola Ucraina. E nessuno si è sentito in dovere di dissentire o almeno rettificare, mentre la Mogherini piange. Si limita a piangere. Ma più di tutti, è la Nato che ha da temere una solenne sconfitta politica se i russi riescono a smembrare l’Ucraina senza colpo ferire: tutti i paesi di recente adesione (Polonia, baltici, Bulgaria, Ungheria e Romania) dedurrebbero che non c’è da fare affidamento sulla Nato nei confronti dei russi.

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La Repubblica Popolare di Donetsk e l’ombra nera di Aleksandr Dugin

Da oggi inizia la collaborazione con il sito anche Jacopo Custodi, amico e studente brillante, nonchè collaboratore dell’interessante sito East Journal. In particolare oggi ci occupiamo di Ucraina, passata in secondo piano in questi giorni in cui ci si è occupati solo di Iraq. Grazie a Jacopo per la collaborazione e buona lettura!

La Repubblica Popolare di Donetsk e l’ombra nera di Aleksandr Dugin.

Di Jacopo Custodi.

Nella foto, Aleksandr Dugin e il leader di Jobbik, il partito neofascista ungherese.

La Repubblica Popolare di Donetsk è stata fondata il 7 aprile 2014 dai separatisti ucraini filo-russi in lotta contro il governo centrale di Kiev ed è oggi la loro principale roccaforte; insieme alla vicina Repubblica Popolare di Lugansk forma la Repubblica Federale di Nuova Russia (Novorossiya), stato che non è riconosciuto internazionalmente. I separatisti sono stati identificati più volte da vari esponenti italiani di sinistra come dei “partigiani”, degli “antifascisti”, in lotta contro il governo di destra di Kiev.

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Spagna, tra la crisi e la speranza

Con estremo piacere torno ad ospitare sul blog un articolo dell’amico Steven Forti, ormai trapiantato a Barcellona ed attento e acuto osservatore della realtà spagnola, che sta attraversando in questi mesi non poche interessantissime novità. Steven ha tra l’altro da poco pubblicato un nuovo libro, “El peso de la nación. Nicola Bombacci, Paul Marion y Óscar Pérez Solís en la Europa de entreguerras” per cui gli faccio i migliori auguri di un chiaro successo. Buona lettura!

di Steven Forti
(ricercatore presso l’Instituto de História Contemporanea dell’Università Nova di Lisbona e presso il CEFID dell’Università Autonoma di Barcellona)

È un momento particolare quello che sta vivendo la Spagna. Senza ombra di dubbio. All’inizio di giugno ha abdicato il re Juan Carlos I, che aveva giurato di rimanere in sella fino alla fine dei suoi giorni. Il governo catalano, guidato dal neoliberista Artur Mas, ha indetto un referendum per l’indipendenza della Catalogna, che si dovrebbe celebrare il prossimo 9 novembre, per quanto il governo di Madrid si sia arroccato su una posizione di intransigente difesa dell’unità della nazione spagnola. 

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Spagna: verso un’altra primavera calda (ma non abbastanza)

Con grande piacere ed interesse, ospito questo nuovo contributo di Steven Forti da Barcellona, che ci permette uno sguardo approfondito sulla Spagna, di cui davvero troppo poco si sa in Italia.

Qualche mese fa scrivendo sulla situazione spagnola mi domandavo se era corretto parlare di un nuovo autunno caldo. (1) Scioperi, manifestazioni e proteste erano effettivamente all’ordine del giorno, però sembrava mancare qualcosa che permettesse un “salto di qualità”, dopo quell’iniziale tsunami dell’occupazione delle piazze del maggio del 2011. (2) La situazione è di continuo attivismo – si pensi che nella sola Madrid vi sono state una media di dieci manifestazioni al giorno nel 2012, il 74% in più rispetto all’anno precedente –, ma anche di una certa impasse, per quanto le condizioni – si sarebbe detto un tempo – erano propizie a uno sbocco “rivoluzionario” o a qualcosa di simile, adatto al tempo storico in cui stiamo vivendo. L’autunno (caldo, ma non troppo) è terminato. E l’inverno quasi. A che punto siamo arrivati e cosa ci aspetta per i prossimi mesi?

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Crisi dell’Euro: che fare?

All’indomani dell’accordo europeo, che erogava 100 miliardi di euro alle banche spagnole, capi di governo e di Stato (compreso il nostro) si sono fatti ritrarre con l’aria giuliva di chi ha definitivamente scampato un grave pericolo. Ma avevano ben poco di cui sorridere: la ripresa delle borse è durata esattamente 24 ore, dopo di che abbiamo ripreso come prima e, in particolare per l’Italia, lo spread è schizzato a 473. La “ripresa del giorno prima” era stata il “salto del gatto morto”, colorita espressione di un economista di Singapore che, di fronte ad un episodio simile di 15 anni fa, affermò che “lanciato da sufficiente altezza, anche un gatto morto rimbalza”. Fuori del gergo: l’annuncio dell’iniezione di liquidità nelle banche spagnole ne ha fatto momentaneamente rinvenire i titoli, così come quelli correlati e affini, poi la “speculazione” si è precipitata a realizzare l’effimero guadagno e tutto è tornato come prima. Ennesima conferma, se ce ne fosse bisogno, che la cura della liquidità (l’unica che politici e finanzieri attuali conoscono) non risolve la crisi, se non si traduce in investimenti nell’economia reale, ma serve solo a tappare momentaneamente voragini di cassa ormai incolmabili.

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Grecia, Portogallo, Spagna… Ma la crisi non era finita?

Che la crisi fosse veramente finita è cosa cui non ha creduto nessuno e, prima di tutti, quelli che lo proclamavano. Semplicemente è successo questo: un bel giorno il signor Barack Obama da Honolulu, con un tratto di penna, ha trasferito all’Amministrazione degli Usa, i debiti della banche d’affari americane ormai al crack. E per le borse, i governi, i giornali, le banche ecc. è stato come se una bacchetta magica avesse azzerato i debiti di tutti, facendoli svanire come una nuvoletta. In realtà, Il Presidente ha semplicemente assunto su di sè un impegno di spesa e, poco dopo, ne ha assunti altri (dai rinforzi in Afghanistan alla riforma sanitaria). Prima o poi verranno al pettine, ma per ora andiamo avanti.
E, infatti, l’asta dei bond americani è andata splendidamente: la domanda è stata tripla rispetto all’emissione; inoltre gli indici della produzione industriale Usa sono risaliti e così via.

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