Caro Battista, io non dimentico Pasolini…

riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Francesco “Baro” Barilli

Caro Battista, io non dimentico Pasolini


Il 27 luglio, sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista ha invitato i suoi lettori a dimenticare il Pasolini di “Io so”. Lo conforto: gli italiani non hanno bisogno di simili inviti, già da soli sono bravi a dimenticare i propri intellettuali. Al massimo ne salvano qualche citazione, buona per fare bella figura in un salotto, e tanto basta. L’invettiva di Pasolini di fronte alle stragi di quegli anni (ne sarebbero seguite altre dopo l’articolo del poeta e dopo la sua morte) costituirebbe secondo Battista “l’espressione del peggiore Pasolini, l’esaltazione meno sorvegliata dei vizi che hanno devastato la fibra etica del ceto intellettuale italiano”. Ma soprattutto, sempre secondo la stessa fonte, nelle parole di Pasolini “la ricerca empirica delle prove, e persino degli indizi, diventava esercizio ingombrante, fatica superflua”.

Con queste due citazioni penso d’aver centrato il cuore del commento di Battista e pure il suo principale errore: credere che la ricerca della verità dell’intellettuale debba coincidere (come percorso logico) con quella della Magistratura. Oppure ritenere che le uniche verità sulle stragi che hanno insanguinato l’Italia possano arrivare secondo dinamiche esclusivamente “pratiche” (fatto criminoso, raccolta di elementi e possibili moventi, colpevoli ipotizzati e infine accertati). Peraltro, recentemente abbiamo visto che pure sentenze passate in giudicato non bastano a mettere il sigillo su una verità accertata, se esiste la volontà politica di riscrivere quella data pagina: su Liberazione del 2 agosto Saverio Ferrari, a proposito della strage di Bologna, ha puntualmente descritto i tentativi di ridiscutere l’accertata matrice fascista di quell’attentato.

Il punto è che le sentenze possono essere condivisibili e apparire sensate oppure l’esatto opposto: è tratto distintivo della giustizia umana differenziarsi da quella divina (per chi crede in quest’ultima) non solo per l’assenza della maiuscola o per il suo intrinseco margine di fallibilità. Quel che distingue la giustizia umana è l’assenza di prerogative assolute o taumaturgiche, che invece la società e la politica continuano ad assegnarle, un po’ per semplificazione, molto per affossare la ricerca di altri livelli di responsabilità (del resto Pasolini proprio nel suo “Io so” diceva che “il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”).
Credo che Battista non abbia colto il senso delle parole di Pasolini. No, lui non sapeva i nomi di chi mise una bomba nella banca di Piazza Fontana, sotto il portico di Piazza della Loggia, o ne avrebbe messa un’altra, anni dopo, alla stazione di Bologna. Ma conosceva le logiche del potere, che risponde alla sola legge dell’autoperpetuazione ad ogni costo. Capiva le finalità politiche (neppure univoche) cui dovevano rispondere le stragi, e lo capiva con i soli mezzi con cui è possibile operare un’analisi di questo tipo: quelli dell’intellettuale, che non pretende di supplire con le proprie riflessioni all’azione della Magistratura. A questa spetta un altro compito, altrettanto importante: l’individuazione di responsabilità penali e personali. I due livelli di ricerca non sono sovrapponibili, ma se svolti egregiamente si completano senza contraddirsi. E penso si possa affermare che quanto emerso, seppure con persistenti margini di ambiguità, su Piazza Fontana e le altre stragi (nell’ambito ambito processuale, nelle ricerche degli storici, nella defunta commissione stragi ecc), abbiano dato ragione a Pasolini.

Un’ultima riflessione. Pensavo che l’articolo di Battista sollevasse un dibattito ampio. Così non è stato: fatta eccezione per qualche risposta apparsa su alcuni blog, i media hanno ignorato la questione. Gli italiani, bravi a dimenticare Pasolini, lo sono altrettanto nel dimenticare Battista. Non tutte le conseguenze della sciatteria di un popolo sono negative.

Francesco “baro” Barilli

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Aldo Giannuli

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Comments (6)

  • È da quando è uscito l’articolo di Battista che seguo i vari interventi di risposta sui blog italiani. Sentivo anch’io la necessità di chiarire, di dire qualcosa. Sono andato a riprendere Lettere Luterane per rispondere punto per punto ed ero arrivato più o meno a queste stesse conclusioni. Poi mi sono fermato, pensando che aggiungere un tassello ulteriore a questo dibattito sarebbe servito soltanto ad alimentare il mito dell'”intellettuale” Battista e del suo incredibile coraggio. Battista che ha il coraggio di usare uno spazio importante della stampa italiana per attaccare un morto. Che coraggio! Il punto è che Pasolini è ancora scomodo, anche da morto, soprattutto per quei giornalisti (oggi la maggioranza) che sentendosi punti sul vivo dal fatto di non avere né lo stesso coraggio intellettuale, né lo stesso stile di Pasolini, preferiscono attaccare lui, piuttosto di battere le sue orme, di mettere assieme i fatti e avere il coraggio di tirar fuori dalle viscere della coscienza, finalmente, il loro personale (e allo stesso tempo collettivo) “Io so…”

  • Io mi chiedo spesso come abbia fatto certa gente ad arrivare addirittura a essere vicedirettore del Corriere della Sera. Quando partecipa a certe trasmissioni fa pure pena, quello che fa e che dice, si vede lontano un miglio che è falso, mendace.Vicedirettore del Corriere, è come dire Emilio fede direttore di un TG nazionale, toppo comico, chi ci crederebbe. Ora alza anche il tiro? e spara addirittura su P.P.Pasolini? Ma allora è vero che siamo a fine impero. Il senso della misura non sa neanche dove sta. Povero PierPaolo, neanche nella tomba lo lasciano in pace.

  • la cosa più incredibile è che ha “dimenticato” di scrivere che l’articolo di Pasolini apparve proprio sul Corriere…
    Quando si dice la coda di paglia…

  • Riporto qui, per il piacere di ricordare Pasolini, un pezzo che ho scritto parlando del PD (sul blog). Saluti
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    Di Pietro o non Di Pietro?
    Questo pare il dilemma di Bersani per costruire l’opposizione.
    E i radicali ?
    Cosa significa anti-berlusconismo ?
    Una riflessione…
    Lo confesso: questo Pd non mi ha mai appassionato molto e mi appassiona sempre meno. Ma mi piacerebbe fosse un partito forte, di riferimento per la sinistra. Non è così e temo non lo sarà nel prossimo futuro.

    La nostra politica si gioca sulle parole e a parole: cosa vuol dire anti-berlusconismo?
    Dovremmo iniziare ad intenderci sui significati che diamo alle parole, riempirle di contenuto, renderle sostanziose di atti ed indirizzi politici, per avere un po’ di chiarezza.

    Uno dei più grandi intellettuali che hanno attraversato questo paese si chiama P.P. Pasolini. Tra le tante ragionate illustrazioni dei vizi e delle virtù dell’Italia e del suo popolo, Pasolini denunciava, a sinistra, il fascismo degli antifascisti; ponendo così una precisa questione politica e morale (quella vera, di sostanza non di forma “moralistica”) negli atteggiamenti poco o nulla democratici di coloro che si ergevano paladini della lotta al fascimo.

    Questo ragionamento pasoliniano lo possiamo trasportare a oggi, parafrasandolo in una verità non detta ma vissuta:
    non si può essere anti-berlusconiani se si è berlusconisti in tutto od in parte.

    L’antiberlusconismo non paga e non può pagare se a metterlo in opera sono persone troppo simili, nell’agire, nel pensiero e nell’animo al berlusconismo che dovrebbero combattere: di fatto non lo faranno, non lo hanno fatto sino ad ora.

    Diceva Gaber: non temo il Berlusconi in sé temo il Berlusconi che è in me.

    La classe dirigente del PD non ha saputo negli ultimi 20 anni temere questo personale “Berlusconi” nell’animo; se ne sono lasciati persuadere, hanno convissuto e condiviso anche, metodi, idee, progetti politici.

    La spina nel fianco Di Pietro è tale perché rappresenta, nei fatti e nella sostanza, la distinzione tra il berlusconismo al potere (di destra, sinistra, centro) e il non berlusconismo. Difatti, per tacciare il Pd e tenerli a bada, a Berlusconi è sufficiente continuare a sventolare lo spauracchio del “comunista” che mangia i bambini; con Di Pietro deve usare quotidianamente le bombe della propaganda di regime (piduista) per denigrare e gettare dubbi sulla sua persona in modo da attaccarne costantemente la credibilità. E il Pd sta a guardare, quando non lo sostiene pure.

    Non è il fare un elenco dei disperati da difendere o il continuare a proclamarsi dalla parte dei più deboli che salverà questo Pd – e parte anche di tutta la sinistra – composto da una classe dirigente “vecchia”: di vecchi sessantottini che un Pasolini farebbe a pezzi additandoli come più ferocemente “borghesi” di quella antica borghesia che volevano combattere (che a paragonarli a questi quelli erano ben più signori).
    Un Pasolini che riconosceva più nei radicali che nel partito comunista quella forza “diversa” nella morale e nell’azione politica necessaria contro il regime dei partiti. Quegli stessi radicali che il Pd fa entrare ed uscire dall’alleanza a seconda dell’umore di turno della sua componente cattolica più fondamentalista.

    Il Berlusconismo è questa assenza di un progetto che ri-trovi nelle persone la sua ragione più profonda: un piano che guarda al benessere degli individui nel mondo e non alla schiavitù del mercato e alla ricchezza per pochi.
    E’ l’assenza di una morale interiore che sente la vita come un dono da vivere responsabilmente e da condividere con gli altri.
    E’ la progettazione di una vita vivibile con la natura del mondo, non la mercificazione di ogni cosa dentro un’ idea ipocrita e sacrilega di progresso.
    E’ la confusione tra verità e menzogna e la connivenza pavida con questa per quieto vivere del proprio status sociale.
    E’, anche, la mancanza di coraggio nello stringere alleanze vere con persone degne di rispetto e di fede alla nostra Costituzione e non giocando sui numeri per guadagnare seggi grazie a personaggi di dubbia reputazione morale e con chiari trascorsi giudiziari.

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