Cappuccino, brioche e intelligence n°10…Cina-Usa: lo scontro che viene.
Cappuccino, brioche e intelligence n°10…Cina-Usa: lo scontro che viene.
Sul sito del “Financial Times” del 17 febbraio scorso leggiamo questa notizia:
Il ministero del Tesoro Usa ha dichiarato martedì, che la domanda straniera di buoni del tesoro Usa a dicembre ha subito un calo record dal momento che la Cina ha venduto 34 miliardi di dollari di attività durante quel mese. La mossa cinese fa risultare il Giappone come più grande detentore del debito pubblico Usa con 768 miliardi di dollari, e suggerisce che gli Usa potrebbero dover pagare di più per garantire gli interessi sul debito. Questo arriva mentre la Casa Bianca è alle prese con il dilemma su come tagliare il deficit, previsto in 1560 miliardi per il 2010, pari al 10,6% del Pil.
Il fatto, come si vede, è di dicembre, ma il tesoro Usa la ha resa nota solo più tardi.
In questo modo si iniziano a capire meglio diverse cose come la brusca rottura fra Cina e Usa sulla questione di Googlie, l’improvvisa decisione americana di dar corso ad una fornitura di armi a Taiwan che, prima, sembrava accantonata, la decisione di Obama di ricevere il Dalai Lama, la crescente ostilità dei cinesi verso ogni ipotesi di intervento armato contro l’Iran, le polemiche sulla decisione di Pechino di non rivalutare la sua moneta ecc.
Il clima del “G2”, una sorta di nuovo bipolarismo cooperativo che avrebbe dovuto essere l’architrave del nuovo ordine mondiale, sembra lontano ere geologiche. Eppure, tutti avrebbero giurato che il grande debitore americano ed il grande creditore cinese avrebbero avuto bisogno uno dell’altro, tanto più che il grande esportatore cinese trova il suo principale mercato di sbocco nel grande importatore americano. Dunque una cooperazione forzata, senza alternative.
Il guaio è che il grande creditore comincia a pensare che il grande debitore lo stia prendendo per i fondelli e che, forse, non rivedrà i suoi soldi.
Sin dalla prima metà del 2009, i cinesi avevano garbatamente fatto presente che, dopo la crisi bancaria, non era più possibile mantenere il regime del dollaro moneta unica per gli scambi internazionali. E su questa posizione si erano attestati i paesi del Bric (Brasile, Russia, India, Cina) nel loro incontro di giugno, auspicando la nascita di una moneta virtuale basata su un paniere delle principali monete. Poco dopo anche la Francia iniziava a manifestare caute aperture in questo senso, mentre gli Usa facevano orecchio da mercante.
La decisione di Obama di accollare allo stato le sofferenze bancarie aveva l’effetto di far crescere del 70% il debito pubblico americano, ciò di cui oggi si giustifica, sostenendo che questa crescita del disavanzo ha evitato una grande depressione salvando 2 milioni di posti di lavoro. Che la sua ricetta funzioni davvero ed eviti una nuova grande depressione è tutto da dimostrare, dato che le premesse per lo scoppio di nuove bolle speculative ci sono tutte, quel che qui preme è che ai cinesi la cosa interessa solo fino ad un certo punto.
Intanto il vertiginoso aumento del debito statale americano fa crescere considerevolmente i pericoli di insolvibilità, ma , soprattutto, attraverso il meccanismo del pagamento in dollari sul mercato mondiale (a cominciare da quello petrolifero) questo significa scaricare sugli altri i costi dell’operazione. E sui detentori dei titoli del Tesoro Usa (come la Cina) una volta di più perchè questo opera un deprezzamento di fatto del titolo. La cosa può anche funzionare se è credibile che il debitore risalga la china entro un certo tempo ed il suo debito torni ai valori precedenti. Ma è proprio questo che i cinesi iniziano a non ritenere credibile. Certo: anche i cinesi hanno capito che la regola base del capitalismo è pagare i debiti di oggi con i debiti di domani, ma gli americani stanno facendo gli straordinari e pretendono di pagare i debiti di oggi con quelli di dopo domani e quelli di domani con quelli nell’anno venturo e la cosa inizia ad essere un po’ esagerata.
Inoltre, al di là delle belle parole, Obama non ha fatto assolutamente nulla per cambiare le regole del gioco che hanno portato allo scoppio della bolla immobiliare per cui, alle successive bolle che erano già in arrivo (carte di credito, rate auto, fondi pensione) se ne stanno aggiungendo altre nuove come la speculazione sulle commodities: rame, litio, piombo, zinco, soia, cacao sono aumentati in proporzioni spettacolari nel giro di una manciata di mesi, per cui è evidente che si sta ripetendo il meccanismo dell’impennata dei prezzi del petrolio degli anni scorsi. Il punto è che il mercato finanziario è iperalimentato da una eccessiva disponibilità di capitali da investire e che questo non corrisponde a nessun dato di economia reale. Il gioco si mantiene (relativamente) in equilibrio perchè i consumatori americani continuano a indebitarsi acquistando merci con denaro che non hanno. Alcuni hanno scolasticamente ripetuto la lezione marxiana sulle crisi da sovra produzione, senza capire che questa, semmai, è una crisi da sovra consumo: all’epoca di Marx non c’era il credito al consumo a livelli di massa, non c’era una moneta come il dollaro che scarica sulle altre economie i propri disavanzi e non c’erano i derivati.
I cinesi questo lo hanno capito ed hanno di fatto iniziato a sganciarsi dal debito americano, ovviamente con molta cautela. Per ora la cifra ceduta è pari a circa il 5% del totale dei crediti posseduti dalla Bank of China. E’ abbastanza però per far passare un messaggio: se i cinesi iniziano a vendere i loro titoli, anche a valori leggermente più favorevoli di quelli offerti dal Tesoro Usa, sono in grado di bloccare ogni ulteriore emissione di titoli di credito pubblico americani. A chi collocherebbero questi titoli gli americani se sul mercato spuntassero i titoli per oltre 700 miliardi di dollari posseduti dai cinesi? Dunque questo taglia la strada ad ulteriori piani Paulson o simili.
Di qui l’irrigidimento americano ed il rapido deteriorarsi dei rapporti fra le due potenze che ormai prospetta un contenzioso gigantesco: dall’info-spazio alla questione dei diritti umani, dall’Iran al Tibet, da Formosa alla prospettiva dei dazi protezionistici in Usa.
L’ipotesi di una vicina guerra asimmetrica fra Usa e Cina è tutt’altro che campata in aria.
Aldo Giannuli, 22 febbraio ’10
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Franz
Il problema dell’informazione in politica estera non è tanto l’assenza di notizie o la censura, ma il fatto che le notizie siano mantenute rigorosamente isolate tra loro. La ragione dell’impennata della verve polemica delle varie clinton verso la cina che non rispetta i diritti umani e promuove attacchi contro google, diventa chiara solo se si guarda al mercato delle valute e dei bond. Grazie!
mattia
gentile prof.,
cosa intende con “guerra asimmetrica”?
parla di guerra commerciale e diplomatica? o atti di forza non sono da escludere secondo lei?
Adriano
Professore, in tale scenario quella nebulosa che è l’Europa che ruolo potrà avere?
Fabrizio
il fatto che la Cina abbia venduto quel che basta per tornare di poco al secondo posto nella classifica dei creditori USA è un chiaro messaggio diplomatico: la prossima volta non sarà il 5%!
Zhongguo