Cambia la mappa del potere mondiale

Nella prima metà del 2014 si sono verificati diversi avvenimenti che determinano conseguenze di grande importanza, tali da far muovere gli equilibri mondiali e delineare nuove tendenze: crisi ucraina, evoluzioni della situazione mediorientale, elezioni europee, elezioni in India. Mentre si profilano altre dinamiche come la crisi dei paesi emergenti, a cominciare dal Brasile, ma che potrebbe registrarsi –anche se in modo meno drammatico- in Cina. Il principale avvenimento è stato certamente la crisi ucraina le cui ripercussioni sono ancora in pieno svolgimento.

Lo scontro sembra essere entrato in una sorta di “bolla di sospensione”, nonostante i massacri di Donetsk, con i contendenti della Federazione Russa e dell’Ucraina che si fronteggiano arma al piede. Un intervento russo non sarebbe una replica della Crimea (dove Mosca già aveva i 25.000 uomini delle basi e dove poteva contare sull’adesione della popolazione locale, tutta russa, salvo la minoranza tatara) e farebbe precipitare la situazione, aprendo la strada ad un vero e proprio conflitto di grandi proporzioni, che potrebbe risucchiare anche gli americani. Si comprende quindi la riluttanza a dare seguito alla logica della forza. Per ora Mosca sembra puntare, più che all’annessione delle province orientali dell’Ucraina, ad una federazione russo-ucraina sbilanciata verso di sé. Il che non è detto che accada, per cui, in qualche modo la situazione dovrà trovare, prima o poi, uno sbocco e, a quel punto, non è detto che il confronto armato che oggi è latente non vada in atto.

Intanto, si sono già prodotte delle conseguenze molto serie sul piano della mappa energetica mondiale. Gli Usa sono riusciti ad associare i recalcitranti europei al programma di sanzioni contro la Russia, ed, ovviamente, al centro di esse ci sono le forniture di gas, che rappresentano la grandissima parte dell’export russo. Non è un mistero per nessuno che gli Usa abbiano sempre visto come il fumo negli occhi la crescente dipendenza europea dalle forniture russe e che l’allarme è schizzato al cielo quando è stata annunciata la costruzione del gasdotto di Southstream che, insieme al suo omologo settentrionale, avrebbe completato l’aggiramento dell’amica Ucraina e rafforzato grandemente il vincolo euro-russo.

Allo scopo di contrastare il progetto, gli Usa si adoperarono per realizzarne un altro concorrente, quello del gasdotto Nabucco, che, però non ebbe successo. Tuttavia, non sappiamo se a causa di pressioni americane o altro, Southstream è restato sulla carta: in teoria a marzo avrebbe dovuto iniziare la posa dei tubi, ma il programma appariva già in fortissimo ritardo. Poi è arrivata la crisi ucraina e le cose hanno iniziato a muoversi. In primo luogo, il progetto ha subito una rettifica da parte russa che prevedeva il passaggio per la Crimea (appena riconquistata), poi mar Nero e Bulgaria, evitando anche il residuale breve tratto ucraino inizialmente previsto. Contemporaneamente, le pressioni americane determinavano un tonfo nella borsa di Mosca (per paura del congelamento dei capitali russi in occidente) e il blocco dei progetti metaniferi euro-russi.

Allo stato dei fatti, a quanto pare, ci sarebbe stata una nuova evoluzione del percorso: nella società che gestisce il progetto, l’Eni ha ridotto la sua quota al 15% soppiantata da tedeschi e francesi ed il nuovo percorso passa tutto per i Balcani sino all’Austria (e di lì in Germania) evitando anche il passaggio per Tarvisio, per cui l’Italia sarebbe tagliata completamente fuori. Cosa di cui abbiamo visto solo pochi e vaghi cenni stampa e che, invece, meriterebbe qualche attenzione in più.

Resta comunque l’ostilità americana che punta ad eliminare la dipendenza europea dal gas russo ed offre il proprio gas di shale. Programmi futuribili perché, per bene che vada (e che le compagnie americane, che non sono un ente determinato dal governo come Gazprom, poi vendano effettivamente il loro gas all’Europa), occorreranno sei sette anni per passare ai fatti. Infatti, nell’impossibilità di un gasdotto transoceanico, occorrerà procedere con la liquefazione del gas da trasportare con petroliere, per essere poi rigasificato, ma in Europa non ci sono ancora sufficienti impianti di rigasificazione e, inoltre, occorre attendere almeno cinque anni perché la produzione americana del gas di shale arrivi alle quantità necessarie a soddisfare il mercato europeo sostituendo il gas russo. Ovviamente, se questo programma dovesse prender piede, si renderebbe superfluo quello di Southstream anche nella sua attuale versione “ridotta”.

Notiamo, peraltro, che in prospettiva, il taglio delle forniture russe all’Europa non avrebbe effetti penalizzanti solo per la Russia, ma anche per l’Ucraina che, in questi anni, ha vissuto essenzialmente sui prelievi di gas russo poi non pagati (per cui Kiev ha accumulato uno spaventoso debito). Anche l’Ucraina, al pari della Russia, ha vissuto della rendita metanifera, anche se solo per il passaggio dei tubi attraverso il suo territorio, e se la rendita finisce per Mosca, finisce anche per Kiev. Ma è molto dubbio che agli americani importi qualcosa delle sorti dell’Ucraina, salvo che per l’idea di piazzare una batteria di 400 missili messa lì fra Russia ed Europa, ad ogni buon conto. E chi deve capire capirà.

Che la prospettiva della fine o, quantomeno, della forte riduzione, del mercato europeo per il gas russo, sia una prospettiva assai concreta, lo dimostra la reazione di Putin che si è affrettato a concludere un mega accordo con la Cina per una fornitura trentennale di gas.

Sin qui, i russi non avevano accettato le offerte cinesi per diversi motivi: innanzitutto i cinesi offrivano condizioni di prezzo molto meno vantaggiose di quelle degli europei. In secondo luogo, nonostante i progressi dell’ultimo quindicennio (costituzione della Comunità di Shangai, manovre congiunte russo cinesi del 2009, prese di posizione comuni su Iran e Siria, vertici Bric cc.) i rapporti fra i due paesi restano non dei migliori: la Cina, con il suo enorme surplus demografico, preme minacciosamente sulle spopolate regioni asiatiche della Russia, a cominciare dalla zona di Vladivostok già oggi “invasa” dall’immigrazione cinese. E il vecchio contenzioso sui “trattati ineguali” che sottrassero larghi territori alla Cina per darli alla Russia zarista a metà del XIX secolo, è rimasto dormiente, ma non è proprio scomparso. Ma tutto questo carica ancor più di significato politico la mossa russa del mega contratto di forniture alla Cina.

E ci sono almeno altre tre ragioni strategiche a suggerire un matrimonio di interesse che potrebbe dimostrarsi più solido e duraturo di tanti matrimoni d’amore. In primo luogo, russi e cinesi hanno obiettivamente interessi comuni a proposito dell’ordine  monetario mondiale. Non è un mistero che i paesi Bric, subito dopo la crisi del 2008, avrebbero voluto rimettere in discussione il dollar standard ma vennero respinti; ora la questione torna di attualità proprio per le ripercussioni della questione energetica. Infatti, sin qui, il mercato del gas, a differenza di quello del petrolio, non era regolato in dollari, ma era più libero, proprio perché il massimo fornitore mondiale era la Russia. L’eventuale asse energetico euro-americano fa nascere, invece, la possibilità di un forte mercato gasifero in dollari. In secondo luogo, l’accordo di libero scambio Usa-Ue, qualora approvato, sarebbe un nuovo puntello per il dominio della moneta Usa.

Per cui, anche questo rilancerebbe l’asse atlantico euro americano, cui potrebbe corrispondere la formazione di un asse asiatico cino-russo.

In secondo luogo, la Cina, da tempo, medita la costruzione di una nuova “via della seta” che la colleghi, con un sistema di trasporti veloci, all’Europa. Il progetto sin qui balenato era quello sorto sulla scorta del patto di Shangai e che passava a sud, attraverso le ex repubbliche sovietiche. Ora, con l’avvicinamento sino-russo, si prospetta la possibilità di una nuova via della seta che passi tutta attraverso il territorio russo per arrivare direttamente alla Germania di cui si spera uno spostamento ad est. Ed un asse sino-russo-tedesco è quanto di peggio gli americani possano immaginare nel più spaventoso degli incubi.

In terzo luogo, la Russia ha un interesse specifico rappresentato dallo sfruttamento delle sue cospicue riserve di terre rare, per il quale non ha la necessaria tecnologia che, invece, hanno i cinesi. Pechino, da parte sua, avrebbe la certezza che un accordo con i russi darebbe vita ad un cartello di assoluto controllo del settore a livello mondiale (i due paesi assommano il 58% delle riserve stimate).

Ma, anche qui, come per le forniture americane di gas all’Europa, per passare dai progetti ai fatti occorrono tempi intorno ai cinque-sei anni. Infatti, anche qui occorre costruire i gasdotti necessari, eventualmente avviare lo sfruttamento dei giacimenti russi di terre rare, costruire le reti infrastrutturali della nuova via della seta ecc.. Per cui non è poi detto che queste dinamiche vadano sino in fondo.

Pertanto siamo di fronte ad un processo embrionale tutto da costruire e, negli ultimi venti anni, abbiamo visto molti schemi geopolitici (Eu-Russia, Cindia, Chimerica ecc) sorgere e tramontare molto rapidamente. Anche questa volta potrebbe essere così, ma, in questa occasione, siamo in presenza di qualcosa di più di vaghi progetti esposti ai marosi della globalizzazione. Ci sono le premesse non trascurabili di un nuovo bipolarismo, certamente diverso da passato per molti aspetti (la presenza di altri soggetti “pesanti” e non schierati, come India e Brasile e poi, via via, le potenze minori, come Messico, Indonesia, Corea, Vietnam, Turchia; la prevalenza cinese nell’eventuale blocco asiatico; i diversi equilibri militari, politici, tecnologici ecc.), ma con discrete possibilità di successo. E’ troppo presto per dire che siamo alla vigilia di un nuovo bipolarismo, ma, d’ora in poi, converrà ragionare sul mappamondo tendendo ben presente questa tendenza.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (15)

  • “aprendo la strada ad un vero e proprio conflitto di grandi proporzioni, che potrebbe risucchiare anche gli americani”

    Per essere precisi gli americani stanno soffiando sul fuoco sin dal novembre scorso. Attualmente i “consiglieri” americani di Yatsenyuk stanno dirigendo le operazioni nell’est Ucraina contro la popolazione russofona, secondo un cliché già adottato in America latina e altrove nel secolo scorso. La forze armate ucraine stanno attualmente impiegando tank, cecchini, mercenari e aviazione contro le abitazioni civili, scuole ed ospedali compresi, massacrando la popolazione, donne, vecchi e bambini compresi. Ogni giorno su Slavyansk, Donec’k e altre città limitrofe piovono colpi di mortaio e bombardamenti dell’aviazione.
    Su questo sito si può seguire con sufficiente regolarità ciò che accade laggiù. Ha il pregio di essere in italiano e quindi la sua comprensione è agevole. Su Russia 24 ci sono collegamentii quotidiani dalle zone in guerra. È in russo, ma le immagini sono eloquenti, e dando parallelamente un’occhiata a Russia today, che è in inglese, un’idea si riesce a farsela.
    Fatte le debite proporzioni, ciò che accade nell’est Ucraina oggi è relativamente paragonabile all’invasione nazista della Polonia. E infatti i nazisti di Pravý Sektor sono attivamente impegnati nei massacri in corso, coordinati e supportati dai mercenari Usa di Academi (ex Blackwater). Di questo si è parlato diffusamente sui maggior quotidiani tedeschi negli scorsi giorni.
    «Il noto tabloid tedesco Bild, che è pro-governativo e pro-atlantico […], ha denunciato la presenza di circa 400 operativi della Cia e del Fbi a Kiev per dirigere le operazioni del locale governo in materia di sicurezza nazionale e antiterrorismo. L’11 maggio lo stesso Bild ha pubblicato un articolo con due “leak” molto rilevanti: la conferma fornita dai servizi segreti tedeschi (Bnd) della presenza di 400 uomini mercenari della società Academi (che era tristemente nota come Blackwater per i trattamenti inumani nelle prigioni in Iraq e Afghanistan) per “operazioni anti guerriglia nell’Est dell’Ucraina”».

    Oggi Obama è in visita in Polonia per rilanciare la campagna contro la Russia e avallare al contempo il massacro in atto nell’est Ucraina.
    Nel 2002, lo storico, antropologo e sociologo francese Emmanuel Todd iniziava così il suo libro Dopo l’impero:

    «Gli Stati uniti stanno diventando un problema per il mondo. Eravamo abituati a considerarli piuttosto, una soluzione. Garanti della libertà politica e dell’ordine economico per mezzo secolo, appaiono sempre più come un elemento di disturbo sulla scena internazionale alimentando dove possono l’incertezza e i conflitti».

    Solo nei primi 14 anni di questo secolo, nel vano tentativo di farne il “secolo americano”, Washington ha inanellato un sanguinoso fallimento dietro l’altro: Iraq, Afghanistan, Libia (è di oggi la notizia di 20 morti e un centinaio di feriti in scontri a Bengasi tra forze regolari e milizie; ma è dalla caduta di Gheddafi che vanno avanti così ogni giorno) e Siria, che sono costati complessivamente la vita a svariate centinaia di migliaia di persone. Ora ci riprova in Ucraina.
    Secondo l’indescrivibile portavoce del Dipartimento di Stato Usa Jen Psaki “il governo ucraino ha tutto il diritto di prendere misure per mantenere la legge e l’ordine nel proprio paese”. Ossia l’esatto contrario di ciò che si è detto ai tempi della finta rivolta di popolo che ha portato alla estromissione di Yanukovic.
    Secondo Psaki “episodi sfortunati” possono accadere in una zona di combattimento, “e continuiamo a lodare la moderazione del governo ucraino e gli sforzi per limitare i danni alla popolazione civile”.

    Siamo molto vicini alla catastrofe.

  • io ho dubbi che gli stati uniti esportino shale gas nei prossimi 5 anni, considerando l’attuale insostenibilità delle pratiche estrattive e la crisi idrica californiana. in caso di crisi delle forniture russe sarei più propenso a pensare al medioriente (e infatti mi chiedo come mai aldo non abbia parlato di qatar). per il resto credo che i rapporti usa urrs dovranno ricucirsi. non so se torneranno buoni come ai tempi di bush, ma un’alleanza russia cina non può che vedere la prima subordinata alla seconda, e non so quanto la cosa piacerà ai russi, che al momento si credono il baluardo dell’occidente contro il pericolo giallo, ma so sicuramente che non piacerà agli americani.

    comunque nel sud italia il riscaldamento spesso si lascia spento anche d’inverno.

    @ kthrcds
    sei sicuro che il governo tedesco sia pro atlantico?

  • http://www.europaquotidiano.it/2014/06/03/tra-grillo-e-i-suoi-critici-ha-ragione-lui/

    “Beppe Grillo ha tutte le ragioni per essere nervoso e per maltrattare chi intorno a lui continua a equivocare sulla natura del Movimento Cinquestelle.
    Alla già numerosa lista di confusionari si sono aggiunti ieri pezzi da novanta dell’intellettualità para-grillina: il principe dei complottisti Aldo Giannulli, Ferdinando Imposimato (l’ex senatore comunista eroe della serata di San Giovanni) e perfino il nonno del movimento, Dario Fo. Poco prima era toccato a un altro idolo delle folle, Marco Travaglio, con tutto il seguito del Fatto quotidiano.”
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    Segnalo questo a Gianulli.

  • @ giandavide (3 giugno 2014 alle 13:45)

    Io ho semplicemente riportato un passaggio di un articolo che recita:
    “Il noto tabloid tedesco Bild, che è pro-governativo e pro-atlantico”

    Comunque Merkel è stata tra le più accese sostenitrici della “rivoluzione” ucraina, nonostante l’elevato interscambio commerciale tra Russia e Germania. Fino a poco tempo fa Angie si mostrava aggressiva e determinata nell’invocare l’applicazione di sanzioni alla Russia. Salvo poi cambiare atteggiamento quando le è stato fatto capire che un conto è fare la voce grossa per fare bella figura ai summit, e un altro è mandare a ramengo l’economia per compiacere Washington.
    Del resto, nel 2010, in un’intervista al quotidiano economico tedesco Handelsblatt, l’ex cancelliere Helmut Schmidt non spese molte parole per definire Merkel: “Non è una donna molto intelligente”.
    Né molto intelligenti si dimostrano i governanti europei per l’ennesima volta a rimorchio dei deliri di Washington.
    Dopo la crisi petrolifera del 1973 a Washington decisero che “mai più e a nessun costo gli Stati uniti avrebbero dovuto trovarsi n una situazione simile”. In parole povere, gli Usa sono disposti a dare fuoco al pianeta pur di non mettere in discussione il loro stile di vita che ritengono “non negoziabile”.
    Ora si tratta di vedere come andrà a finire perché Russia e Cina non hanno più alcuna intenzione di lasciare ulteriore spazio all’avventurismo statunitense.

  • Professore mi permetta e mi perdoni un OT.

    Una premessa a proposito dei complottisti. Non amo troppo chi fa dietrologia su tutto, ma nello stesso tempo non mi bendo gli occhi e cerco, prima di rifiutare o sposare una tesi, di informarmi e ragionare con la mia testa, con tutti i miei limiti, sia chiaro.

    L’OT sarebbe che la Merkel avrebbe proposto la Lagarde come presidente della commissione. Ancora prima delle elezioni europee avevo letto (ma accipicchia non riesco a ricordare dove) che i piani erano proprio questi già da molto tempo perché “l’ordine precostituito” aveva già deciso chi doveva andarci.

    Se ci metteranno davvero la Lagarde non ci resterà che piangere e forse i “complottisti” non sono proprio tali.

    • Anna: la Lagarde era già nell’aria come candidato di compromesso per una maggioranza popolari socialisti il punto è che Parigi non è contenta di perdere il direttore del Fmi e non è detto che neanche la Lagarde ci stia. Insomma qui non sanno fare più neanche i complotti

  • @kthrcds considerando quello che hai scritto, riformulo la domanda: per capire qual’è l’allineamento di uno stato nazione contano di più i rapporti economici materiali oppure le dichiarazioni di una “donna poco intelligente”? se è vero il primo punto, mi sembra che anche tu ammetti che la germania non è considerabile un paese “atlantico” tout court.

  • @ Giandavide (4 giugno 2014 alle 12:34)

    «contano di più i rapporti economici materiali oppure le dichiarazioni di una “donna poco intelligente”?»

    Ovviamente i rapporti economici sono alla base delle relazioni tra stati e una persona non molto intelligente alla guida di una nazione può comprometterli. La Germania fa parte della Nato, il che la obbliga a seguirne le linee guida, ma i suoi interessi economici sono orientati più verso Mosca che Washington.

    L’impressione è che Merkel abbia inizialmente sostenuto la finta rivoluzione ucraina, immagino sotto pressione degli ambienti Nato, senza comprenderla e senza valutarne attentamente le conseguenze. Tanto è vero che la richiesta di sanzioni contro la Russia ha provocato la contrarietà del mondo dell’imprenditoria tedesca. Probabilmente è per questo che, di ritorno dalla riunione dei ministri degli Esteri della Nato a Bruxelles agli inizi di aprile, il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier ha corretto la rotta esortando “i leader europei a collaborare costantemente con la Russia per mettere la parola fine al confronto con Mosca sulla crisi ucraina, e ha messo in guardia dal prendere in considerazione sanzioni contro la Russia fini a sé stesse, evidenziandone l’impatto negativo per l’economia europea”.
    Per concludere, la Germania ha molto più da rimetterci che non da guadagnarci a proseguire sulla linea imposta da Washington nei confronti della Russia. Ma non è facile dire di no a una nazione il cui presidente ha recentemente dichiarato che “L’America deve essere sempre la prima nel mondo. Nessun altro può accedere a questo privilegio. La nostra forza militare è la colonna vertebrale di quel dominio.[…] Gli Stati Uniti impiegheranno le forze armate, unilateralmente se necessario, quando i nostri interessi sono compromessi […] L’opinione internazionale ha un certo peso ma l’America non deve mai chieder permesso a nessuno quando si tratta di proteggere i nostri interessi, la nostra patria e il nostro modo di vivere.”

    Viste le atroci conseguenze che la politica di Obama ha sulla popolazione dell’est Ucraina sarebbe forse giunto il momento di mettere in discussione l’esiziale rapporto con Washington e con la Nato, ma non credo che Angie sia in grado di farlo.

  • il punto è che i rapporti economici non vengono dal nulla, ma sono costruiti da decenni di rapporti bilaterali. anche la posizione della germania nella nato non viene dal nulla, ovviamente, ma è anche vero che il piano marshall è finito da un pò di tempo, periodo nel quale lo stato tedesco si è ritagliato uno spazio di autonomia via via maggiore e via via sempre più distante dagli usa al crescere della sua potenza economica. la sostanziale incoerenza di questa linea politica non è imputabile solo alla merkel, ma direi che è piuttosto legata all’incapacità tedesca di offrire modelli di sviluppo positivi. gli usa sono una superpotenza che è stata in grado di esportare il suo modello neoliberista in tutto il mondo; anche la russia putiniana, nel suo modo balordo, tenta di essere un punto di riferimento per esportare un modello autoritario alternativo alla democrazia (sebbene sul campo economico le posizioni diventano molto più uniformi). e l’europa? direi che non è pervenuta. negli ultimi non mi ricordo quanti anni non si è affermato nè su scala nazionale nè su scala europea nessun modello economico o sociale valido o esportabile, se si eccettua il modello dell’austerity, che però è stato imposto con la forza e si avvia verso un (lento) declino.
    sotto questo aspetto direi che la merkel non è la causa dell’incoerenza tedesca, ma piuttosto che ne è frutto; i tedeschi resteranno il più possible filo russi per evidenti interessi economici ma non potranno rompere con gli usa perchè sono completamente privi di soft power e se minacciati di isolamento internazionale avrebbero pochissimi strumenti di contrasto.
    ma per quanto riguarda il caso particolare dell’ucraina sento odore di siria nell’aria. sia usa che urrs sarebbero felicissimi di sedersi a un tavolo e trovare un accordo conveniente per entrambi piuttosto che entrare in un conflitto aperto e con elevate possibilità di degenerazione. e per cosa poi? per uno stato economicamente mezzo fallito e con debiti inaccollabili, oltre che lacerato da conflitti interni che ne inficiano peraltro il valore strategico. ma chi glielo fa fare? dovrebbero far prima cambiando questo grottesco establishment ucraino e le relative velleità panucraine…

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