Da dove vengono gli umori secessionisti del Veneto
La storia dei secessionisti arrestati, con il loro ridicolo carro armato da strurmtruppen, se non emergeranno altri elementi da far riconsiderare la storia sotto altra ottica, probabilmente finirà presto nel dimenticatoio; e c’è da sperare che i magistrati non pesino troppo la mano contestando reati sproporzionati rispetto alla reale pericolosità di questa pagliacciata. Non abbiamo bisogno di martiri. Però la questione degli umori separatisti veneti non va presa sottogamba, non tanto per l’effettivo pericolo di una separazione di quella regione (o quelle tre regioni), quanto per le dinamiche che può innescare.
Conviene dunque cercare di capire quali siano le ragioni di questo malessere territorialmente concentrato in una regione, anzi, ad essere precisi, nel suo centro situato nel triangolo Padova-Vicenza-Treviso. Non si tratta di un fenomeno con ragioni di breve periodo, ma di qualcosa che ha radici che affondano lontano nel tempo.
Il Veneto, come tutti sanno, è sempre stato una delle regioni più cattoliche della penisola, ma di un cattolicesimo molto tradizionalista, assai poco incline al progressismo e privo della forte caratterizzazione sociale tipica del cattolicesimo lombardo. Qui, le figure del sindacalismo cattolico, come Guido Miglioli sono più rare e di minore rilievo. Il cattolicesimo veneto ha dentro di sé una istintiva diffidenza verso la politica e lo Stato ed è una delle componenti più tipiche di quella Italia storicamente antipolitica, che ha resistito alla pedagogia del Risorgimento prima, del fascismo poi, dell’antifascismo e della Resistenza ancora dopo.
Il fascismo risolse il problema mettendo in divisa tutti, anche gli antipolitici, integrandoli, con le buone o con le cattive, nel proprio sistema. La Dc fece uso di un altro strumento di consenso: la distribuzione selettiva delle risorse, di cui il Veneto fu uno dei principali beneficiari per il grande peso che i suoi esponenti ebbero in quel partito (un Presidente del Consiglio come Rumor, segretari del partito come Guido Gonella, potenti ministri come Bisaglia o Gui per non dire di De Gasperi e Piccoli che erano del limitrofo Trentino). Chi non ricorda la Pi-Ru-Bi, l’autostrada Trento, Vicenza, Rovigo, cosiddetta dalle iniziali dei rispettivi esponenti Dc, Piccoli, Rumor e Bisaglia? Così come la legislazione di favore per i coltivatori diretti, gli artigiani ed i commercianti (componenti sociali di buon peso nel Veneto degli anni cinquanta e sessanta) ebbe un ruolo non marginale nel soddisfare la domanda politica di quella regione. E vale anche la pena di ricordare il tentativo di industrializzazione della Regione da parte delle Ppss, al pari del sud, con l’istituzione del polo petrolchimico di Marghera.
A partire dai tardi anni settanta, tuttavia, ci furono sempre meno risorse da distribuire, anche solo per una parte del corpo sociale, inoltre, il Veneto vedeva cadere uno dietro l’altro i suoi principali esponenti democristiani (Rumor e Gui abbattuti dal processo Lockheed nel 1976, Bisaglia annegato nel 1984) senza che emergesse nessun personaggio capace di sostituirli. Di conseguenza, i flussi di risorse che giungevano alla regione iniziavano a farsi più magri del passato. Il risultato paradossale fu che, proprio il surplus di risorse distribuite in precedenza, rese più acuta la sensazione di deprivazione relativa e, per di più, nello stesso tempo, iniziava a farsi pesante la mano del fisco. E’ quello il periodo in cui nasce l’immaginario di un popolo veneto che dà allo stato centrale molto più di quel che ne riceve.
A rafforzare queste tendenze contribuirono anche le trasformazioni sociali della regione, dove la componente agricola si riduceva fortemente, la politica dei grandi impianti come quello di Porto Marghera si ridimensionava e parallelamente si affermava il modello dei distretti industriali e della polverizzazione del tessuto produttivo in una miriade di piccole e piccolissime imprese: nasceva così il mitico “modello del nordest”.
Questa politica (sciaguratamente benedetta anche da Pci e Cgil) produsse una borghesia di prima generazione votata ad una accumulazione selvaggia, che mal tollerava i vincoli della legislazione del lavoro e della tutela ambientale e, soprattutto, non sopportava affatto la crescente pressione fiscale.
Da quel malcontento nacque la Liga Veneta che, nel 1983, ebbe il suo primo successo elettorale. Dopo di che, con la nascita della parallela Lega Lombarda, l’incendio divampò e, quando giunse l’ondata delegittimante di Mani Pulite, il Veneto fu in testa all’ondata populista-liberista (quella “emulsione” di cui parla Giovanni Orsina nel suo libro sul berlusconismo). Lega e Forza Italia qui raccolsero i loro più cospicui bottini elettorali. Forza Italia ha retto per un certo periodo, più in grazia delle promesse che delle effettive realizzazioni. La Lega, alle consuete promesse di una diversa politica fiscale e di una legislazione di favore per le piccole e medie imprese, ha aggiunto altre due componenti decisive per il suo consenso: l’ostilità contro gli immigrati (che coglieva la netta sensibilità identitaria di quelle comunità) e la prospettiva separatista che risvegliava antiche suggestioni. La Serenissima ha sempre animato l’immaginario veneto come una stagione di grande prosperità, sciaguratamente interrotta dal trattato di Campoformio. La Liga ripropose anche il mito di una risorgente repubblica di San Marco con la rivoluzione del 1849, magari incurante del fatto che il suo eroe, Daniele Manin, in realtà era un agente dei servizi segreti di Cavour, ma i leghisti, si sa, sono di bocca buona e mandano giù qualsiasi frottola.
A ridare vigore all’assopito immaginario della repubblica veneta, a cavallo fra i settanta e gli ottanta, venne anche l’esperimento dell’Alpe Adria che legava in un patto di collaborazione il triveneto con regioni austriache, slovene, croate, magiare, il che dava la sensazione di una diversa allocazione geoeconomica del Veneto. E di lì, il passo verso una diversa dislocazione statuale non era lungo.
La Lega colse, dunque, una domanda che andava nascendo e che si trattasse solo di un immaginario scarsamente fondato sia storicamente che economicamente, non aveva alcuna importanza, perché funzionò ugualmente e non solo elettoralmente.
Istanze identitarie, recriminazioni anticentralistiche, antipolitica, vulgata neoliberista, rivendicazioni economiche, mito federalista: tutto è confluito in questo miscuglio che, però, ha cementato un sentire comune andato oltre la stessa crisi leghista (prodotta dal crollo di credibilità innescato dalle vicende del Trota e di Belsito).
E la protesta dei veneti si è incanalata verso il M5s, ma non è detto che il treno si fermi qui. Nel 1990 nessuno avrebbe immaginato che il bastione democristiano sarebbe franato in così poco tempo e nel 2010 qui la Lega prese il 40% e nessuno avrebbe detto che solo tre anni dopo sarebbe franata anche lei. Il Veneto è una regione che ha svolte rapide e poco prevedibili.
Fra un anno si vota, occorre andarci con proposte forti che sappiano distinguere fra le richieste legittime e quelle da respingere, ma che soprattutto siano capaci di disegnare una reale possibilità di ripresa dalla regione. Pensiamoci perché le soprese potrebbero essere molto sgradevoli: forse non ci avete fatto caso, ma il Veneto dista dall’Ungheria di Orban solo un centinaio di Km o poco più. Non è molto.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, arresti veneto, de gasperi, democrazia cristiana veneto, lega nord, liga veneta, miglioli, rumor, secessionisti veneti

Mirko G. S.
Professore colgo nella sua analisi delle pesanti similitudini col Sud, ottuso, ignorante, legato all’assistenzialismo e neoborbonico. Dopo tutto gli italiani sembrano malgrado gli aneliti indipendentisti ed identitari molto, molto uguali tra loro a prescindere dal parallelo geografico…
Pierluigi Tarantini
@Aldo
All’analisi mancano circa 20 miliardi, differenza tra quanto il Veneto versa e quanto riceve dalla Stato.
L’aspirazione verso quella che definisci .. una diversa dislocazione statuale .. mi sembra perciò quanto mai fondata da un punto di vista economico.
All’incazzatura individuale di tutti gli italiani, conseguente alla spudoratezza della casta dei parassiti, si somma perciò l’incazzatura collettiva dei veneti.
Questi ultimi, però, hanno le loro responsabilità avendo in larga maggioranza votato B. e la Lega, principali artefici del disastro.
Sembrerebbero non essersi sono resi conto che non basta votare amministratori locali decenti se poi, per la politica nazionale, ti affidi a B.
Questo non significa che siano così imbecilli da ispirarsi ad Orban.
E la vicenda del tanko rende evidenti le qualità degli indipendentisti…
Se sbagliano ancora non avranno alibi.
aldogiannuli
pierluigi: nessuna regione riceve dallo Stato quanto dà perchèp ci sono le spese dell’apparato centrale. Questo dellacorrispondenza è un mito dei federalisti o pretesi tali
giandavide
si, ma dove vanno a parare? annettersi all’austria è improbabile, al massimo potrebbero sperare nella slovenia, ma anche là… oppure fanno il loro staterello, anche se rimarrebbero al di fuori della ue per un certo periodo, non so se mesi o anni. l’unica cosa certa è che hanno imparato pavlovianamente la lezione di huntington, assimilando quel nazionalismo balcanizzante che fa molto comodo alle superpotenze che devono tracciare nuove linee sulle carte geografiche.
Pierluigi Tarantini
@ Aldo
… nessuna regione riceve dallo Stato quanto dà perchè ci sono le spese dell’apparato centrale…
Ne sei proprio sicuro?
Di seguito riporto la sintesi del primo articolo reperito sul tema.
A dare più di quanto ricevono sono solo cinque regioni italiane. Tutte le altre ottengono in servizi e trasferimenti più di quanto versino sotto forma di tasse e contributi dei cittadini.
A fare i conti sul “residuo fiscale” – la differenza fra le tasse versate dai cittadini e le spese che le amministrazioni locali e centrali coprono su quel territorio più i trasferimenti – è uno studio della Cgia di Mestre su dati 2007 (gli ultimi disponibili).
Piemonte, Lombardia e Veneto producono un saldo positivo di oltre 50 miliardi (rispettivamente 1,2 miliardi, oltre 42 e quasi 7). Se un cittadino lombardo versa alle amministrazioni 4.460 euro netti, per sostenerne uno della Valle d’Aosta lo Stato va in rosso per quasi 5 mila. Un friulano costa 1.735, per il cittadino del Trentino Alto Adige si va sotto di oltre 2 mila.
Tutti con il segno meno i bilanci delle regioni del Meridione e di buona parte del centro: il saldo negativo più forte va alla Sicilia (in “deficit” per quasi 21 miliardi) o in Campania (meno 17 miliardi).
“La cosa più preoccupante è l’aumento del residuo fiscale registrato tra il 2002 e il 2007. In Lombardia è salito del 47 per cento, in Piemonte del 33 e in Veneto del 32”.
Quest’ultimo dato è la classica beffa che si aggiunge al danno.
Pensa tu, dal 2002 al 2007, il residuo fiscale è aumentato.
Ma non c’era la Lega al governo fino al 2006?
leopoldo
la carnevalata espressa dai leghisti credo vada intessa nel malessere generale verso l’inadeguatezza dello Stato nella gestione economica, e nell’atteggiamento di alcuni gruppi abituati ad approfittare di ogni opportunità per appropriarsi di cose e spazi pubblici anche in modo indebito. A fatto bene la magistratura a metterli sottochiave, cheché né dica Salvini, prima che facciano male a qualche malcapitato.
Le obbiezioni dell’articolo sono giuste l’economia scomparsa non è stata sostituita, ma i politici espressi negli ultimi anni dal veneto friuli ecc sono nella media nazionale: poche idee, confuse, e abituati alla pratica della cialtroneria. sia Saia che Serrachiani sembrano dei premi nobel.:-(
makno
gentile prof.giannuli mi dispiace ma non concordo con lei in questo caso. vivendo nel profondo nord est le possodire che le tendenze indipendentiste erano presenti già da uno o due anni, come le avevo riferito, magari in maniera inconsapevole ma erano e sono presenti in tutti gli strati sociali. se salta il quadro generale tipo uscita dell’italia dall’euro, default dell’inps, indipendenza di catalogna, scozia, vallonia e magari corsica, diventa difficile perorare la causa di una unità nazionale mal nata e mal fatta, in fondo 150 anni cosa sono rispetto a 11 secoli di repubblica di san marco. in quanto al cd totem o mito dell’indipendenza venta all’ombra del vessillo di san marco, non ha un peso specifico molto inferiore rispetto al suo mito di un sistema comunista redivivo, ci pensi sempre di miti si tratta, e spesso gi stessi vengono sottovalutati nelle dinamiche storiche, come peraltro le credenze religiose. e poi mi scusi come si fa giustificare la caterva di soldi dati a roma con l’ultima manovra quando ci sono interi territori a nord al sud o nelle isole che stanno alla canna del gas. infine il suo paragone con l’ungheria di orban mi sembrano fuori luogo, ogni tanto anche lei professore diventa un purtroppo vincolato dalla sua ideologia di riferimento, con stima e cordialità makno
Giovanni Punzo
Sono passati diciassette dalla vicenda di piazza San Marco e il mondo è cambiato: anche il Veneto è cambiato, a parte alcuni aspetti folcloristici di retroguardia. La realtà veneta sente la grande differenza con le aree confinanti, come le province autonome di Trento e Bolzano e il Friuli VG. A guardare bene tutto il Nord-Est è terra di autonomie, tranne che nella parte più popolosa e di un certo benessere, come appunto il Veneto propriamente detto. Perché il Tanko 2? Sostanzialmente perché la classe politica si è rivelata incapace e fallimentare, aggiogata alle correnti nazionali fatte di mediocri personaggi. In questo quadro desolante per un attimo sembra che l’iniziativa sia tornata nelle mani di alcuni: peccato siano i peggiori, intellettualmente e politicamente parlando. Ai tempi della balena bianca ogni governo aveva sempre almeno un ministro veneto con una pattuglia di sottosegretari dc. Paradossalmente, proprio i movimenti autonomisti e pseudofederalisti, si sono rivelati molto al di sotto delle aspettative. Altro aspetto è quello dell’incapacità culturale a trovare soluzioni nuove: il vneto non percorre le vie dell’innovazione o della ricerca ed è destinato fatalmente al declino. I bagliori del fuochi da pagliaio che risplendono adesso, ne sono una conferma indiretta. Solo personaggi indietro nel tempo come questi cospiratori da filò, possono pensare a fare qualcosa in questo modo, ma temo che allo stesso livello sia anche la pseudoclasse imprenditoriale, fatta di evasori, di sfruttatori della manodopera straniera e di incassatori di contributi pubblici: in altre parole avidi incapaci, ottusi e analfabeti.
Walther
Il nord Italia è sempre stato ed è tuttora la parte di gran lunga più viva e trainante del Paese. E’ perciò con soddisfazione che vi si devono constatare fermenti di risveglio del ‘politico’, inteso come logica di discernimento del ‘nemico’ in quanto nemesi esistenziale. La macrostabilità del sistema, affidata al rimbecillimento mediatico e consumistico della popolazione, dà segni di cedimento e si intravedono i contorni delle guerre (civili e meno civili) a venire.
SantiNumi
Il problema è la mobilità dei fattori produttivi (e, quindi,l’immigrazione che è UN GRAVE PROBLEMA SOCIALE) NON IL SENSO IDENTITARIO (che è un valore, almeno in psicologia ed antropologia). Si invertono tesi ed antitesi.
Le PMI non sono fatte di neoliberisti tea-party! Sono stati gli spaghetti tea-pary a “infiltrare” le PMI! Ancora tesi e antitesi invertite.
Non è vero che le PMI sono contro la rigidità del lavoro!! Che BALLA!!! Sono LE GRANDI IMPRESE CHE NON LA TOLLERANO! Questa però è microeconomia di base, anche se non va di moda tra chi crede che le PMI siano il “cancro del Paese”: le PMI hanno tutto l’interesse a tenersi stretti il personale CHE FORMANO, perché è da questi microcontesti che si sviluppa e si tramanda il know-how: R&D è fondamentale nelle PMI anche se non emerge dalle statistiche poiché non vi è un reparto/centro di costo a cui imputare la posta in bilancio.
LE PMI SONO IL VERO TESSUTO UMANO E SOCIALE DELL’ITALIA! Imprenditori che si suicidano perché non riescono a pagare le famiglie dei dipendenti… No comment.
Le minkiate neoliberiste sono state farina del sacco di Confindustria al cui capo, come si dovrebbe sapere, non ci stanno gli artigiani!!!
Per finire l’ultima inversione causale:
il crescere della pressione e dell’inequità fiscale da fine ’70 son dovuti all’unica cosa che POLITICAMENTE CONTA: SME, Divorzio BdI/Tesoro, politiche reaganiane in favore della GRANDE impresa, Maastricht, euro, ecc…
L’articolo 18 e la Costituzioni sono saltati per questo NON PER ALTRO.
Con rispetto.
Tenerone Dolcissimo
@ SantiNumi
La confindustria non ha mai fatto politiche liberali o liberiste (come le chiami tu): se non ci credi vatti a leggere la dichiarazione emanata da Assaereo quando Ryanair si è permessa di sbarcare a Fiumicino e leggiti anche il commanto apparso in tale occasione su Chicago Blog.
Sinceramente mi sono rotto i cosiddetti di vedere arruolata fra noi liberali gente che non ha niente a che vedere con noi, tipo il compagno(ide) Monti e la sua gioiosa macchina da querra composta da allegri dirigisti intenti a normare sulla curvatura delle banane.
Da ultimo: mi puoi indicare quali politiche reaganiane ha adottato l’Italia???
Caramellosi omaggi.
SantiNumi
@Tenerone
“mi puoi indicare quali politiche reaganiane ha adottato l’Italia???”
Per “politiche reaganiane” si intendono in Italia quel sistema di gestione della spesa pubblica volta a favorire la grande impresa: l’esplosione della spesa pubblica degli anni ’80 è da imputarsi ad un gigantesco drenaggio di risorse pubbliche a favore dei grandi complessi indutriali e finanziari (mai sentito parlare di Agnelli?) in una situazione di cambi (semi)fissi (SME) e Banca Centrale indipendente dalla rappresentanza democratica.
Reagan “stampò” allegramente dollari senza una reale politica economica redistributiva come prevederbbe il keynesismo: abbassò le tasse ai ricchi per rubare servizi sociali ai poveri.
p.s. certo che se arrivi dal Chicago Blog si capisce… Avrai gli stessi titoli di sudio di Giannino.
Ma per chi non conosce lo spaghetti-liberismo: si hanno due tipi di economisti neoliberisti: quelli intelligentissimi che sanno di dire minkiate e lo fanno per spirito di “servizio” (vedi Zingales) e le capre belanti al seguito… Stato LADROOOOO!!
Tenerone Dolcissimo
Caro SantiNumi, effettivamente sono laureato in legge, ma non sono mai diventato avvocato. Però mi chiamano tutti avvocato. Sono nella stessa condizione di Giannino? Mah. Di sicuro sono nella stessa condizione di un altro famoso laureato in legge che tutti chiamavano avvocato, ma che avvocato non era e che però tutti riverivano. A cominciare da quelli che attaccano Giannino. Come dire: figli e figliastri. Incidenter tantum: trovo un po’ fastidiosa questa querelle sui titoli di studio di Giannino da parte di chi ha tollerato mafie e camorre di ogni tipo.
Cmq di sicuro colgo nel segno come coglie nel segno Giannino. Prova ne sia che sto ancora qui ad aspettare un esempio piccolo piccolo piccino picciò di atto di politica reaganiana compiuto in Italia.
Infine, ti sarei grato, quando si parla di liberalismo, di non parlare di euro. L’ho ripetuto fino alla nausea che Milton Friedman disse che era una stronzata. Se poi pensi che mento, dillo chiaramente ed esibirò prove. Se poi continui a pensare che Monti, quello che regolamentava la curvatura delle banane, è un liberale, ti consiglio di fare una piccola ricerca su cosa significa essere liberale. Per me significa: meno tasse, meno regole e lo stato a tre passi dai miei coglioni.
Le baron de Cantel
Trovo molti argomenti condivisibili nel primo commento di SantiNumi!!!
I danni della mondializzazione e dell’euro stanno dando luogo a diversi fenomeni di reazione.
In Francia, dove il sentimento di unità nazionale è fuori discussione, c’è il Front National con una proposta credibile. Da noi, dove tutto è più sbracato, si manifestano reazioni meno costruttive e più estemporanee.
Cordiali saluti