Una serata con Bertinotti, Migliore e Ferrero

Salone Di Vittorio della Camera del Lavoro di Milano (400 posti circa) pieno (anche se non gremito) nonostante la partita con il Barcellona a San Siro. Non è poco. Unica pecca: gli under quaranta non erano più del 5% dei presenti. La serata, organizzata dalla locale federazione di Rifondazione Comunista, era particolare: erano chiamati a confrontarsi il segretario del Prc Paolo Ferrero, uno degli esponenti di punta di Sel, Gennaro Migliore ed il vecchio padre nobile dell’area, Fausto Bertinotti. Moderatore Danilo Di Biasio, direttore di Radio Popolare, che se l’è cavata egregiamente. Vale la pena di notare che non c’era nessuno dei comunisti italiani fra i relatori: considerato che fanno parte della mitica “federazione della sinistra” (di cui nessuno parla più), sarebbe stato  normale che ce ne fosse uno.
Ma, appunto, la cd Federazione della Sinistra è stata solo un modesto espediente che è già caduto nel dimenticatoio. E’ interessante, però, notare questo tacito divorzio fra Pdci e Prc.
Ha iniziato Ferrero, ripetendo il consueto rosario sulla crisi, sul governo tecnocratico di Monti, sulla sospensione della democrazia ecc. tutte cose trite e risapute. Oddio, non che abbia detto cose false, ma banalità che restano molto al di sotto della comprensione di quello che è questa crisi e delle sue assolute peculiarità. Ad esempio: è vero che una delle ragioni della crisi (ma solo una) sta nel livello basso del monte salari, che tiene bassi i consumi e frena la crescita, ma, sul piano della domanda aggregata globale, questo riguarda soprattutto paesi emergenti, come la Cina, che ha salari da fame e orari inumani di lavoro, e poi usa i profitti realizzati per acquistare quantità spropositate di bond americani. A proposito: nessuno dei relatori ha detto una parola di solidarietà verso gli operai cinesi messi in galera in questi giorni per aver abbozzato uno sciopero.

E poi, va benissimo sostenere salari ed occupazione nel nord del mondo, ma non sarebbe il caso di darsi una calmata con i consumi, visto che andiamo verso un periodo di scarsità assoluta di commodities ?

Di suo, Ferrero ci ha aggiunto alcune citazioni a sproposito di Marx, Smith e Keynes (che, secondo Ferrero è il teorico del disavanzo di bilancio permanente), per poi toccare il culmine in questa affermazione: “Quello che ho capito è che il funzionamento della finanza mondiale non è più complicato della formazione delle squadre di calcio per le partite. Allora mi chiedo perchè, se il lunedì tutti discutono delle formazioni come se fossero i ct della nazionale, non si discuta allo stesso modo di quello che succede sui mercati. E’ per un difetto di informazione e di passione…” Imbarazzante!

Che occorra dare informazioni e fare opera di divulgazione sui “misteri” della finanza è cosa che ci trova d’accordo e che, nel nostro piccolo, cerchiamo di fare in questo sito, ma che i giochi finanziari siano al livello delle formazioni delle squadre di calcio è affermazione invero singolare. Ma Ferrero (uomo di compiaciuta ignoranza)  è convinto che l’Agorà democratica sia il bar dello Sport e adegua le sue analisi e proposte a quel livello. Ad esempio ha ritirato fuori le sue idee (si fa per dire) sul mutualismo: un intruglio di volontariato cattolico  (anche se lui è valdese), mutualismo prampoliniano e populismo alla “servire il popolo”, che ebbe i suoi fasti nella esilarante trovata della michetta ad 1 euro, per la quale, qui a Milano, finì inseguito da un furibondo panettiere egiziano, risentito da quella imprevista concorrenza.

Poi è toccata a Migliore, che ha esordito ricordando la prima volta in cui parlò in quella sala e l’allora segretaria di federazione, Graziella Mascia lo avvertì: “attento a Milano sono esigenti, vogliono sempre un ragionamento, non sono come voi meridionali che vi accontentate di qualche frase ad effetto”. Da meridionale ho pensato “Obrigado!”.

Dopo di che, giusto perchè a Milano bisogna fare un ragionamento, Migliore ha sciorinato lo stesso rosario di luoghi comuni sulla crisi, ammannendo le relative ricette, solo che il mondo è molto più complesso del keynesismo al pomodoro e basilico di Gennaro Migliore. Comunque, l’esponente di Sel se l’è cavata senza le cadute di Ferrero: idee neanche una, ma molti embrasson nous (“caro Fausto.. Sono contento di tornare a parlare con Paolo” “si può litigare ma continuare a discutere”…).

Poi, l’ospite d’onore, Fausto Bertinotti che ha velocemente tratteggiato l’analisi dei processi sociali, economici e politici in atto. Analisi non sempre originalissime e non sempre condivise da chi vi parla, ma ad un livello incomparabile rispetto ai due modestissimi relatori precedenti.  Per Bertinotti si sta compiendo un processo di trasferimento dei poteri dai Parlamenti ai governi e da questi ai vertici della Bce, con uno svuotamento della politica che condanna all’ininfluenza l’azione delle sinistre, recintate in uno spazio privo di accessi ai processi decisionali reali. Occorre in qualche modo “rompere il recinto” puntando sul movimento che caratterizza questa stagione e che accomuna le proteste della primavera araba alle rivolte giovanili di Londra e Roma agli indignados ed al movimento di “Occupy ws”. All’interno di questi movimenti che hanno un carattere unitario sul piano internazionale –pur nella loro diversità- occorre rifondare la soggettività politica di una nuova sinistra, sciogliendo quelle esistenti -ormai inadeguate al compito- in un processo costituente. Tale processo va portato al di fuori delle alleanze con il centro sinistra definito “irriformabile” e con una centralità sociale e conflittuale piuttosto che istituzionale.

Discorso suggestivo e ricco di spunti meritevoli di discussione e con affermazioni del tutto condivisibili come l’inadeguatezza delle attuali forme organizzative della sinistra (da Sel alla Federazione della Sinistra).
Il punto più debole del discorso di Bertinotti sta nel suo carattere sin qui astratto: privo di indicazioni sul come avviare questo processo costituente, questo progetto si scontra fatalmente con le resistenze dei ceti politici di Sel e della Fds interessati essenzialmente a perpetuare il proprio ruolo. E, per quanto possa essere seducente l’idea di un processo di formazione che metta al centro i movimenti, il nodo della rappresentanza istituzionale non è aggirabile. L’organizzazione che riesce a mandare un gruppo in Parlamento, per questa stessa ragione, si trova a gestire una massa di risorse (visibilità mediatica, denaro del finanziamento pubblico, accesso alla tribuna parlamentare, ecc) negate a tutti gli altri nel  movimento, di qui la centralità del ceto politico che controllando il gruppo dirigente delle organizzazioni di partito, ha un vantaggio incolmabile da chiunque altro.

Dunque, il problema è proprio quello di trovare le forme di partecipazione democratica nella scelta della linea politica, del gruppo dirigente nazionale, del gruppo parlamentare ecc. Cosa che, ovviamente, è vista come il fumo negli occhi dagli attuali apparati che non ci pensano neppure ad un proprio scioglimento.

E la riprova si è avuta proprio nel secondo giro di interventi.
Come era facile aspettarsi, la reazione più negativa è venuta da Gennaro Migliore, che, vantando i meriti delle formazioni politiche esistenti, ha fatto capire che non se ne parla nemmeno. Poi si è detto in dissenso con Bertinotti anche sul giudizio sul centro sinistra, con il quale occorre cercare l’unità, perchè “è meglio avere un governo Bersani che un governo Monti”.
Più marcata la replica di Bertinotti  -leggermente stizzito della sordità dei suoi ex pupilli (al congresso di Chianciano, lui stava proprio dalla parte di Migliore)- che ha rimarcato come gli indignados spagnoli si sono guardati bene dal dare indicazione di voto per il Psoe, ma non per questo possono essere ritenuti responsabili della sua sconfitta e della parallela vittoria della destra.-

Conclusioni di Ferrero, che, con mossa furbastra, si è impadronito di tutti gli slogan di Bertinotti, usandoli contro Sel, salvo rivoltare la frittata a suo uso e consumo.  Per cui, il centro sinistra è irriformabile, però bisogna dargli “un aiuto per vincere” (cioè entrare in coalizione, salvo poi cercare di avere le mani libere). La costituente bisogna farla, però sotto forma di Linke italiana, che, tradotto dalla claudicante prosa ferreriana, significa che bisogna fare il cartello elettorale fra Sel e Prc, scegliendo in comune i parlamentari da eleggere ( il “porcellum” che serve a Berlusconi per eleggere veline e lacchè, può tornare utile anche a sinistra). Da notare l’assoluta mancanza di riferimenti al Pdci, che, in un mercato delle vacche parlamentare risulterebbe solo di impiccio, perchè bisognerebbe dal qualcosa anche a loro. D’altra parte, se so leggere i comunicati politici, mi sembra che il Pdci stia veleggiando piuttosto verso un accordo separato con il Pd.

Dunque, rompere sì il recinto, ma mica quello degli apparati di funzionari!

E lo stesso diverso atteggiamento di Sel e del Prc dimostra quanto pesino gli interessi di bottega e quanto questi c’entrino poco con valutazioni d’ordine politico.
Sel non vuole fare accordi con nessuno (salvo possibili intese con Fiom e Casarini: il cartello della manifestazione del 15 ottobre) perchè sta appollaiata su quell’8% che i sondaggi le promettono e che, però, nelle amministrative, non si è materializzato da nessuna parte. Per il resto, Sel ambisce a prosciugare il serbatoio di Rifondazione senza concedere nemmeno un seggio agli odiati rivali di Chianciano. Ed il calcolo non è del tutto infondato: oggi la Fds mette insieme meno del 2%; sottratti il Pdci ed i minori questo significa che Rifondazione arriva massimo all’1,5% di cui almeno lo 0,6% voterebbe lo stesso Sel se Rifondazione si presentasse con il Pd oppure da sola ma con fortissimi rischi di dispersione. Altrettanto vero è che del rimanente 0.9% una parte non confluirebbe tutto in una ipotetica lista Sel-Prc, preferendo astenersi o votare Pd o Idv o Grillo. Morale: il valore aggiunto di un accordo con Ferrero, aggiungerebbe si e no uno 0,4 o 0,5%. E vi pare cosa per cui valga la pena di discutere un cartello elettorale?

Il gruppo dirigente di Rifondazione sa perfettamente come stanno le cose e non si illude nè di fare il 2% da sola nè tantomeno il 4%, dunque, sa che, per non  rischiare di restare a terra per la seconda volta consecutiva, deve trovare qualcuno con cui concludere un accordo dal quale strappare 5-6 deputati e 2-3 senatori, con relativi portaborse e finanziamento pubblico. Quello che permetterebbe di far concludere onorevolmente qualche carriera politica e mettere al sicuro un po’ di funzionari. Insomma, siamo alla “strategia della pensione”.

La soluzione naturale sarebbe quella di una intesa con Sel, ma Vendola non si è neppure preso la briga di rispondere alla lettera mandatagli da Ferrero ad ottobre, anzi ha posto a tutto il centro sinistra il veto ad accordi con Rifondazione.
Per cui, i desperados di via del Policlinico si tengono di riserva tanto un ingresso nelle liste del Pd (se riesce) quanto una intesa con de Magistris o eventuali cartelli dell’ultima ora. In ogni caso, meglio non precludersi la strada ad una intesa con il centro sinistra che, perciò “va aiutato a vincere”.

Va bene, capiamo i drammi esistenziali di chi teme per il suo stipendio, ma che c’entra tutto questo con la politica?
Quanto a Bertinotti, che resta sempre molti gradini più in alto degli epigoni che ha lasciato dietro di sè, mi ha molto ricordato Vittorio Foa che, profeta disarmato, a Bellaria, nel marzo del 1979, perorava la causa di Nuova Sinistra Unita, quel che poi, gestita dallo stesso gruppo dirigente che l’aveva avversata, si fece nel peggiore dei modi portando al disastro nelle politiche del 3 giugno successivo.
Bertinotti oggi non è a capo di una organizzazione, non ha i fondi che aveva a disposizione quando era segretario del Prc e può contare essenzialmente sul suo prestigio personale. Potrebbe cercare di avviare in concreto quel processo costituente che ha auspicato senza entrare nel merito, ma se la sente di tentarlo con gli scarsi messi a sua disposizione?

In queste condizioni stiamo mettendo ottime premesse per una nuova sconfitta generalizzata, soprattutto se, per le elezioni, dovessimo aspettare ancora 18 mesi, durante i quali anche l’astro Vendola inizierebbe ad impallidire rapidamente.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (31)

  • Io penso che un vero leader carismatico a sinistra non sia ancora nato. Bertinotti, capace di elaborazioni anche profonde, ormai è passato di mano. Quale soluzione per il futuro? Una federazione delle sinistre che concordino almeno alcune idee di ordine politico ed economico, non improponibili, sostenute da economisti come Viale (per un’ economia rispettosa del territorio) Brancaccio (per la critica alla classe politica attuale) sociologi come Gallino e altre figure guida che volenterosamente diano alcune indicazioni o aiutino a costruire un metodo di lavoro. E poi incominciare a lavorare, a costruire insieme e possibilmente presentarsi alle prossime elezioni con un programma decente e semplice da comprendere su temi chiave come il lavoro, la salvaguardia del territorio, l’immigrazione, la valorizzazione o almeno l’individuazione di alcuni punti di forza (turismo? Industria leggera? Commercio?) utili a far ripartire l’economia italiana. Sarebbe già un enorme punto di partenza. Grazie per la bellissima esposizione.

  • pierluigi tarantini

    Credo che i gruppi dirigenti della sinistra citata siano affetti da incurabile forma di analfabetismo economico-finanziario
    La riprova di ciò viene dal fatto che, perfino in un momento storico come l’attuale, i nostri politicanti riescono a pensare solo alla rendita di posizione che gli può venire dai movimenti.
    Ed allora vai con dotte disquisizioni sul movimento che caratterizza questa stagione e che accomuna le proteste della primavera araba alle rivolte giovanili di Londra e Roma agli indignados ed al movimento di “Occupy ws”.
    Che si tratti di vicende diversissime tra loro mi sembra tanto ovvio da non doverlo neanche dire.
    Però quest’idea della rivolta contro la finanza globale magari porta anche qualche voto e poi, anche senza capirci niente, qualche cosa bisogna dirla.
    E chi se ne frega se, in questa maniera, si finisce per assolvere perfino Berlusconi che potrà spacciarsi per vittima di un assalto alla democrazia.
    Quanto alle elezioni, intese come il momento in cui la politica tornerà ad esercitare pienamente il suo ruolo, premesso che la scelta di non votare ora sembra ineludibile, credo che si debba fare la massima attenzione al referendum elettorale.
    Per il resto, se bagno di sangue deve essere, badiamo che lo sia in primo luogo per chi evade.

  • questi eventi portano sempre una certa tristezza. ma a parte che aldo, posso accettare tutto: ma bertinotti no! quest’uomo ha fatto molti danni nella vita, e non si sta decidendo a smettere. d’altra parte in questo caso cosa sta proponendo? una nuova federazione della sinistra con dentro anche sel aperta all’idv e chiusa al pd, se non ho capito male. ma cosa ce ne facciamo di questi rappresentanti falliti e litigiosi? penso di avere già detto che voterei sel, ma ammetto tranquillamente che il partito non mi piace tanto, a partire dal geniale migliore, che credeva che de magistris avrebbe perso a napoli e non si è schierato con lui. roba da buttarlo fuori a pedate. ma non è l’unico esempio di politici di sel che raccattano solo cattive figure.

    ma, detto questo, l’idea di andare soli l’ha avuta già qualcun’altro (veltroni) e non mi sembra che abbia portato da qualche parte. d’altra parte se si vuole colorare di tinte folkloristiche il proprio astensionismo ci sono tanti partitini che ti garantiscono che il tuo voto non servirà a nulla peggio che se non voti, tipo quello del tirchio bavoso. e in un mercato inflazionato non è molto furbo pensare: “mi ci butto pure ie”, dato che potrebbero essere dolori. sarebbe forse meglio partire dai programmi, da scelte ben precise e poi mediare in base a quelle, tentando peraltro di fare si che non siano cambiate ogni 5 minuti.

    anzi, per dirla tutta, io credo che l’italia si possa cambiare solo attraverso un assalto al pd, lavorando sulle contraddizioni interne di quel partito e sulla sua eventuale scissione, cosa che potrebbe essere facilitata/accellerata proprio da questo governo, che spesso imporrà al pd di schierarsi da una parte o dall’altra, con tutte le conseguenze del caso. riguardo a vendla che potrebbe calare, rispondo: e allora, chi ci guadagnerebbe? il pd non di certo, tra passere e monti, il pdl meno che meno, grillo starà con l’estrema destra a cobattere la guerra contro l’euro e il signoraggio, ma sarebbe anch’esso svantaggiato se il pd tenesse fuori dalla coalizione idv e sel, che forti della loro “verginità” farebbero il botto. se al contrario idv e sel stanno in coalizione, saccheggieranno lo stesso i voti del pd, mentre casini e fini raccolgono l’eredità della destra. ricordo che il pdl si suppone che abbia già perso un terzo dei voti circa, e che si sta quindi liberando un blocco elettorale che necessita di politici pronti a inercettare i flussi di questi elettori di destra. e non penso che il terzo polo sia così sciocco da buttare via sta manna dal cielo che ha aspettato per anni in cambio di u’alleanza col pd. incredibile ferrero, comunque.

  • “Credo che i gruppi dirigenti della sinistra citata siano affetti da incurabile forma di analfabetismo economico-finanziario”. Da incorniciare! Non si potrebbe fare affermazione più chiara, sintetica e calzante.
    Aggiungerei che sono anche affetti da incurabile dogmatismo ideologico e, soprattutto, piuttosto scollegato dalla realtà. Ma forse se ne rendono conto anche i dirigenti politici…solo che fa sempre comodo raccogliere quella manciata di consensi, da una certa nicchia di elettori, che potrebbe consentire di ottenere qualche poltrona in parlamento. Con relativi benefits, naturalmente.

    • D’accordo ma con un’unica riserva: non sono affetti da “incurabile dogmatismo ideologico” perchè sono troppo ignoranti anche per capire l’ideologia. Diciamo che hanno una serie di superstizioni di cui non riescono a liberarsi

  • Ciao,
    questa sarebbe “la meglio sinistra”? Rimango del mio parere: o, come cittadini, iniziamo a darci da fare perchè sia possibile un ricambio serio, ed il più possibile competente (spero nei giovani), oppure dovremo rimetterci ancora ai dinosauri, seppur, come Bertinotti, meno populisti e con uno stile più signorile.
    So di passare per “disfattista”, almeno in alcuni ambienti, ma tutta la ns classe politica è da rinnovare, o meglio, è da buttare nello sciacquone la mentalità per cui chi fa politica o attività sindacale (da lì arriva il caro Fausto) prima o poi ritorni alla sua professione e lasci il posto ad altri. Perchè questa inversione di tendenza possa realizzarsi, è indispensabile che sulla scena politica si affaccino nuovi volti e, soprattutto, novi modi di intendere la politica, lo Stato e la cosa pubblica. Comunque siamo, per il momento, in bàlia di classi politiche asservite alla finanza, alle banche, che hanno ridotto il mondo schiavo di un’oligarchia. Alziamo le chiappe un po’ tutti per favore…
    Buona serata,
    Paola

  • Infatti non è detto che la loro impostazione ideologica sia studiata. Forse in alcuni casi non è neppure consapevole: e semplicemente un dato di fatto. Nell’accezione marxiana del termine, mi riferirisco al fatto che abbiano un “vestito di idee” cucito su alcuni dogmi (o superstizioni, come dice lei). Questi dogmi, nella realtà complessa del ventunesimo secolo (che non è quella del capitalismo ottocentesco o del primo novencento), sono fallaci perchè restituiscono una rappresentazione semplificata e parziale della realtà socioeconomica. Una rappresentazione che forse, in fondo, non convince neppure loro.

  • Io ho sempre davanti agli occhi l’immagine mediatica del Presidente della Camera Fausto Bertinotti che più volte si fece intervistare seduto sulla poltrona con lo schienale dorato. La sua espressione era molto soddisfatta. In quel periodo ha di fatto appoggiato il finanziamento militare. Se è questa la Sinistra che propongono, dico: no, grazie!

  • Già… i dogmi… li conosco bene: religiosi, atei,cattolici,comunisti, ecc…
    Aldo, secondo te, che differenza passa tra: dogma – fede; ideale – ideologia?
    Bacio,
    Paola

  • vabbè,ma un amico con cui vedere la partita o un pensionato con cui lanciarsi in sofisticati discorsi della serie è un magna magna?Non sapevo che lei fosse così masochista d’avere la voglia di ascoltare di nuovo Bertinotti e compagnucci al seguito!^_^

  • ciao
    ho letto con piacere alcune discquisizioni socio politico -economico,ma dato che sono avvezzo ai ragionamenti socio politico da innumerevoli anni e che da giorni sono uscito dal PRC dopo una vita,(TUTTO IL GRUPPO DIRIGENTE DI UNA SEZIONE COMPRESO UN COSIGLIERE COMUNALE UNO CIRCOSCRIZIONALE E ALTRI DELLA DIRIGENZA PROVINCIALE E NAZIONALE) noto con piacere _dispiacere che le motivazioni che mi hanno fatto uscire sono proprio le stesse cose che Aldo Giannuli dice, sono stanco e credo che come me tanti compagni o gente comune lo sono
    di pseudo dirigenti che solo x il fatto di essere messi al vertice del partito si credono portatori di verità giornaliere.
    Io stimavo il Fausto nazionale, ora molto meno
    ma nn si può negare che sia l’ultimo dinosauro che ragione e parla di politica oggi l’unica coalizione che si possa fare è quella di stare con i movimenti e tra le gente capirla e farsi portatori delle loro esigenze sono stanchi di sentirsi dire le stesse cose da decenni oggi tutti vogliono una sola cosa sedersi sulle porltrone e IO di questa politica sono disgustato ho 64 anni faccio politica (O meglio facevo) da 50 e passa ho trascurato famiglia e figli x cosa ritrovarmi a lottare x sedie poltrone no dico basta e mi ritiro in mare
    ciao a tutti

  • tento di rispondere a Paola
    Dogma: ciò che è stato definito da chi detiene il potere e non si può più modificare (esempio l’immacolata concezione)
    Fede: l’adesione a qualcosa che non si può dimostrare, ma che può attrarre o per il contenuto o per il fascino di colui in cui si vuole credere. La fede può richiedere qualcosa che va al di là della ragione
    Ideale: qualcosa che attrae, ma non richiede una fede in una religione, né scade nel fanatismo
    Ideologia. Sistema di pensiero che va oltre la ragione perché contiene degli asserti in cui si vuol credere o si danno per scontati. Non necessariamente l’ideologia è un fatto negativo

  • Tenuto conto che il popolo italiano non è popolo rivoluzionario, ma, come dimostra la storia passata ed attuale, popolo pregiato e ozioso, propongo la disgregazione della nazione e la creazione di stati autonomi con propria moneta e libero scambio. Non serve un’unità nazionale che non rappresenta nessuno e che nessuno rivendica: propongo di tornare all’anno 1000.

  • Caro Ugo,
    grazie mille per avermi risposto: credo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda (come quasi sempre). E’ tanto tempo che mi chiedo come mai idee e sani propositi, nei fatti e nella Storia, sfocino in dittature sanguinarie o in giungle in cui il più forte schiavizza, quando non sopprime, il più debole. Discorso lungo che richiederebbe un contraddittorio ed un dibattito a sè (hai ragione, spesso manca un esame di realtà ed una consapevolezza dei nostri limiti).
    Grazie ancora.
    Due parole per Andrea: Non ti sembra di essere un tantino anacronistico? Se è vero che la moneta unica non appartiene ai Popoli, ma alla Finanza, non credi che la strada da seguire sia quella di un’unificazione ad altri livelli piuttosto che una divisione che prevede una regressione (improbabile) storica?
    E poi … davvero il nostro Paese è così incapace di fare delle diversità una ricchezza invece che un ostacolo?
    Cari saluti e buona domenica a tutti,
    Paola

  • Come ogni popolo ha il governo che si merita, oggi la sinistra anticapitalista italiano ha i dirigenti che si merita.
    Non mi risulta che Ferrero abbia occupato manu militari la direzione di PRC (e questo vale pure per gli altri).
    Se questi signori non sono in grado di fare un’analisi seria della situazione (e sono convinto dell’affermazione) non vedo perché si debba aspettare supinamente che qualcuno lo faccia.
    I movimenti: per loro stessa natura sono compositi e con obbiettivi limitati, non sono la panacea dei mali organizzativi della sinistra anti capitalista.
    Non mi risulta che il movimento operaio e contadino ottocentesco abbia aspettato fideisticamente la persona carismatica, dalle iniziative di quegli uomini e quelle donne (cfr. gli scarriolanti emiliani), magari parziali, nacque qualcosa d’importante.
    La domanda a cui dovremmo rispondere, per me, è la seguente: abbiamo voglia di impegnarci per cercare di uscire dalle secche in cui siamo finiti o ci basta criticare chi, secondo noi, non è in grado di trovare soluzioni?

    Io sarei per la prima soluzione.

  • Anche io ero presente alla serata di mercoledì, ma sinceramente devo avere visto un altro film.
    Ho ascoltato tre posizioni differenti, tutte con un loro senso, ma non mi pare ci fossero analisi così banali come da te riportate
    E’ il “che fare” che divide, come sempre, cioè se e con chi fare alleanze, per il governo o per l’ opposizione, se mantenere i partiti o scioglierli nei movimenti …
    se, per dirla alla Bertinotti, entrare nel recinto delle compatibilità concesse alla politica dal capitalismo finanziario o starne fuori, o rompere il recinto.
    Migliore vuole entrare senza se e senza ma,ed è convinto di riuscire a incidere sul centrosinistra e a portarlo su posizioni più di sinistra; Bertinotti vuole tentare di far saltare il recinto attraverso la “rivolta” condotta dai movimenti, ritenendo il centrosinistra irriformabile (ma è un cambiamento recente nella sua linea), Ferrero ha una posizione intermedia (entrare ma non per governare,mantenendo la possibilità di dissentire).
    Tre posizioni tutte opinabili e tutte con fragilità e rischi, certo.
    Ma vedere dietro a ogni posizione solo il calcolo e l’interesse personale non mi sembra molto costruttivo.
    Sarebbe interessante discutere quale posizione tra le tre potrebbe essere la più giusta, o la meno sbagliata, oppure portarne un’altra se la si ha.
    I dirigenti della sinistra non saranno dei geni e avranno mille difetti, ma concordo con Maurizio, sono stati scelti dagli iscritti.

  • Assolutamente no, non dobbiamo solo criticare chi non e in grado di trovare soluzioni, ma essi stessi dovrebbero andar via nel momento stesso che non sono in grado di prendere decisioni(vedi Ferrero) o fare delle proposte serie. Oggi il popolo, se così lo vogliamo chiamare ha bisogno di fatti e non di parole la grave crisi finaziaria del mondo ha bisogno di fatti concreti a cui la gente credere

  • Aldo, sempre spietato con il PD, che è il mio partito, vedo che con grande onestà intellettuale non fa sconti a nessuno. Rinnovo la mia stima.

    Fa però, io credo, uno sconto ingiustificato a Bertinotti (io non c’ero mi fido del suo resoconto) per un discorso in puro stile vendoliano, ma comunque politicamente vecchio, retorico, inservibile: reinventare il rapporto tra movimenti e istituzioni politiche? Da “Il dominio e il sabotaggio” a “Impero” questo problema è un rovello che Toni Negri non ha mai risolto. Questa ricerca tra le pieghe della realtà di una soggettività creativa, che sia per antonomasia “avanti”, anticipatrice di futuro”, che faccia da fulcro per la leva della sinistra è ideologica. Perché diciamocelo francamente, Aldo, nel presente, tra le pieghe della realtà sociale, c’è solo il caos dell’indifferenza delle differenze, c’è solo una soggettività reattiva di tipo pavloviano (gli indigandos), spesso eterodiretta, tanto utile al potere dominante che se non ci fosse sarebbe necessario crearla; e non è detto che non sia così, visto che tu da buon storico m’insegni che è già stato così. Il potere dominante è più avanti, percepisce prima di tutti il disagio sociale e ne provoca artificiosamente l’esplosione nei binari morti che ha appositamente predisposto. Tra le tante ideologie che dovremmo gettarci alle spalle c’è quella che il movimento reale sia più avanti del partito (il mio scetticismo si riferisce esclusivamente alla politica perché per quanto invece riguarda l’economia il discorso è più complesso e certe forme di autovalorizzazione delle soggettività sociali sono certamente “avanti”).

    Se vogliamo essere “avanti”, facciamo un passo indietro, rileggiamo creativamente Gramsci. In politica vale l’organizzazione, gramscianamente vale il partito, e il PD è oggi in Italia l’unico “partito”. Per chi ha passione politica impegnarsi altrove è politicamente semplicemente inutile. Anzi dannoso perché serve solo a perpetuare piccole consorterie che hanno il solo obiettivo della autoconservazione. Non è un caso che il PD nella sua ragione sociale mantenga la parola “partito” e si adoperi per valorizzarla, per custodirla e, andando un po’ a tentoni, per rinnovarla.
    Ecco perché, a parte le ragioni di bottega, penso che l’entrismo proposto (“assalto al PD”) da giandavide abbia la dignità di azione strategica cruciale per la sinistra e per il nostro paese.

    Certo il PD contiene in sé la contraddizione che è esplosa in questi giorni con il caso Fassina. Occorre però capire che questa contraddizione è più un’opportunità che un ostacolo. Io la vedo così: trovare con il moderatismo centrista una sintesi “nel partito” o “fuori dal partito”? Che cosa è meglio? Non lo so, ma la sintesi oggi, ora, adesso, è necessario trovarla.

    A qualunque tipo di ragionamento e inziativa politica si oppone però oggi una malattia antropologica e sociale gravissima e dilagante: il narcisismo. Sì perché comunque e in ogni caso Partito è = disciplina. Ma la disciplina oggi e una virtù in via di estinzione nel tipo antropologico più diffuso. La malattia antropologia oggi si chiama narcisismo, un narcisismo che a volte raggiunge forme parossistiche. Ma attenzione, il problema non è dei politici, il problema è sociale e dilagante. Basta vivere nel mondo della scuola per capirlo.
    Se rimaniamo alla politica e alla forma partito (a mio giudizio ancora oggi unico strumento valido per l’esercizio democratico della responsabilità politica della persona) si può notare, in particolare nel PD, come il narcisismo possa avere effetti distruttivi anche molto al di là delle intenzioni di chi dal narcisismo è affetto.
    Il rimedio? Ascesi, mortificazione, dosi massicce di pillole di umiltà, per tutti, anche per la mitica “base del partito” che è affetta dalla sindrome del commissario tecnico e spara a palle incatenate contro un gruppo dirigente che è certamente meglio della base (altro mito assurdo: la base è meglio del gruppo dirigente, ma chi l’ha detto, ma dove sta scritto e soprattutto chi lo certifica, l’IO forse?). Ma capisco che questa cura è una roba da cattocomunista (quale io sono) e non è per tutti.

  • Ciao, Aldo. Ho la netta impressione, e il tuo resoconto me la conferma, che, qualora volessi riprendee a far politica attiva, dovrei entrare nel PD, almeno lì pare che una componente decentemente socialdemocratica ci sia (ancora). Il resto è un disastro.

    • Caro Brunello, dove ce la vedi la componente decentemente socialdemocratica nel Pd? Io mi accomtenterei di un decente partito socialista nel quale vi fossespazio per una componente dichiaratamente comunista ed anticapitalista, ma per fare questo dobbiamo attendere che si sfascino tutte le attuali case della sinistra e poi ripartire. Ed a giudicare da come butta la stagione mi sa che non dovremo aspettare molto.
      Un abbraccio

  • Personalmente mi trovo su posizioni simili a chi sostiene la necessità dell’assalto al PD. Ma, per essere più preciso, sono per l’assalto all’elettorato del PD.

    Innanzitutto, credo che sarebbe sciocco investire energie su una improbabile evoluzione dei movimenti verso una soggettività politica più matura. Questi si sono dimostrati una risorsa indispensabile da cui attingere linee programmatiche. E, soprattutto, esemplari nella capacità comunicativa per persuadere pragmaticamente ed efficaciemente l’elettore medio – spaventato, a torto o a ragione, da qualsiasi “totem” con la falce e il martello – del fatto che appartiene al 99% che subisce gli attuali rapporti di produzione.
    Però un movimento, per sua natura, non è un partito. E anche se fosse in grado di trasformarsi, perderebbe buona parte della propria energia e del proprio fascino specifico (per la serie: se mio nonno avesse le rotelle sarebbe un monopattino). Quindi saremmo al punto di partenza.

    Detto questo, è evidente che l’attuale posizionamento dei partiti della c.d. “sinistra radicale” (Sel, PRC, PdCI e, per certi versi, anche IDV) è strutturalmente di sottomissione. Perfetta per mantenerli ai margini o, in alternativa, essere cooptati in una coalizione di governo in cui sarebbero sostanzialmente irrilevanti. Perchè dovrebbero ingoiare continuamente rospi a pena di essere incolpati (persino dai loro propri elettori), come già accaduto, della caduta del governo e del conseguente ritorno della destra al governo.

    Personalmente ritengo che, oggi, la faglia che separa i conservatori dai progressisti passi proprio dall’interno dal PD. Probabilmente questa è stata una brillante strategia dei gruppi di interesse – o se preferite “poteri forti” – per creare una minoranza consistente, “di blocco”, all’interno del PD e, di conseguenza, di qualsiasi coalizione di sinistra che ruotasse attorno al medesimo (faccio una piccola divagazione dal ragionamento, giusto per far notare che questo artifizio – che, ad esempio, i c.d. “cattolici” dichiarano più o meno apertamente – è una dimostrazione di quella raffinatezza analitica e strategica di cui, nei commenti precedenti, sottolineavo la carenza in seno alla dirigenza della c.d “sinistra radicale”).

    Però ci sarebbero due grossi problemi, complementari tra loro, che vanificherebbero l’assalto al PD: 1) se non fosse coordinato e considerevole rischierebbe di fallire, relegando i “riformatori” al ruolo di minoranza sterile, all’ombra di D’alema, Letta, Veltroni (che sarebbero ricompattati da uno situazione oggettiva di solidarietà); 2) se fosse coordinato sarebbe evidente e, certamente, sarebbe respinto con forza dall’interno, con qualunque espediente.

    Invece, la tattica migliore per le forze di sinistra, in concreto, sarebbe quella di mettere in discussione l’appeal elettorale del PD, e svuotarlo di consensi dall’esterno, abbandonando la tradizionale tendenza al frazionismo e al radicalismo e ritrovando una rinnovata unità su una piattaforma identitaria di minimo comune denominatore (ad esempio la comune tradizione socialista, in senso lato) e programmatica (proposte comprensibile e realizzabili, come la patrimoniale, non ideologiche e scioccamente ispirate – insisto sul punto – da certi dogmi). Un partito strutturato e diffuso sul territorio che promuova il rinnovamento e la selezione di una classe dirigente capace e all’altezza.
    Questo partito avrebbe, in un primo momento, l’ambizione dichiarata di attrarre elettori travasati dal bacino del PD. Elettori moderati (non nell’accezione che è stata usata in questi anni) ma non conservatori. Il raggiungimento di questo traguardo parziale porterebbe, in secondo momento, allo sgretolamento del PD dall’interno, con il passaggio di parte dei dirigenti migliori, e autenticamente progressisti, verso il nuovo soggetto politico. Un ulteriore slittamento elettorale ne conseguirebbe.

    In conclusione, la linea strategia dovrebbe essere, in due tempi, quella di: 1) smarcherare la contraddizione che risiede all’interno del PD, e riportare tutti i conservatori all’interno del loro recinto naturale di destra, trasformando il PD in un partito-scarto appartenente, senza possibilità di ambiguità, all’area del terzo polo; 2) Portare la fazione progressista, ormai libera da “frenatori” e “veto players” che alimentano il qualunquismo e la disillusione dell’elettore medio, a conquistare la maggioranza del Paese.

    Secondo me, con queste premesse, l’obiettivo è tutt’altro che una chimera.

  • Aldo, detto in pillole.
    Anticapitalismo è una parola che ha senso, so come definirla, la sposo senza alcun dubbio. Per esempio, per cominciare basta tenere a mente che nel mondo si muore per fame come mosche e che queste morti sono un “effetto collaterale” del capitalismo. Chissà perché nella contabilità che gli storici fanno dei morti degli “ismi” vari, questi qui, i morti del liberismo, non compaiono, non sono mai computati.
    Comunismo è una parola che non ha più senso, a meno che non la si voglia estendere in lungo e in largo per farci stare dentro di tutto. Comunismo è dittatura del proletariato e proprietà statale dei mezzi di produzione. Tutto il resto è già altro. La Cina comincia ad essere altro, ma non ancora del tutto, perché se si fa il conto del rapporto PIL pubblico/PIL privato ecc. Comunque della parola comunismo è da salvare l’intenzione: non ci si salva da soli, no darwinismo sociale, e la società può e deve essere una comunità di uomini.
    Socialismo è una parola confusa, ma sui cui credo valga la pena di affaticarsi mentalmente; è da ripensare. Capisco quindi che oggi sia complicato rintracciare tracce di socialismo, segni di socialismo, che si faccia fatica a vederli, ma è una fatica di tutti. E in più c’è anche la complicazione dell’ermeneutica: per ri-conoscere devo aver già visto o quantomeno “immaginare” una fisionomia altrimenti non potrei ri-conoscere. Purtroppo su questo non mi ci posso applicare perché sono un lavoratore intellettuale proletarizzato dell’editoria scolastica, ma se potessi ci penserei su.
    Su anticapitalismo e socialismo nel PD ci stiamo lavorando. Su comunismo no; io poi non credo proprio che ne valga la pena. Nel PD c’è spazio per i tre “oni” (vi risparmio la battutaccia con rima) Veltroni, Fioroni, Gentiloni, figuriamoci se non c’è spazio per il socialista e per l’anticapitalista. Anche i comunisti ci sono ancora nel PD, ma annaspano quando si tratta di mettere in relazione la parola con le cose, forse aspettano qualcuno che gli dia una dritta, ma i Karl Marx non si producono a comando.

  • Personalmente penso che il nocciolo del problema sia nella rappresentanza, nella struttura democratico parlamentare e nello spostarsi dei centri di potere dall’ambito politico nazionale a quello economico ed internazionale… in tutto questo personalmente non riesco a vedere come strumento di cambiamento un partito quale che sia.
    Vedo già improbabile creare un soggetto a partire da un qualsiasi movimento che per sua natura è etero diretto, si coagula attorno a specifiche istanze e specifici spazi e tempi, che non è in grado di assicurare una “durata” ed una costanza di numeri ed intensità, e che in genere ha una dialettica interna dura in quanto la partecipazione ad un movimento si ha soprattutto per una adesione ed emozione e non per progettualità a lungo termine (leggi no compromessi oppure senza se e senza ma etc etc).
    anche avendo un soggetto politico splendidamente nuovo ed “up to date” nel migliore dei casi ci ritroveremmo ad avere fra le mani un gioiellino riformista in grado da solo di sviluppare un 25/30% (wow!!! la vita è sogno) e quindi eccoci al tavolo con il centro centro, con il residuo di PD non confluito, con localismi vari e quant’altro… il problema a questo punto è quale spazio di manovra resta ad un governo nazionale che non è neanche un monocolore solidissimamente sostenuto rispetto alla BCE o a WS? Rispetto ad un mercato sul quale ormai gli stati sono entrati e dal quale non possono uscire senza cancellarsi?
    Stare sul mercato tocca (tocca?) però significa rispettarne le leggi vigenti, e seppure l’economia (che un tempo era accompagnata sempre dalla parola politica, ma pare che in questo caso ci stato un divorzio) resta un ambito filosofico, le attuali regole sono ironicamente deregulation, privatizzazioni (a basso prezzo per i signori del rande mercato), modifica del rapporto di lavoro, fine del servizio pubblico. Chi glielo spiega al FMI che tu sei intenzionato a rientrare dalla crisi con strumenti e tempi diversi da quanto si aspettano i tuoi creditori e i padroni delle bolle? Ma quale entità può andare a trattare con questi enti? chi può impedire che sul tuo debito si speculi quando le masse finanziarie che si muovono possono schiacciare anche soggetti più grandi dell’Italia?
    Forse un soggetto multinazionale anch’esso… forse con un sindacato che copra Termini Imerese ed i lavoratori cinesi, con i movimenti saldati insieme dalla Damasco a New York… ma questo è internazionalismo del cavolo…
    La questione sul tavolo mi sembra più una fase di gigantismo capitalista che si risolve con un collasso dello stesso (voi dite di si?) o con un diverso assetto sociale quantomeno in occidente e con la fine dell’idea di rappresentanza e potere popolare… e dove le forze in campo non sono più influenzabili dalle strutture politiche e sociali ad oggi esistenti.
    come Bertinotti è evidente che neanche io ho grandi soluzioni…
    en passant… comunque questo simpatico simposio di compagni mi sembra un po’ il cimitero degli elefantini…

  • Strategia della pensione è una chicca straordinaria: posso usarla per una poesia, con gli amici al pub, posso provare con sforzi non da poco a rendere questa perla linguistica in tedesco? Saluti da Berlino, dove stiamo organizzando gruppi di lettura del suo illuminante 2012, Gabriele Nugara – Berlino

  • “aldo giannuli” è stata scoperta recente, per me lei, se lo può prendere come complimento, è autore giovanissimo (nel pensiero e per il tempo trascorso da quando ho cominciato a leggerla). in che occasione è venuto nella nostra rigida (ma si fa chiamare sexy dal sindaco Wowereit) ipermetropoli? saluti

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