Il berlusconismo nella storia d’Italia
Lunedì 4 novembre 2013, alle ore 18, presso la Libreria Rizzoli, in Galleria Vittorio Emanuele II 7 a Milano, si terrà la presentazione del libro di di Giovanni Orsina “Il berlusconismo nella storia d’Italia”. Ve ne propongo la mia recensione, invitando i lettori interessati a partecipare alla presentazione, dove, con l’autore, interverranno Piero Ostellino e Michele Salvati.
“Il berlusconismo nella storia d’Italia”
di Giovanni Orsina.
Ora che (auspicabilmente) il Cavaliere si avvia ad uscire di scena, è di fondamentale importanza storicizzare il senso di questa stagione di vita repubblicana. Una lettura sbagliata della vicenda della Prima Repubblica, negli utili anni ottanta, preparò il disastro della seconda Repubblica, assai peggiore della Prima, spianando la strada proprio al Cavaliere. Rifare lo stesso errore, non analizzando correttamente cosa è stata l’“età berlusconiana” (che tale è stato questo ventennio, anche quando a governare sono stati il centro sinistra o i “tecnici” Dini e Monti) è indispensabile se non vogliamo una terza repubblica ancora peggiore: come si sa, sulla via del peggio non c’è mai un limite. Pertanto, questo libro di Giovanni Orsina (“Il berlusconismo nella storia di Italia” Marsilio giugno 2013, 19,50 euro) giunge più che opportuno per attizzare la discussione.
Precedentemente, c’erano stati due tentativi di analizzare il berlusconismo, uno curato da Gianpasquale Santomassimo (che raccoglieva gli atti di un convegno pisano del 2002 “La notte della democrazia italiana” Saggiatore Milano 2003) e l’altro di Antonio Gibelli (“Berlusconi passato alla storia” Donzelli Roma 2010).
Nel primo, che raccoglieva interventi di De Luna, Tranfaglia, Gozzini, Ginsboorg, Allum, Collotti, Woolfed ed altri, si rifletteva in gran parte l’ansia della sinistra di star assistendo ad un rinascente fascismo e, pur rilevando le differenze contestuali e soggettive fra il ventennio mussoliniano ed il governo berlusconiano, esprimeva una preoccupata diagnosi sullo stato della democrazia italiana e sui rischi di un regime populista-plebiscitario raccolto intorno al culto di un nuovo capo, mentre più sfumatamente, Gibelli ha parlato di un esperimento di democrazia autoritaria, con aspetti patrimonialistici.
Orsina, che si mantiene sempre molto equilibrato, sceglie un’altra strada e parla di una “emulsione liberal populista” che riesce a comporre un blocco elettorale composito ed articolato, le cui radici sono nella storia di questo paese. Il cuore del libro sta nella tesi che in Italia c’è sempre stata una componente assai diffidente nei confronti della politica e dello Stato, che ha costantemente resistito all’opera “pedagogica ed ortopedica” della sinistra. In questo atteggiamento costante di una ampia fascia di italiani sin dai tempi dell’Unificazione nazionale, Orsina distingue l’ atteggiamento “ipo-politico” di chi, pur rassegnato ad una competizione fra diverse èlite politiche, chiede una sorta di “stato minimo” che intralci meno possibile le attività della società civile, da uno apertamente “antipolitico”, di chi, rifiutando come falsa ogni distinzione ideologica, nella politica vede solo lo scontro –più o meno velato- fra gruppi di potere unicamente interessati a depredare la ricchezza pubblica, e chiede uno stato meramente amministrativo, che è forse la parte più numerosa del seguito berlusconiano.
Grosso modo, la prima anima coinciderebbe con una frazione “centrale” dell’elettorato, quella del lavoro autonomo, che costituisce la punta di diamante dello schieramento berlusconiano. La seconda con una fascia “periferica” (pensionati, casalinghe, sottoproletari ecc, in particolare delle aree non urbane). Entrambe, confluiscono nel giudizio dello Stato come problema e non come soluzione e respingono l’iper politicismo di eredità giacobina della sinistra e la sua pedagogia antifascista.
Orsina definisce (e siamo d’accordo in questo) tale atteggiamento come anti-antifascista, richiamando l’Uomo Qualunque di Giannini, che raccoglieva non tanto i nostalgici del fascismo (chè, in fondo, il fascismo fu anche esso una cultura iper politicista) quanto l’opposizione ad un’altra ideologia che esaltava il ruolo della politica e dello Stato.
Berlusconi –per Orsina- ha saputo unire queste due anime, sommandovi anche quella, anch’essa appartenente alla fascia “centrale” dell’elettorato, dei reduci della prima Repubblica, gran parte del ceto politico-amministrativo democristiano, socialista, socialdemocratico e liberale che, al contrario, appartiene a culture che esaltano il ruolo della mediazione politica e la sua autonomia dalla società civile.
In questo successo, che ha cementato in un blocco fasce diverse e per certi versi contrapposte dell’elettorato (si pensi agli umori “nordisti” presenti non solo nella Lega ma anche in buona parte dell’elettorato di Forza Italia, con le clientele meridionali, anche esse presenti non solo in An, ma anche in Forza Italia), hanno giocato le indubbie capacità comunicative del leader, la grande disponibilità di denaro e di mass media che hanno consentito di articolare il messaggio modulandolo opportunamente per raggiungere i diversi destinatari del messaggio, ma ha influito anche un certo “opportunismo” dello stesso Cavaliere, sempre pronto ad abbracciare la tesi elettoralmente più redditizia.
Trovo assai felice, in questo senso, l’uso del temine “emulsione” per indicare il mix fra liberalismo e populismo, perché esprime efficacemente l’idea di una sospensione momentanea, che, se non agitata, torna a separare i due elementi e l’immagine torna utile anche per spiegare la mancata “rivoluzione liberale” promessa dal cavaliere e mai realizzata.
Quello di Orsina è un libro importante, che consiglio di leggere e di discutere. Detto questo, passiamo alla critica. Sulla presenza della larga fascia ipo ed anti politica storicamente presente nel nostro paese, sono largamente d’accordo ed in merito scrissi alcuni articoli (“L’armata del Cavaliere” art 1, art 2) proprio in questo blog, che andavano esattamente in questo senso. Un po’ meno d’accordo siamo sulla questione delle pretese pedagogico-ortopediche della sinistra, che attiverebbero l’ostilità di ipo ed antipolitici. E non perché io non riconosca il tono di sussiegosa sufficienza, l’iper ideologismo, l’intollerabile senso di superiorità morale, il miracolismo statalista e politicista, o anche, semplicemente, la mancanza di normale buon senso con il quale tanti della sinistra hanno preteso e pretendono “istruire le masse”.
Tutte cose di cui ho ripetutamente detto in questo blog attirandomi le rampogne di diversi “bigotti di sinistra”. Il punto è un altro: che di una reale opera di educazione politica la democrazia ha bisogno, mentre i populisti pensano che la politica sia una attività immediatamente intuitiva e che il popolo sappia da solo cosa sia utile, opportuno e vantaggioso fare. So che Orsina è troppo colto ed intelligente per pensare sciocchezze di questo tipo, però, siccome viviamo in un periodo in cui di scemenze del genere ne piovono a diluvio, credo convenga essere chiari sul punto.
La politica è una attività complessa e non immediatamente intuitiva, esattamente come la medicina, la fisica, l’economia o il diritto. Come tutte queste attività, richiede conoscenze di merito e di metodo che possono venire solo da un’opera di istruzione da parte di chi ne ha le conoscenze. Messa così, il rimprovero che si può fare alla sinistra non è quello di fare attività pedagogica ma di averne fatta di sbagliata e catechistica nel passato e di non farne affatto oggi. Oggi, semmai, dobbiamo rimproverare alla “sinistra” (ma poi chi sarebbe la “sinistra” il Pd? Non facciamo ridere) di aver messo in giro una manica di cialtroni che in nome di una pretesa competenza (che consta solo nella loro capacità di far carriera) si arrogano un ruolo politico decisionale che è decisamente al di sopra delle loro reali capacità.
Altro punto su cui non sono convinto: che si possa parlare di liberalismo per Berlusconi. Intanto, diciamoci francamente che l’uomo, intelligente ed abile, ha una cultura politica da bar dello Sport. Il suo apparato ideologico gli viene in gran parte dalla sua esperienza di vita, dalla frequentazione di ambienti politici, da abili orecchiature, ma non certo da letture o studi: indicatemi un solo libro o un corpus di discorsi (come lo si potrebbe fare per Mussolini) dal quale ricavare queste scaturigini del suo pensiero!
Dunque, al massimo, potremmo parlare di una sorta di “liberalismo omerico”, cioè raccolto per trasmissione orale ed, inoltre, più che di liberalismo, credo si possa parlare della risciacquatura di certa cultura cattolica tradizionalista. Ha più a che fare con il filone conservatore che con quello liberale. E semmai è corretto parlare di un mix populista-liberista.
Anche da un punto di vista meramente politico, mi pare che il Nostro non abbia nulla a che fare con Malagodi, Einaudi, Croce o La Malfa e neppure con il povero Craxi, più volte indicato indebitamente come suo padre putativo. Semmai questo ruolo va attribuito ad Andreotti, che è stato il suo vero mentore. E non mi pare che il Divo Giulio possa essere annoverato fra i maestri del liberalismo.
Dunque, non sembra che, sia politicamente che ideologicamente, l’uomo meriti questa affiliazione liberale. Naturalmente, questo non impedisce che Berlusconi abbia una sua ideologia (ed Orsina fa bene a dire che se non la si comprende, diventa arduo battere il berlusconismo) ce l’ha eccome! Perché le ideologie più tenaci non stanno nei libri, ma nella testa della gente e solo dopo prendono corpo nelle opere degli intellettuali che, in genere, le esprimono con maggior moderazione.
Lui è certamente l’interprete migliore dell’”ideologia italiana” al tempo del liberismo ed è questa analisi della ventata mondiale neo liberista l’assenza più vistosa nel libro di Orsina che, però, ripeto, resta un libro importante da discutere.
Aldo Giannuli
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leopoldo
sul libro vedremo, sono un lettore lento.
sulla sinistra concordo dopo la sconfitta dei sindacati nell’82 da parte di romiti a torino. ancora oggi, si è carenti nella capacità analitica, aggregativa, elettiva delle classi popolari. Siamo alla totale framentazione di piccole lobby che diffendono i loro interessi di categoria (pensiamo i tassisti e le loro proteste, professori universitari 😀 ) mentre precari (contratti a progetti ecc..) sono una massa sempre + amorfa che non riesce ad avere una rappresentaza, per la parzialità del contratto trasversale alle categorie di riferimento. le riforme strutturali atuate dallo Stato su mondo del lavoro sta distrugendo il tessuto sociale.