La scelta temporeggiatrice della Corte Costituzionale sul caso di Marco Cappato e sull’interpretazione dell’Articolo 580 del Codice Penale, che punisce con reclusioni comprese tra 5 e 12 anni chi è riconosciuto colpevole di istigazione al suicidio, è destinata a suscitare aspre polemiche nel dibattito sul cosiddetto “fine vita”.
La morte brutale di Jamal Kashoggi, il giornalista dissidente saudita ucciso nel consolato di Riad a Istanbul il 2 ottobre scorso, ha svelato al mondo il reale volto della presunta “rivoluzione” politica della monarchia wahabbita incarnata dal giovane erede al trono Mohammad bin Salman.
La guerra in Siria si avvicina, inesorabilmente, alla conclusione e la situazione militare sul terreno va delineandosi con crescente chiarezza, ma il percorso verso la normalità sarà lungo e accidentato. Nella giornata dell’1 agosto, l’agenzia di stampa Sana, controllata dal legittimo governo di Damasco, ha affermato che i lealisti fedeli a Bashar al-Assad hanno definitivamente concluso la liberazione della Siria meridionale, piegando le ultime resistenze dell’Isis nella valle dello Yarmuk. “Sana”, riporta AnsaMed, “afferma che con la conquista delle ultime due località al confine, tutta la Siria sud-occidentale è tornata nelle mani delle forze di Damasco”, mentre osservatori vicini ai ribelli ritengono plausibile che sparute unità jihadiste continuino ancora la lotta. In ogni caso, il messaggio è chiaro: la Siria meridionale è oramai un fronte blindato. Simbolica, nella seconda metà di luglio, è stata la definitiva liberazione di Dar’a, la cittadina al confine con la Giordania da cui, nel 2011, partirono le prime, leggitime proteste contro la corruzione e l’autoritarismo di Assad, poi degenerate nell’insorgenza jihadista cavalcata da potenze esterne (Turchia, Arabia Saudita, Qatar in primis) che ben conosciamo.
Il mondo contemporaneo è caratterizzato da un dibattito acceso sul ruolo e il futuro dell’informazione: informazione vista sempre come una componente strumentale della modernità, dato che diatribe come quella accesasi sulle cosiddette fake news erano essenzialmente incentrate sulle loro conseguenze a fini elettorali. L’informazione è, in ogni caso, un campo di battaglia dove ogni contendente è interessato a mettere in gioco le sue strategie più raffinate; un ruolo molto spesso sottaciuto è quello giocato, in questo contesto, dagli spin doctor, gli esperti di comunicazione legati al potere politico che, muovendosi nella linea d’ombra tra la comunicazione istituzionale e quella personale dei leader, esercitano un peso determinante nell’orientamento dell’opinione pubblica.
Il recente decollo politico, oltre che economico, della Cina ha portato la Repubblica Popolare a conseguire uno status di potenza e influenza internazionale senza precedenti nella sua storia recente ma ha anche, in un certo senso, sorpassato a più riprese qualsivoglia analisi e predizione degli studiosi che si sono approcciati alle dinamiche relative all’ascesa di questo fondamentale attore della scena mondiale.
Le dinamiche della globalizzazione hanno, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, più volte spiazzato un’Italia ritrovatasi molto spesso impossibilitata a comprendere quali fossero le sue prospettive, le sue priorità e, soprattutto, le sue potenzialità nell’approccio agli eventi del mondo.
Al termine del tortuoso percorso di negoziazione seguito al voto del 4 marzo scorso la Lega e il Movimento Cinque Stelle hanno concluso il contratto di governo che si appresta a fungere da timone per il nascituro esecutivo.
Nelle scorse settimane, dopo lo storico vertice tra i due leader della penisola coreana, abbiamo analizzato le implicazioni che l’incontro tra Moon Jae-in e Kim Jong-un ha causato per le future strategie di Seul e Pyongyang. Ora, come annunciato, si prenderà in considerazione la visione delle dinamiche coreane dal punto di vista delle principali potenze planetarie: Cina e Stati Uniti.
La notizia che il tycoon francese Vincent Bolloré è attualmente in stato di fermo per le conseguenze di un’inchiesta riguardante le sue attività in Africa ha avuto grande risonanza. Scrive l’Huffington Post: “I giudici si chiedono se il gruppo Bolloré non abbia usato Havas, la sua filiale pubblicitaria, per ottenere nel 2010 la gestione dei porti di Conakry, in Guinea e Lomé, in Togo. L’ipotesi è che Havas abbia fornito consulenze e consigli per sostenere l’arrivo al potere di alcuni dirigenti africani in cambio delle concessioni sui porti. Già nel 2016, la sede del gruppo Bolloré Africa Logistics era stata oggetto di una perquisizione nell’ambito dell’inchiesta aperta nel luglio 2012”.