Asimmetrie psicologiche.
(In copertina, “Trionfo della Morte”, Pieter Bruegel il Vecchio, 1562) Lo scontro in atto fra Occidente e Jihadisti, come spesso si dice, è di tipo asimmetrico, perché è combattuto fra Stati e formazioni clandestine, fra eserciti pensati per la guerra regolare e soggetti che conducono una guerra irregolare.
Questo è noto; quello che invece, quasi sempre, sfugge è la principale asimmetria dello scontro che, prima ancora che militare o politica, è di carattere psicologico, e dalla quale discende tutto il resto. Ed è il diverso atteggiamento di fronte alla morte dei due schieramenti combattenti.
Una delle chiavi interpretative della modernità può essere il suo rapporto con la morte. A lungo l’Europa ha condiviso con tutti gli altri modelli di civiltà il carattere prevalentemente religioso e, come tale, ha risolto il suo rapporto con la morte dentro un rapporto di fede, che assicurava un oltre dopo la morte; quel che, in qualche modo, conciliava l’uomo con l’idea della sua fine personale.
Man mano che si è proceduto sul sentiero della secolarizzazione, questa conciliazione è andata via via evaporando ed oggi, giunti all’età dell’ateismo e dell’agnosticismo di massa, è praticamente svanita. Oggi anche una parte dei credenti (peraltro minoranza, nella società europea) non è più tanto sicura della vita ultraterrena. Finita anche la breve stagione romantica della “morte eroica” (per la patria o per la classe, poco importa) ed approdati all’epoca dell’iper individualismo, l’uomo europeo (ma diciamo meglio: occidentale) si scopre solo e del tutto impotente davanti alla morte.
La modernità si è costruita intorno all’idea di un dominio totale dell’uomo sulla natura e, con esso, il sogno inconfessato della vittoria sulla morte, supremo punto di arrivo di quel dominio.
Tutto l’Ottocento ha esorcizzato la morte, con strategie che decostruivano l’idea stessa della mortalità, attraverso la promessa di progressi scientifici che annullassero, se non il fenomeno stesso della mortalità, ogni singola ragione specifica di morte degradata da “destino dell’uomo” a incidente. Si muore per una malattia, per un sinistro o perché uccisi, dunque per una qualche causa efficiente accidentale. Dunque, occorre cercare di neutralizzare ogni singola causa e la scienza prometteva di farlo.
Ma con il sopraggiungere del disincanto della modernità, segnato dal “nuovo senso di disperazione”, l’uomo “moderno” ha scoperto sempre più limiti al suo sogno di onnipotenza. Il progresso non è più infinito e senza effetti imprevisti e non auspicabili.
Freud dice che ciascuno, nel suo subconscio, si ritiene immortale e l’angoscia di morte è solo il senso di colpa per un desiderio rimosso. In qualche modo, l’illusione della vita ultraterrena, coltivata dalla fede prima, e con la fede nell’onnipotenza della scienza, rendeva in qualche modo plausibile quella convinzione profonda. Ma essa ha iniziato a vacillare con la crisi della modernità, e, nel subconscio ha iniziato a manifestarsi il molesto senso di una fine individuale, senza riparo e senza speranza. Incapace di elaborare il lutto del senso di immortalità personale, l’uomo occidentale ha decostruito l’idea della morte, lasciandola “disadorna, nuda, priva di significato. La morte non è che uno scarto di produzione della vita; un residuo inutile, lo straniero totale nel mondo semioticamente ricco, affaccendato e fiducioso abitato da abili e ingegnosi attori”. Qualcosa di indicibile, da rimuovere e nascondere.
Esaurita la strategia della modernità, affidata all’onnipotenza della scienza (anche se qualche equipe medica continua a coltivarlo dedicandosi, in tutta serietà, al delirante “progetto immortalità”) è subentrata una nuova strategia di aggiramento: la decostruzione dell’immortalità, affidata alla negazione del tempo, alla riduzione della vita ad un eterno presente, che abolisce ogni futuro e, con esso, la prospettiva di un mondo senza di noi individualmente presi. Si vive in un presente eternizzato, che teme il confronto con la storia, che abolisce ogni previsione di lungo periodo, che rimuove il passato. E’ intollerabile l’idea del tempo in cui non ci saremo come quello del tempo in cui non eravamo. La morte è horror vacui e l’uomo occidentale è sempre più cenofobico, detesta l’assenza di suoni, di attività, la meditazione, la solitudine, il silenzio, ha bisogno di “fare”.
Negli ultimi venti anni le foto da satellite dimostrano l’aumento esponenziale, in tutto il pianeta, delle lucanie in orari notturni. Nello stesso tempo è in vertiginoso aumento anche il rumore: non c’è attimo della giornata in cui non siamo raggiunti da un rumore di fondo crescente. Silenzio e buio –qualità proprie della notte- sono troppo simili al “vuoto” del “dopo esistenza”, per poter essere sopportati ed anche la notte è bandita.
Ma il resto del mondo, e quello islamico in particolare, è restato estraneo a questo percorso psicologico, non ha rimosso il suo credo religioso, che resta largamente presente e creduto non tiepidamente.
Nella complessa rivolta contro la modernità segnata dal fondamentalismo, il richiamo alla fede fonda quel senso di superiorità dell’Islam rispetto alla “decadente” civiltà occidentale, che caratterizza proprio la rivalsa jihadista, documentata dallo sprezzo della vita dei suoi combattenti e dalla loro ricerca del martirio. E qui si annida il punto critico della resistenza psicologica dell’uomo occidentale rispetto all’offensiva islamista.
Gli jihadisti terrorizzano l’uomo europeo secolarizzato sia per il carattere volutamente cruento delle proprie azioni, che gli “sbattono la morte in faccia” sia, e molto di più, con la loro disponibilità al martirio, che li rende esseri “mostruosi” agli occhi della nostra società iper individualista. Che deterrenza puoi avere nei confronti di qualcuno che non teme la morte e che esibisce questa sua fede cieca? Di qui l’idea dell’impossibilità di un confronto politico –anche il più aspro- e la riduzione del tutto a scontro militare che deve estirpare questa presenza demoniaca. E di qui anche il tipo di comunicazione adottato dagli jihadisti che sottolineano a più non posso la morte inflitta e cercata.
Di fatto, questo fenomeno è alla base dell’ideologia sicuritaria che si è diffusa nelle nostre società rendendole fragilissime. Ed allora, chiediamoci con Marc Augè: “Non sarà che, oggi, la paura della vita abbia rimpiazzato la paura della morte?”
Aldo Giannuli
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Tenerone Dolcissimo
Professore, perdoni il fuori tema clamoroso, ma rilevo una pecca. Manca una Sua lettura del disastro Germanwings, attribuito -guarda un po’- al solito matto di turno e con 3 capi di stato che arrivano sul luogo del disastro a macerie ancora fumanti. Io sento puzza di bruciato. Sono fissato? Affetto da manie di persecuzione? Grazie e saluti.
AM
TeneroneDolcissimo, mi permetto di intervenire anche se chiamavi in causa il professore. Non mi permetto di confermare che “hai manie di persecuzione” perché sarebbe un’inutile esagerazione ma per quanto riguarda il disastro GermanWing è conveniente per tutti accettare la più probabile teoria del suicidio. Un atto terroristico in più non aggiungerebbe nulla al piatto delle discussioni. Terrorismo (lo escludo) o suicidio (probabilissimo), il problema che solleva il disastro GermanWings è squisitamente procedurale e corporativo: quello delle porte blindate in cockpit. Qui diventiamo OT, magari il professore un giorno ci dirà la sua.
leopoldo
“la paura della vita abbia rimpiazzato la paura della morte?” aggiungerei che nelle attuali società occidentali, sopra tutto in italia, vi sono tutta una serie di comportamenti, che attribuiamo alla difesa del vivere quotidiano [ e effettivamente se qualcuno non le rispetta viene massacrato] da cui è difficile esimersi, ad esempio in ambienti di lavoro dire che non si conosce una procedura o lavorazione. La psicologia moderna ha un suo bel da fare a dire che ammettere i limiti, in specie quelli nozionali, è un passo per superarli e segno di maturità. Le strategie di sopravvivenza sono permeate dal valore che da la comunicazione nell’immediato per definire chi ha il controllo del evento, presumendo che tutti siano capaci di condurre[ come dimostra la politica a seconda di chi governa e chi rappresenta le società si trasformano], e non il suo valore nel tempo.
Mattia
Complimenti professor Giannulli per aver sintetizzato in modo così limpido il vero problema che sta oggi alla base della nostra civiltà. Lei ha messo in luce il lato negativo della questione: la Storia è finita e noi siamo deboli perchè abbiamo paura della morte. Allo stesso tempo, credo sia anche vero dire che la Storia è finita e siamo estremamente deboli perchè non abbiamo più nessun valore (e quindi motivo) che ci spinga a vivere – ragion per cui ci impegnamo a distrarci, intrattenerci.
“Gli antichi dei se ne sono andati e quelli nuovi non sono ancora venuti”; sta a noi invocarli, per recuperare quella dimensione d’ulteriorità che dà direzione all’esistenza.
Paolo Federico
C’è tutta una spiritualità atea misconosciuta e che un ateo che volesse dirsi consapevolmente e compiutamente ateo dovrebbe conoscere.
La scienza non da risposte, non ne ha mai date, essa indaga la manifestazione e ne deduce la leggi, punto. E’ la sua straordinaria facoltà di produrre risultati che le ha conferito l’aura divina che ha ingenerato nell’uomo moderno la fede nella sua falsa onnipotenza. Lo stesso errore ma in maniera molto più degradante lo si sta facendo con il denaro.
E’ già un grande passo avanti cominciare a vedere con chiarezza queste realtà.
Edoardo
Gentile Prof.
grazie per questa lettura che vola alto rispetto alle beghe quotidiane nelle quali siamo immersi.
Direi inoltre che, se scontro deve proprio esserci, questo non e’ tra civilta’ (e nemmeno piu’, ahinoi, tra classi) bensi’ tra societa’ laiche e illuministe e societa’ ancorate ad una visione religiosa del tempo e dell’uomo.
Ergo, avverto maggior affinita’ con l’iraniano progressista che non con il ciellino italiano (magari vicino di casa).
Lo iato c’e’, e si sente.
Che fare? Intanto magari Lor Signori potrebbero smetterla di foraggiare quei mostri fanatici a fini di regime change e destabilizzazioni varie…e la soluzione militare sarebbe molto piu’ facilmente praticabile…a proposito, esiste ancora l’ONU?
E poi? E poi il lento e meraviglioso cammino dell’uomo figlio dei Lumi, non per eliminare l’afflato verso la trascendenza (il sacro e’ bisogno insopprimibile, il religioso no), quanto per limitarne gli effetti nefasti.
Con stima, cordiali saluti
edoardo
marcot
Buongiorno Prof. Giannuli,
se ne deduce che l’ateismo rende deboli, vigliacchi, gretti e conigli. E magari anche qualche indicazione sul come mai, prima della rivoluzione industriale, non siano mai esistiti popoli atei.
Saluti,
Marco
Gianluca
Questo articolo centra una questione su cui spesso mi ero ritrovato a riflettere, che noi occidentali non sappiamo più “morire”, ed è difficile portare avanti delle guerre in queste condizioni, anche se ovviamente la guerra è solo una delle situazioni possibili perché, come l’articolo mette in risalto, le conseguenze di questa rimozione ce le ritroviamo nella quotidianità, nella strutturazione degli spazi urbani e dei tempi sociali.
Ma aggiungerei anche che l’islam contro di noi ha già vinto non solo perché non teme la morte, ma perché è fondato sulla comunità. Le moschee sono centri religiosi e di integrazione sociale allo stesso tempo, per cui gli islamici al di là di tutte le divisioni interne hanno dei valori ultimi che li tengono insieme, che fanno durkeimianamente da collante, mentre noi siamo individualizzati, in disaccordo su tutto e terribilmente impauriti. Sanno reggere meglio l’urto della globalizzazione, hanno già vinto.
victorserge
bravo gianluca: l’islam è fondato sulla comunità e questo ci sta fottendo.
noi siamo basati su fecebook e su twitter e siamo fottuti perché in fondo siamo disuniti.
noi siamo un processo irreversibile che nessun salvini o nessuna casa puond o forza nuova o marine le pen potranno far tornare indietro; ci siamo accorti del disastro troppo in ritardo: siamo una specie sociale decadente, nichilista e quindi in estinzione.
ma non c’è da preoccuparsi, se al vecchio(noi) si sostituisce il nuovo(altri) non è la fine del mondo: è il ciclo sociale del consesso umano.
ah, dimenticavo: tutto questo ha una ragione: lo sviluppo del capitalismo di rapina, non del capitalismo in sè e per sè ma quello di rapina ha prodotto il collasso della nostra società; se il “metron” è perduto altri lo ritroveranno e l’equilibrio sarà ristabilito e così ciclicamente fino all’avvento di una società compiutamente comunista.
altre vie, al momento non ne vedo.
saluti
victorserge
francesco t
Articolo interessante ma l’eterno presente dell’occidente in realtà non dovrebbe essere così foriero di segnali decadenti.
In realtà la tradizione orientale ci ricorda l’importanza dell’attimo in cui siamo e forse anche la meditazione serve a ricongiungerci con il qui ed ora.
Se non sbaglio non è la nostra società del fare che è sempre troppo proiettata nel futuro con tendenze nevrotiche o nel passato con tendenze depressive?
AM
Credo davvero che oggi ci si debba impegnare in discorsi di questo calibro, fare parecchi passi indietro nel percorso storico che ci ha portati al presente… attuale dove tutto sembra perder senso. La storia umana in quanto episodio del pianeta certamente sta terminando, e lo dico senza veicolare un senso apocalittico. La guerra tra scienza e religione anche è terminata da un pezzo, il terrorismo attuale è secondo me un ulteriore “episodio” che se inquadrato dal nostro punto di vista terreno appare per ciò che è o per ciò che ci dicono, ma se osservato da un punto di vista esterno, extraplanetario, extratemporale, appare per tutt’altro: un unico organismo afflitto da una malattia degenerativa, dove probabilmente l’assunzione di Religionix tavolette da 10 e di Scientix compresse da 100 ha innescato in alcune cellule un meccanismo di rigetto interno.
A mio avviso, pensiero religioso e pensiero scientifico stanno per essere sostituiti da un nuovo tipo di pensiero che caratterizzerà questo nuovissimo mondo superconnesso, vissuto ormai dai più nel real time e nella proiezione di scenari personali sempre meno canonizzati.
Il “terrorismo” (etichetta peraltro insufficiente e ridicola) è un episodio di tipo meccanico, probabilmente “muscolare”. Ragionare multiculturalmente sul profondo significato attribuibile alla opportunità “vita” e all’episodio “morte” lo trovo vincente, specialmente dalla parte nostra di osservatori. Se nel mix di farmaci citati più su aggiungiamo a iosa anche Politix gocce e Conspirax da 210 non faremo altro che assicurarci nuovi spasmi e dipendenze nel prossimo futuro.
La domanda interiore che ispira l’articolo del professore e che tutti dovremmo porci è:
ma io… che sono nato su un pianeta dove è in corso uno strano episodio culturale, e che ho la possibilità di muovermi per l’intero globo, come voglio vivere prima di morire?
Che i santi facciano i santi e che i criminali siano criminali; ma gonfiare nuovi miti di passaggio e vomitare i propri rifiuti interiori su culture lontane è l’ultima cura. E ciò non vale solo per noi a Occidente. La cultura ci impone da secoli di riversare e ricevere tali rifiuti. E con la stessa seraficità abbiamo vestito anche noi fino a ieri uniformi malconfezionate e imbracciato fucili arrugginiti.
Questa crescente era digitale non potrebbe aiutarci nel liberare il pianeta da rifiuti e azioni di tipo fisico? Non potremmo metterci d’accordo che nel sogno virtuale tutto sia possibile ma avere la maturità di vivere nel reame fisico senza più firmare assegni in bianco di nessun tipo e valuta?
mirko g. s.
Professore ma mica aveva la febbre alta quando ha scritto quest’articolo? ; )
Aldo Giannuli
assolutamente no. E mi pare che diversi interveniti non abbiano avuto la tua sensazione. Se poi qualcosa ti sembra strano entra nel merito
mirko g. s.
Gli interventi (nello specifico anche loro da aspirina) vanno accantonati visto che di solito scrive articoli ad hoc per replicare. il problema di fondo è che il contenuto tende a confondersi collo stile: in sintesi è un frullato di supercazzole. Lei scrive sempre (unica eccezione i 2 art sul binomio onestà incapacità che non solo io ho trovato assurdi) con lucidità ma stavolta ho letto un art da delirio, sembra un pezzo di quel filosofo che scrive su repubblica e che ha aperto la scuola per consulenti filosofici che quando scrive ricorda l’appendice alla pagina della sfinge, sembra un discorso di vendola, sembra uno di quei testi in uso in certe cattedre di filosofia del diritto. Metodologicamente ancora ma iniziamo ad invadere il contenuto tout court c’è sproporzione tra il livello del problema che è da pancia alle soluzioni offerte: è come se per stendere una zanzara anziché usare la scarpa uno chiamasse i NOCS. jung freud & co. Non servono. Se vuole posso entrare più nello specifico.
Aldo Giannuli
magari se entra nello specifico mi fa un piacere
ma non sarà che, più che essere assurdo quel che scrivo, è lei che non capisce quel che c’è scritto? Mi scusi ma il dubbio mi sorge
mirko g. s.
Forse sì forse no (e chiedo scusa per il ritardo nel rispondere). Lei dice che gli occidentali non capiscono gli arabi perchè i primi hanno paura della morte. Segue breve sinossi paradigmatica osmotico-speculativa circa la destruttrazione ceno-semiotica della tanatognomica mitteleuropea. Chiude con un esempio di ciò l’aumento delle “lucanie” (non l’ho trovato sul vocabolario) notturne e della pressione sonora. Infine una frase ad effetto chiastica da Appendice alla pagina della Sfinge sulla paura di vivere degli occidentali.
mirko g. s.
Orbene: in natura di norma funziona la via più semplice che esclude tutte le altre vie: l’acqua s’infiltra dove incontra meno resistenza così come l’elettricità, i fluidi tendono ad invadere gli spazi a minore concentrazione, etc.. Se tanto mi dà tanto allora anche nei fenomeni umani accade lo stesso. Non capisco perchè scegliere come chiave interpretativa la più supercazzologica. Allora: tutti hanno paura della morte per l’istinto di conservazione; le persone hanno bisogno di realizzarsi e di dare un senso alla propria vita; se un sistema garantisce questo nessuno si fa saltare in aria ma pensa a lavorare, scopare e crescere la propria famiglia; l’identikit del kamikaze medio è una persona depressa ed orfana; al martirio gli arabi (che non hanno paura della morte, eh) ci mandano sempre gli altri mentre i propri figli li mandano a studiare all’estero; la strategia dell’orrore è un chiaro strumento di guerra psicologica, nessuno ricorda il conte Vlad l’impalatore oppure cosa i Romani fecero coi corpi dei compagni di Spartaco? Poi mi piacerebbe sapere nell’800 chi pensava all’immortalità visto che la medicina faceva semplicemente ridere; uno dei grandi fisici dell’epoca disse ad un intervistatore che oramai avevano scoperto quasi tutto e che tempo 20’anni avrebbero scoperto tutto quello che ancora no conoscevano… in pochi anni le scoperte realizzate smentirono duramente quello che il tizio aveva detto; ancora chi era nelle condizioni di partecipare al dibattito sulle conquiste del progresso, il dominio sulla natura e lo scappellamento della tanatocisti visto che il sapere era appannaggio di pochissimi? Nessuno ricorda che l’11 Settembre non tutti i terroristi erano a conoscenza del reale epilogo dei dirottamenti ma unicamente i piloti? Nessuno ricorda come in Israele i servizi funziona così bene perchè c’è un esercito di palestinesi che non vedono l’ora di tradire i loro compaesani in cambio di qualche miglioramento delle loro condizioni di vita? Nessuno ricorda la folla di soldati che si arrendevano in Iraq alla vista delle truppe USA?
Non è allora che anche gli arabi hanno la stessa paura che abbiamo noi, che i kamikaze sono come i nostri imprenditori che non hanno più alcunchè da perdere e si suicidano o sparano nei tribunali, che in Francia molte speranze di vivere decorosamente non ci sono e questo crea ostilità al sistema e che se ingaggiati sul campo quelli dell’ISIS si arrenderebbero colla stessa facilità degli iraqeni? Dopo tutto nessuno ha paura della morte quando massacri i civili e non vedi all’orizzonte truppe nemiche.
Aldo Giannuli
Caro Mirko, se lei non ci ha capito niente in quello che ho scritto (e perciò le pare strampalato) non ci posso far molto, perchè è evidente che lei non ha le informazioni necessarie. Sul tema della “decostruzione del paradigmna della morte” c’è un dibattito che da alcuni anni sta coinvolgendo parecchi autori e quello che scrivo, per esempio, lo traggo da un saggio di Baumann al quale, magari faccia avere le sue illuminanti osservazioni. Mi limito a farle presente che se uno non ha gli strumenti culturali per affrontare un dibattito culturale, non se la può cavare con il senso comune da bar dello sport, ma abbia almeno l’umiltà di dire “mi sembra strano, non lo capisco, ma forse sono io che non ci arrvo”. Lei fa obiezioni di totale banalitò, ma questo è uno degli effetti del “populismo del web” e la ringrazio di avermi suggerito di scriverci su un pezzo. Mi scusi la ruvidezza, ma non è che Lei abbia aperto il discorso nel modo più garbato.
mirko g. s.
Se sono stato ruvido ha tutto il diritto di replicare anche piccato, chiedo scusa, pensavo di essere al più ironico come spesso è lei ma sono stato frainteso e mi dispiace. Detto questo le mie banalità da bar dello sport non le suggeriscono che forse la soluzione sia molto banale? Che ci sia un dibattito che io non conosco, al quale non arrivo e tutto il resto non significa che questo dibattito abbia un apprezzabile fondamento nel momento in cui le soluzioni prospettate sono di una complicazione tale da cercare la radice del problema anni luce dal problema stesso (le ho definite supercazzole per questo motivo). A questo punto è compito di chi propone questo dibattito sforzarsi di dimostrare che il dibattito stesso abbia una apprezzabile ragion d’essere. Un esempio portato è l’aumento della pressione sonora nelle città. Io francamente il nesso col concetto di morte non lo riesco a cogliere ma colgo un nesso con una mostruosa serie di clichè sul vivere isterico nelle città che da decenni sento in giro. E ripetere e ricicciare clichè non mi sembra un approccio metodologico produttivo. Forse, professore, la sua sintesi di questo dibattito (che non è da bar dello sport ma che inclina verso l’estremo opposto) è stata un pò troppo sintetica e intrisa di paroloni; spesso capita ad intellettuali di un certo tipo cui finora non mi aveva dato alcun indizio di appartenerci. Lei è sempre molto lucido e concreto nelle analisi, si può concordare o meno, possono essere esatte o errate, ma sono lucide, stavolta invece ho visto gettare un ponte tra cose come la psicologia di gruppi interi di popoli e la “paura di vivere”, il cui rapporto non mi è sembrato (uso una formula che mi suggerisce lei) affatto dimostrato. Ma forse sono un zuccone che non sa nuotare tra i fiordi! ; ) Attendo il suo pezzo sul populismo del web.
Aldo Giannuli
va bene, mi sembra che ci stiamo capendo. Vedo che ho dato per socntato troppe cose: è vero che la soluzione più semplice e diretta è. il puù delle volte, la più esatta, ma non sempre la strada di minore resistenza è quella che porta più lontano ed, in qualche caso, la linea di pendenza porta l’acqua in uno stagno.
Ci sono passaggi che dovrei spiegare meglio, ma dovrei scrivere un pezzo per interoo e magari lo farò. Qui mi limito a dire due cose: l’istinto di autoconservazione è quello primordiale in assoluta ed accomuna tutti gli animani, a maggior ragione tutti gli uomini, però, l’uomo che è l’unico animale che ha consapevolezza della sua mortalità, ha da sempre elaborato -in genere attraverso la religione- sue costruzioni culturali per rendere sopportabile questa idea e superarla e questo è il principale elemento di differenziazione antropologica delle varie culture. L’Occidente, dopo aver superato la “spiegazione cristiana” ha cercato di sostituirla con la fede nella scienza (che, a ben vedere, non è poi così meno religiosa dell’altra), oggi che anche questa entra in crisi per più versi, l’uomo occidentale si trova “solo davanti alla morte” e cerca di rimuoverne il pensiero (è quello che Bauman chjiama la solitudine del morente). I fondamentalisti dell’Isis (non gli arabi in generale o sli islamici) si sono accorti di questa fragilità e cercano di usarla nel quadrtoi di una vera e propria guerra psicologica.
Luce (le lucanie sono sinonimi del lumen, una misura della luce) rumore e notte: sono tre aspetti che evocano l’horror vacui della psicologia occidentale che è correlato all’idea della morte esattamente come lo è il sonno.
Ma ne riparleremo.
E’ utile questo dibattito? Direi proprio di si perchè ci sono conseguenze di lungo periodo di questo atteggiamento psicologico, ad esempio il “presentismo” e la rimozione del senso di responsabilità verso le generazioni future che è alla base dello scasso ambientale o dell’enorme debito accumulato. Non le sembrano questioni meritevoli di indagine?
AM
Gli e’ che il diritto al pensiero si esercita “a stella”, esplorando spesso campi e fili logici non sempre di agio quotidiano.
Ridurre il pensiero altrui, di piu’ persone, a una critica a base di “febbre e aspirine” e’ quantomeno triste…
E’ il mio modestissimo parere ma su Internet, le secche critiche sono uno spreco energetico. Questo e’ il luogo dei pensieri, e i pensieri possono essere estremamente profondi.
Qui tutti sono interessati a visitare fiordi mai esplorati. Per eventualmente proporsi e proporre nuove visuali.
mirko g. s.
Caringella scrive peggio, s’impegni di più.
AM
Se Caringella scrive peggio, perche’ dovrei impegnarmi di piu’?
^_^
“Ma allora Mastrella aveva ragione?”
😉
mirko g. s.
I dibattiti sulla crisi attuale del mondo e dello occidente sì. Quelli filosofici no perché pericolosi. Non posso dilungarmi come vorrei e avrei voluto e provo a sintetizzare come posso. Tra i tanti punti mi viene la descrizione dello aumento dei decibel. immediatamente mi è venuto un sorriso sicuro che non si basasse su uno studio scientifico con perizie fonometriche condotto su vasta scala in europa. Poi rileggendo ho notato la scelte delle parole e hp avuto la impressione che si trattasse prorio di una percezione qualcosa cioè di molto più emotivo di una osservazione da uomo acuto e presente a sè stesso. Uno stato di animo cioè. Una osservazione fatta col cuore non colla ragione. Lo stato di animo è ispirazione per poeti romanzieri e drammaturghi quando invece ispira filosofi avviene un approccio metodologico errato. io apparendo insolente intendevo darle una scossa prof. Perché mi sembra completamente abbacinato dalla eloquenza dei filosofi che sono professionisti della parola e spesso molto romantici. Credo sia molto pericoloso affrontare i temi del nostro tramonto ubriacati dal fadcino di belle parole che nascondono molto probabilmente malesseri personali di intellettuali che sono uomini come noi. Hitler per i suoi problemi personali stalin colle sue paranoie hanno realizzato disastri. E i bar dello sport sono rimadti inadcoltati come cassandra o come stanczyk nel quadro di matejko. Chi mi dice che coi filosofi non succeda in piccolo la stessa cosa? Aspetto i suoi pezzi in merito. Buona giornata E mi scusi per il ritardo con cui rispondo ma un pperiodo pesante.