Architettura: la scomparsa della piazza e le nuove cattedrali.

Nel giorno di Pasqua ho fatto due passi ed ho attraversato il nuovo Portello, fermandomi a guardare bene la piazza dove sorge “Casa Milan” che ho attraversato di corsa molte altre volte: un quadro del De Chirico metafisico di “Piazze d’Italia”. Un deserto in cui non si vedeva un passante. Ed anche le vie intorno (comprese quelle dell’altra parte del Portello) ripetono lo stesso copione: niente figure umane, panchine vuote, non esiste passeggio se non per poche persone nel parco che porta alla montagnola.

C’è una netta separazione fra la zona commerciale (una quarantina di negozi ed un paio di bar che “girano” intorno all’ipermercato, in uno spiazzo che è l’unico dove si affollano i passanti) e la zona “residenziale, nei cui viali non ci sono assolutamente negozi ma solo palazzi di 10-15 piani, recintati da robuste cancellate, con portinerie presidiate da vigilantes ed ai cui garage si accede direttamente dall’esterno, con saracinesche telecomandate).

Non si tratta solo di questa zona: quartierini del genere li ho visti in altre zone di Milano ed in altre città italiane e, navigando in internet, se ne vedono in molte altre città europee ed americane: è una tendenza precisa dell’architettura che intende garantire la “sicurezza” dei cittadini (ovviamente di quelli che hanno il denaro per permettersi una casa in questi complessi abitativi). L’abitante accede direttamente in auto nel garage videosorvegliato e, con l’ascensore, raggiunge direttamente il suo appartamento senza rischiare alcun incontro sgradito o pericoloso. Se vuol fare due passi ha il piccolo parco recintato e sorvegliato intorno al suo palazzo ed, ovviamente, non è incoraggiato a fare due passi per i viali che dividono i vari complessi abitativi, perché non c’è nulla oltre loro, non un negozio, non una vetrina, non un essere umano che passeggi. Quando, poi, vuol fare la spesa, non ha che da uscire in auto, accedere dalla strada al parcheggio del centro commerciale, ugualmente videosorvegliato e con vigilantes, salire con le scale mobili o il tapis roulante sino alla zona commerciale dove troverà i negozi ed un po’ di gente, nello spazio rigorosamente privato dove ci sono i tavolini di un paio di caffè. Anche qui il rischio di fare incontri pericolosi è risotto al minimo. Quando anche tutti i posti di lavoro, gli asoli nido e le scuole saranno muniti di parcheggio sotterraneo video sorvegliato e con vigilantes, con ascensore.

La vita del nostro amico sarà solo un passaggio in auto da un luogo protetto all’altro. Evviva: è il trionfo della sicurezza! Unica cosa: peccato che descriva un modello di vita tanto simile ad una autoreclusione.

D’altro canto, i grattacieli sempre più alti, con decine di piani e migliaia di appartamenti, si ispirano allo stesso principio securitario, con in più la funzione di “stupire”: i grattacieli sono le cattedrali del presente, le opere destinate a celebrare la potenza e lo sfarzo delle nuove signorie. Queste nuove cattedrali celebrano la diseguaglianza sociale, sono isole assediate di ricchezza nel mare della povertà , basti pensare al Brasile con i suo “ninos de la rua” che assediano i grandi complessi residenziali presidiati da guardie armate.

Tutto questo esige la fine dell’auto percezione del popolo ridotto a mero insieme di consumatori, nella migliore delle ipotesi, o a turba miserabile  e brigantesca nella peggiore.

Qui nella ancora opulenta (ma per quanto?) società europea quel che residua della socialità extradomestica è la piazza commerciale o (quel che fa lo stesso) quella del grande evento (concerto, partita o altro evento sportivo). Quello che muore è la piazza sociale, quella del mercatino rionale (destinato ad essere soppiantato dalla grande distribuzione, quella del parco libero, della strada, ma soprattutto scompare la “piazza politica”, quella dove il popolo si riconosce come tale, nelle sezioni di partito, nei cortei, nelle manifestazioni, ed anche nei disordini di piazza che ne esprimano la protesta. Alla perdita del luogo identitario del popolo-soggetto politico, viene offerto il surrogato della piazza virtuale, che, però, talvolta può funzionare come innesco di quella reale (vedi le primavere arabe).

A scongiurare il rischio di nuove rivolte è diretta questa martellante campagna contro le idee di classe e di nazione, cioè le principali identità collettive e per l’atomizzazione individualistica del corpo sociale. Un progetto ben servito da queste tendenze dell’architettura.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (18)

  • .. il corteo partirà da Piazza S. Carlo, percorrerà via Roma e via Po per confluire in Piazza Vittorio, dove alle ore … X terrà il comizio di chiusura …
    … fare la spesa a Porta Palazzo (in realtà Piazza della Repubblica) tutto a un euro …
    Le espansioni urbanistiche del novecento contemplavano la presenza della pubblica piazza, quale luogo di aggregazione di due grandi invenzioni, il partito di massa e il sindacato. All’occenza la piazza poteva/può essere trasformata nel luogo del mercato settimanale o fieristico.
    Come luogo piccolo e circoscritto la piazza era anche funzionale al controllo democratico sulle realtà amministrative locali.
    In seguito la TV (degenerata) è diventata il surrogato della piazza e dei suoi riti, con perdita di interesse per le realtà locali.
    I (non) luoghi della grande distribuzione comerciale hanno completato l’opera di spersonalizzazione colletiva e di impoverimento economico e culturale, mediante la organizzazione di eventi di livello similare a quello televisivo per attirare i grandi numeri.
    Però, urbanistica e piani commerciali sono materie dove le regioni hanno poteri rilevantissimi … per necrotizzare il tessuto di un vasto bacino.
    Si scopre così che le Regioni sono un attore politco per nulla secondario.

  • Porte blindate, cancelli, telecamere dovunque, negozietti di quartiere costretti a chiudere a causa della GDO con rapporti umani che vanno sempre più formalizzandosi, così come i cinema monosala soppiantati dai multiplex. Bambini che non giocano più in strada, percepita dai genitori come luogo ostile e pericoloso, e feste organizzate unicamente nelle ludoteche affidando ad un animatore l’ “organizzazione del divertimento” e delegando la spontaneità al mercato. A Napoli, da dove scrivo io, i mercatini rionali resistono, e probabilmente ci saranno ancora per molti anni, si tratta anche di un contesto dove si tende a stare molto più in strada rispetto alle città del nord e quindi a condividere spazi, eppure quelle logiche si stanno affermando anche qui allo stesso modo di contesti più opulenti. L’urbanistica appare totalmente scollegata dagli interessi della popolazione intesa come esseri umani, proprio nel momento di massima enfasi sulla “partecipazione” popolare alla progettazione urbana (tendenza quella della partecipazione che va dalla Pa alla scuola) con forte tendenza alla multidisciplinarietà (architettura, sociologia, geografia, antropologia…) . E pensare che c’è chi ritiene che tale autorganizzazione territoriale, di cui la nuova edilizia è considerata parte, possa essere un antidoto al neoliberismo.

      • Autori come michael peter smith o alfredo mela, che rivendicano la specifità dei contesti locali nel riarticolare le spinte globali, andando in tal modo contro autori come harvey o manuel castells a loro dire troppo concentrati sulle spinte uniformanti provenienti dall’alto. E in generale tutti quelli che abbracciano una pospettiva di “glocalismo” di baumaniana derivazione, una forma di interazione costruttiva tra attori territoriali pubblici e privati, portatori degli interessi degli abitanti, e attori economico-finanziari globali. Insomma una barzelletta, che però non fa ridere.

  • Un pezzo “francofortese”. E, mi perdonerà, non è necessariamente un complimento.
    Fuori di metafora: il rischio di fare l’apologia del mercatino rionale, dei bei tempi andati, etc etc, è sempre forte.

    Dopodiché su una cosa sono d’accordo: in certe zone di Milano, tipo Bicocca per intenderci (e spero di non offendere nessuno), non prenderei casa neppure se me la regalassero. Meglio via Padova allora, e non sono antifrastico.

  • Nostalgia dell’architetto Piacentini e del suo famoso “stile littorio”? Sissignore! Ma purtroppo pesa su di lui, come su altri geni italici dell’epoca, la “damnatio memoriae.” Il prof.Giannuli, cita l’arte dell’architettura, ove intervengo io a gamba tesa. Vogliamo fare paragoni tra la maestosità del quartiere della capitale ove sorge imponente l’Esposizione Universale di Roma, con il caravanserraglio del beaubourg di Parigi?Sono due “weltanschauung” in netta opposizione tra loro, la prima sorgente di civiltà, la seconda una immonda cloaca dei bei tempi moderni.Come chiosa finale poi ricordo la presa di posizione dell’ANPI bresciano, contro la ricollocazione della statua del “Bigio” in piazza della Vittoria. Nel 1945 la statua era stata simbolicamente “fucilata” e messa in uno scantinato per decenni, da un plotone di collaborazionisti dei gangsters statunitensi invasori.Avevano preso esempio dagli americani, i nuovi barbari, che non esitarono a radere al suolo l’Abazia di Montecassino, in ossequio alle direttive del generale Eisenhouer, che sosteneva che non un monumento, non una cattedrale europea, valeva la vita di un solo suo soldato.Vi è più arte in una sola città europea che non in tutta gli USA. Un popolo che è passato dalla infanzia alla senilità, senza la necessaria età della maturità.Presto molto presto, le nostre città europee verranno trasformate in tanti ghetti,ove l’unica identità che sopravviverà, sarà data dal gruppo etnico di origine, con la scomparsa di ogni traccia di architettura classica e al posto suo tante casbah.

    • “Un popolo che è passato dalla infanzia alla senilità, senza la necessaria età della maturità.”
      _______________________
      Lo stesso accade con certe idee della vita e del mondo, della ‘bruta’ morte e del piccolo paesino nel caso del fascismo, nato destinatamente (e ostinatamente) senile, rancido pure, vedi sopra, e qualcuno se ne vanta ancora… Beati Voi giovani camerati perché sarete confortati dal nonno Maffei!

      http://elpais.com/elpais/2016/04/08/opinion/1460116886_530433.html

      • @foriato. Non reputa opportuno fare una traduzione in italiano?Non tutti padroneggiano la lingua che fu del poeta e militare di carriera,ma anche avvocato di famiglia nobile colta, Josè Millan Astray, capo e fondatore della gloriosa Legione Spagnola. In un contraddittorio pubblico con un rettore universitario, personificazione dell’esangue, pallido, vigliacco intellettualoide decadente, fu celebre la sua provocazione:” Viva la morte, abbasso l’intelligenza”. Ci risparmi le sue sdegnate considerazione, le nostre idee sono quelle che smossero il mondo,le vostre ragli d’asino che non salgono al cielo.Adios amigos.

        • Camerata Maffei, ci faccia il favore di abbandonare questa agorá, che continua a disturbare con i suoi vaneggiamenti, e veda di fare altrove l’apologia del fascismo e di criminali genocidi come Millán Astray, responsabili di migliaia di morti innocenti.

        • Maffei: le vostre idee smossero il mondo? Si, pèortandolo sull’orlo del baratro,
          quanto alle altre ide che lei condanno non ho capito a chi si riferisce

          • @ come l’italiano è la lingua di Dante e l’inglese di Shakespeare, lo spagnolo lo è di Cervantes.
            Non mi pare che Millan A. abbia dato un grande contributo alla letteratura spagnola. Se poi cerca la provocazione …

        • Compagno Maffei,
          Non Vi stizzare, nessun sdegno, soltanto sanissima curiosità per i costumi sessuali di un fascista italiano standard.
          Certo che non tutti riescono a capire un cavolo di nulla, neanche nella lingua del grande Cielo-Ciullo d’Alcamo. In materia di asini siamo anche d’accordo però mi acconsenta un suggerimento: se volete che i Vostri ragli arrivino a qualche cielo bisogna si tolga prima il ciullo del nonno, per una questione di elementare civismo (non si parla con la bocca piena) sotto pena di sprigionare a mala pena simpatico ruttino che, come disse l’insigne poeta, forse pensando a Millán Astray oppure a Lei dopo qualche letturina mal digesta, è (in parafrasi) un peto rovinato ché per puro sciagurato non poté arrivare al culo.
          Riguardo al ‘esperpético’ incontro del 36 alla Università di Salamanca, dimentica la replica di Unamuno alla suddetta stupidata, ‘vincerete ma non convincerete’. E alla fin fine, malgrado tutta la forza bruta dimostrata, e malauguramente per Voi, nè l’uno nè l’altro… Pazienza Tigre!

  • Piacentini insieme a Calza Bini sono in cima alle lodi che recito nei momenti di totale stasi degli ingorghi stradali.
    P.s. Le risulta che fosse(ro) allergico/i ai binari ferroviari?

  • Una piccola testimonianza personale sull’argomento. Io ho un bel gattone rosso di nome Ettore. Quando compravo la salsiccia al supermercato gli davo la ‘pelle’, come si faceva una volta con i gatti, ma lui l’annusava un po’ e poi la lasciava lì. Io pensavo fosse un gatto viziato assuefatto ai croccantini. Un giorno mi è capitato di acquistare della salsiccia in una macelleria e il gatto la ‘pelle’ l’ha mangiata e si è pure leccato i baffi. Morale. Adesso la carne la vado a comprare dal macellaio, la frutta e verdura dal contadino ed al supermercato ci vado solo per i prodotti confezionati.

  • Mi trovo d’accordo con Giannuli sul senso complessivo dell’articolo, ma vorrei sottolineare l’inesattezza della analogia proposta fra i grattacieli e le cattedrali.
    Il grattacielo marca una distanza nel senso della separazione, dell’isolamento e della avulsione, mentre la cattedrale esprime una distanza che è però centro gravitazionale, riferimento e coagulo della società: non a caso ad essa corrisponde sempre una piazza quale analogia della comunità, sulla quale essa domina e si erge come faro; presenza questa sempre assente nel caso dei grattaceli, i quali tendono piuttosto ad affastellarsi in uno spazio ristretto quasi a voler ribadire il senso di distacco ed isolamento, punto iniziale di ogni alienazione.
    Sotto la minaccia ottomana i zagabresi costruirono mura e bastioni fortificati intorno alla loro cattedrale come fosse una creatura vivente, la loro stessa anima, da difendere a costo della propria vita.

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