Ancora a proposito del mancato accordo sul clima e sull’eterno presente…

Ancora a proposito del mancato accordo sul clima e sull’eterno presente…

Le ragioni del fallimento del negoziato sul clima sono molteplici e, forse, quelle  di maggior  interesse non sono di ordine politico o economico, quanto quelle di carattere antropologico.
E’ accaduto qualcosa di stupefacente: si profila una catastrofe che può mettere in discussione la sopravvivenza di centinaia di milioni di esseri umani (e che forse, può minacciare la stessa specie), ma non si riesce a trovare un accordo neppure minimo. E la cosa più impressionante è che, a questa manifesta impotenza/incapacità dei governanti, corrisponda un sostanziale disinteresse dei governati. Anzi: l’operaio Joe della fabbrica d’auto di Minneapolis è pronto a fare barricate per difendere la sua fabbrica, ma non gli interessa più di tanto la questione del clima. Anche se, magari, questo può significare che fra 10 anni possano esserci  processi sociali, economici e naturali per i quali il fallimento della sua fabbrica sarà l’ultima delle preoccupazioni anche per lui.
In questo influiscono diversi fattori: l’incertezza delle valutazioni degli stessi scienziati, lo scetticismo dei più sull’effettiva portata del problema, la distanza di tempo (dieci anni ormai appaiono un’era geologica e sei mesi sono il massimo di orizzonte temporale che abbiamo davanti). E’ il fenomeno del “pensiero corto”  di cui andiamo accorgendoci da qualche tempo. Ci sono precise ragioni culturali a determinare questo, prima fra tutte la cieca fede liberista nel mercato come meccanismo autoregolatore del mercato che basta a sè stesso, in secondo luogo il rifiuto del senso della storia, che insegna che senza interesse per il passato non c’è visione prospettiva del futuro.
Ma a noi sembra che prevalgano ragioni più profonde, di ordine antropologico.
C’è un paradosso assoluto che merita di essere segnalato. Da alcuni anni ci sono scienziati che, in tutta serietà, si dedicano all’obbiettivo di rendere l’uomo immortale.
Si scrivono saggi teologici e di filosofia morale in proposito, nelle pagine di informazione scientifica e culturale dei quotidiani se ne parla come di qualcosa, forse lontana, ma tecnicamente possibile.

Da tempo negli Usa ci sono associazioni –anche abbastanza numerose- di persone che si fanno ibernare in attesa che la scienza scopra il rimedio alla malattia che oggi li condannerebbe a morte certa.
Ovviamente non di immortalità come eternità potrebbe trattarsi (chè, questo, richiederebbe che la specie e, via via, il sistema solare, e la materia stessa fossero eterne, quello che non ha alcuna plausibilità scientifica) ma, diciamo così, di una vita a tempo indeterminato, lunga migliaia e forse centinaia di migliaia di anni. L’”appuntamento” non sarebbe annullato, solo rimandato, ma a chissà quando.  Lasciamo da parte l’auspicabilità di un simile orizzonte e concentriamo l’attenzione su una banalissima osservazione: l’uomo aspira da una esistenza individuale di migliaia di anni, ma non si pone il problema delle condizioni di sopravvivenza sul pianeta fra pochi anni. Che senso ha tutto questo?
Occorre scavare in questa perdita di senso per comprendere quali mutamenti antropologici si siano prodotti nel secolo che abbiamo appena concluso. Dobbiamo capire che l’Uomo del Novecento è molto più diverso da quelli che l’anno preceduto di quanto noi non abbiamo compreso si qui. Forse dovrei dire l’Uomo occidentale, ma, a giudicare dal comportamento anche dei nuovi paesi emergenti mi pare che il discorso riguardi anche loro.

L’uomo secolarizzato del Novecento, orfano dell’idea di Dio, cerca rifugio nell’illusione di un eterno presente.
Tutto questo ha determinato la rottura del patto con la posterità: l’uomo del duemila si vuole  postero a sè stesso e non avverte alcun dovere etico verso le future generazioni, perchè rimuove l’idea stessa di futuro.
Essendo ateo e materialista non credo che la “cura” sia la riscoperta dell’idea di Dio, credo piuttosto che sia urgente costruire un nuovo senso della storia per rompere l’incantesimo del presente immoto ed eterno.

Aldo Giannuli, 15 gennaio ’10

aldo giannuli, clima, crisi economica, immortalità uomo


Aldo Giannuli

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Comments (2)

  • Sono d’accordo riguardo il tramonto della religione come causa dell’attuale concentrazione esclusiva sul presente, ma non credo che quando la religione era molto più viva gli uomini fossero più coscienti del proprio passato.
    È vero che la questione climatica è snobbata dalla stragrande maggioranza delle persone, ma secondo me non perché concentrate sul presente. A mio avviso si tratta di dissonanza cognitiva risolta “modificando il proprio mondo cognitivo”.
    Così come la volpe dell’uva conclude che “tanto è acerba” così la maggioranza conclude che “tanto non finirà il mondo”.
    Infine non mi sembra plausibile che le opinioni della gente possano influenzare gli accordi tra gli stati…

  • due suppongo siano le possibilità a questo punto: vivere tutto ciò che l’uomo può creare, soddisfacendo qualsiasi curiosità compresa la propria distruzione, oppure ammettere dei limiti e rinunciare alla propria onnipotenza sapendo che questa canterà per l’eternità come le sirene di ulisse.

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