Elezioni Europee 2009: l’analisi del voto
Non avevamo sbagliato invitando alla cautela sui sondaggi elettorali ed avvertendo su possibili sorprese, sia per la massa di indecisi fra le varie liste, sia, soprattutto, per la possibilità di un forte astensionismo.
In effetti, rispetto alle elezioni politiche di un anno fa:
a- i votanti sono diminuiti di 5.206.531 unità, mentre
b- le schede bianche sono aumentate di 502.963 e quelle nulle di 167.789
c- per cui i votanti in assoluto sono diminuiti di 5.877.263
E questo è il primo dato da cui occorre partire per comprendere il voto.
Sin qui, i commenti hanno seguito la logica della comparazione percentuale fra le politiche di un anno fa e quelle odierne, come se ci fossero stati flussi di voti da un partito all’altro. Le cose non stanno così e per capirlo è più utile comparare i voti in cifra assoluta, per cui abbiamo:
PdL – 2.821.742 voti
Pd – 4.085.115
Lega Nord + 102.157
Di Pietro-Idv + 859.037
Udc – 53.408
Rifondazione -86.181 (Sin Arcob)
Radicali + 743.273
La destra-Mpa (-613.667 sulla sommatoria dei due partiti un anno fa)
Sinistra è Libertà + 602.883 (detraendo dall’attuale risultato i 355.575 voti dei socialisti).
Dunque, i soli partiti che incrementano in cifre assolute sono l’Idv e (pochissimo) la Lega, mentre vanno considerati a parte i radicali (che erano presenti nel Pd nel 2008) e i vendoliani, alla loro prima presentazione, ma su cui va calcolato il risultato socialista di un anno fa. Se sommiamo Socialisti, Sinistra arcobaleno, Sinistra critica, Pcl, Alternativa Comunista e Per il bene Comune di un anno fa, abbiamo circa 1.870.000 voti contro i 2.163.022 attualmente presi da Rifondazione, Vendola e Ferrando. Dunque circa 300.000 voti in più.
Fatte queste premesse si ricava che i flussi elettorali “visibili” fra i diversi partiti sembrerebbero:
a- circa 100.000 voti dal PdL alla Lega
b- circa 800.000 voti dal Pd a Di Pietro (che, però, può aver assorbito qualcosa anche da Rifondazione)
c- circa 700.000 voti dal Pd ai radicali
d- altri 300.000 voti dal Pd alle altre liste di sinistra.
In totale, meno di 2 milioni di voti.
Però vanno calcolati anche i flussi “occulti” cioè quelli che si incrociano compensandosi a vicenda: se 10 elettori vanno dal partito A a quello B e 7 vanno da quello B a quello A, sembra che si siano mossi solo 3 elettori, mentre se ne sono spostati 17. Ci prova il “Corriere delal Sera” del 9 giugno, attraverso un sondaggio, per cui i movimenti fra liste ammonterebbero a 3.800.000 complessivi. Può darsi, però saremmo curiosi di conoscere la campionatura del sondaggio e le procedure adottate perché il dato ci sembra sopravvalutato e i conti non ci tornano. Per esserne sicuri dovremmo conoscere i dati a livello di sezione elettorale, campionarli e applicare un sistema di equazioni. Per ora ci sembra di dire che il fenomeno della mobilità infra-partitica, con ogni probabilità, si aggiri intorno ai 3 milioni. Contro i quasi sei che si sono spostati dal voto all’astensione.
Dunque il primo punto da sciogliere è proprio questo: capire il senso politico di questa massiccia astensione che può avere molte chiavi di lettura:
a- un generale senso di stanchezza verso la politica ed i suoi riti
b- disinteresse per il Parlamento europeo (come è accaduto dappertutto)
c- il senso di “vittoria acquisita” che può aver demotivato molti elettori del PdL o quello di “sconfitta scontata” che può aver avuto lo stesso effetto sugli elettori del Pd
d- la delusione verso il partito di riferimento che non diventa ancora voto ad altro partito, ma “passa” attraverso l’astensione
e- l’insoddisfazione verso le liste presentate che ha scarsamente motivato gli elettori.
E’ ragionevole pensare che queste diverse motivazioni abbiano giocato tutte, ma, questo è il primo punto, non sappiamo in quale misura reciproca e, dunque, a quali comportamenti elettorali possano preludere.
Infatti l’elettore del tipo A, presumibilmente continuerà ad astenersi nelle prossime elezioni, quello di tipo B probabilmente tornerà a votare per le politiche e le regionali (ma non è scontato che torni a votare quello che votava prima). Quello di tipo C realisticamente tornerà a votare per il partito che già godeva delle sue simpatie. Mentre quelli di tipo D probabilmente modificheranno la loro espressione di voto. Va detto che il risultato delle amministrative, generalmente favorevole al centro destra fa pensare che ci sia una parte rilevante di elettori di destra di tipo B o C.
In secondo luogo, va tenuto presente che di qui alle prossime regionali c’è quasi un anno nel quale occorrerà affrontare il banco di prova della crisi e non è improbabile che questo modifichi i pareri di chi, astenendosi, ha già dato segno di un legame blando con il partito votato precedentemente. E questo è un aspetto che riguarda in particolare la tenuta delle forze di governo.
Per ora limitiamoci a dire che ci sono quasi sei milioni di elettori che sono entrati nel “Punto di confusione” dal quale possono uscire in modo repentino, causando veri e propri terremoti elettorali.
Detto questo, passiamo all’analisi della posizione dei vari soggetti politici.
Berlusconi: è il primo sconfitto di questa tornata elettorale, sia perché aveva creato una forte aspettativa di vittoria, che trasformano quei due punti percentuali in meno in una vera debàcle, sia perché in assoluto perde quasi 3 milioni di voti, sia, soprattutto, perché aveva chiesto un plebiscito che non è venuto.
Inoltre, a questo punto, si ritrova un alleato-concorrente ancora più esigente e aggressivo. E la minaccia di elezioni anticipate diventa un’arma spuntata. Inoltre, questo risultato segna la fine della “luna di miele” con l’elettorato. Troppo presto per darlo per morto politicamente (in fondo, il successo alle amministrative fa pensare che una bella fetta di quegli astenuti possa tornargli) ma abbastanza per dire che il suo momento migliore è passato e d’ora in poi la strada è in salita.
PD: è l’altro grande sconfitto; anche se sembra aver arginato le perdite, ha perso pur sempre il 7% in un anno (che non è cosa facile a vedersi) ma, soprattutto, ha perso 4 milioni di voti, cioè 1/3 del suo elettorato precedente e la flessione è stata attenuata proprio dalla parallela astensione degli elettori del PdL. Insomma, il “partito autosufficiente ed a vocazione maggioritaria” è a poco più di un quarto dei voti, ha litigato con tutti i suoi alleati (Radicali, socialisti, Di Pietro, Rifondazione) ed anche se l’Udc accettasse di allearsi, partirebbe dal 32%: meno di quello che aveva un anno fa da solo. Dunque, l’ipotesi che il Pd possa tornare a vincere appare, per ora, molto, molto remota. E, per di più, non è difficile prevedere la stagione di lotte intestine che lo attende, soprattutto dopo il fiasco alle amministrative.
Idv: unica lista a poter cantare pienamente vittoria avendo incrementato -e molto- sia in percentuale che in voti assoluti, ma forse si tratta più di un successo elettorale che politico: resta pur sempre un “peso medio” e non è chiaro che uso possa fare dei consensi raccolti. Troppo pochi per costituire un polo a sé stante ed in posizione troppo di punta per risultare facilmente solubile in alleanze con Pd e Udc.
Lega: al contrario del precedente, ottiene un successo più politico che elettorale: l’incremento in voti assoluti è modesto (100.000 voti) e un ritorno di fiamma dall’astensionismo al PdL lo ridimensionerebbe subito. Però ottiene un indubbio vantaggio di immagine ed incassa una fitta serie di sindaci e presidenti di provincia. A “pagare” la Lega è stata soprattutto l’immagine vincente che è riuscita a costruirsi: aver vinto le battaglie sul federalismo fiscale, sul pacchetto sicurezza, sulle quote latte è qualcosa che va al di là del merito di ogni singolo provvedimento e segnala un partito per nulla disposto a fare da “spalla” all’alleato più forte. Rilevante, in questo senso, anche la battaglia, coronata da successo, per non accoppiare il referendum elettorale alle europee: non solo la volgare campagna dei referendari sulla “Lega sprecona” non ha intaccato minimamente la sua base elettorale, ma la determinazione con la quale Bossi ha minacciato la crisi di governo, ottenendo il ripiegamento di Berlusconi, ha rafforzato l’immagine di partito che ottiene quel che vuole.
Udc: altro successo più politico che elettorale (dove all’incremento in percentuale corrisponde un lievissimo cedimento in voti assoluti), la flessione del Pdl e la prevedibile conflittualità nella maggioranza mettono l’Udc in condizione di vantaggio nel caso di negoziati. Tuttavia il partito di Casini resta ancora schiacciato dalla logica bipolare per cui né i cattolici della Margherita né quelli del Pdl si decidono a fare il passo per convergere in un nuovo grande centro cattolico e la formazione siciliana di Lombardo gioca un ulteriore ruolo centrifugo di disturbo.
Di Rifondazione e di Vendola diremo in una prossima occasione.
Aldo GIANNULI, 9 giugno 2009
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