Una campagna elettorale diversa. 1°: Abolire il redditometro

E’ facile prevedere che questa campagna elettorale sarà di uno squallore irripetibile. È tale il deserto di idee, che non è difficile immaginare che sarà una cosa combattuta a colpi di scandali, minacce, avvertimenti più o meno mafiosi. Albertini ha dato inizio alle danze e vedrete che proseguiremo secondo il noto copione della “merda nel ventilatore”. Io, però, non ho molta voglia (non so voi) di passare le prossime sei settimane a piangermi addosso su questo schifo ed, a modo mio, voglio fare la campagna elettorale. Una campagna diversa dalle altre che vorrei fare con voi, se mi aiutate:
– come sempre, non sono candidato e non  chiedo voti;
– non mi interessa neppure sollecitare voti per questo o quel partito (questa volta non ne avrei davvero motivo);
– la mancanza del voto di preferenza mi priva anche della possibilità di sostenere qualche candidato particolare;

Però, credo che si possa fare utilmente qualcosa facendo campagna non per dei simboli o delle persone, ma per delle idee. Ci lamentiamo del fatto che i programmi sono vuoti e generici? Allora cerchiamo di proporre noi qualcosa. Una campagna elettorale rovesciata nella quale non sono i partiti (che non hanno davvero niente da dire) a dire agli elettori cosa occorra fare, ma sono gli elettori a dire a questi beoti cosa andrebbe fatto, nella speranza che qualcuno di loro recepisca almeno un paio di idee. Vogliamo provarci? Vi chiedo solo due cose:

1. intervenire più numerosi del solito

2. fare da virus: mandare mail agli amici che si immaginano interessati, segnalare agli amici di fb, di twitter, di linkedin questa nostra iniziativa ed invitare tutti ad intervenire.

Questa è un’ iniziativa no-copywright: qualsiasi lista di sinistra può tranquillamente appropriarsi di qualsiasi idea venga da questa discussione senza citare la fonte. Non ci interessano medaglie ma che si discuta di politica.

E partiamo da un esempio: la questione del redditometro, presentato come una grande trovata contro l’evasione fiscale e che, dal prossimo anno inizierà, a mordere. Ragioniamo su che effetti produrrà.

L’idea è scovare l’evasore dimostrando che ha consumi irragionevolmente superiori al reddito dichiarato. Il punto è questo:  se fissi l’attenzione sui consumi, stai colpendo le fasce di reddito medie e medio basse, cioè il lavoratore autonomo che “imbosca” una parte dei suoi guadagni o anche il lavoratore dipendente che “arrotonda” facendo l’idraulico o l’elettricista senza partita Iva ecc.. Naturalmente, in queste aree sociali si nasconde una fascia di evasione, non c’è dubbio, ma è quella che conta di più? Certo, si tratta di molte persone, ma quale è la cifra che ciascuno evade? In tutto il mondo, i 20 anni di neo liberismo hanno prodotto una gigantesca redistribuzione della ricchezza, per la quale i redditi da capitale (interessi, plusvalenze, ecc.) sono alla metà del Prodotto lordo mondiale. Dunque, è evidente che la fascia più rilevante, ai fini fiscali, è quell’enorme patrimonio finanziario accumulato.

Ma, restiamo all’Italia:  da un recente libro di cui consiglio la lettura per i dati che offre (Nunzia Penelope “Ricchi e poveri” Milano 2012) apprendiamo che il 10% della popolazione italiana possiede il 50% della ricchezza nazionale. E, ragionevolmente, il 10% di quel 10% possiede da solo oltre la metà di quel 50%, cioè, l’1% della popolazione italiana dispone di circa il 25% della ricchezza nazionale. Fatevi due conti e capirete che il cuore del problema fiscale è quell’1% di Paperon de Paperoni (o, se preferite, di Tronchetti Provera, Lapo Elkann, Silvio Berlusconi, Fabrizio Palenzona, Cesare Geronzi, Giovanni Bazoli, Giorgio Armani, Diego Della Valle, Alessandro Profumo ecc ecc.) ciascuno dei quali vale legioni di dentisti, notai, taxisti, farmacisti, architetti ecc. (per non dire di operai e impiegati che fanno il doppio lavoro). Ed è evidente che l’evasione si questi signori (che hanno per tempo provveduto ad imboscare i loro capitali nei paradisi fiscali ed attraverso il meccanismo delle scatole cinesi delle società più o meno di comodo) non la beccheremo mai attraverso l’indicazione dei consumi: il signor Tronchetti Provera non mangia 386 volte al giorno perché è 386 volte più ricco del notaio Rossi e, per quanto le sue spese possano essere più lussuose, la gran parte del suo reddito non andrà in consumi, ma in accumulazione capitale.

Ed, allora, quando parliamo dell’evasione dei super capitalisti? Quindi, il redditometro è solo un mezzo attraverso il quale spremere quel che resta del ceto medio e distrarre l’attenzione dalla vera evasione fiscale –quella che conta-.

In secondo luogo, il redditometro, prendendo di mira i consumi, è destinato ad incidere negativamente su di essi. Insomma: se devo stare attento a quanto ho speso di abbigliamento questo mese, magari rinvierò l’acquisto della camicia al prossimo mese e, magari al prossimo anno, se siamo a novembre. Morale: in una situazione di recessione noi che facciamo? Colpiamo i consumi. Geniale!

Terzo, il redditometro è costruito con criteri capziosi e medie del tutto inventate, per cui è facilissimo che questo produrrà un contenzioso a valanga e renderà più complessa la dichiarazione dei redditi: tutti affari in più per i commercialisti… ai danni dei contribuenti. Si era detto di un fisco più semplice e comprensibile, non mi pare il caso di aggiungere una nuova misura vessatoria.

Quarto ed ultimo: si tratta di uno strumento di inquisizione fiscale gravemente lesivo delle libertà costituzionalmente garantite. Pagare le tasse è un dovere, d’accordo (ed aver pagato ogni volta sino all’ultimo centesimo è per me motivo di orgoglio), ed è anche giusto che il fisco, possa effettuare le verifiche necessarie, ma di qui a sindacare su come un cittadino spende il suo denaro ne corre…

Neanche a farlo apposta, il redditometro si presta ad una campagna elettorale frontale sia contro Berlusconi (che lo istituì) che contro Monti (che lo ha cavalcato alla grande): all’uno ed all’altro possiamo rinfacciare quanto siano demagogici e falsi i loro proclami odierni sulla riduzione della pressione fiscale.

Ed, allora, voi che ne pensate? Su quali idee mi proponete di discutere?

Aldo Giannuli

abolire redditometro, aldo giannuli, berlusconi, bersani, campagna elettorale delle idee, cesare geronzi, ceto medio, fabrizio palenzona, gabriele albertini, giovanni bazoli, lapo elkan, mario monti, redditometro, tronchetti provera


Aldo Giannuli

Storico, è il promotore di questo, che da blog, tenta di diventare sito. Seguitemi su Twitter o su Facebook.

Comments (47)

  • Sinceramente a me il concetto del redditometro invece piace. Forse sono caduto vittima del pensiero montiano; ma l’idea di un sistema che paragoni redditi e consumi in sé mi sembra giusta. Solo, non per tutti i consumi – per esempio, lo stracitato yacht o posto nave in Costa Smeralda. Sono già stato “vittima” di un controllo fiscale e sinceramente ero tranquillissimo di non dovere dare nulla a nessuno perché sapevo di avere comprato e ricevuto tutto onestamente. L’unica paura era l’errore fiscale, che esula dalle mie responsabilità di contribuente fiscale dello Stato da un lato e di beneficiario di crediti dall’altro.

    Ciò che il redditometro non deve essere è uno strumento ulteriore di “mungitura”, questo è scontato. Perciò non parlerei mai di abolizione ma di pesante ristrutturazione del sistema di raffronto redditi/consumi.

    A ciò è fortemente legata la necessità di formare una anagrafe fiscale – e una sua gemella patrimoniale – consolidata. Mentre la prima mi sembra esistere ed è utilizzata dalle fiamme gialle, la seconda mi risulta inesistente (salvo mio personale errore).

    Infine al redditometro aggiungerei un “renditometro” legato al possesso di titoli finanziari (come il Professore Giannuli ha accennato con le “scatole cinesi”).

  • Penso che il redditometro possa essere utile al puro fine statistico di individuare le tendenze di spesa degli italiani e magari mettere a punto strumenti più mirati di contrasto all’evasione. Il problema principale per me è l’uso spregiudicato dell’elusione fiscale, cioè un mezzo lecito per mettere in sicurezza o pagare meno tasse possibili, magari all’estero. Altro problema che vorrei sottolineare è che il governo si è ben guardato dal mettere in competizione fiscale i prestatori di servizi (artigiani, professionisti, piccoli imprenditori) con i fruitori degli stessi, permettendo la detrazione integrale dell’IVA da dette prestazioni. Allora di cosa parliamo, visto che le risorse economiche per implementare un così gigantesco sistema di raccolta ed elaborazione di dati sensibili sono (per fortuna in questo caso) sempre più ridotte (..la cosiddetta spesa pubblica)? Ma quando si parlerà di rilancio economico o alemno valorizzazione economica del territorio, invece di ulteriore spremitura di tasse? Qui si pone il dilemma principale: ma a cosa servono le tasse che paghiamo?

  • Sinceramente non ho le conoscenze per giudicare il redditometro in maniera dettagliata. Il mio discorso è politico e non tecnico. Non so se questo redditometro sia efficace, ma oltre che alla redistribuzione del reddito, abbiamo bisogno della redistribuzione del carico fiscale. Lo stato italiano è mantenuto dai lavoratori a reddito fisso, siano essi operai o dirigenti. È inconcepibile che il reddito medio dichiarato da un gioielliere sia di 17.000 euro. Mi fa venire voglia di entrare in gioielleria e fargli l’elemosina. Quindi se la cosiddetta classe media è una classe di evasori , cioè ladri, e se il redditometro gli rompe i cosiddetti, ben venga. Deprime i consumi? Si toglie l’IMU sulla prima casa e si abbassano le tasse a chi le ha sempre pagate fino all’ultimo centesimo, vedete che i consumi aumentano.
    Che il redditometro non valga per chi imbosca i capitali all’estero (ma anche il gioielliere lo fa!) è vero. E io non ho purtroppo le conoscenze per proporre soluzioni. Certo le soluzioni non possono venire da un governo composto da tecnici che per tutta la vita hanno lavorato per trovare il modo di permettere a banche ecc. di eludere/evadere le tasse! Intanto è fondamentale dotare almeno tutta la zona euro dello stesso regime di tassazione, visto che abbiamo la stessa moneta. Così Depardieu non può andarsene in Belgio per non pagare le tasse. O le società aprire sedi fittizie in Lussemburgo. Ma la lotta deve essere comune a livello europeo, per cui è fondamentale la politica estera.
    Si potrebbe anche immaginare una riforma fiscale che rivoluzioni completamente il sistema. Prima di tutto non si trattiene a monte niente a nessuno. Poi si pagano le tasse non sul reddito lordo, ma su quello che ti rimane dopo che hai detratto le spese, con giusti ma limitati accorgimenti sulle spese detraibili. Il redditometro non sarebbe più necessario perché tutti si munirebbero delle pezze giustificative che documentano le spese.

  • L’idea di fondo del post non solo è condivisibile, ma è anche condivisa. Da chi? Dall’OCSE e dalla UE. Lasciamo stare la storia dell’OCSE e da dove esso nasce. Consiglio a chi si interessa dell’argomento (io lo sto facendo per la mia tesi di laurea) di leggere i diversi rapporti emanati negli ultimi anni dall’organizzazione sulla fiscalità e la redistribuzione della ricchezza per rendersi conto che il tema qui sollevato è importante non soltando per noi “di sinistra”, ma anche per i “tecnici” dell’OCSE e della UE. Il riferimento ai tecnici non è casuale, perchè è stato quello che al momento sembra essere il tecnico per eccellenza a porre in maniera sostanziale il problema. Il “pacchetto fiscale Monti” fu in un certo senso rivoluzionario da questo punto di vista perchè cambiò lo sguardo con cui la UE guardava alle questione fiscali. Se dall’atto Unico si parlava solo di “neutralità fiscale” come di una necessità per garantire il buon funzionamento del mercato unico, in pieno ossequio alla concezione neo-liberista dello Stato, a partire dal ’97 si cominciò a parlare di concorrenza fiscale dannosa e di lotta all’evasione sui redditi da capitale per contrastare lo spostamento degli oneri tributari dal capitale al lavoro (e faccio presente che il documento è stato redatto dalla DG ). I risultati concreti sono state la revisione di alcune direttive che regolavano i flussi di capitali tra gli Stati e soprattutto l’introduzione della direttiva risparmio. Qui vengo al punto, scusandomi per la lunghezza della premessa.

    I problemi della tassazione dei redditi da capitale sono all’ordine del giorno di molte organizzazioni internazionali (oltre all’OCSE) e lo sono soprattutto sull’agenda del commissario europeo alle questioni fiscali, il lituano Algirdas Shemeta, uno dei pochi funzionari UE che, alla luce dell’impegno che sta profondendo nella questione, mi ispira davvero fiducia.
    La tassazione dei redditi da capitale è enormemente complicata perchè, a causa degli sviluppi tecnologici e della libertà di movimento dei capitali, spostare soldi da un posto a un altro è molto facile e a ciò si aggiunge l’esistenza di giurisdizioni che non accettano di collaborare aderendo a un regime di scambio di informazioni tra autorità tributarie. Per questo, a mio avviso, sostenere che sia possibile risolvere la questione a livello nazionale è demagogia. Il massimo che possiamo fare a livello italiano, che coinciderebbe allo stesso tempo con il peggio, è firmare un accordo-farsa con la Svizzera e gli altri “Stati-forziere” perchè si incarichino loro di tassare i capitali di residenti italiani, invece di obbligarli a scambiare informazioni con la nostra amministrazione tributaria. Si tratterebbe di istituzionalizzare quello scempio che è stato il cd. “scudo fiscale” di tremonti. Fare questo significherebbe, non solo a parer mio, vanificare gli ultimi anni di lavoro sui fianchi di svizzera, liechtenstein, andorra, san marino e monaco che la UE ha compiuto per far loro rinunciare al segreto bancario e indurli a collaborare. La soluzione è raggiungibile solo a livello internazionale. I progressi ci sono già stati e ce ne saranno ancora, specie se alla camera dei rappresentanti non ratificheranno l’accordo GB-Svizzera.

    Personalmente mi auguro che il redditometro, per quanto possa essere considerato detestabile sotto molti punti di vista (anche se a dir la verità non ho capito quali principi costituzionali violerebbe…), sia efficace nel ridurre quella piaga che è l’evasione fiscale, considerando che essa è davvero una violazione del principio di equità orizzontale negli obblighi tributari che la dottrina tributaristica italiana associa all’articolo 53 della costituzione.

    p.s. chiedo scusa per l’eventuale poca chiarezza, ma la stanchezza avanza.

  • Mi permetta di dirle Sig. Giannuli che questo post e’ controverso. Infatti in un suo precedente afferma che: “Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi: ricordiamolo sempre”. Questo lo asseriva riferendosi al M5S, forse ha ragione, ma mi pare che ora lei stia provando a fare cio’ che Grillo va ormai dicendo da tempo: Mettere in rete delle proposte sottoporle al giudizio degli elettori e una volta raggiunta una sintesi proporle come leggi. Idea che io trovo meritoria.
    Con immutata stima

  • 1) ritiro immediato dall’Afghanistan. È stata una guerra inutile (cosa evidente fin da subito) nella quale abbiamo perso militari, soldi e dignità. Sarebbe anche ora di finirla anche senza attendere ordini dall’America. Sempre su questo tema proporrei un radicale sfoltimento delle spese per la difesa (i famosi F35 ed altro)
    2) un partito di sinistra che aspiri ad essere tale dovrebbe, come minimo, emanciparsi dall’influenza della Chiesa. Sia sui temi etici (aborto, matrimoni gay, testamento biologico, fecondazione assistita) sia su quelli economici (Imu, fondi alle scuole e ospedali cattolici ecc). Non siamo il giardinetto di casa dello stato Vaticano, mi piacerebbe che qualche leader lo mettesse in chiaro.
    3) No tav. È un opera inutile, costosa ed altamente dannosa a livello ambientale.
    Questi tre punti, anche messi assieme, non risolverebbero nemmeno un centesimo della critica situazione economica italiana. Servirebbero però a dare credibilità e legittimazione ad un partito che sarà costretto ad imporre tasse e tagli per tutta la durata di un mandato. E, quando chiedi sacrifici del genere, aver ottenuto il rispetto di quelli a cui li stai chiedendo forse potrebbe aiutare

  • Un’altro punto:
    4)liberalizzazione delle droghe leggere. Si potrebbe porre sotto il controllo dello Stato la vendita di hashish e marijuana come già si fa con alcolici e tabacchi. Le entrate derivanti dalle tasse indirette penso non sarebbero indifferenti e si risolverebbe in parte il problema del sovraffollamento delle carceri. Mi rendo conto che questa è una proposta di difficile attuazione: uno stato prima di cimentarsi in un impresa del genere dovrebbe accertarsi di eliminare la “concorrenza” della mafia (cosa che non siamo in grado di fare, per il momento). Però uno sforzo in questa direzione lo si potrebbe anche fare.

  • penso che se andra in vigore il reditometro avremo ancor di piu sommerso tanti se non tantissimi del cetto medio lavorera solo in contanti paghera solo in contanti le loro eccedenze e avremo un picco di criminalita visto che ristoranti pizzerie ecc ecc avranno molti piu contanti si ritornera agli anni 60/80 con rapine scippi e cosi via pensateci??

  • “qualsiasi lista di sinistra può tranquillamente appropriarsi di qualsiasi idea venga da questa discussione”
    E una lista di destra no? Non erano le idee ad essere importanti?
    Ma poi a sinistra conoscono il significato di “discussione”?
    Ma esiste ancora la sinistra in Italia?
    Battute a parte (ma tali non sono) due sono gli argomenti basilari da cui non si può prescindere se si vuole parlare di politica (e infatti i politici li evitano come la peste): sovranità monetaria e guerra.

    • Può appropriarsene chiunque, beninteso, solo che io queste cose le penso in funzione di una politica di sinistra, poi qualche singolo spunto piuò anche essere preso da altri, ma difficilmente una forza di destra potrebbe far suoi certi principi ispiratori. Tutto qui

  • Io penso, ormai da qualche anno, che la fiscalità italiana dovrebbe essere praticamente rivoltata rispetto al meccanismo attuale.

    Il criterio attualmente prevalente, della tassazione personale sui redditi – che rappresenta perciò le parte più cospicua del gettito fiscale dello stato – è una fonte (se non addirittura LA fonte) dei mali della finanza pubblica italiana perchè:

    1 – e’ facilmente erodibile da parte dei detentori di grandi patrimoni e dalle organizzazioni imprenditoriali elefantiache che si muovono su un terreno multinazionale. In generale di tutti i soggetti che disponendo di risorse ingenti per pagare i migliori consulenti e predisporre strategie di ottimizzazione fiscale (grazie alle quali non c’è neanche bisogno di evadere, ci si può limitare ad ELUDERE il fisco: il risultato economico è lo stesso, se non addirittura migliore) tramite società di comodo, società all’estero e gruppi societari all’interno dei quali si trasferiscono costi a seconda di dove conviene pagare le tasse o ammortare gli investimenti fatti(o presunti investimenti). Questi soggetti, se non fossero tanto accorti, probabilmente dovrebbero corrispondere all’erario molto più di quello che versano regolarmente (e si ragiona in termini di DECINE DI MILIARDI l’anno).

    2 – di conseguenza, i soggetti che non possono permettersi di organizzare questi magheggi sofisticati, soprattutto la media-piccola impresa e i lavoratori autonomi (quelli onesti che non evadono: quelli disonesti per non pagare si devono sporcare le mani ed EVADERE, a differenza dei contribuenti di cui al punto 1) e dipendenti (volenti o nolenti), sono quelli gravati maggiormente (se non esclusivamente) dalla fiscalità e finiscono, paradossalmente, per affrontare i mari tempestosi della competizione internazionale (spesso sleale, lo sappiamo) con l’ulteriore vergognoso onere derivante dalla distorsione interna di una fiscalità REGRESSIVA (si, proprio così…regressiva).

    Parlare di attrarre investimenti stranieri, perciò, sarebbe ridicolo; di questo non stiamo neanche a dire… limitiamoci a parlare delle imprese italiane che reggono (ma per quanto?) senza chiudere o delocalizzare per via del fardello fiscale insopportabile, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini occupazionali e sociali. E, inoltre, chiediamoci: le imprese che tengono, alla lunga, sono le migliori o le più abili ad “arrangiarsi” (magari anche con mezzi poco ortodossi)?

    3 – Questo tipo di tassazione risulta implacabile per alcune categorie di reddito che hanno la ritenuta alla fonte e non potrebbero evadere in pratica neanche volendo (da pensione e dipendente) – se non alimentando ulteriori piaghe come il lavoro nero – e, di contro, molto larga con altri cespiti: redditi da lavoro autonomo/professionale e d’impresa – questi ultimi però, va detto, sono colpiti indirettamente con gli studi di settore e tutte queste forme di determinazione presuntiva – e soprattutto redditi da immobile (canoni d’affitto, di locazione sublocazione etc, largamente evasi o facilitati con cedolari secche e cose simili, per non menzionare la vergogna degli estimi catastali aggiornati al Risorgimento, praticamente…) e redditi da capitale + altri (in assoluto i più fumosi e i meno vessati al livello di aliquote e difficilimente cumulabili – in questo consisterebbe il carattere “personale” della tassazione – perchè spesso corrisposti tramite meccanismi di sostituzione d’imposta che consentono anche meglio di schermare i reali beneficiari).

    Conseguenze? Stesso discorso del punto 2: ad ogni ulteriore stretta fiscale si finisce per bastonare sempre i soliti noti (con ben poco da spremere, francamente) e produrre effetti fortemente recessivi (se poi ci si mette anche il taglio, contestuale, della spesa pubblica non si sa a quale santo dobbiamo rivolgerci per sperare in una fantomatica ripresa dal 2014).

    4 – Con la tassazione sui redditi il gettito fiscale è strutturalmente correlato alle oscillazioni del PIL. Con un aggravio, in recessione, sia del rapporto deficit/pil che del debito/pil – problematico per paesi dove, come in Italia, si gravita già attorno a livelli critici di indebitamento del settore pubblico, almeno agli occhi dei cosiddetti “mercati” e degli eurocrati.

    SOLUZIONE: fiscalita fondata prevalentemente sulla TASSAZIONE REALE SUL PATRIMONIO. Non più “chi più produce più paga!” ma “chi più possiede – rectius: chi più ha accumulato – più paga”. Chi produce deve essere erto su un piedistallo e non vessato. Deve essere vessato chi vive – e si ingozza – di rendita parassitaria.

    Facilitiamo chi fa impresa, dando lavoro, e chi lavora sodo e crea ricchezza.

    Liberiamo energie e liberiamo la ricchezza inerte che non viene usata per investimenti (reali) che possano rilanciare la competitività del sistema industriale italiano, ma per un’accumuluzione in poche mani compulsiva e fine a se stessa (che forse, diciamolo, ha anche qualche implicazione di ordine psichiatrico) .

    DOMANDA: perchè reale? perchè dovremmo rinunciare alle varie detrazioni e deduzioni che fanno tanto comodo, soprattutto alle famiglie numerose, e che sono parte della attuale (apparente) applicazione del principio di progressività.

    RISPOSTA: perchè il carattere personale e questi meccanismi fumosi sono proprio quello che, da una parte, complica gli adempimenti fiscali anche ai più volenterosi e rende più difficili gli accertamenti dell’amministrazione finanziaria, mentre dall’altra permette di eludere ed evadere il fisco a chi fa giochini creando società di comodo, intestando i suoi beni a vario titolo ad altri soggetti (figli, mogli, prestanomi, società), sfruttando proprio la complessità del sistema per occultare l’entità del proprio reddito/patrimonio nella maniera più opportuna per ottenere risparmi fiscali illeciti.
    Cosa c’è di più progressivo di tassare l’oggetto (la ricchezza, mai come oggi concentrata in poche mani) piuttosto che il soggetto (il contribuente).
    Aggiungerei che una sostanziosa riduzione delle imposte sul reddito compenserebbe più che adeguatamete le fine di tutta questa fuffa delle detrazioni e deduzioni.

    Inoltre, questa politica farebbe anche da incentivo per favorire la ripartenza: giovando sia all’occupazione (con un’inversione di tendenza in italia rispetto ad oggi, l’attività d’impresa favorita piuttosto che le occupazioni alternative e parassitarie della ricchezza concentrata o la delocalizzazione all’estero) che alle tasche dei lavoratori e, quindi, facendo ripartire anche i consumi e il commercio.

    Per quanto riguarda le imposte indirette sui consumi io personalmente le lascerei inalterate. Non le abbasserei. Il ragionamento che supporta il mio giudizio sarebbe troppo lungo per proporlo qui, visto che ho già preso parecchi spazio. Magari ne riparlerò in altra occasione. Mi limito a dire che ha a che fare con il deficit di bilancia commerciale (che, secondo me è il vero bilancio da tenere in pareggio) e col mio odio per il consumismo (che penso sia uno dei mali che ha corrotto le società umane, oltre che rischiare di compromettere irreversibilmente l’ambiente, se non superato a breve, aggravando e aggiungendosi ai problemi di “sviluppo sostenibile” con cui l’umanità dovrà necessariamente fare i conti nei prossimi anni).

  • ho scoperto questo blog tramite facebook da poco per via della condivisione di amici. finalment qualcuno che parla di programmi con un po’ di senno! sono d’accordo con quanto proposto da giannuli. io sono partita iva, vivo nella bergamasca, e mi stanno stritolando!! pago fino all’ultimo centesimo, ma in questo modo quel poco che guadagno esce ancora prima di entrare tra commercialista, tasse, spese obbligatorie da sostenere: la gente non ce la fa più, e monti ora se ne esce che forse si potrebbe abbassare l’imu?? dopo 6 mesi che l’ha messa lui?? ci prendono in giro!!!

  • Illustre Prof Giannuli il problema non è il redditrometro in quanto strumento perverso e invadente, ma è la mentalità degli italiani che deve essere rieducata alla civiltà e al rispetto delle leggi.
    Un cittadino americano che evade le tasse viene arrestato, ma questo accade da quasi un secolo oltre oceano. In Italia abbiamo decenni di pratiche illegali in materia fiscale e desuetudini, cosa che ha creato pesanti squilibri nell’economia interna con la conseguenza dell’aumento della pressione fiscale.

    • ALessandro: guardi che anche gli americani nion sono quei modelli di civismo che si dice e poi ci prova Lei a cambiare la mentalittà di Della Valle, Profumo, Elkann, Berlusconi…? Direi che non è un problema di mentalità ma di brutali rapporti di forza

  • l’idea di proporre idee è ottima, non c’è bisogno di complimentarsi. Il redditometro in effetti in me ha suscitato da subito una sensazione che definirei ‘sindrome da DDR’. Perché far si che il sistema fiscale sia piu’ equo non è questa la strada da percorrere e, non potrei essere piu’ d’accordo, credo che quella da imboccare sia quella mai considerata dai governi di centro-centro, centro-sinistra, centro-destra, cioè intaccare il capitale finanziario e sfatare l’immaginario (che esiste e resiste) del professionista e del commerciante-imprenditore che evade (di cui non mi sognerei neanche sotto tortura di affermare che ciò non sia vero). Ma dal nero di “arrotondamento” al nero “occultato” in piu’ o meno paradisi fiscali non c’è paragone. Sono convinto che l’uso strumentale dei mass media sia la chiave della questione: ripensando al Berlusconi & co del principio (<>, in sintesi) si sia passati al Berlusconi (di cui Monti ha raccolto volentieri il testimone) cacciatore di evasori (pesci piccoli chiaramente) che, cavalcando la sempre alta onda populista, tanto cara sta (specialmente in tempi di magra) alla stessa classe media (piccoli imprenditori e dipendenti). In pratica Berlusconi (e Monti) con il redditometro propongono alla classe media già super-vessata il suicidio fiscale assistito e l’anestetico garantito (che altro non è se non la propaganda tamburellante antiImu ee similia). Il redditometro quindi, furbescamente spacciato come arma per colpire gli evasori, in realtà è un altro e nuovissimo modello di spremi agrumi-lavoratori.

  • La prima cosa da stabilire è a cosa serva il redditometro, sennò si rischia di andare a ruota libera.
    Dalla stessa parola, si capisce che il redditometro serve come strumento che può coadiuvare ad accertare la consistenza reale dei redditi, e quindi non ha nulla a che fare con i patrimoni.
    Fossi stato io il premier, avrei fatto una patrimoniale già nell’autunno del 2011 per colpire il cumulo di patrimoni mobiliari e immobiliari, prima che i ricchi portassro fuori i loro capitali (ma si sono sbizzarriti, dicono abbiano comprato case a tempesta soprattuto in germania e Svizzera), ora è troppo tardi, se la patrimoniale doveva colpire selettivamente i ricchi, non c’è più nulla da colpire, togliamoci questa illusione, per l’ennesima volta l’hanno fatta franca. La loro evasione fiscale è in fondo uno degli effetti perversi della globalizzaizone, e quindi bisognerebbe a monte deglobalizzare il nostro paese.
    Tolto questo equivoco, torniamo ai redditi. E qui ci scontriamo con l’elusione fiscale, a partire dalla ritenuta d’acconto per cui chi detiene la maggioranza delle azioni di una determinata società, paga sui dividendi meno di quanto paga il suo operaio sui propri redditi: qui, bisognerebbe cambiare drasticamnete la legislazione in materia.
    Alla fine, tirata fuori la questione dei patrimoni che col redditometro con tutta evidenza non c’entrano nulla, tirata fuori l’elusione fiscale che similmente non c’entra niente perchè legalmente lecita, non rimane che l’evasione fiscale del gioiellere che al nostro ospite non interessa.
    E qui bisogna intendersi: Aldo, a te cosa interessa, fare la rivoluzione proletaria a colpi di tasse?
    Io vorrei tanto fare la rivoluzione, anche se bisognerebeb meglio intendersi per andare verso quale sistema alternativo di governo, ma non penso di farla con provvediemnti di natura fiscale.
    Dirò cosa interessa a me, in attesa della rivoluzione prossima ventura, vivere in un paese in cui ci sia un’etica collettiva almeno accettabile, e quindi in cui non si professi lo sport del furbetto di turno. Quindi, voglio proprio che il gioiellere o il notaio o il parrucchiere, scegliete pure voi, paghino come paga chi ha un lavoro dipendente. C’è quindi un problema del 1% di ricconi come dici tu, ma questi stanno sempre al governo del paese, ce ne saremo accorti, no?
    Ma c’è anche il problema di percentuali ben più elevate di benestanti che devono anch’essi pagare le tasse, per una questione di etica pubblica che è un bene prezioso, ma anche per abbassare le tasse per tutti gli altri, quelli che le tasse le pagano già adesso fino all’ultimo centesimo.
    Capisco che la gestione concreta di tutte queste faccende non è nelle nostre mani, ma in mani del tutto inaffidabili, ma rimane il fatto che una buona gestione del redditometro è possibile (naturalmente non so quali siano i quesiti, questi pososno essere tecnicamente migliorati).
    Tornando brevemente alle questioni più generali, è evidente che la questione generale della redistribuzione della ricchezza richiede scelte limitate e drastiche, non si tratta qui di fare un lungo elenco di provvedimenti complessi, si tratta di capire se vogliamo piegarci alla globalizzazioen come abbiamo finora fatto o uscirne con tutte le tematiche connesse. Il primo passo è non votare PDL, PD e centristi che almeno da questo punto di vista si equivalgono.

    • Pwer vincenzo Cucinotta:
      della patrimoniale (fonte infinita di equivoci) parleremo
      non credo alle rivoluzioni fatti a colpi di tasse ma questo del fisco è uno dei due principali campi di battaglia attuali
      Il redditometro serve a misurare il reddito di un contribuente attraverso i suoi consumi, dunque è costituzionalmente inutile se voglio misurare redditi che eccedano una certa soglia e che vanno tutti in accumulazione.

  • credo non si possa non parlare di due argomenti, a cui aggiungo un terzo meno popolare ma che per interesse personale e di ricerca considero critico

    1) legislazione sul lavoro, ossia contratto unico, non contratto unico et similia. In altre parole, come rientrare della gigantesca bolla della precarietà che ha permesso di pensarsi competitivi sulla produzione e sui servizi in assenza di un qualsiasi piano industriale

    2) reddito minimo, per quanto in alcuni ambiti (più che altro ‘di movimento’) sia una proposta criticata ed effettivamente criticabile, credo che almeno una discussione su questo argomento sia doverosa.

    3) contenimento della rendita fondiaria. so che può sembrare assurdo o un problema minore, tuttavia nel contesto del blocco finanziario italiano la rendita fondiaria e la conseguente cementificazione di territorio hanno il loro sostanziale peso. questo argomento rappresenta, a mio giudizio una priorita per qualsiasi forza politica che si ispiri ai valori del socialismo. Questo poiche colpendo la rendita fondiaria, oltre a colpire al cuore un meccanismo di accumulazione del capitale che si basa sulla distruzione di un bene comune quale il suolo, si colpisce anche quel meccanismo di intreccio fra politica ed economia che ha di vattor reso inutile il mandato popolare in molti enti locali

    • Per GUIDO:
      con calma parleremo di molti argomenti, mi fa piacere intanto notare che su un piccolo blog artigianale come questo, in poche opre, vengano fuori più idee di quante se ne possono trovare nei “programmi”” di molti partiti. Poi magari si tratta di idee incompatibili fra loro, alcune considivibili altre no… Non importa, quello che conta è la prova provata di quale universo morto sia quello della nostra callse politica

  • Concordo con lei sul redditometro, e in generale sulla sua analisi della situazione politica. Un dubbio solo: lei veramente ritiene che i partiti di sinistra siano riformabili?
    E se ritiene di sì,per lei è una scommessa pascaliana o un’analisi politica ragionata? In quest’ultimo caso, le sarei sinceramente grato se la esponesse. La ringrazio e la saluto cordialmente.

    • I partiti della sinistra così come sono non mi illudo affatto che siano riformabili. Però intuisco che stiamo andando verso un terremoto (e non penso al risultato elettorale) che scompaginerà tutto ed imporrà di ricostruire da zero molte cose.

  • Ho trovato l’articolo molto interessante anche se forse troppo critico e privo di una proposta programmatica di riforma.
    Sono d’accordo sul fatto che sia necessario tassare i grandi patrimoni (cosa che Monti si guarda bene dal fare avendo appoggiato, come ha messo spudoratamente a Sky, di aver sostenuto la “rivoluzione liberale” di Silvio Berlusconi) ma il problema dell’evasione in Italia è endemico ed esiste anche tra il ceto medio. Il problema non sta tanto nel redditometro in sè quanto nel livello di tassazione generale che colpisce le aziende e il singolo cittadino: parliamo di un livello di tassazione sui redditi che arriva fino al 45% quasi il 60% per il reddito d’impresa. Questo è un meccanismo d riformare che deprime non solo i consumi ma l’intera attività economica.
    Tuttavia sono d’accordo che la tassazione sui consumi non faccia altro che deprimere ulteriormente i deboli segni di ripresa.
    Ho notato che in questa campagna elettorale sia assente il tema del lavoro, non credi sia il caso di parlarne e di fare qualche proposta?

  • Il redditometro è uno strumento assolutamente inutile. Il sistema per fare pagare le tasse a negozianti ed autonomi esiste da un pezzo ed è molto più semplice: basta permettere a tutti di detrarre qualsiasi spesa. Vai dal gioielliere e compri un anello? Sottrai la spesa dall’imponibile. Chiami l’idraulico per una riparazione? Sottrai la spesa dall’imponibile. Ovviamente le aliquote devono essere riviste al rialzo perché le tasse verrebbero pagate solo su quanto ti rimane del tuo reddito tolte le spese. Questo sistema, se non erro, è in uso negli USA da molti anni. Permettendo a tutti, anche ai dipendenti, di scaricare le spese depotenzi la tipica frase “Vuole la fattura? se non la vuole si risparmia l’IVA”. Naturalmente non serve a nulla contro i paperoni, ma per quello nemmeno il redditometro, come ben illustrato dal prof. Giannuli.

  • Aggiungo un’idea che mi sta molto a cuore. Premetto, per onestà intellettuale, che non è mia ma letta sul blog di Grillo (che seguo senza essere un attivitsta del M5S).
    Tutela del marchio Made in Italy. Divieto di usare il marchio Made in Italy per prodotti realizzati da società italiane ma in siti fuori dai confini. E’ immorale che i soliti noti si arricchiscano sfruttando l’immagine del Paese, senza che il Paese abbia un ritorno in termini di occupazione, quindi di ricchezza. Io credo che difficilmente ci possiamo rendere pienamente conto di quanto vale il marchio Made in Italy. Io, per esempio, vado da anni in Austria a fare le mie vacanze (si… lo so… parlo del Made in Italy e poi vado nelle Alpi Austriache invece che in quelle Italiane… è una lunga storia…) ed ho là alcuni amici. Mi raccontano che in Austria l’automobile di tendenza non è la golf, ma la “Grande Punto”. Se poi entrate in un supermercato, vedrete quanti prodotti italiani ci sono (oppure prodotti locali che usano nomi italiani). E stiamo parlando solo di un paesino di montagna vicino ad Innsbruck…

  • Professore ho riflettuto molto su questo suo articolo, o meglio e’ un po’ tempo che cerco di analizzare quali possano essere le politiche piu’ adeguate in questo frangente. La mia forma mentis di sinistra e keynesiana mi impedisce di vedere in un inasprimento delle tasse la soluzione al problema del nostro paese, sono quindi d’accordo sull’idiozia di questa forma di caccia alle streghe nei confronti di possibili ‘piccoli’ evasori che servirebbe solo mortificare ancora di piu’ i consumi. Ma tassare le grandi rendite nascoste all’estero e’ una battaglia difficilissima, lo scriveva anche lei su un post recente, che dopo l’ultimo incontro del Doha round, quello di Marrakesh, si e’ data la possibilita’ di far circolare i capitali senza barriere e da quel momento andiamo ad acchiappar farfalle, perche’ di certo i dobloni non li vediamo piu’. So anche che l’italia non e’ affatto in una buona posizione per rinegoziare gli accordi precedenti (nemmeno gli Stati uniti potrebbero farlo)ma mettere una mega patrimoniale su questi capitali sarebbe un cosi grande peccato capitale? e se dovessero scappare all’estero mancheranno a qualcuno? A me tanto le Tod’s manco mi piacciono tanto!!

  • Proposte:
    1) Referendum popolare abrogativo sul Fiscal Compact (che sta alla base di qualsiasi discussione sul futuro nostro e dei nostri figli)
    2)Riduzione (sospensione temporanea 2/3 anni) della tassazione sul lavoro dipendente (e/o sotto i 1000 euro mese) e patrimoniale secca sopra i 500mila anno
    3)Ritiro immediato dalle missioni di guerra/peacekeeping e il vecchio sogno, ormai manco piu’ citato come slogan…Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia
    4) Rivedere il concordato con la chiesa cattolica (e c’e’ dentro di tutto)
    5)Nazionalizzazione dell’Ilva e simili
    6)Revisione totale delle leggi sul precariato, sgravi fiscali a chi assume a tempo indeterminato
    7)ATTUARE LA COSTITUZIONE ITALIANA. NON SERVIREBBE ALTRO.
    Con stima,
    Edoardo

  • secondo me, il miglior articolo sul redditometro lo ha scritto alessandro penati.

    “Parte il redditometro, accolto da un mare di critiche: alcune fuorvianti e strumentali a una campagna elettorale concentrata sulle tasse; alcune valide; altre la cui validità dipende da come l´Agenzia userà strumento.

    Il redditometro non dovrebbe essere un metodo di accertamento, un criterio per decidere se un cittadino è un evasore e contestargli il mancato pagamento delle tasse, ma uno strumento statistico utilizzato per aumentare l´efficienza dell´Agenzia. Come fa un numero limitato di funzionari a verificare ogni anno la dichiarazione (o mancata tale) di 25 milioni di nuclei familiari (più milioni di società e partite Iva)?

    Può pescare alla cieca, seguire il criterio della massima visibilità (blitz della Finanza a Cortina), o usare modelli, database e statistica per individuare gli ambiti in cui l´evasione è più probabile. Sulla base di queste probabilità, l´Agenzia deve poi limitarsi a chiedere ai cittadini riscontri e documentazione. E solo se la documentazione è carente avviare un accertamento. Sarebbe inaccettabile che lo Stato usasse un mero strumento statistico per presumere l´evasione.

    Gran parte delle critiche vertono sulla percezione, mi auguro sbagliata, che il redditometro sia un nuovo strumento di accertamento. Percezione alimentata da alcuni errori dell´Agenzia. Ha detto che verrà utilizzato partendo dai redditi 2009, come se sostituisse l´accertamento tradizionale sui redditi passati. Doveva invece partire con la dichiarazione 2012.

    Inoltre, solo l´Agenzia conosce i veri parametri su cui si basa il redditometro. Dovrebbero invece essere di pubblico domino, per garantire la trasparenza del suo operato e dei criteri che utilizza, allontanando ogni sospetto di abusi. Il redditometro violerebbe la privacy, schedando consumi e abitudini di vita. Critica valida nella forma, non nella sostanza.

    La pubblicazione di tutte quelle voci di consumo che individuerebbero «il ricco evasore» sono un´inutile spettacolarizzazione: l´Agenzia già dispone delle informazioni sulla spesa dai conti bancari, investimenti e carte di credito. E non è accettabile usare la difesa della privacy contro l´abolizione del segreto bancario.

    Altra critica, il redditometro invertirebbe l´onere della prova: spetta al cittadino dimostrare di non essere evasore. Una critica che cade automaticamente se il redditometro non è usato come strumento di accertamento, ma esclusivamente per migliorare l´uso delle risorse dell´Agenzia, come spiegato prima.
    Sono altre le critiche rilevanti.

    Lo Stato italiano, oltre al redditometro, si è dotato di una serie di strumenti nuovi, come l´abuso del diritto, i vincoli al circolante, la trasparenza e tracciabilità dei dati finanziari, la dichiarazione dei beni all´estero e i trattati sullo scambio di informativa. Ora deve dimostrare di saperli usare, non per fare l´aguzzino, ma per ottenere risultati concreti, e ad esclusivo vantaggio dei cittadini (ridurre le tasse).

    Lo Stato dovrebbe pubblicare regolarmente una stima, trasparente e verificabile, dell´evasione rispetto alla dimensione dell´economia (il “tax gap”), per dimostrare i risultati ottenuti. Sull´evasione circolano invece stime variegate, non omogenee e fuorvianti (per esempio, non separano gli affari della criminalità organizzata dall´evasione vera e propria).

    Anche il dato ufficiale sull´evasione «recuperata» è poco significativo: accomuna gli errori nelle dichiarazioni all´evasione, e non permette di valutare i reali progressi, non essendoci stima dell´evasione con cui raffrontarla. Il cittadino dovrebbe percepire un beneficio diretto dalla lotta all´evasione. Oggi il governo fissa obiettivi di finanza pubblica esclusivamente in termini di deficit. Poi non controlla la spesa, e le tasse diventano la variabile residuale, funzionale all´equilibrio dei conti.

    È necessario che inverta le priorità e stabilisca un obiettivo esplicito di pressione fiscale, oltre che di deficit, obbligandosi così a controllare la spesa, e in caso di caduta imprevista del Pil, giustificare eventuali sforamenti. Infine, lo Stato guadagnerebbe in credibilità e risultati se si decidesse a riformare il contenzioso, fonte di iniquità, e semplificare il sistema tributario: la complessità è il terreno più fertile per l´elusione.”

  • Se si riferisce al fatto che si possa votare direttamente attraverso il web, credo anch’io che i tempi (tecnologicamente) non siano maturi. Purtroppo non esiste la sicurezza informatica (100%), ma si possono comunque scegliere delle proposte da mettere poi ai voti con i sistemi tradizionali. Credo che il referendum al nucleare e per l’acqua pubblica si siano giovati del supporto dato dal M5S, per fortuna! Quindi apprezzo molto questa sua decisione di lanciare delle proposte attraverso il suo blog.

  • Bene, Aldo, secondo me quel 1% di straricchi più che evadere, eludono, ed ho fatto anche l’esempio della ritenuta d’acconto.
    Prima eludono con la compiacenza di una legislazione fatta su misura per loro, e poi portano i patrimoni nei paradisi fiscali, ed è ovvio che il redditometro non sefve per loro. Il punto è che se non si cambiano le regole in maniera drastica, non c’è modo di far loro pagare le tasse.

    • caro Vincenzo hai capito perfettamente: il punto è cambiare le regole. E per questo lasciamo perdere l’evasione dei lavorari autonomi che, per quanto moralmente deplorevole, è economicamente non determinante. Parliamo di cose serie ed evitiamo di perdere tempo con i diversivi

  • @Vincenzo Cucinotta.

    Se si riferiva al mio commento, non mi pare che io abbia inteso confondere il reddito col patrimonio o, tantomeno, col redditometro che è uno strumento di determinazione presuntiva del reddito in base ai consumi.

    Semmai ho cercato di ampliare il dibattito sul sistema fiscale mettendo altra carne al fuoco. Forse troppa. Con tutti i limiti di circostanza, sia dovuti al fatto che non sono un esperto del settore (pur sapendone abbastanza per conoscere la differenza tra redditometro e patrimonio e tra evasione ed elusione) sia quelli impliciti di un ragionamento ampio (o che voleva essere ampio) ma che doveva necessariamente essere confinato nel commento di un blog ( che magari pecca di scarsa chiarezza, come non avrei difficoltà a riconoscere) seppur lungo.

    Poi sarebbe bene, quando si parla di patrimoniale – a voler essere pedanti – distinguere tra patrimoniale una tantum e patrimoniale che ispira strutturalmente un sistema tributario. Perché l’impatto e le strategie di attuazione sono parecchio diverse, come – se non ricordo male – spiegava proprio il Prof Giannuli in un articolo precedente o in uno dei sui libri.

  • dopo aver letto il suo articolo ho dovuto cambiare opinione. io che sono lavoratore dipendente (ora cassaintegrato), pago tutto fino all’ultima lira (tanto per intenderci “addirittura” il canone rai) ed ho sempre ritenuto il redditometro ottimo, ma in effetti ora mi rendo conto che il bersaglio non è quello giusto. ma caspita…..allora?

  • Volevo rassicurare Andrea: no, anzi ho apprezzato la maggior parte delle cose che scrive. Semmai, criticherei l’avere allargato tanto l’oggetto della discussione. Di idee in campo fiscale, ne avrei, ma avrei bisogno di tanto spazio, e quindi qui preferisco astenermene.
    Ad Aldo, vorrei fare presente che non considererei quantitativamente ininfluente il 25% del reddito nazionale che dovremmo attribuire al restante 9% del 10% più ricco, e che, aggiungendoci il successivo 10% in ordine decrescente di ricchezza, potremmo agevolmente giungere al 40% di ricchezza in mano a circa un 20% di popolazione, che non capisco perchè dovremmo ignorare. Mi pare che qui ce n’è di polpa, non è che se non possiamo colpire il 25% in mano al 1% più ricco, allora tanto vale lasciare perdere. Inoltre, ribadisco che in presenza di una evasione così pervasiva, è la stessa struttura statale che non può tenere, non si può neanche costruire il cittadino, saremo sempre sudditi alla ricerca del favore dal potente di turno. Capisco che con Aldo abbiamo una differente sensibilità sulle questioni di natura etica, io non sono nè liberale, nè marxista, e così nego la stessa distinzione tra struttura e sovrastruttura, e pervicacemente penso che la cultura, ciò che pensiamo è la cosa più importante, ben più della situazione economica. Un lavoratore dipendente che paga contributi e tasse consistenti sul suo reddito lordo di, diciamo, 20000 euro l’anno, non può considerare suo lo stato che nello stesso momento accetta di non far pagare le tasse a quelle categorie che Aldo stesso elencava, nel migliore dei casi, odierà questo stato, nel peggiore potrebbe assumere atteggiamenti apertamente criminali, direi che è una conseguenza inevitabile della constatazione di appartenere ad uno stato ingiusto. Quindi non posso condividere questa sottovalutazione delle implicazioni di ordine etico dell’evasione fiscale, come, allo stesso modo, non credo che si possa convivere con alti livelli di corruzione senza che ciò faccia automaticamente cambiare la stess anatura dell’organizzazione statale.

  • Mi scusi prof ma su che basi sostiene che il 10% degli italiani abbiano in mano il 25% della ricchezza nazionale?

    In questo articolo il prof Brusco mette in discussione la tesi che il 10% ha in mano il 50% della ricchezza nazionale: http://noisefromamerika.org/articolo/come-si-diventa-super-ricchi

    “La tabella ci dice che il 10% più povero della popolazione ha meno di 1.500 euro di ricchezza netta. Il seguente 10% (ossia, quelli che hanno più ricchezza del 10% più povero ma meno ricchezza dell’80% più ricco) viaggia tra i 1.500 e gli 8.900. E così via a salire, fino ad arrivare ai super-ricchi, quelli dell’ultimo decile. Per arrivare lì bisogna avere una ricchezza di più di 529.500 euro.

    Ricordate che questa è tutta la ricchezza familiare, che include in particolare il possesso di immobili. La nostra famiglia, ricordate, si era comprata una villetta vicino a Milano. Se quella villetta vale più di mezzo milione di euro, che alle porte di Milano non è così straordinario, e se vi sono anche qualche decina di migliaia di euro messi in Bot, allora vuol dire che siamo lì. La nostra famiglia di (apparentemente) innocui pensionati, o prossimi alla pensione, è composta da super-ricchi.”

  • Il redditometro è completamente inefficace. Bisogna assolutamente riprendersi la sovranità tributaria e cancellare il più possibile lo spostamento di capitali all’estero.
    Conscio del fatto che un singolo stato non possa portare avanti una tale politica, penso che questo sarebbe un elemento che dovrebbe portare avanti l’Unione Europea nel cammino verso l’integrazione.
    Insomma per assurdo la politica tributaria del nostro stato dovrebbe essere lasciata al ministro degli esteri che dovrebbe portare avanti un programma europeo forte. Devo dire che non escluderei neanche la minaccia armata e/o di embargo nei confronti di tutti i paesi che facciano da paradisi fiscali.
    È indecente e intollerabile che paesi come Andorra, Svizzera e San Marino, per non andare troppo lontano campino, sulla evasione e i traffici illeciti del mio stato.

  • CAMBIARE SI PUÒ, ELEZIONI, NUOVA SOGGETTIVITÀ POLITICA: RIFLESSIONI SPARSE.

    L’esperienza di Cambiare si può è giunta a un punto critico della sua breve storia, ma credo che su di essa si possa già fare una riflessione, il cui intento è quello di rilanciarne il progetto, una volta che la marea elettorale sarà passata (non manca molto in definitiva) e si ricomincerà a discutere seriamente delle prospettive future di una soggettività politica radicalmente alternativa, ma flessibile nel sapere interpretare la fase che si aprirà dopo i risultati elettorali. Saranno riflessioni sparse le mie, a partire da una convinzione però assai forte: che Cambiare si può abbia rappresentato una novità importante, pure in mezzo a errori, ingenuità nella conduzione del processo di costruzione e che per essere corretti in futuro necessitano di una presa di coscienza che resista alla tentazione di cercare alibi e scusanti solo nelle urgenze del momento, che pure hanno pesato assai.
    Il fatto che in poco più di due mesi dall’appello siano nate due assemblee nazionali affollatissime, un’adesione massiccia e in continua crescita, distribuita in modo omogeneo da Trieste a Sassari, 120 assemblee locali anch’esse distribuite in modo omogeneo e capaci di raccogliere intorno a sé esperienze significative di lotte sociali, studentesche e operaie, comitati per l’acqua pubblica, sindaci per la buona politica, Italia civica e altri movimenti, non si vedeva da tempo. Nessun’altra forza politica o movimento, neppure la stessa Alba che di Cambiare si può è stata una costola decisiva, avrebbe potuto da sola, suscitare un tale movimento, tanto meno i partiti (di alcuni non vale neppure la pena di parlare), nemmeno la stessa Rifondazione Comunista. Neppure il movimento arancione, però, lo avrebbe potuto suscitare e lo dimostrano due fatti: il calo vertiginoso nel numero di assemblee (35 invece di 120), nel momento in cui si è capito che il processo avviato da Cambiare si può sarebbe confluito in modo subalterno in un progetto parallelo del tutto legittimo, ma differente; in secondo luogo i sondaggi, che attribuiscono alla lista Ingroia Rivoluzione civile percentuali lusinghiere, addirittura oltre il 10% in Sicilia e Campania, per l’effetto trainante costituito dal duo Ingroia-De Magistris, ma stentano a raggiungere la percentuale minima del 5% sul resto del territorio nazionale, venendo così a rompere vistosamente quella omogeneità di risposta e di aspettative positive che era nata con le assemblee di Cambiare si può.
    Il secondo fatto rilevante è costituito dal modo in cui, a fronte di opzioni diverse e nonostante un dibattito spesso animato, si è saputo dividersi bene: la capacità di vero ascolto è ancora lontana, ma sapersi separare dicendo tutti che ci si ritroverà più avanti nel percorso, è un passo in avanti, anche rispetto alle mortifere lotte intestine fra linee diverse che sono nel novanta per cento dei casi solo cordate per ottenere piccoli o grandi poteri.

    Perché il respiro di Cambiare si può si è contratto strada facendo? Credo che ci siano alcuni motivi profondi e altri più contingenti.
    Qualcuno fra i profondi. In Italia esiste un alto tasso di conflittualità sociale e anche dì costruzione di reti solidali di resistenza, ma tutto ciò è disperso e chiuso in vasi, perlopiù non comunicanti o scarsamente comunicanti. L’esperienza di Cambiare si può dimostra che il desiderio e la volontà di uscire dalle proprio nicchie (senza necessariamente abbandonarle), per indirizzarsi verso qualcosa che rappresenti la complessità di queste lotte stesse esiste, ma la strada per arrivarci è ancora molto lunga, perché nel caso specifico, per esempio, quando questa possibilità si è data è stata immediatamente tradotta al di là dell’urgenza elettorale in un vecchio, per non dire vetusto, modo di concepire il rapporti fra movimenti e soggetto politico che un tempo si sarebbe definito generale o anche partito politico. La relazione è quella della “coscienza che viene dall’esterno”. Naturalmente nessuno ha teorizzato questo, ma accade come riflesso automatico di quello che definirei tardo leninismo inconscio. Questo spiega anche la facilità con cui, al di là dell’urgenza, sia stato relativamente facile per partiti i cui dirigenti non sanno minimamente cosa sia il leninismo (Di Pietro per esempio), appropriarsi, strada facendo, di un percorso che andava in tutt’altra direzione; ma forse spiega perché sia stato così facile, anche per i promotori, cadere in una serie di ingenuità che lo hanno ulteriormente facilitato. Per avere in testa un nuovo modello di costruzione di una soggettività politica generale, occorre avere davvero bruciato le scorie della precedente o almeno essere coscienti del peso che essa esercita anche semplicemente tramite la forza d’inerzia e che si riflette non solo nella logica che muove i partiti, ma che è presente sotto traccia un po’ ovunque.

    Il periodo elettorale cui ci stiamo avvicinando non favorisce i grandi discorsi teorici, ma poiché avremo bisogno di questi subito dopo, mi limito ad alcune brevi riflessioni da riprendere e da approfondire in un secondo tempo. Il partito come coscienza esterna aveva come presupposti, un soggetto sociale rivoluzionario centrale (la classe operaia), dalla quale veniva estratta la grande parte del plusvalore e quindi che occupava un ruolo preponderante non solo nel modo di produzione inteso in senso stretto, ma nell’organizzazione generale di una società: al di là della classe operaia c’erano i suoi possibili alleati (diversi a seconda del grado di sviluppo di una società) e le tattiche per guadagnarne il consenso, che erano di competenza del partito. Senza spendere parole inutili sull’esito storico delle esperienze dove questa strategia è stata vincente, la questione centrale riguarda il venir meno di un soggetto sociale centrale nel processo di estrazione del plusvalore che oggi si distribuisce in modo polverizzato e segmentato e si serve di tutto il lavoro occulto e sommerso (non mi riferisco al lavoro nero ma a tutto quello che ha a che fare con la cura e tutto ciò che garantisce la riproduzione della vita di singoli e comunità). Per definizione nel nostro capitalismo patriarcale, finanziario e post borghese, il problema è quello della divaricazione estrema fra contraddizioni sociali sempre più esplosive e alienazione di massa. La ricostruzione di una soggettività che faccia i conti con la complessità, può nascere se si creano contestualmente alle lotte ambiti solidali che ne amplifichino il senso da un lato e processi di aggregazione fra segmenti diversi che hanno storie e appartenenze differenti. Per questo il problema della democrazia, dei processi decisionali, della trasparenza delle decisioni divengono decisivi e discriminanti, perché fra diversi e talvolta fra molti diversi e per di più atomizzati da una società che tende a renderci individui senza soggettività, anche la fiducia in una prospettiva comune e solidale richiede una pedagogia della condivisione.

    Due parole infine sulla Lista Ingroia. Rivoluzione Civile è un partito del leader, cioè subalterno nella sua logica intrinseca alla trasformazione della politica in una rappresentazione prevalentemente mediatica. Il programma che allego a questo mio scritto dimostra la subalternità di tutti i programmi alle tattiche della comunicazione e non alla costruzione di processi di reale governo o di reale opposizione, una volta che il voto sia stato espresso. Dico subalternità, perché dentro vi si può trovare tutto quello che ci si aspetta da una forza che si dichiara alternativa, persino l’importanza della prospettiva di genere, ma come un elenco che sembra costruito ad hoc: alla fine vedremo se tutto questo corrisponde a un obiettivo di scopo o a qualcosa di più.
    Detto ciò, con le offerte politiche elettorali (come si dice ora), credo occorra rapportarsi in modo laico e specialmente non facendo un dramma fra scelte diverse. Se si afferma di sapere quanto sia profonda questa crisi e quanto duro sarà il cammino per ricostruire una soggettività alternativa alle logiche che ci governano e poi si dà un’eccessiva importanza alla tornata elettorale, credo si rischi di entrare in contraddizione. Per quanto mi riguarda mi rapporterò alla lista Ingroia da elettore piuttosto che da militante che ha fin qui condiviso un processo che considero interrotto (non finito, ma interrotto), valutando, per quanto riguarda la Camera dei deputati, alcuni aspetti minimali:
    1) Candidature proposte nella circoscrizione in cui voto, nelle quali sia presente, oltre al rispetto dell’alternanza di genere e di un reale e non finto equilibrio fra candidature di partito e quelle che nascono dalla cittadinanza attiva, quello del riferimento alle problematiche locali-generali che si manifestano nel territorio e che dovrebbero dare sostanza al piano nazionale piccole opere, nonché al contrasto della grandi opere o eventi.
    2) Una prospettiva europea che non si limiti ad affermare che vogliamo l’Europa dei popoli (quasi quasi lo dice anche Monti), ma che indichi quali passi intenda compiere la nuova forza politica per cercare di promuovere nell’intero continente europeo un’iniziativa che porti a concrete lotte per modificare i rapporti di forza nel futuro parlamento europeo e quali forme coordinate di contrasto ai governi, unico modo per sostanziare di concretezza la parola d’ordine della ricontrattazione del fiscal compact.

    Infine, un ragionamento che riguarda le elezioni al Senato, in quanto elettore che si trova a votare in Lombardia (ma direi la stessa cosa se votassi in Campania o in Sicilia). Credo che ci si debba chiedere, in questi casi e sapendo come è fatta questa sciagurata legge elettorale, sia sia meglio per lo sviluppo di una soggettività politica antagonista, una situazione di stallo al Senato che renda ingovernabile il quadro politico, oppure se sia preferibile che Pd-Sel possano governare senza più avere alcun alibi (sempre che ci riescano, visti i continui autogol di Bersani), rispetto al loro prevedibilissimo fallimento.

  • Sarei anche daccordo sull rilevenza relativa (economicamente parlando) dell’evasione fiscale del ceto medio, ma aggredire fiscalmente i redditi dell’1% che detiene la granparte della ricchezza richiede la necessità prima di tutto di trattenerlo questo 1%. Oggi con la piena lberà di movimento per i capitali nulla vieta di organizzare un qualsiasi gruppo aziendale con sede nella repubblica di dove mi piace e con giri turbinosi di trasferimenti risultare in dolorosa perdita qui in Italia (semmai recuperando qualche incentio e credito fiscale…). Gli americani stanno provando con la nuova normativa “Fatca” a tassare alla fonte qualsiasi movimento di denaro in uscita dal paese verso una nazione “non collaborativa” dal punto di vista del segreto bancario. In pratica o l’intermediario finanziario destinatario del trasferimento da tutti i dati del cliente, del conto di destinazione e quant’altro, in maniera da permettere la valutazione al fisco americano del reddito effettivo del soggetto o si tassa automaticamente al momento dell’effettuazione fino al 60% il trasferimento in atto… chissà noi non siamo gli usa però…

  • la quota maggiore di nero la fa lo stato. Il lavoratore autonomo che lavora per le aziende non può fare nero. Invece nello stato, nelle aziende pubbliche, nei partici, negli ospedali, ecc. si fatturano in maniera fasulla merci o servizi, oppure si pagano merci o servizi per privati. Natutalmente per amici o amici degli amici. Oppure si fattura qualcosa a un prezzo maggiore in cambio di altre merci o servizi. Oltretutto è un andazzo dal quale è difficile venirne fuori perché, una volta che uno ha accettato questo sistema o che ha rivevuto dei servizi è ricattabile a vita. Faccio un esempio: se uno deve fornire gasolio a un’azienda pubblica e il budget è di 100 euro, ma effettivamente consumati sono 80, viene fatta una fattura fasulla di altre 20 euro, Di questi 20 euro metà va all’azienda pubblica, metà al fornitore. Oppure fa scuola il trota per tutto quello che si è fatto fornire, ma non dovuto. Questo è il nero!!!!!!! ma si sa, cane non mangia cane.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.