Abolire le province? E se abolissimo le regioni?
Per diminuire i costi della politica si era pensato di abolire le provincie, in considerazione che regioni e comuni già bastano alla bisogna. Poi, dopo le prevedibili proteste dei diretti interessati, è spuntata una mediazione: non le aboliamo, ma le riduciamo accorpandole. Lasciamo perdere i soliti piagnistei sulla ferite all’identità locale, per cui Livorno non può andare sotto Pisa, Mantova si sente degradata sotto Cremona, Prato si sente assassinata a tornare sotto Firenze ecc., veniamo alla sostanza: è una riforma inutile.
I risparmi che essa comporta sono molto limitati perché:
a- il personale amministrativo –che rappresenta una delle più consistenti voci di spesa- non può essere licenziato ma passerà sotto la nuova amministrazione; per cui i vantaggi maggiori, da questo punto di vista, verranno man mano che l’attuale personale andrà in pensione non essenso rimpiazzato. Insomma, nel giro di almeno una decina di anni;
b- le provincie, proporzionalmente alla popolazione, sono l’ente locale con meno potere di spesa;
c- le provincie hanno un limitatissimo irradiamento in enti collaterali che, invece, è piuttosto esteso nei comuni ed estesissimo nelle regioni, per cui la spesa per questi enti è una voce del tutto minoritaria nel sistema degli enti di sottogoverno locale;
d- i compensi dei consiglieri provinciali sono ben più modesti di quelli dei consiglieri regionali;
e- una parte delle economie di spesa sarà compensata dalle spese di accorpamento (trasferimento del personale e delle pratiche, riorganizzazione degli uffici, ricostruzione degli organigrammi, movimento carte ecc.);
f- non si sta affrontando ancora il problema delle articolazioni locali dell’amministrazione statale che è organizzata su base provinciale (prefetture, questure, provveditorati agli studi ed alle opere pubbliche, intendenze di finanza, delegazioni locali delle ragionerie dello Stato, della Corte dei Conti, della Banca d’Italia, distretti militari, ecc.) ed il cui accorpamento porrà problemi ancora più seri: se un funzionario ha raggiunto il grado di Prefetto, di Provveditore o di Questore non può essere retrocesso e, anche se “non in sede” continuerà a ricevere lo stipendio di prima. In teoria, si potrà risparmiare sugli “uffici di gabinetto”, ma in realtà è ragionevole attendersi che le resistenze corporative otterranno che si istituiscano delegazioni o sotto delegazioni locali che corrisponderanno, grosso modo, alle attuali provincie. Comunque vada, per ora non se ne parla.
Insomma la classe politica ci sta prendendo per i fondelli, dandoci ad intendere di stare operando chissà quale riforma epocale, mentre si tratta di una modestissima riduzione dei costi della politica: nel suo pantagruelico pasto, la classe politica rinuncia ai sottaceti.
Non c’è dubbio che l’Italia sia afflitta da un eccesso di spesa pubblica che va ridotta e che questo eccesso sia direttamente connesso all’ipertrofia del ceto politico. Chissà perché, quando si tratta di tagli alla spesa pubblica subito si punta l’indice su pensioni, sanità ed istruzione?! Il vero bubbone sta altrove e si chiama “Regione”.
Alla Costituente fu in particolare la Dc a battersi in favore dell’istituto regionale, fedele alla sua impostazione ostile allo stato centrale (il vecchio nemico unitario, liberale e massonico) e favorevole alla dimensione del campanile. Le sinistre –ed il Pci in particolare- furono assai tiepide, se non ostili, e votarono a favore solo per opportunità politica, ma senza crederci.
Poi le parti si rovesciarono: la Dc che aveva saldamente conquistato il potere centrale, iniziò a chiedersi perché mai avrebbe dovuto delegarne una parte ad enti locali di cui alcuni, inevitabilmente, sarebbero caduti nelle mani delle sinistre. Simmetricamente, il Pci, che sapeva di essere escluso dal potere centrale per un periodo imprevedibilmente lungo, rivalutò l’idea del decentramento regionale, come il modo di conquistare qualche fettina di potere che lo aiutasse a resistere durante la “traversata del deserto”. Man mano, il Pci finì per convincere se stesso della centralità della riforma regionale dalla quale grandi cose ci si attendevano sulla via italiana al socialismo.
In particolare Pietro Ingrao ed Enzo Modica costruirono una retorica regionalista che raggiunse punte liriche quanto del tutto infondate: la Regione avrebbe rappresentato l’innesto di un elemento di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa (come se i consigli regionali non fossero istituti di democrazia rappresentativa), le regioni avrebbero spezzato il centralismo burocratico e favorire l’introduzione di forme di proprietà collettiva. Ci fu persino chi azzardò un parallelo fra l’ordinamento regionale e la Comune di Parigi (sic!).
Con maggiore sobrietà i governi di centro sinistra misero all’ordine del giorno la riforme regionale fra il 1965 ed il 1967 proponendosi di raggiungere questi fini:
a- un avvicinamento dei cittadini ai centri decisionali, quantomeno per alcune materie;
b- il riequilibrio fra le regioni meridionali e quelle settentrionali attraverso una produzione legislativa differenziata e più aderente ai bisogni di ciascun territorio;
c- una maggiore integrazione del sistema politico attraverso la consociazione dell’opposizione di sinistra alla gestione di alcuni importanti enti locali.
A distanza di 40 anni dall’avvio della riforma regionale (per i consigli regionali votammo per la prima volta nel 1970 e l’ordinamento entrò in fase pienamente operativa nel 1975) possiamo fare un bilancio:
a- non pare ci sia stato alcun avvicinamento dei cittadini alla gestione della cosa pubblica (e tantomeno possiamo parlare di forme di democrazia diretta) quanto, piuttosto, la crescita ipertrofica di un ceto politico regionale che si aggiunge a quello nazionale e lo supera quanto a voracità. Non si tratta solo dei circa 900 consiglieri regionali e dei relativi portaborse e sottopanza, ma anche della foresta di enti collaterali i cui consigli di amministrazione sono lautamente gettonati e dell’onda montante dei consulenti che è un modo garbato per designare clienti, portatori di voti e galoppini d’alto bordo. Non è esagerato stimare nell’ordine delle 40-50.000 unità questo ceto politico aggiuntivo e collaterale.
b- La diversificazione legislativa fra le varie regioni c’è stata –come era ovvio che accadesse- ma non ha affatto prodotto alcuna attenuazione del dualismo economico del paese: il divario è ancora non superato se non in minima parte. Piuttosto, l’esercizio del potere legislativo da parte delle assemblee regionali ha ingrossato il fiume dell’ipernormativismo degli ultimi 30 anni (e non ce ne era affatto bisogno) ed ha accentuato le diseguaglianze fra cittadini, come è si dimostra in particolare nel settore della sanità, dove le prestazioni ospedaliere e la normativa sui ticket fanno registrare disparità del tutto ingiustificate.
Infine, l’avvicinamento del centro decisionale alla base elettorale ha comportato –come sempre- una netta propensione all’aumento della spesa, del che, in un paese come l’Italia, non si sentiva affatto bisogno.
Ed allora, perché non cominciamo a prendere in considerazione la possibilità di abolire le regioni?
Aldo Giannuli
aldo giannuli, bilancio dello stato, dc, debito pubblico, pci, regioni, spesa pubblica

ilBuonPeppe
Che il ceto politico sia ipertrofico, a livello centrale quanto locale, e che ci prenda in giro da sempre non c’è dubbio. Così come non c’è dubbio che questo produce un conseguente sottobosco di lacchè di varia natura.
Che la spesa pubblica sia eccessiva invece è tutto da dimostrare, anzi secondo diversi studi non lo è affatto: è in linea, e in alcuni casi inferiore, a quella di altri paesi europei, e non parlo della Grecia ma della Francia e dei virtuosi scandinavi.
E’ invece un fatto che la spesa pubblica sia inefficiente e produce sprechi incredibili. E’ quindi assolutamente necessario ristrutturare la spesa pubblica, cosa che però non c’entra nulla con i tagli che da molti anni vengono praticati da qualsiasi governo.
Detto questo, penso sia sbagliato l’approccio: cancellando le province o le regioni (o i comuni, perché no?) cosa pensiamo di ottenere? Un risparmio corrispondente al costo dei rispettivi organi politici. E poi? Siamo sicuri che le cose funzionerebbero meglio? Io sinceramente ne ho abbastanza dei tagli lineari che non producono mai l’effetto desiderato.
Ogni ente svolge determinati servizi, e quei servizi vanno garantiti in ogni caso, per cui che li faccia tizio o caio non ha molta importanza. E’ invece importante, a mio avviso, ridisegnare la burocrazia e decidere poi di conseguenza il “chi fa cosa”. La cancellazione di un livello amministrativo deve essere la conseguenza di un processo di razionalizzazione complessiva; se è il punto di partenza produce solo (come si è visto) resistenze e caos.
SantiNumi
Gentile Professore,
sono tre i temi che vorrei evidenziare e che mi lasciano perplesso.
1 – Già dalla Costituente si prevedeva un percorso di graduale spostamento di competenze dalle province alle regioni.
C’è anche vasta letteratura che mette in relazione “federalismo” e democrazia diretta: un esempio pratico è la Svizzera, un modello teorico di grande levatura è invece quello che si evince dagli studi del prof. Miglio.
Inoltre sottolineo che sono noti i motivi per cui il sud Italia soffre di depressione economica da 150 anni. Uno su tutti è la moneta unica: prima la Lira ora l’Euro. I cambi fissi su AVO diverse (che potremmo individuare genericamente come centro nord e centro sud) comportano un arricchimento delle aree più industrializzate a sfavore di quelle più depresse. Uno stato centralizzato deve quindi, per riequilibrare, incentivare la mobilità del fattore lavoro (ricordiamo la migrazione di massa dal sud verso il nord) e contestualmente adottare una politica fiscale che redistribuisca il reddito a livello geografico tramite massicci trasferimenti (per la gioia degli amici di Bossi o, in un contesto €uropeo, per la gioia della “Baviera”).
Questo squilibrio, come si evince empiricamente dalla storia italiana, non può essere colmato: è destinato a peggiorare.
Infatti l’idea delle “macro-regioni” si concilia con la teoria delle Aree Valutarie Ottimali di Mundell. Mercati del lavoro omogenei che dovrebbero avere politiche economiche e fiscali diverse.
Questo equilibrio “regionale” fa contenti sia i macroeconomisti che i sociologi.
2 – Ricordo che l’esplosione della corruzione a livello locale degli ultimi 20’anni è dovuta, come già ampiamente documentato da diversi studi, alla sovrapposizione delle normative europee a quelle nazionali: in particolare l’ideologia neoclassica e liberista dei trattati europei che ci ha imposto politiche a favore di “liberalizzazioni” e “privatizzazioni” che hanno portato ad un’opacissima commistione tra pubblico e privato (ricordo le fondazioni bancarie su tutte!).
Per lo stesso motivo, sui cittadini si sono anche scaricati i costi dell’aumento delle tariffe e del peggioramento dei servizi.
3 – “[…]propensione all’aumento della spesa, del che, in un paese come l’Italia, non si sentiva affatto bisogno[…]”. Questa convinzione, che purtroppo è condivisa anche dal M5S, rappresenta la pietra tombale della speranza.
Il “Patto di stabilità” è l’unico motivo per cui può aver “senso economico” questa affermazione: un “patto” che significa solo togliere la possibilità di perseguire politiche fiscali e di spesa. Lo strumento con cui ci hanno sottratto la Democrazia.
Questo è il motivo delle politiche “procicliche”: la colonizzazione e l’asservimento.
In Italia, come ci ricordano i democratici keynesiani, abbiamo bisogno di PIU’ SPESA (un New Deal non possibile a causa dell’Euro e dei trattati UE).
Questo gioco al ribasso (purtroppo giocato anche da Grillo), è la certezza della nostra rovina qualsiasi cosa accada.
Con stima.
alberto
che ne pensa professore della proposta fatta dalla società geografica italiana che (dopo uno studio trentennale su omogeneità culturale economica etc.) abolendo contestualmnte regioni e province accorpa e divide in 36 enti il paese? a me sembra interessante, magari con qualche correzione ma va incontro alle sue osservazioni che condivido pienamente.
http://www.societageografica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=778%3Ala-riorganizzazione-territoriale-dello-stato&catid=56%3Aattivita-culturali
massimo ciuffini
Sono d’accordo con le sue conclusioni. Tenga conto che poi nessuno o quasi nessuno delle dinamiche economiche, sociali, territoriali etc che un governo appunto, deve governare, hanno un respiro regionale ma semmai macroregionale o metropolitano ( e dunque oramai provinciale). In più si aggiunga che delle Regioni quello che è veramente nociva è la produzione legislativa. In Italia oramai esistono 20 tra sistemi sanitari, leggi urbanistiche, sull’edilizia, sul paesaggio, sull’efficienza energetica e così via…un disastro ed una confusione allucinante
Andrea T
Io l’ho sempre sostenuto che il problema sono le regioni e non le province. Sono contento di apprendere che allora non sono l’unico ad essere giunto a tali conclusioni.
Mirko S.
Professore mi sto innamorando di lei. Finalmente qualcuno che dice cose che io penso da parecchio tempo!!! Allora l’entusiasmo mi porta a scrivere dopo aver letto solo il titolo e il primo capoverso. Ora le scrivo cosa ne penso io. Andrebbero abrogati Comuni e Regioni e le Province riportate al numero in cui si trovavano negli anni 80 o in alternativa abrogati Comuni e Province e le Regioni private del potere legislativo e degli Statuti speciali. Le racconto una storiella per farle capire il perchè: c’era una volta una famiglia non abbiente ma che fortuna sua non moriva di fame. Aveva una casetta in campagna da dove provenivano i genitori che si erano trasferiti, una volta sposati, nel capoluogo di Regione che era una grande città. Accanto alla loro casetta in campagna c’era un terreno di proprietà del Comune. Quando la famiglia ha chiesto al Comune l’autorizzazione per interrare un bombolone di gas perchè la zona non era stata raggiunta dalla rete è arrivata la sorpresa: il terreno era nel mentre diventato di proprietà di un tale che non lo aveva di certo comprato dall’Ente. Ecco cosa succede nei piccoli Enti territoriali, dove tutti si conoscono e l’elezione del Sindaco è il trionfo della “sussidiarietà verticale” che tanto piace e va di moda oggi, il territorio dello Stato e tutto quello che vi succede sopra è alla mercè di poche persone che ne trattano come fosse roba loro. Lontano dagli occhi indiscreti di chi dovrebbe controllare l’operato degli Enti minori e di chi non abita in loco la cosa pubblica è oggetto di mercanzia e scambio di utilità (talvolta anche di un prosciutto o di un bottiglione di vino).
La Provincia è un ente intermedio capacissimo di gestire il territorio affidatole come secondo me la Regione, che ha il vantaggio di essere più grande e quindi di avere il centro nevralgico più lontano dai cittadini; inoltre i cittadini essendo più numerosi hanno molte meno possibilità di “agganciare” gli amministratori o i dipendenti amministrativi per ottenere sottobanco facilitazioni, fattispecie questa rappresentante ordinaria amministrazione nei Comuni piccoli mi si perdoni il gioco di parole.
Qualora si decidesse di abrogare Comuni e Province sarebbe assolutamente necessario togliere il potere legislativo agli Enti maggiori in quanto già il nostro diritto è un casino, avere addirittura 21 ordinamenti giuridici diversi (quello dello Stato e di 20 Regioni) è da manicomio. Assolutamente necessario ma utopistico l’abrogazione di tutti gli Statuti speciali che rappresentano una sorta di assegno in bianco alle mafie locali… e se potessimo anche abolire le cariche politiche all’interno degli enti del decentramento sostituendoli con funzionari-manager sottoposti ogni 6 mesi a verifiche dei risultati come avviene nelle grandi aziende avremmo finalmente risolto uno dei più grandi problemi italiani. Cosa ne pensa?
Giorgio
Beh, bisogna riconoscere che a Roma sono veramente bravi.
Soltanto 15 anni fa o anche meno la gente urlava per le piazze ” Meno Stato !Via da Roma ! ” ed adesso, dopo una attenta campagna portata avanti da Corriere della Sera e Sole24Ore(Confindustria)i cittadini si sono convinti che gli sprechi vengano dalle autonomie locali e non dal “Federalismo bastardo” di Bassanini.
“Operazione Gira-Frittata” compiuta e, come sempre i più coglioni sono i cittadini del Nord.
Ma c’è ancora la speranza di capire in tempo che si tratta di una operazione studiata a tavolino e portata avanti dalla accoppiata Giornalisti-Magistrati.
Secondo me tra una decina di anni i cittadini saranno di nuovo in piazza ad urlare contro la Casta dei Giornalisti e dei Magistrati.
giandavide
tutto sensato, ma la presenza di regioni a statuto speciale complica ancora di più la cosa, che di per se non mi sembra molto applicabile per le forti opposizioni delle categorie interessate. d’altra parte, se non sono nemmeno a devassallizzare i tassisti, doverebbero abolire le regioni? se tanto mi dà tanto…
giandavide
comunque da quello che risulta qua :
http://www.repubblica.it/politica/2013/10/04/news/il_patto_tra_letta_e_alfano_no_al_ritorno_al_proporzionale-67852547/
1) alfano ha la stessa intelligenza politica di occhetto e sta proponendo la strategia che ha imparato ad assopigliatutto, forse l’unico gioco di carte che conosce
2) la bozza violanta è veramente violenta
3) qua se sti partiti non si spaccano non si esce dalla melma. direi che sarebbe opportuno che non si spaccasse solo il pdl,ma anche pd e grillo
Giorgio
E se abolissimo Roma ?
leopoldo
scusate ma regioni province comuni non vi sembra una versione nostrana del monopoli ?-: elezioni -> il via; acquisto terreni costruzione case -> speculazione edilizia; appalti -> societa elettrica; assessori in carcere;
e che alla classe politica attuale è cresciuta coi giochi di società e non ha smesso e per questo che ha difficoltà a capire che il gioco è un po’ diverso da quando erano bambini e pensano che alla prossima partita tutto s’agiusta altrimenti se né fa un altra.
Bisogna volerli bene; altrimenti ci mettono i piombi
Mirko S.
Giandavide, dovrebbe spaccarsi Grillo secondo lei? E poi in Parlamento mandiamo lei coi suoi familiari? Chi ha proposto la riduzione del costo della politica, l’abbandono dei progetti stile TAV, dell’acquisto degli F35 che non vuole più comprare lo stesso Pentagono, una legge elettorale proporzionale, l’abolizione del rimborso elettorale (i grillini sono gli unici a non averlo preso e ad essersi autolimitati lo stipendio a 2500 €), l’istituzione del reddito di cittadinanza, il saldo immediato dei debiti della P.A., la raccolta differenziata, la ridiscussione dei parametri monetari europei (che tanto piacerebbe fare a voi ma che a me stanno bene così), etc. etc. etc. che ha protestato contro la modifica all’art. 138 Cost., contro lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, contro la svendita di Telecom, contro le privatizzazioni, il condono ai biscazzieri, etc. etc. etc.??? Non per offendere ma non riesco a capire come si possa pensare che i partiti tradizionali siano qualcosa di diverso da una congrega di ergastolani non punibili e ci si aspetti da costoro qualcosa che vada contro la corruzione massiva e sistematica del nostro Paese e l’asservimento dei contribuenti a guisa di servi della gleba. Come non riesco a capire come possano persone normali prendersela con Grillo che potrà avere i suoi difetti ma è attualmente l’unico ad aver fatto qualcosa e ad aver restituito un minimo di voce in capitolo ai cittadini italiani.
giandavide
allora:
” E poi in Parlamento mandiamo lei coi suoi familiari?”
mah tra enrico grillo e quello che ha fatto eleggere la madre, a familiari siete messi proprio bene.
” Chi ha proposto la riduzione del costo della politica”
finora i grilli hanno solo fatto aumentare i costi tra ridicole occupazioni e discorsi inutili che impegnano un meccanismo che costa migliaia di euro per ogni ora di seduta parlamentare
“l’abbandono dei progetti stile TAV”
se dire e fare sono la stessa cosa grillo ha fatto molto. in caso contrario la tav l’ha fermata il movimento no tav, non certo grillo, che ha solo reso più difficili le già difficili mediazioni politiche
“dell’acquisto degli F35 che non vuole più comprare lo stesso Pentagono”
anche in questo caso:gli f35 si bloccano con ilvoto parlamentare, non con la chiacchiera, e sotto questo aspetto grillo non ha fatto un bel nulla.
“una legge elettorale proporzionale”
sintonizzati, ora grillo è per il porcellum.
” l’abolizione del rimborso elettorale (i grillini sono gli unici a non averlo preso e ad essersi autolimitati lo stipendio a 2500 €)”
peccato che visto che non servono a nulla sono comunque 2500 euri regalati. prefrisco pagare ilprezzo pieno per avere servizi piuttosto che pagare di meno per non avere niente….
“l’istituzione del reddito di cittadinanza”
se questo reddito arriverà sarà per mezzo degli accordi europei. proprio gli stessi accordi tanto disprezzati dai no-euro (e pro-banche)
“il saldo immediato dei debiti della P.A.”
anche qua, grillo parla molto, ma quel pochissimo che è stato fatto non è stato fatto da lui
“a raccolta differenziata”
quella si fa nei comuni, e sotto questo aspetto ricordo l’inceneritore di parma
e poi segue uan serie di “proteste” ovvero chiacchiera, che non costa nulla, tanto poi dici il contrario, comeèstato per molte cose, dalla biowashball al porcellum alla piattaforma per la democrazia diretta, che ora non c’èpiùe vi dovete accontentare di casaleggio
ma sembra che per voi accontentarvi non è un problema: in fondo basta sentire due chiacchiere e credete che tutti i problemi siano stati affrontati e risolti. io preferisco scendere piùsul concreto, e sul concreto grillo non ha fatto nulla di serio, al massimo ieri stava salvando berlusconi in un modo un pò più esplicito del solito. come partito non ha più senso, e lo si vede dalla mancanza totale di strategia, secondo la quale deve continuare tutto così in modo che in futuro il lavoro per il messia prossimo venturo sia più facile. trovo questi ragionamenti infantili e completamente privi di argomentazioni, che si reggono sulla pia speranza che il protofascio genovese riescaa prendere per il culo gli italiani allo stesso modo dell’ultima volta. bah
auguri, salvatori della patria
Stronzio
Ma… la Polizia Provinciale,a cosa serve?
SantiNumi
@Mirko S.
Tutto vero.
Infatti anche i più “snob” e i più critici hanno grande speranze nel MoVimento.
C’è solo un “ma”.
Se alle osservazioni che ho fatto in fondo al mio commento iniziale ci aggiungiamo il mitico “reddito di cittadinanza” ci troviamo grosso modo il programma economico di Monti. Una bella visione macroeconomica degna della peggiore scuola austriaca.
Osservazioni che da due anni tutti gli attivisti del M5S che si occupano di economia urlano nelle orecchie dei “boss” della comunicazione. Nada.
Abbiamo ancora milioni di cittadini che vedono precipitare il loro reddito e le loro speranze e non hanno ancora capito perché.
Il primo articolo della Costituzione ci ricorda che l’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro non sulla disoccupazione. Quindi io non voglio nessun “reddito di cittadinanza”, voglio un lavoro così come garantisce la Costituzione. Voglio quindi politiche di piena occupazione di tipo “keynesiano”.
Se ai tedeschi “role models” di Beppe piace Von Hayek, bene. Che si tengano (a casa loro) quel “serbatoio di manodopera” tanto caro al grande capitale.
rosario
Finalmente la domanda giusta! Io penso che si debba tornare ad una revisione della sciagurata riforma del titolo V della Costituzione fatta per ingraziarsi i voti dei leghisti. Basterebbe tornare ad un controllo centralizzato della spesa pubblica pe ridurre significativamente una classe politica a dir poco esuberante (per prestese e appetito)e tutta la moltiplicazione dei centri di spesa che ne sono derivati. Ma purtroppo mi sembra che la tendenza di riforma costituzionale stia andando nel senso opposto a quello sperato.
io
Una piccola rettifica andrebbe apportata…dipende da dove si vuol fare partire il racconto. Se lo facciamo partire dall’Ottocento, é dato incontestato che tutti i “non moderati”, ad eccezione per l’appunto dei liberali, erano favorevoli ad una struttura che contemplasse le regioni intese come ente intermedio eletto (basti citare Mazzini in primis, che riconosceva la Regione il Comune e la Nazione, Rosmini, Cattaneo etc…). E’ evidente che la preoccupazione fosse quella di perpetuare una struttura confederale anziché unitaria. Riconoscere politicamente le Regioni significava, di fatto, garantire un’autonomia agli Stati pre-unitari, che confluirono invece nel Regno sabaudo per plebiscito.
http://www.storiain.net/arret/num141/artic1.asp
luca
mah ormai la situazione da u punto di vista economico disperata. Siamo stati venduti ad altri interessi e se anche venissero gia’ domani politi i onestissimi e competenti non potrebbero far altro che constatare il decesso.
Io darei il potere I militari come in egitto. Almeno finiremmo di illuderci di appartenere ancora al consesso dei paesi sviluppati.
nandokan
Parafrasando Fantozzi e la sua insurrezione contro “La corazzata Kotiomkin”, mi esibisco in novantotto minuti consecutivi di applausi. Esaltante in particolare il punto f), finalmente menzionato da qualcuno.
Sottoscrivo riga per riga tutte le altre considerazioni sulla letale perniciosità delle regioni. Se gli statuti speciali avevano semplicemente amplificato le differenze in termini di civismo e di morigeratezza delle classi dirigenti – evidente che la Sicilia non è mai né sarà mai il Friuli o la Val d’Aosta, i cui episodi clientelari saranno comunque una goccia nel mare di un sostanziale buon governo – sono ancora bellamente ignorati gli effetti della nefasta, sciaguratissima, devastante, abborracciata devolution bassaniniana (orrenda nel metodo, giacché la L. Cost. 1/2001 fu approvata a maggioranza, nella grottesca illusione di recuperare nell’imminenza delle Politiche voti leghisti, e costituendo la rottura di un tabù, per cui i colpetti di mano costituzionali sono diventati la norma) in nome di un regionalismo che ha dato prova a dir poco fallimentare di sé.
Data la situazione – e data il progressivo svuotamento funzionale dell’amministrazione centrale, i cui poteri sono in realtà sempre più ridotti, ma che sono i veri bersagli dell’efferata spending review (cui si potrebbe aggiungere l’incontrollabile elefantiasi della sempre più potente e tentacolare Presidenza del Consiglio con i suoi dipartimenti, ma questo richiederebbe una lunga analisi a sé) – sarebbe davvero il caso di prendere atto che, salvo alcune realtà
, l’istituzione regionale è l’emblema del fallimento funzionale coniugata alla dissipazione delle risorse. Essendo compito dello Stato ridurre le sperequazioni tra le sue realtà, l’unica chance sarebbe tornare verso un modello francese rigorosamente prefettizio, in cui questi è il terminale dello Stato nelle realtà locali.
Essendo questo allo stato impossibile, è però necessario avere il coraggio di individuare una semplificazione nei livelli di governo locale, e non puntare semplicemente a un riordino territoriale che nulla risolverebbe.
io
“l’istituzione regionale è l’emblema del fallimento funzionale coniugata alla dissipazione delle risorse. Essendo compito dello Stato ridurre le sperequazioni tra le sue realtà, l’unica chance sarebbe tornare verso un modello francese rigorosamente prefettizio, in cui questi è il terminale dello Stato nelle realtà locali”
Il problema é non solo amministrativo (magari) ma eminentemente politico. L’attacco alla provincia é quello più comodo. Nessuno penserebbe di sopprimere il Comune, l’istituzione più vecchia (sebbene anche qua si potrebbe discutere in termini di riorganizzazione). Nessuno può osare toccare le Regioni. Alle volte non ci si fa caso ma il lessico é sintomatico di manifestazioni culturali, sociali, giuridiche, che sono diffuse, anche inconsapevolmente, nelle società. Quanti di noi sui giornali, alla TV, etc sente chiamare i Presidenti di Regione “Governatori”. Fino a vent’anni fa il Governatore che si conosceva era quello della Banca d’Italia. Ci si riferiva cioé ad un alto funzionario dotato di potere tecnico-amministrativo elevato. Al contrario, quando si parla di Governatore riferito al Presidente di Eegione, terminologia molto in uso nel lessico leghista, ma ormai fatta propria da chiunque, ci si riferisce al Governatore dello Stato di New York, di Washington, etc.. cioé ad un modello federale (senza esserlo veramente) che faccia intendere a chi sia destinatario della comunicazione che colui che riveste tale carica elettiva é portatore di un interesse politico e di una rappresentanza territoriale più vasta di quella comunale, in grado di mediare con il potere politico centrale o statale.
Questi concetti, vuoi per gli scandali recenti, vuoi soprattutto per l’affermazione di un centro decisione sovrastatale é andata via via scemando.
Forse se si consoliderà un potere centrale a livello europeo più marcato, che vada oltre le dinamiche nazionali, porterà con se la soppressione del ruolo politico delle Regioni, divenendo lo Stato nazionale una “regione” dell’Europa.
La soppressione del ruolo politico della Regione é strettamente correlata all’evoluzione di tale dinamica.
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Mirko S.
Caro Giandavide, anzichè fare disinformazione raccontando bugie nella miglior tradizione del Corriere e de la Repubblica, nonchè rigirando la frittata tentando di cambiare discorso su tutto quello che stanno facendo i pentastellati in Parlamento e anche fuori, farebbe meglio a documentarsi, anche se lei sembra essere molto informato sul M5S e per questo molto preoccupato della figura di pupù che sta facendo fare a Bersani, Vendola e “compagni” vari. Del resto se uno scrive “meglio spendere prezzo pieno ma avere un servizio” farebbe meglio a firmarsi direttamente col numero della propria tessera di partito. Ve ce rode, eh? Arriverà la pienezza del tempo anche per voi, come dice Grillo dovrete trovarvi un lavoro, lo ricordi al suo amichetto Nichi.
giandavide
certo, tutti quelli che parlano male di grilo hanno la tessera. anche i grillini che non vogliono ilreato di clandestinità sono tutti pagati da bersani: gli unici a non essere pagati da bersani sono quelli che difendono le leggi di berlusconi. bah