2012 in arrivo: facciamo due conti

Ogni tanto vale la pena di fare due conti facili facili, come la signora Maria di Voghera, quando, a fine giornata, fa i conti della spessa e vede quanto resta in cassa per il resto del mese.
Ed allora: nell’anno prossimo, fra titoli sovrani, obbligazioni di enti pubblici minori, corporate bond (debiti d’impresa), obbligazioni bancarie, scadono titoli per 11.000.000.000.000 (undicimila miliardi) di dollari. Faccio grazia degli spiccioli. Ve l’ho scritto con tutti i 12 zeri per farvi apprezzare la cifra in tutta la sua imponenza: si tratta di poco meno di un sesto del Pil mondiale e di circa l’11% dell’intero debito mondiale. Come dire che, se ogni anno avessimo scadenze di questa entità, in nove anni dovremmo rinnovare l’intero debito mondiale, compresi i titoli ultraventennali.  E, per di più, nei due anni seguenti, le scadenze saranno solo di poco inferiori.
Tanto per fare capire l’eccezionalità della situazione, aggiungo solo un dato: nell’anno prossimo scadranno titoli ad alto rischio (i cd junk bond, titoli spazzatura) per un totale superiore di otto volte alla media annuale: sarà come se scadessero tutti insieme  otto anni di titoli altamente rischiosi.

Ci saranno tanti soldi per rifinanziare una massa così imponente di debiti? Astrattamente si, perchè se ci sono debiti ci sono crediti e il creditore può sempre riscuotere i nuovi interessi e rinnovare il credito. In concreto le cose stanno tutt’altro che in questi termini, anche perchè occorrerà trovare altri soldi da investire nell’economia reale,  della quale è bene ricordarsi ogni tanto.

In primo luogo occorre considerare che si dovranno trovare qualcosa come 3-4.000 miliardi di dollari solo per pagare gli interessi sullo stock di debito accumulato e non è detto che tutti i debitori (soprattutto quelli ad alto rischio che debbono tirare fuori fino ad 12-15% del debito per gli interessi) siano in grado di farlo.

In secondo luogo, sin qui si sta parlando poco di un’altra cosa poco piacevole: le sofferenze per mutui immobiliari, rate auto e carte di credito sono in aumento. Non si tratta di un aumento travolgente, ma comunque questo significa che le banche vedono crescere il loro credito inesigibile. E  le cose, ovviamente, peggioreranno in presenza dell’incipiente recessione che, in buona sostanza, significa più disoccupati, meno consumi, meno reddito, quindi maggiore propensione all’insolvenza.

C’è poi da considerare lo stato in cui versano alcuni “grandi debitori” come lo stato greco (di cui ormai viene dato per scontato il default) oppure alcune fra le maggiori banche europee (e francesi in particolare) che hanno ancora “in pancia” robuste porzioni di derivati dei mutui subprime riportati ancora in bilancio al loro valore nominale, senza registrare la perdita prodottasi nel frattempo, che, per alcuni titoli, sfiora anche il 90% (ma, tempo fa, non si parlava di market to market?).

Va da sè che l’eventuale default greco peggiorerebbe la condizione di quei soggetti che, come le banche francesi, ne posseggono una bella fetta. Potrebbe così determinarsi quell’effetto “domino” per cui la caduta di un debitore trascina con sè il relativo creditore, che non è in grado di pagare i propri debiti  e fa a sua volta default mettendo nei guai i propri creditori e così via, a catena.

C’è poi da considerare la propensione dei creditori a rifinanziare il debito e qui le cose si fanno proprio grigie. Già dalla fine del 2009 si è manifestata una tendenza degli investitori a “fuggire” dai mercati finanziari, preferendo investire in oro, immobili, opere d’arte (o presunte tali) o anche verso forme di investimento più insolite (ad esempio alcuni fondi pensione americani hanno acquistato botti di alcolici pregiati o persino forme di parmigiano, beni a lunga deperibilità e di cui si prevede un apprezzamento commerciale).

Occorre poi considerare il caso particolare e molto rilevante del Giappone alle prese con la ricostruzione del dopo Fukushima e già oberato da un debito pubblico al 223% del Pil: rinnoverà per intero la fetta di bond americani in scadenza, facendo altro debito per finanziare la ricostruzione? Difficile crederlo.

Dunque, è scontato che una parte degli investitori non rinnoverà il suo investimento finanziario. Prudenzialmente, ed al netto da eventuali default di grandi debitori, possiamo stimare che il tasso di obbligazioni non rifinanziate si aggirerà fra il 12 ed il 15%, in cifra assoluta, fra i 1.300 ed i 1.700 miliardi di dollari. Abbastanza per innescare una ondata di fallimenti su vasta scala e senza tenere conto delle scadenze dell’anno successivo.

La speranza di molti è che arrivi il soccorso dei paesi emergenti. Ma quanto è fondata? Il maggiore di essi, la Cina, non sta messo molto bene, anzi ha problemi molto seri (ne parleremo prossimamente). Pechino ha stanziato un fondo di circa 300 miliardi di dollari per sostenere i bond europei ed americani. E’ qualcosa, ma molto al di sotto della cifra che presumibilmente occorrerà trovare. Peraltro, aver stanziato una certa cifra non significa averla già impiegata: occorrerà vedere, alla prova dei fatti se, in che misura ed a favore di chi verranno spesi quei fondi.

Degli altri emergenti, il Brasile deve guardarsi da un suo crack a causa del calo di domanda di commodities, dovuto alla recessione (ed il discorso vale anche in una certa misura per la Russia). L’india, sinora non ha espresso alcuna particolare propensione ad investire in questa direzione.

Quanto ai paesi arabi produttori di petroli, sembra che abbiano altro cui pensare in questo periodo.
Dunque, da quel fronte non è probabile che piova denaro fresco in quantità.
Resta l’altra strada: emettere moneta e fare un’altra alluvione di  denaro sia per comperare i titoli pubblici sia per soccorrere le banche. Ovviamente questo riguarda in primo luogo Bce e Fed ed, in misura più ridotta le banche centrali di Inghilterra e Giappone. Questa soluzione  presenta, però, diverse controindicazioni: in primo luogo il rischio di produrre una ondata inflattiva molto seria, soprattutto se la nuova liquidità dovesse dirigersi verso una nuova bolla delle commodities. In secondo luogo, questo causerebbe reazioni molto vivaci da parte cinese perchè, ovviamente, provocherebbe un terremoto valutario senza precedenti, svalutando seriamente dollaro ed euro, con quel che ne consegue sul credito cinese verso Usa e Ue e sulle esportazioni cinesi verso quei mercati. E, naturalmente, a quel punto non appare scontato che i cinesi diano poi seguito alla loro intenzione di sostenere titoli americani ed europei.

In terzo luogo, la cura della liquidità “a spruzzo” è già stata fatta due anni fa, con il risultato di calmare la crisi del 2008 ma solo per preparare quella successiva, che si è appena aperta. Possiamo anche pensare di usare le banche centrali come le autobotti dei pompieri, ma questo serve solo ad innescare crisi a ripetizione, perchè crea ulteriore denaro in cerca di retribuzione all’interno dei circuiti finanziari. In fondo: se non ha funzionato la prima volta, perchè dovrebbe funzionare la seconda?

Ci sono, poi, dei problemi politici che non vanno sottovalutati. Ad esempio, negli Usa, la complessa architettura di poteri in materia, fra Fed, Presidenza, Tesoro e Congresso rende ogni decisione poco agevole nell’anno delle elezioni. Bush potette varare il piano Paulson perchè aveva dalla sua il Congresso e perchè, tutto sommato, i democratici erano sulla stessa lunghezza d’onda (tanto è vero che Obama poi fece la stessa cosa sei mesi dopo), inoltre, eravamo all’inizio della crisi e quello sembrava ai più il rimedio obbligato. Ma tutto questo oggi non vale per Obama che si trova a far fronte a questa imprevista recrudescenza della crisi ed ha contro dei repubblicani scatenati che sono in maggioranza al Congresso. Insomma, è da vedere come si metteranno le cose.

Ancora meno semplice sembra la posizione della Bce: qualche giorno fa Jurgen Stark, il membro tedesco del board della Bce, se ne è andato sbattendo la porta perchè in disaccordo con l’acquisto (a suo avviso eccessivo) dei bond dei paesi europei in difficoltà (CdS 18.11.2011 p. 18). Vero è che mancava poco alla fine del mandato di Stark, ma nulla fa presagire che il suo successore sia più malleabile. Può anche darsi che i tedeschi non sollevino problemi sulla liquidità illimitata alle banche, ma è assai meno probabile che accettino una linea di salvataggio dei paesi in difficoltà. Anzi, tutto fa pensare che i tedeschi faranno valere sempre di più il loro peso nella Bce per porre limiti in questo senso.

Anche qui occorrerà vedere quali mediazioni si riuscirà a trovare, in che tempi ed a quali condizioni (e sempre che l’Euro sopravviva ed i tedeschi vogliano ancora farne parte, questione ancora  sub judice). E, peraltro, anche il giochino della fiat money non può durare all’infinito e su quantità  sterminate.

E’ divertente vedere che fine hanno fatto le teorie monetariste di Friedman di cui molti di questi signori s’erano detti ferventi allievi. Ma si sa: i neo liberisti non hanno timore di contraddirsi quando sia conveniente farlo…

Per ora, possiamo concludere che è largamente probabile che un po’ di soggetti (stati, aziende, banche) resteranno con il cerino acceso in mano ed è da capire quanti resteranno a terra e quale “effetto contagio” si produrrà.
Una cosa, però, è chiara sin da adesso: si tratterà di una vera e propria guerra finanziaria, senza risparmio di colpi bassi e quello che è accaduto nel 2011 è solo il prologo di questa guerra.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (28)

  • Ciao Aldo,
    spero che la guerra finanziaria non generi una guerra militare come sostenevi nell’articolo precedente …
    Con un tantino di angoscia,
    Paola

  • Caro Giannuli,potrebbe spiegare perchè scrive che “anche il giochino della fiat money non può durare all’infinito e su quantità sterminate”?
    Che non possa durare “all’infinito”, prendendo alla lettera la sua affermazione, è questione teorica che francamente non ci interessa, per il semplice fatto che anche i sistemi politici che della fiat money fanno uso non durano all’infinito. Quindi, qualora la sua affermazione fosse vera, sarebbe del tutto controfattuale, e cioè più che altro un esercizio di pensiero.
    Limitando invece l’analisi al futuro prossimo (1-10-20-50 anni), perchè ritiene che il “giochino” della fiat money non possa durare? Se infatti, perlomeno per quel che concerne la questione del deficit, la fiat money può funzionare benissimo (vedere in proposito Randall Wray qui: http://www.newdeal20.org/2010/07/20/deficits-do-matter-but-not-the-way-you-think-15355/), quali sarebbero gli altri problemi che impedirebbero la prosecuzione del “giochino”, e quale relazione essi avrebbero con la situazione economico-politica attuale?

    • ne parlerò meglio un un prossimo articolo, qui mi limito a dire che il denaro non è la ricchezza ma solo il suo simbolo, per cui, se aumenta la massa di denaro circolante, ma i beni reali restano più o meno gli stessi, è ovvio che il denaro perde valore in proporzione. E’ appunto il fenomeno dell’inflazione. Questo sinora non è accaduto che in misura limitata (e prevalentemente in Cina, dove si sono riversati consistenti rivoli della liquidità emessa da americani ed europiei nel 2008 attraverso meccanismi di carry trade) perchè in gran parte esso è rimasto dentro i circuiti finanziari alimentando in successione bolle come quelle del web, delle commodities, dell’oro ecc, ma è inevitabile che la continua emissione di denaro, a fronte di un monte di beni reali stabile (o addirittura in regresso per la recessione), prima o poi determinerà una fiammata inflattiva. In secondo luogo è evidente che le emissioni di liquidtà non sono fatte da tutti nella stessa misura e negli stessi tempi, per cui questo destabilizza il mercat dei cambi. Se continuiamo ad emettere dollari ed euro, siamo sicuri che non inizi una fuga da queste monete da parte degli altri? O pensiamo che Cinesi, Russi, Brasiliani, Indonesiani, Turchi, Coreani, Sudafricani, Indiani ecc. debbano per forza accettare queste monete qualsiasi cosa accada?

  • Grazie della risposta. Vorrei però fare un’osservazione. Se il denaro, creato premendo un tasto su una tastiera di computer delle varie banche centrali (per usare una metafora impiegata anche da Bernanke), quindi senza nessun limite intrinseco, fosse impiegato per un reale rilancio dell’economia, per la creazione di nuovi beni (e non per il salvataggio di un sistema finanziario ormai in tutta evidenza incancrenitosi), il problema dell’inflazione sarebbe notevolmente ridimensionato. (Con una precisazione: con “nuovi beni” non vorrei intendere nuove occasioni di consumo, ma piuttosto “occasioni di vita buona” (miglioramento della qualità della vita), e ciò, in primis, tramite una riconversione sostenibile del nostro modello socio-economico (insostenibile, nella sua struttura attuale): creazione di lavoro e ricchezza che va di pari passo con il riconoscimento dell’impossibilità della crescita infinita, con la tutela del territorio, con la formazione dei lavoratori, ecc.)
    Quanto al secondo punto: una tale politica economica probabilmente (mi corregga se sbaglio) metterebbe capo a uno sviluppo del Paese tale da salvaguardare la valuta (aumento produttività = merci più competitive = aumento esportazioni = diminuzione/azzeramento del deficit commerciale, trade surplus = accumulo di valuta estera).
    La vera questione, a mio parere, è geopolitica: di quanta “forza” disponiamo per garantire la realizzazione di un tale scenario?

  • Lu.Ca chieda informazioni al governo dello Zimbawe, credo le sapranno rispondere

    Aldo: non credo troppo a fughe da $/€ ecc verso monete dei paesi emergenti. questo perché, €/$ svalutandosi comporterebbero una diminuzione dell’export su cui si basano le economie emergenti che si vedrebbero costrette a svalutare a loro volta. il risultato sarebbe una riduzione del valore del debito, con conseguenze tuttavia imprevedibili, perché come spiegava prima il creditore è indebitato a sua volta.

    purtroppo quando si arriva a situazioni come quella in cui ci siamo cacciati, non ci sono formule magiche per mettere tutto apposto. è una crisi pesante, o la risolviamo con il tempo o con la guerra, personalmente preferisco la prima

  • Non ho ben compreso. Si tratterebbe di chiedere al governo dello Zimbawe – giusto perchè a quello di Weimar non si può, giusto? – che cosa, di preciso? Perchè quando si parla di inflazione scatta il riflesso pavloviano dello Zimbawe? Che c’azzecca lo Zimbawe (con tutto il rispetto) con l’Italia?

  • There’s class warfare, all right, but it’s my class, the rich class, that’s making war, and we’re winning.
    warren buffett
    New York Times, November 26, 2006.

    C’è una guerra di classe , è vero , ma è la mia classe che sta’ facendo la guerra e stiamo vincendo .
    (warren buffett è una degli uomini piu’ ricchi del mondo )

  • Secondo me non c’è una vera alternativa allo scenario di politica monetaria espansiva/inflazione/guerra valutaria con i Bric. A me pare un percorso obbligato.
    Mi permetto di aggiungere che, tutto sommato, rispecchia la necessità di un riequilibrio tra economie occidentali ed emergenti e, in occidente, dei rapporti di forza tra i grandi (pochissimi) rentiers e le milioni di attività produttive che sono a corto di liquidità e sono praticamente in apnea, rischiando di desertificare completamente il tessuto produttivo.

    Il problema, politico e geopolitico, è semmai come attuare questa soluzione in maniera graduale e armonica, senza strappi troppo brutali che possano scatenare tensioni interne e internazionali. Un problema non da poco, visto che le scadenze sono impellenti.

  • ps: si sta venendo a creare, in occidente, un pericolosissimo problema di divergenza di interessi tra classi sociali. Per semplificare estremamente, diciamo che esistono due classi: quelli appartendenti al c.d. “99%” che annaspano e fanno sempre più fatica – anche la vecchia classe media che qualche decennio fa si considerava benestante ed era il motore si della domanda interna che della attività produttiva, adesso sta vedendo scivolare rapidamente i propri standard di vita – e l’1% – i grandi rentiers – che hanno accumulato ricchezza per generazioni e , soprattutto negli ultimi decenni, in maniera esponenziale – che perseguendo il proprio profitto, grazie alla crescente e sregolata apertura dei mercati, hanno contribuito a determinare lo smantellamento dell’apparato industriale/produttivo occidentale.

    Ora, il problema è che la democrazia, nonostante la crescente necessità di finanziamenti (vedi la politica americana) e corruzione, in senso ampio, delle classi politiche (vedi politica italiana) funziona ancora col principio di “un voto una testa”.
    Qualora nei prossimi anni questa divaricazione dovesse arrivare a livelli di insopportabile tensione si potrebbe arrivare, secondo me, ad una crisi istituzionale delle democrazie occidentali (ammesso che non stiamo già assistendo al suo preludio) e una rottura degli ordinamenti in senso rivoluzionario egalitario o in senso autoritario.
    Purtroppo temo che la seconda ipotesi sia enormemente più probabile.

  • Mi sbaglierò, ma siamo semplicemente vicini ad una fase di grossi cambiamenti, cambiamenti epocali nel vero senso del termine. Con un piccolo problema, questi cambiamenti, la storia ce lo insegna, correggimi Aldo se sbaglio, non sono mai “gratis”, ma avvegono con sempre con “pianto e stridor di denti”.

    Lu.CA sarebbe bello se si potesse fare, ci sono solo dei piccoli dettagli da mettere a posto, tipo:

    1) non possiamo decidere, noi come Italia, di aumentare o diminuire la massa monetaria in circolazione.

    2) reinveistire l’ipotetica massa in più vorrebbe dire dare soldi a Marchionne e Marcegaglia per fare? Scusa, ma conoscendo i succitati non riesco a crederci che faranno qualcosa per il bene della comunità

    3) di sviluppo sostenibile ne sento parlare, più o meno, da circa vent’anni. Ad una mia semplice domanda però non ho mai ricevuto risposta: quanti pannelli solari o quante torri eoliche ci servono per non dipendere più dal petrolio? Basterebbe l’intero territorio italiano? Quanto costerebbe rifare il patrimonio edilizio italiano per evitare le dispersioni termiche ed elettriche?

  • non mi sembrava educato consigliarle di chiedere al parlamento di Weimar considerato che i suoi rappresentanti sono tutti morti. l’esempio dello Zimbawe credo risponda perfettamente alla sua domanda.

    osservando la mia risposta capisco possa essere letta con una certa aggressività, non era mia intenzione e me ne scuso se l’ha interpretata in quel senso

  • noi facciamo due conti, ma purtroppo qualcuno li fa fatti prima di noi e allora chi doveva andare in pensione il prossimo anno dovrà aspettarne altri due anche se è anticomunista. C’è in giro una sorda rabbia che potrebbe degenerare in protesta vivace contro i monti e i tremonti

  • A Lu.CA:
    le tue altrimenti condivisibili argomentazioni di politica economica potrebbero reggere soltanto se la classe dirigente fosse costituita da una moltitudine di immacolati coltissimi filantropi. Mi sembra però che siamo decisamente lontani…

  • non reggerebbero comunque. la ricchezza non è data dal denaro ma dai beni e servizi prodotti da un’economia. se lo stato stampa denaro e agisce direttamente come attore economico questo non cambia di una virgola le dimensioni della torta, distribuisce solo diversamente le fette: aumenta quella dello stato e diminuisce quella dei privati sotto forma di inflazione.

  • A Nicola Mosti: sono d’accordissimo, e però si tratta dunque di riconoscere che il problema è antropologico, e non economico. E poi, parafrasando ciò che amava ripetere l'”ex futuro presidente degli Stati Uniti d’America” (Al Gore), la classe politica è una risorsa rinnovabile…

    Interessante invece l’ultima replica di Steffa88, che dice una cosa giusta: ricchezza = real assets (beni, servizi, ecc.). Cioè: il denaro (ancora) non si mangia (tranne gli euro di cioccolato sotto l’albero di Natale).
    Non si capisce però il senso dell’affermazione che segue: “se lo stato stampa denaro e agisce direttamente come attore economico questo non cambia di una virgola le dimensioni della torta”. Ma scusate, riflettiamo: se, ad esempio lo Stato divenisse datore di lavoro di ultima istanza, (come proposto da Randall Wray, Understanding Modern Money) o erogasse un salario minimo garantito a tutti(come propone Van Parjis, Real Freedom For All), questo non equivarrebbe forse a una creazione di ricchezza, cioè di real assets? (stipendio per tutti = aumento consumi = aumento domanda = aumento offerta e produzione). Se lo Stato stampa denaro per ristrutturare una scuola (o meglio, per pagare l’impresa che esegue la ristrutturazione), questo non equivale a creazione di ricchezza? Se lo Stato finanzia un centro di ricerca d’eccellenza nella ricerca sui tumori, questo non equivale a creazione di ricchezza? Se lo Stato crea una rete di trasporto su rotaia all’avanguardia (e qui, ovviamente, non mi riferisco al TAV), questo non equivale a creazione di ricchezza? Se lo Stato, SPENDENDO A DEFICIT, fa tutto ciò (e infinitamente altro), questo non equivale ad aumentare le dimensioni della torta?!?

    Il punto è che per fare tutto questo lo Stato deve per forza di cose stampare denaro (fiat money, et money facta est!). D’altro canto, ed è questo il senso del mio intervento iniziale, LO STATO (a moneta sovrana: NON l’Italia dell’Euro attuale!) NON HA NESSUN IMPEDIMENTO INTRINSECO AL RIGUARDO (senza che ciò significhi, voglio essere ben chiaro, che si possa stampare tutto il denaro che si vuole. Ma da qui a dire che il deficit è un problema “strutturale”, e che stampando denaro si crei in automatico inflazione ce ne vuole – si veda ad esempio il link che ho “postato” precedentemente).

    Poi: “se lo stato stampa denaro […] distribuisce solo diversamente le fette: aumenta quella dello stato e diminuisce quella dei privati sotto forma di inflazione”.
    No, per nulla, è vero piuttosto il contrario (l’ha mostrato Wynne Godley): giacchè ad ogni deficit deve corrispondere un surplus, ad ogni debito un credito (come sa ogni studente del primo anno di ragioneria), se il settore governativo, ad esempio dell’Italia, è in deficit ciò significa, per una necessità essenziale (e tralasciando per comodità d’analisi il commercio con l’estero: facciamo finta che in Italia import e export si pareggino) che il settore privato (imprese, famiglie, ecc.), preso nel suo insieme, avrà un surplus. Quindi: la spesa a deficit dello Stato PRODUCE RICCHEZZA per i cittadini, e non, come ci fanno credere i nostri politicanti e giornalisti prezzolati, il contrario!

    • Bhe non è proprio così: se lo stato passa un reddito di cittadinanza (cosa alla quale sono contrarissimo, ma ne parleremo in altra sede) questo non crea ricchezza, semplicemente la redistribuisci fra i suoi cittadini, ma a costo di aumentare la domanda a parità di beni sul mercato. Il risultato è l’inflazione, che in alcuni casi può anche essere la scelta meno dannosa, ma di qui a dire che si crea ricchezza direi che ne corre

  • Ultima precisazione: mica voglio fare il comunista! Vorrei solo mettere in luce come lo Stato a moneta sovrana abbia in effetti molte meno limitazioni di quanto si pensi comunemente. Poi certo, i soldi a Marcegaglia non glieli dare nemmeno io!
    Il punto, però, è iniziare a sgombrare il campo dall’idea che vi siano leggi economiche di natura che impediscano alla gente di vivere una vita dignitosa (della serie: la disoccupazione è necessaria per non far aumentare l’inflazione). Una volta fatto ciò – che sarebbe comunque, in questi tempi di trionfo dell’obiettivismo, come direbbe Husserl, un grande e decisivo passo – saremmo comunque solo al 10′ del primo tempo, su questo sono d’accordo.

  • E però: in primo luogo (perlomeno nella proposta di Van Parjis), il redditto di cittadinanza sarebbe formalmente erogato a tutti, ma di fatto solo a pochi (i realmente bisognosi), in quanto lo Stato, con una tassazione fortemente progressiva, farebbe in modo di “ripagarsi” quanto eroga, drenando tra l’altro la quantità di denaro circolante in eccesso. Quindi non necessariamente ciò creerebbe inflazione (anche perchè fino alla piena occupazione il pericolo di inflazione è relativo): l’idea è che il governo gestisca la politica fiscale in modo anticiclico (tasse più alte quando l’economia tira, e viceversa).
    Poi, in questo modo si sosterrebbero i consumi, con tutto quel che ne segue (aumento produttività e inflazione stabile). No?

  • Davvero impressionante il quadro finanziario appena illustrato. Io penso che proprio la tendenza di fare i soldi con i soldi abbia portato all’odierna crisi globale. Se quei soldi fossero smistati su investimenti produttivi (non certo le buche nel terreno) quali opere pubbliche di messa in sicurezza del territorio, investimenti in nuove attività industriali ( e penso ai settori della ricerca medica, delle biotecnologie, della robotica, delle energie rinnovabili, o anche in opere d’arte, perchè no?) forse assisteremmo ad un nuovo rinascimento. In ogni caso penso che accetterei la proposta del governo di convertire una piccola quota del mio stipendio in buoni del Tesoro (cosa già avvenuta negli anni ’70, dato che conservo ancora alcuni titoli di Stato a pagamento dei miei salari di giovane lavoratore): potrebbero essere riscattati a lungo termine per pagare una pensione integrativa o per lascito ai figli, a futura memoria.

  • Giannulli attira giustamente l’attenzione su di una realtà che quasi tutti rimuovono. Detto questo, penso che la dimensione dei problemi sia tale che nessuna riforma finanziaria, per quanto incisiva, possa porvi rimedio. L’ipotesi di una via d’uscita bellica mi sembra troppo ricalcata sul passato, ma (per fortuna) improbabile nel prossimo futuro, non foss’altro per la grande interdipendenza di tutti i sistemi statuali, per non parlare del rischio nucleare. A mio parere la partita più complessa si giocherà in Europa, perchè è l’unico dei grandi attori a non avere un vero governo politico dell’economia e della società. Quindi, non ci si può limitare a guardare i trend, ma bisogna schierarsi. La cultura dell’analisi dei trend non funzione nei punti caotici di discontinuità storica. Vogliamo la Federazione Europea o no? Nei due casi, quali costi e rischi, o quali benefici ci aspettiamo? O, marxisticamente: quali classi sociali vincono o perdono a seconda delle varie opzioni? Mi aspetto che nel 2012 e negli anni successivi si svolgerà in Europa una specie di riedizione – in forme finanziare e politico-mediatiche, oltre che istituzionali – della Guerra di Secessione americana. Questa contrapposizione sarà nell’immediato lacerante e catastrofica per la sinistra europea, ancora egemonizzata dalle anime belle, dal localismo nostalgico e dal moderatismo riformistico. Ma, alla lunga, potrebbe costringerla a una salutare rifondazione. Quando il gioco si fa duro, i duri incominciano a giocare.

  • In molti settori c’è un effettivo surplus di produzione (agro-alimentare, edilizia, elettronica di consumo, etc…) per cui l’incremento della base monetaria (gli economisti insegnavano) non necessariamente causerebbe inflazione e tantomento iper-inflazione. Perché se è vero che il prezzo dei beni è fissato dal rapporto tra domanda ed offerta, un non dissimile aumento di numeratore e denominatore, almeno matematicamente parlando, non dovrebbe incidere sui prezzi al consumo.

    Quanto alla questione della limitatezza delle risorse, pur non potendo certamente prevedere una crescita all’infinito, qualcuno dovrebbe pur dire che la risorsa limite per eccellenza, ovverosia il PETROLIO, è tutt’altro che prossima al suo esaurirsi. In effetti, gli esperti del settore sanno benissimo che la teoria del Peak Oil è quantitativamente completamente sbagliata, specie adesso che sono state affinate tecniche economicamente appetibili tramite le quali estrarre petrolio dalle rocce porose. Tuttavia, le maggiori compagnie petrolifere si guardano bene dal diffondere tali informazioni, cosicché possano continuare a speculare su un bene del quale in realtà non vi è alcuna scarsità. In verità, il prezzo del barile è tenuto artificialmente alto e ciò soprattutto grazie all’accordo fra texani e sauditi (di cui l’OPEC è un’emanazione), i quali non esitano ad appoggiare la destabilizzazione politica del Medio-Oriente (Iraqi insegna).

    Alla fine dei conti resta da vedere se la Germania si intestardirà nella politica dell’austerità economica, paralizzata dal timore dell’iper-inflazione weimeriana (ed alla lunga si potranno ipotizzare Recessione, Bancarotta di Stati Sovrani, Crac degli Istituti di Credito, Depressione Economica e Deflazione), oppure se si lascerà convincere da una moderata politica inflazionistica, almeno per svalutare i Debiti Sovrani. Quest’ultima possibilità, forse quella meno problematica, sembra essere caldeggiata anche dagli USA che, suggerendo agli organi della BCE di procedere con un analogo del loro Quantitative Easing, perseguirebbero in realtà una svalutazione dell’Euro ed un consolidamento del Dollaro quale moneta internazionale di riserva.

    Questo è il condensato di una serie di concetti espressi da alcuni ecocomisti fuori dal coro e francamente mi sembrano opinioni intuitivamente condivisibili.
    Certo (e qui faccio ammenda) non sono un tecnico del settore, ma un semplice vorace lettore.

  • @Aldogiannuli – Se il senso dell’articolo può essere riassunto come: non si può uscire dalla brutta situazione in cui ci troviamo con giochi di prestigio, occorrono riforme ed aggiustamenti reali, sia in Italia che altrove, mi trova sostanzialmente d’accordo. Tuttavia nello specifico ci sono una serie di punti sui quali nutro qualche dubbio.
    “nell’anno prossimo, fra titoli sovrani, obbligazioni di enti pubblici minori, corporate bond (debiti d’impresa), obbligazioni bancarie, scadono titoli per 11.000.000.000.000 (undicimila miliardi) di dollari. […] Ci saranno tanti soldi per rifinanziare una massa così imponente di debiti? […] occorrerà trovare altri soldi da investire nell’economia reale, della quale è bene ricordarsi ogni tanto.”
    dovranno essere tutti rifinanziati quei debiti? in che proporzione si tratta di debiti sovrani (che quindi dovranno con gran probabilità essere rifinanziati, è difficile che si abbiano sostanziali tagli alla spesa pubblica nel breve periodo, credo) e in che proporzione di debiti privati? specie in una recessione mi vien da pensare che le imprese potrebbero non aver tutta questa voglia di emettere nuovo debito per sostenere degli investimenti…(se riesci a darmi un riferimento di dove hai preso i dati ne sarei molto felice, sto preparando una serie di esami e non vorrei perdere troppo tempo a stare a cercarli da zero).
    Secondo punto, perchè i risparmi utilizzati per concedere il rinnovamento dei debiti di sopra non vengono considerati come “soldi investi(ti) nell’economia reale?”.
    Grazie e buone feste.

    P.S.: @ Lu.CA – “se lo stato[…]questo non equivale a creazione di ricchezza?” assolutamente NO, l’unico risultato è che ci spostiamo verso un’economia che è sempre più in mano allo stato e sempre meno ai privati. Si crea nuova ricchezza se e solo se le risorse vengono spese in maniera più produttiva di quanto non lo fossero prima, che lo faccia lo stato o che lo facciano altri.

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