Negli anni sessanta e settanta circolava un’idea, ritenuta una verità di fede, per la quale perseguire il pareggio di bilancio dello Stato era non solo sbagliato ed utopico, ma addirittura reazionario e fuori del tempo. Il disavanzo era programmato, perchè così si garantiva lo sviluppo.
All’epoca ero un giovane militante di gruppi di estrema sinistra, ma, ciò nonostante, la cosa non mi convinceva affatto e la trovavo una idea completamente sballata. Perchè se per qualche anno poteva essere necessario fare disavanzo, prima o poi bisognava rientrare e ripianare i debiti.
Molti amici e compagni mi dicevano che i miei dubbi erano completamente fuori luogo e tradivano una “mentalità ottocentesca” e un po’ reazionaria, perchè la modernità impone il disavanzo come condizione di progresso e, dunque, esso deve essere costante, strutturale, permanente. E giù citazioni di Keynes che dimostravano quanto fosse auspicabile chiudere i conti in rosso. Rispondevo “Sarà, ma non mi convince”.
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