Stato e mercato. Togliamo di mezzo un po’ di idee confuse.

Si sta profilando un’abominevole contaminazione ideologica fra stalinismo e neo liberismo, per la quale, all’antico sostrato stalinista si aggiungono dogmi neo liberisti acriticamente assorbiti.

Molti anni fa (il mio amico Franco Acanfora se ne ricorderà) elaborai la categoria (scherzosa) di “marxismo omerico”, per la quale si era creata una “tradizione orale” (esattamente come l’Iliade e l’Odissea formatesi per trasmissione orale da aedo ad aedo) perché nessuno leggeva più nulla ma ripeteva un linguaggio orecchiato che non padroneggiava. Questa “narrazione” (voglio fare il vendoliano) ripeteva concetti tratti della fraseologia marxista (come “caduta tendenziale del saggio di profitto, “lotta di classe”, “capitalismo” ecc.) totalmente sganciati dal significato originario e privi di un vero e proprio significato, ma evocatori di un lontano sapere ormai perso.

Oggi devo aggiornare quell’idea, parlando di “sinistrese omerico”, temo non più in chiave scherzosa, ma per costatare il deprimente livello culturale che stiamo raggiungendo. Procediamo con ordine.

Si sono radicate due idee di marca stalinista:

a. mercato= capitalismo, quindi = destra.

b. Socialismo = proprietà statale dei mezzi di produzione e pianificazione; quindi chi è di sinistra è per la pianificazione statale e contro il mercato.

Cui si sono aggiunte due idee di marca neo liberista accettata senza un’ombra di dubbio:

a. il mercato per eccellenza è quello finanziario, e questo conferma l’inevitabile carattere capitalistico del mercato in quanto tale.

b. L’unica forma di socialismo possibile è quella dell’Urss staliniana, basata sulla soppressione di ogni libertà civile, sulla dittatura del partito unico e sulla statizzazione dei mezzi di produzione e sulla pianificazione. Ed in questo stalinisti e neo liberisti sono pienamente d’accordo.
Vediamo punto per punto.

In primo luogo il mercato pre esiste al capitalismo e, dunque, non si identifica affatto con esso, né presuppone necessariamente l’individualismo proprietario ed il sistema capitalistico. Anzi il capitalismo tende a soffocare il mercato attraverso  gli oligopoli. Marx, ha criticato il capitalismo ma non il mercato in quanto tale e non ha mai prospettato la pianificazione o la proprietà statale dei mezzi di produzione, anzi ha sempre parlato, dopo la rivoluzione, di “semi stato proletario in via di estinzione” ed ha preferito definire il socialismo come sistema di “produttori associati”, formula preferita anche a quella di “dittatura del proletariato”, che compare solo 13 volte in tutta la sua opera e con un significato sociale più che istituzionale e, comunque, di senso molto diverso da quello che assumerà in Russia. Dunque, questa equivalenza mercato-capitalismo è una balla totalmente infondata.

Veniamo alla seconda idea, strettamente dipendente dalla precedente:  il socialismo è il possesso statale dei mezzi di produzione e l’economia pianificata, dunque esclude il mercato. Abbiamo detto che Marx non idealizza affatto lo Stato, anzi ne vagheggia l’estinzione nella fase del comunismo (fase superiore della trasformazione socialista della società) che è subito avviata dalla fase “socialista” (quella inferiore, che segue immediatamente la presa del potere) con il “semi stato in via di estinzione”. Magari si può considerare utopico questa visione della storia, ma, sicuramente non va nel senso di un potenziamento dello Stato attraverso la subordinazione ad esso dell’economia.

Peraltro ci sono stati molti marxisti -anche escludendo la componente socialdemocratica e limitandoci all’area comunista- che hanno cercato di conciliare Stato e Mercato o che hanno parlato di “mercato socialista” o di “socialismo di mercato” (ad esempio Eduard Kardelij, Ota Sik, Randovan Richta, Evsei Liberman, Vladimir Trapeznikov, V. Nemcinov, Pierre Naville, Mohamed Harbi) alimentando esperimenti diversi e di varia fortuna come l’autogestione Jugoslava  o quella algerina, il nuovo corso cecoslovacco, le riforme krusceviane, ma, in fondo, nella stessa ottica di valorizzazione più o meno parziale, andò anche la Nep (che ebbe il suo massimo teorico in Nicolai Bucharin) e le “quattro modernizzazioni” volute da Deng Xiaoping. Sono stati esperimenti molto diversi e spesso divaricanti fra loro e si possono avere giudizi molto diversi da caso a caso (a me le riforme di Deng piacciono ancora meno del “socialismo” staliniano), ma non c’è dubbio che tutte siano andate nel senso di un aggiustamento del rapporto fra Stato e mercato. Dunque, l’idea che il mercato sia incompatibile con idee socialiste è un’altra balla di marca stalinista.

E veniamo alle idee assorbite dal neo liberismo:

1. Il mercato, per sua natura, veicola le merci cedute in cambio di denaro. Ma, nei mercati finanziari si scambiano forme di denaro contro altre forme di denaro (liquidi contro azioni, obbligazioni o future ecc.). Ma il denaro non è affatto una merce. A sostenere che esso lo sia, sono i neo liberisti, un marxista (ma anche un keynesiano di sinistra) non accetterebbe mai questa idea. Ne consegue che i cosiddetti “mercati finanziari” non sono affatto “economia di mercato” ma, al contrario un elemento che stravolge i veri mercati: quelli delle merci e del lavoro. Aver imposto la prevalenza dei “mercati” finanziari sugli altri non è che l’imposizione della dittatura del capitale sulla società, ma ha poco a che fare con l’economia di mercato in quanto tale.

2. Di conseguenza, anche l’idea che l’alternativa concreta si ponga solo fra una società totalmente dominata dal “libero mercato” (inteso anzitutto come “mercato” dei capitali) e società pianificata e statizzata è totalmente infondata, essendoci molte altre alternative possibili e non solo come “via di mezzo” fra l’una e l’altra cosa (come sarebbe nel caso delle socialdemocrazie o delle economie keinesiane) ma come sistema basato su un equilibrio dinamico fra stato e mercato e non necessariamente basato sull’individualismo proprietario. E si capisce perfettamente perché questa alternativa  immaginaria piaccia tanto agli stalinisti quanto ai nei liberisti. Agli stalinisti piace perché gli evita di fare i conti con il fallimento del loro modello, ai liberisti perché proprio quel fallimento rende innocua la sinistra che vi si ispira.

Due considerazioni finali:

a. una economia di mercato resta tale sia che le imprese siano di proprietà privata sia che si tratti di cooperative o di imprese autogestite, dunque può benissimo convivere con un regime socialista basato sull’autogestione;

b. pensare ad una economia di mercato che preveda un intervento correttivo delle “deviazioni” del mercato non è la ricerca di una “mezza strada”, ma un modello diverso tanto della pianificazione statalizzata quanto del libero mercato allo stato brado a patto che ci si ricordi che ogni equilibrio fra stato e mercato non è dato una volta per tutte, ma è un equilibrio dinamico che richiede frequenti aggiustamenti.

Magari la prossima volta provvederò ad aggiungere una bibliografia in materia per i palati più esigenti.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (16)

  • «Il ricorso alla quantità di moneta come obiettivo non è stato un successo. Oggi (2003) non sono sicuro che lo raccomanderei così vigorosamente come in passato». Milton Friedman

  • Caro Aldo, ma sei tu che, probabilmente a fine retorico, ti crei alcuni stereotipi di comodo per poi polemizzarci.
    Poichè hai dichiarato la tua intenzione di scrivere un post su questo argomento, rispondendo a un mio commento, qualcuno potrrebbe credere che qui tu ti stia riferendo a me.
    In verità, a parte che sono un tuo ospite abbastanza assiduo, a parte che hai ricevuto da me una copia del mio libro, nello stesso intervento a cui mi riferisco, dovevano risultare chiare alcune mie posizioni che dovrebbero escludere che io possa essere rappresentato nella caricatura che tu fai di coloro che non la pensano come te.

    Riassumo qui alcuni punti della mia visione politica.
    – non sono marxista e neanche marxiano, pur apprezzando singoli aspetti del pensiero di Marx. ma, a differenza di tanti altri, che magari la pensano similmente a me, penso sia importante dire chiaramente di non sentirsi discepoli di Marx, perchè considero il marxismo macerie che impediscono altre forme di opposizione radicale alla società di oggi.
    – il termine capitalismo deve molto del suo uso ai marxisti ed al materialismo storico. Invece io, seguendo in questo Polanyi, distinguo il mercantilismo che si sviluppa già nell’ultima parte del medioevo, dalla società di mercato che inizia verso la metà dell’ottocento. Nella società di mercato, ciò che cambia è il processo di mercificazione di tutto, inclusa la terra, il denaro e il lavoro umano, tutte le tre entità essendo trattate come merci, al contrario di quanto si facesse nel mercantilismo. La conseguenza è che così il potere si concentra in pochissime mani. Io sostengo appunto che c’è qualcosa di peggio della concentrazione di ricchezza in poche mani, ed è la concentrazione del potere in poche mani, l’impossibilità della democrazia.
    – quindi, non penso affatto che la proprietà dei mezzi di produzione non possa anche marginalmente essere in mani private, ma l’importante è che queste imprese si adattino ad un’economia pianificata. Solo all’intenro dei settori produttivi e dei prodotti che il piano economico prevede, è possibile per un privato investire in una propria impresa.
    – dobbiamo finirla con questa immagine caricaturakle della pianificazione come di un processo fatto da occhialuti funzionari nel chiuso dei loro uffici senza tenere conto della realtà. Esiste ovviamente il pericolo di una deriva burocratica della pianificazione, ma io penso invece che si debba trattare di una grande forma di democrazia, con discussioni e votazioni in tutti i luoghi di lavoro. Assumere lo stalinismo come modello di pianificazione è del tutto errato, la pianificazione non può consistere in un processo autoritario centralizzato, fermarsi a quel tipo come se coincidesse con la pianificazione tal quale, è prendere lucciole per lanterne.
    – Il fatto che esistano pericoli di degrado della pianificazione, non dovrebbe farci dimenticare il degrado non eventuale ma sperimentabile oggi del sistema di mercato che pretenderebbe effetti automatici collaterali positivi che come è ormai evidente a chi non è del tutto cieco, non ci sono. Il punto centrale però non è correggere gli effetti di distribuzione ineguale delle ricchezze, almeno non solo questi, ma soprattutto come sia possibile impedire ai capitalisti di decidere per noi attraverso un sistema mediatico al loro servizio ed in grado di condizionare enormememnte le menti dei cittadini.

    Mi fermo qui, se si vuole polemizzare con me, almeno lo si faccia su ciò che penso davvero, non su ciò che mi si vorrebbe attribuire in una logica di “farsi le doande da sè e poi darsi le risposte”.

    • caro Vincvenzo togliamo di mezzo gli equivoci:il pezzo non era la risposta al tuo intervento e questo anche perchè è stato penstao prima: ti confido che nel periodo in cui ho il corso di lezioni in facoltà, molti pezzi (salvo quelli di stretta attualità politiuca che sono fatti al momento) sono scritti con sesnibile anticipo e impaginati al venerdì sera, per cui ne vedfrai anche altri su questoi filone. Tavolta -ma non in questo caso- può capitare che un intervento mi suggerisca qualche considerazione, ma quando rispondo, rispondo direttamente, mentre i pezzi -salvo esplicita indicazione- sono sempre autonomi da questa discussiomi.
      Apprezzo sempre i tuoi interventi come ho apprezzato il tuo libro e mi fa piacere che continui a seguirmi. Sulla questione che poni, farei una osservazione: parli di pianificazione o di programmazione? Le due cose non sono affattoo coincidenti.

  • Professore, buongiorno!
    Se posso, apro le danze con due testi recuperati al mercatino dell’usato e che – insieme ad altri – mi porterei in capo al mondo:
    Carlo Boffito. Efficienza e rapporti sociali di produzione. Contributo alla critica della concezione tradizionale dell’economia comunista, Torino, Einaudi, 1979
    Robert Havemann, Dialettica senza dogma, Torino, Einaudi, 1966
    Quest’ultimo non è propriamente di economia, ma mi è lo stesso di aiuto, specialmente di questi tempi.
    Buona giornata a tutti

  • Uno studioso ormai dimenticato, Fernand Braudel, ha scritto pagine profetiche sullo sviluppo del capitalismo e sul ruolo del mercato.
    Nei tre volumi intitolati “Civiltà materiale, economia e capitalismo. XV-XVII secolo”, contro le teorie precedenti, Braudel ci dice che il capitalismo è monopolismo o, meglio tentativo di creare monopoli.
    Il capitalismo è totalmente refrattario alla concorrenza e al libero mercato.
    I capitalisti hanno come scopo il profitto e la crescita del profitto in modo indeterminato. Questo unico obiettivo viene perseguito attraverso l’esercizio del potere e il tentativo di controllare lo Stato.
    Il capitalista non lavora per migliorare la condizione umana, ma solo per accumulare.
    Non sopporta regole se non quelle che gli consentono di realizzare profitti.
    Non promuove la modernizzazione se questa impedisce l’accumulazione e la consente e auspica solo se vi intravvede nuovi spazi di guadagno.
    Il capitalismo agisce su scala globale come un puro istinto che si è organizzato e specializzato nei secoli.
    Nel suo sforzo di accumulazione il capitalismo crea ambiti sempre più ampi, veri e propri sistemi globali la cui funzione ancora una volta è quella di aumentare il valore.
    I fenomeni di globalizzazione non sarebbero nuove realtà di questi ultimi due secoli ma si sarebbero ripetuti nel passato e continueranno a ripetersi nella lotta continua per prevalere nella ricerca del monopolio.

      • Ho letto un altro libro interessante sul rapporto tra capitalismo e Stato: “Il lungo XX secolo” di Giovanni Arrighi, dove viene individuato l’inizio del declino della potenza che guida il ciclo sistemico di accumulazione del capitale nel momento in cui abbandona il commercio e la produzione a favore della finanza.
        I crolli e le bolle speculative che nascono da questo passaggio portano alla nascita di una nuova grande potenza che si prende cura di riorganizzare il sistema capitalistico su nuove e più ampie basi e all’inizio di un nuovo ciclo sistemico.
        E’ stato scritto decenni fa, ma descrive esattamente quello che sta accadendo oggi.

  • Nel 1996 comprai un libro edito da Feltrinelli di un marxista statunitense Joe Roemer “Un futuro per il socialismo“. Li teorizza in modo compiuto un sistema economico in cui lavoratori, comunita’ locali, banche pubbliche sarebbero possessori di coupon (una specie di azioni, ma funzionanti in modo completamente differente rispetto a come funzionano oggi nel capitalismo) delle varie unita’ produttive. Per non farla lunga egli si propone alcuni obbiettivi da un tipo si societa; simile che chiama socialismo di mercato: la maggioranza delle unita’ produttive avrebbe una proprieta’ diffusa. Le aziende verrebbero gestite da direttori secondo criteri di efficienza, fare profitti e stare sul mercato. Lo Stato farebbe un tipo di pianificazione da indirizzo e non interverrebbe direttamente nella gestione diretta del sistema economico. Le banche sarebbero pubbliche o semipublliche. Ora un tale sistema economico pagherebbe i salari secondo criteri di mercato, ma i profitti sarebbe invece redistribuiti egualitariamente (essendo i proprietari delle aziende i detentori di coupon), quindi si avrebbe il vantaggio di non non avere gruppi oligarchci finanziari che premono per alti ritorni a breve, lavoratori e comunita locali principali detentori dei coupon non avrebbero interesse ne a delocalizzare ne a scaricare all’esterno per esempio i costi di produzioni inquinanti, essendo poi loro i primi a pagare. Al tempo stesso i detentori di coupon vedrebbero un costante innalzamento del reddito che non sara’ solo determinato dai loro salari, ma anche dalla redistribuzione dei profitti. Roemer escogita anche vari sistemi di controllo incrociato e di possesso incrociato di voucher tra lavoratori di differenti unita’ produttive, in maniera da evitare gli inconvenienti dei sistemi di autogestione laddove i lavoratori di una data unita’ produttiva preferirebbero massimizzare i guadagni derivanti dalla redistribuzione dei profitti a scapito degli accantonamenti per i futuri investimenti. Ricordo ai tempi ne parlai sia dentro il mio circolo di Rifondazione sia con amici di cosiddetta estrema sinistra ottnendone o indifferenza o ostilita’. Ci sono comunque parecchi studiosi soprattutto americani (come mi sembra ricercando su google) che lavora su varie ipotesi di socialismo di mercato (un altro che seguo e’ David Schweickart); interessante anche la proposta di economia di partnership di un allievo di Keynes, James Meade, credo sempre per Feltrinelli esista una traduzione italiana dal titolo “Agatotopia“. Il tema e’ interessantissimo, a mio avviso da qui si dovrebbe ripartire se la cosiddetta sinistra radicale volesse risollevarsi dalle attuali ceneri. Ma purtrppo sono pessimista.

  • Professor Giannuli, trovo il suo interessantissimo articolo tanto più apprezzabile in quanto conferma una mia convinzione che coltivo da tempo, ovvero che mercato e capitalismo siano concetti non soltanto diversi, ma in diversi aspetti tra di loro antitetici, cosa che Lei è tra i pochissimi ad aver spiegato. Voglia consentirmi un solo appunto, Professore: tra le mediazioni che sono state tentate tra statalismo e capitalismo ha omesso di citare la terza via elaborata da Mussolini, con la sua idea di trovare un punto di incontro e di parità tra capitale e lavoro, da qui i progetti di stato corporativo e di socializzazione delle imprese. Al di là di ogni considerazione ideologica-morale del regime fascista, mi interesserebbe conoscere un suo giudizio sul corporativismo e sulla socializzazione (quest’ultima può essere annoverato tra i modelli di autogestione jugoslava e algerina, da Lei citati), se li ritiene modelli validi e realizzabili, e se ha avuto modo di studiare le elaborazioni, a tal riguardo, di Ugo Spirito. Cordialità.

  • al di là delle polemiche, ancora sanguina la testa di lev davidovic a quanto pare, penso che un bel confronto tra socialismo e capitalismo sia un buon viatico per riorganizzare le idee.

  • Discorsi difficili, dopo ogni parola si apre un mondo …. Ad esesmpio Marx non ha proposto il socialismo ma era la naturale conseguenza di tutta la sua anlisi. Ma così ci perdiamo in discussioni infinite. Io sono comunista quindi a me interessano 2 cose: uguaglianza e diritti, poi come ci si arriva è poco imortante.
    Il mercato istintivamente non mi piace ma mi rendoconto che il “pubblico”, specie in Italia, significa inefficienza sprechi privilegi e corruzione (anche se va detto che ci sono strutture pubbliche efficienti probabilmente perchè al loro interno si è instaurata una tradizione di efficienza). Quindi accettiamo il mercato ( cioè regolamnetato, non nascita libera di monopoli privati) come il minore dei mali purchè accompagnato da fortissime tutele sociali in modo che nessuno rimanga mai solo.

  • Tenerone Dolcissimo

    L’unica forma di socialismo possibile è quella dell’Urss staliniana, basata sulla soppressione di ogni libertà civile, sulla dittatura del partito unico e sulla statizzazione dei mezzi di produzione e sulla pianificazione. Ed in questo stalinisti e neo liberisti sono pienamente d’accordo.
    RESTA DA CAPIRE COSA ABBIANO A CHE SPARTIRE LIBERALISMO E NEOLIBERISMO
    D’ALTRONDE, CONSIDERATO CHE MARIO MONTI E’ NEOLIBERISTA NON SI PUO’ NON NOTARE CHE HA FATTO UNA POLITICA TIPICAMENTE COMUNISTA.
    ++++
    una economia di mercato resta tale sia che le imprese siano di proprietà privata sia che si tratti di cooperative o di imprese autogestite, dunque può benissimo convivere con un regime socialista basato sull’autogestione;
    IL LIBERALISMO EVITA LA STATALIZZAZIONE DELLA PROPRIETA’ (RECTIUS: LA SUA PUBBLICIZZAZIONE). SE POI OPERAI VOGLIO AUTOGESTIRE LA PROPRIA AZIENDA SONO PADRONI DI FARLO E NEL VERO SENSO DELLA PAROLA, PERCHE’ DIVENTANO PADRONI DI LORO STESSI.

  • Trovo giustissimo respingere la presunta alternativa tra ” capitalismo ” ed economia pianificata di Stato. Soltanto, al principio del Capitale Marx condannava lo scambio in quanto tale, prospettando il suo superamento; non mi pare un autore utilizzabile per propugnare un qualche ” socialismo di mercato “, anche se gli si è fatto dire di tutto, forse perché cercava di conciliare l’inconciliabile.
    A parte, di passaggio, a testimonianza dell’umana inventiva in fatto di sistemi economici, vorrei ricordare un altro modello di mercato o di scambio, quello mafioso. Al principio del film ” Il padrino “, quest’ultimo respinge l’offerta di chi vuole pagare un suo servizio in denaro, certamente perché il dollaro del postulante equivale al dollaro del padrino…

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