Ripensare il contrasto al terrorismo islamico.
La strage parigina ed i successivi allarmi pongono il problema di ripensare tutta l’azione di questo quindicennio contro la “guerra non ortodossa dei fondamentalisti islamici”, che, per brevità, diremo “terrorismo islamico”.
Se dopo quindici anni, durante i quali non sono stati risparmiati sforzi da parte di Usa ed Europa e si sono fatte tre guerre con occupazione di due paesi, per combattere questi nemici, siamo ancora in una situazione di allarme generalizzato, con circa 5.000 jihadisti sparsi per l’Europa (secondo le stime degli stessi servizi), con una presenza come il Califfato dell’Isis (e realtà minori come Boko haram in Nigeria e l’enclave libica), con Al Quaeda che sembra essersi ripresa dalla morte di Osama, vuol dire che l’operazione è fallita ed il contrasto al terrorismo va ripensato totalmente.
Non si tratta di errori parziali o temporanei, forse di un improvvido abbassamento della guardia, ma di una impostazione complessivamente sbagliata. Tutto parte da un errore iniziale: l’ideologia antiterrorista. Capiamoci: è evidente che ci sia bisogno di un’efficace azione di contrasto al terrorismo, ma l’ideologia antiterrorista è l’opposto di quel che servirebbe. Appunto è ideologia, nel senso di “coscienza rovesciata del Mondo”.
L’ideologia antiterrorista parte da questo assunto: il terrorista non è un justus hostis, perché, non essendo uno stato, non ha il diritto di muovere guerra (lo jus ad bellum), pertanto non può essere trattato come un “nemico regolare”, assistito dalle convenzioni internazionali del diritto di guerra. Va considerato come un soggetto criminale, anche se ha scopi politici. Pertanto, non è il contrasto politico in primo piano, ma quello repressivo che a sua volta si riduce alla netta prevalenza della dimensione poliziesca su quella militare. E, dunque, in assenza di un territorio da colpire (o dopo che si è tolto al nemico il territorio che controllava, come in Afghanistan), il problema è sapere dove si nasconda, per colpire uomo per uomo, e disarticolare la rete.
Questa è un’impostazione fallimentare, come i fatti si stanno incaricando di dimostrare.
L’ottica va invertita: il terrorista non è un criminale con finalità politiche, ma in soggetto politico che ricorre a mezzi criminali. Se si parte da questo concetto, si ricava che il suo punto critico non è di carattere militare ma politico. Pensare di debellare il terrorismo colpendo uno per uno i suoi militanti è come pensare di bonificare una palude colpendo le zanzare una per una con uno schiacciamosche: una sterile fatica di Sisifo.
Il terrorismo cessa quando vengono meno le condizioni ambientali che lo hanno determinato e quando i “terroristi” raggiungono la convinzione della impraticabilità dei loro obiettivi. Le Brigate Rosse, in Italia, non sono finite (salvo le effimere riprese di una dozzina di anni fa) perché tutti i loro militanti sono stati arrestati o sono caduti in combattimento. E’ ragionevole supporre, anzi, che ci siano almeno alcune decine di brigatisti non identificati che, però, sono inattivi, avendo compreso di aver perso la battaglia, come riconobbero apertamente diversi brigatisti (fra cui Gallinari, Piccioni e Seghetti) nella loro dichiarazione congiunta del 23 ottobre 1988.
Dunque è fondamentale che l’analisi dell’avversario porti alla comprensione di questi punti:
-quali sono le cause politiche, culturali, sociali ed eventualmente, religiose che hanno portato alla nascita del soggetto armatista;
-quale è il suo obiettivo strategico e se, nel suo seno, sono identificabili –anche allo stato latente- delle componenti strategicamente divaricanti,
-quali sono le “verifiche” che il soggetto si dà per valutare se stia vincendo o perdendo
-quali siano i canali di comunicazione interna, la cultura, il linguaggio e come si possa varare una azione di contrasto psicologico e politico nelle sue fila.
L’ultimo punto è il più delicato: se ai militanti del “partito armato” si fa arrivare solo il messaggio “militarmente siete deboli per resistere e sarete sconfitti” questo può provocare un crollo psicologico, ma anche una reazione rabbiosa più esasperata, mentre è molto più rilevante far serpeggiare il dubbio che la debolezza dipenda da un obiettivo politico irrealistico, sbagliato o mal formulato, stimolare la discussione interna ed applicare una tattica flessibile e selettiva, tale da disarticolare l’avversario.
Scoprire dove siano i covi, individuare capi e gregari ecc. ovviamente è importante, ma meno dei punti precedenti. Dall’impostazione iniziale, che punta sulla raccolta informativa di dettaglio (dove è nascosto il capo del movimento? Che codici comunicativi usano? Che azione stanno preparando? Dove si procurano le armi? Come si finanziano?), rispetto a quella più generale e di carattere politico (è sempre attuale la loro prospettiva strategica o sta mutando? Ci sono dissensi nel gruppo dirigente? Su quali alleati contano? Quale è lo stato del morale della “truppa”? Quale è il profilo psicologico del militante medio e come se ne cattura l’attenzione? ecc.), discende il tipo di azione dell’attuale modello di antiterrorismo.
E la formula finale del contrasto terroristico si basa su questa equazione elementare: “infiltrazioni+intercettazioni+tortura”, che è la formula base delle polizie politiche dalla fine dell’ottocento, con l’aggiunta delle moderne tecnologie di intercettazione. Ma, se questa formula ha dato risultati sino agli anni cinquanta, man mano la sua efficacia è andata riducendosi, (nonostante l’affinamento tecnologico delle intercettazioni) perché le organizzazioni clandestine hanno imparato la lezione e hanno via via sviluppato un contrasto adeguato. In particolare, l’efficacia della tortura è stata in buona parte ridotta con alcuni espedienti noti già dalla Resistenza come la forte compartimentazione organizzativa, la “dote” di informazioni “innocue” o “disinnescate” da dare al militante, per permettere all’organizzazione di prender tempo e ridurre l’eventuale danno, ecc.. Inoltre, essa si è rivelata un forte argomento propagandistico, sia per legittimare l’azione degli insorgenti verso i seguaci e simpatizzanti, sia per delegittimare l’avversario agli occhi di terzi ed anche della propria opinione pubblica.
Quanto all’infiltrazione (rimedio principe da sempre delle polizie politiche da Tigellino in poi) anche essa trova da sempre forme di contrasto che ne riducono l’efficacia. Non è infrequente il caso di uomini dell’organizzazione che si fingono spie e forniscono informazioni funzionali alle esigenze dell’ organizzazione cui continuano ad essere fedeli. E’ realistico che le “fonti umane” continuino da essere usate da tutte le polizie del Mondo, perché insostituibili, ma è evidente che la loro utilità è limitata.
E veniamo alla grande novità di questo ventennio: l’intercettazione generalizzata di telefonate, mail, sms, chat ecc ecc. A partire dall’istituzione di Echelon possiamo dire che non ci sia più comunicazione tecnica che non sia intercettabile (e forse intercettata) per cui, in teoria, nel grande flusso, è assai probabile che ci siano le informazioni sui terroristi che si cercano. Ma, se la raccolta è fatta “a strascico”, si raccoglie una massa enorme di dati assolutamente inutile, perché qualsiasi telefonata, mail o sms che non sia letto ed interpretato da un essere umano è come se non esistesse.
Ovviamente, è possibile usare “parole chiave”, filtri selettivi, controllare particolari utenze, ma, se i filtri e le parole chiave sono troppo selettive, il raccolto finale rischia di lasciare fuori troppa roba interessante, se, invece parole chiave e filtri sono troppo generici e larghi, ci si riempie di troppo materiale da “digerire”. In secondo luogo, anche quando si siano ridotti i testi delle intercettazioni al minimo funzionale, poi occorre fare il lavoro di “sviluppo”. E’ ragionevole supporre che soggetti clandestini adottino un linguaggio convenzionale, nomi di copertura, forme comunicative criptiche (non solo verbali) per cui, volta per volta, occorrerà capire il significato delle cose dette quel che richiede uomini e tempo, e non è detto che si abbiano sempre disponibilità sufficienti degli uno e dell’altro. Senza contare che i servizi di intelligence sono organismi complessi, compartimentati e non di rado attraversati da rivalità, per cui spesso accade che pezzi di informazioni in possesso di un ufficio non siano utilizzabili senza altri pezzi in possesso di un altro ufficio –magari dello stesso servizio di sicurezza- ma che le informazioni non circolino. Proprio nel caso della strage parigina abbiamo avuto la sensazione di non poche falle del genere.
Già queste elementari osservazioni, fanno capire le molte debolezze tecniche dell’attuale modello antiterrorista, si aggiunga un’altra considerazione: questa impostazione poliziesco-militare, finisce per rinchiudere lo stato sfidato in posizione difensiva: si cerca di proteggere gli obiettivi sensibili (ed immancabilmente se ne lasceranno altri scoperti), si cerca di arrestare capi e gregari, ma, nel complesso si subisce la loro iniziativa politica, si cerca di erigere barriere, muri, difese fisse che, invariabilmente, vengono aggirati. Qualche esempio?
Dopo la strage parigina le proposte più concrete che si sono fatte sono state: rivedere Schengen, identificare e chiudere i siti ed i profili web, sbarrare le moschee i cui imam fanno discorsi troppo estremisti. Tutte cose dette altre ceto volte, per la verità, ma vediamole nel merito:
-rivedere la libertà di circolazione (Schengen): a cosa serve se “i terroristi” sono già sul suolo nazionale o perché cittadini del posto, o perché immigrati regolarizzati? Peraltro mala vita e terroristi non hanno mai avuto bisogno di trattati di libera circolazione per far passare uomini, armi ed ogni altro oggetto di interesse
-siti e profili social: per identificare una sorgente sospetta o certamente terroristica occorre fare tutto un lavoro, spesso di settimane e settimane, dopo di che si chiude il sito o il profilo individuato. Il terrorista si sposta producendo un altro profilo e così bisogna ricominciare tutto daccapo. Che senso ha? Non sarebbe più logico continuare a sorvegliare lo spazio web individuato, per tratte tutte le notizie utili, identificare i contatti ecc?
-Moschee ed imam facinorosi: anche qui, la cosa più sensata da fare è identificare gli eventuali focolai e… sorvegliarlo per vedere chi va, che reti di contatti si stabiliscono, ecc.
Proprio quella raccolta informativa di “dettaglio”, così apprezzata dal modello antiterroristico vigente, se ne gioverebbe certamente e il fatto che si facciano proposte così palesemente controproducenti è la conferma del vicolo cieco in cui si è infilato il mondo dell’intelligence occidentale seguendo la strada dell’antiterrorismo ideologico.
Ma torneremo a parlare ancora di questo tema.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, antiterrorismo, echelon, intelligence, jihad, schengen, terrorismo, terrorismo islamico
andrea
analisi interessante che lessi già nel suo libro sulle attività d’intelligence.
detto questo, il punto fondamentale da comprendere è che, a differenzia del terrorismo di stampo marxista leninista delle br,raf,settembre nero,ovvero un terrorismo d’ispirazione e propulsione politica,qui troviamo un terrorismo d’ispirazione religiosa,con finalità politiche.
la fede religiosa è ben altra cosa del credo politico,la fede non trova la sua forza nelle spiegazioni scintifico materiali di un welfare states antagonista o differente da quello di uno stato,ma si basa sul principio che tu ci debba credere a prescindere dalla razionalità .
il declino del teorrirismo di stampo marxista è avvenuto in linea di massima,con il declino dell’unione sovietica,ovvero con il venir meno del socialismo reale,con la presa di posizione che quel progetto politico pian piano si faceva arretrato rispetto alle società che mutavano dagli anni 80 in poi.
Io inquadro il terrorismo islamico in occidente come una “propaganda armata”,per alimentare e sostenere le guerre mediorientali,per permettere alle varie fazioni che popolano quell’area di esprimersi militarmente e di governare quelle stesse aree.non è un caso che dopo l’undici settembre la guerra si proiettò solo in quell’area e vi furono pochi e “irrilevanti” attacchi all’occidente;
all’islam interessa far guerra all’islam, a causa della sua frammentazione culturale,etnica e per ridimensionare il fenomeno è necessario riappacificare quelle aree.
Per concludere non credo che si possa avere un medio oriente pacificato,finchè vi saranno tre grandi potenze come america,cina e russia in forte contrasto tra loro.
Filippo
pensa che sia possibile rimuovere la cittadinanza di origine a chi sia andato a combattere per un esercito straniero o per gruppi classificati dallo Stato come terroristi?
mi dispiacerebbe però che tale legge si applicasse a chi oggi è nel Donbass a difendere le popolazioni russofone..
benito
tutto questo e’ molto vero, come al solito il prof. Giannuli fa’ delle analisi molto lucide.
Tuttavia, se da una parte la lotta al terrorismo con i metodi fin qui adottati ha decisamente fallito, l’aspetto mercantile-affaristico ha certamente almeno nel mediotermine, portato i suoi frutti a certi poteri occidentali perlopiu’ made in USA(lobby, multinazionali finanza etc.).
Un esempio di questi poteri puo’ essere l’industria bellica che con tutte queste continue guerre riceve sempre ordinazioni. Vi e’ poi il controllo di zone strategiche a causa di petrolio o gas. Sorge quindi un logico sospetto: che il terrorismo potrebbe essere un pretesto per andare a fare una guerra da qualche parte. E in quest’ottica potrebbe non essere campata per aria la recente affermazione del turco Erdogan il quale ha accusato la Francia e il mossad di avere avuto le mani in pasta negli attentati di Parigi. E’ noto che analoghi sospetti sono emersi anche all’indomani dell 11 settembre e con talune ipotesi a mio avviso cervellotiche alle quali personalmente non credo,
ma e’ un fatto certo che dopo l’abbattimento delle torri, ci fu polemica tra CIA e FBI con quest’ultima che accusava la prima di non averla avvisata di un imminente attentato di cui l’intelligence era a conoscenza.
E’ bene ricordare che dal dopoguerra ad oggi gli USA hanno condotto ben 13 guerre in 70 anni, e non parliamo poi dei colpi di stato che anche recentemente hanno fomentato e finanziato.
Nei suoi 72 anni di vita, le guerre condotte dall “impero del male” cioe’ l’URSS sono state molto meno numerose.
Aggiungo anche che nella classifica dei paesi che piu’ spendono in armamenti, al primo posto ci sono gli USA con
663 miliardi di dollari all’anno; ben distanziata al secondo posto troviamo la Cina con 99 miliardi; terzo posto Regno Unito 70 miliardi.
E’ meno noto ma certo il fatto che quasi tutti se non tutti i nemici dell’occidente sono stati finanziati dagli USA stessi o comunque dall’occidente (Hitler, Gheddafi, Komeini, Fidel Castro, talebani, isis, etc… e c’e’ persino chi dice che i bolscevici furono finanziati oltre che dai tedeschi anche da certi banchieri americani).
Alla luce di questi dati di fatto, e’ possibile negare che gli USA non siano uno stato guerrafondaio?
Se lo sono, non si arrenderanno mai neanche di fronte all’evidenza e prevarra’ sempre l’opzione militare su quella politica. Ecco perche’ credo che ahime’ dovremo subire il terrorismo ancora per molto.
victorserge
fatto vero accaduto davanti alla tv.
eravamo in tre: io e miei due colleghi di lavoro di tendenze leghiste o destrorse, non proprio degli esagitati; diciamo uno filo-americano tipo american way of life ma con pena di morte annessa e una discreta riluttanza contro gli immigrati soprattutto islamici, l’altro abbastanza incazzato contro gli immigrati (li manteniamo noi con 30 euro al giorno), ma iscritto al sindacato usb.
bene veniamo al dunque.
telegiornale delle 13.30: notizia dell’espulsione dall’italia dello studente turco con relativo servizio, annessa intervista alla gente sul fatto accaduto.
al momento dell’intervista a un ragazzo che si chiedeva se non era in corso una caccia alle streghe contro chiunque sospettato di essere musulmano dunque potenziale terrorista, la reazione dei due amici all’indirizzo dell’intervistato è stata abbastanza seria e corrucciata, ma non incazzata: “bravo pirla, così ce li ritroviamo tutti in casa e ci mettono le bombe sotto il culo”.
considerazione mia.
io, nel mentre, stavo leggendo un giornale ed ero distratto, quasi assente rispetto all’attenzione degli altri due, ma quella frase detta in modo così serio, considerando la discreta capacità di discernimento dei due, mi ha fatto capire immediatamente che la risonanza mediatica dei fatti di parigi ha fatto presa sulla popolazione che più di tutti teme l’immigrazione soprattutto musulmana.
insomma la paura del diverso c’è, esiste e se ben condotta può portare alle forme estreme di razzismo e xenofobia che ci possono riportare a tempi molto bui.
ps.
ora leggerò l’articolo.
saluti
victorserge
leprechaun
Due parole su Schengen, perché vedo (altrove) una tendenza a “fissarsi” su questo tema, come se fosse in qualche modo”qualificante” di una posizione “di sinistra”, “liberale”, democratica, o non so cos’altro.
Schengen è un trattato di “libera circolazione” come il TTIP è uno di “libero scambio”. In realtà. non fa altro che abolire i controlli sulle persone alle frontiere interne all’area, per rafforzare quelli dell’area stessa (i confini esterni). Non c’è nessun “ecumenismo” alla Vendola dietro le sue motivazioni. Controlli sulle persone significa documenti d’identità e controlli sui bagagli. Non si vede quindi dove la sua sospensione “limiti” la possibilità di circolare. Semplicemente, accende dei costi per gli Stati, e talvolta rallenta il traffico alle frontiere. Non è implicata nessuna questione “di principio” perché tutto questo non vale comunque per gli spostamenti in aereo, per i quali i controlli d’identità e dei bagagli restano sempre in vigore addirittura anche per i voli interni ad uno stesso paese. Non mi pare nessuno dica che “non c’è libera circolazione in aereo” per questo.
Si può ragionare sul fatto se una sospensione di Schengen possa servire, ovviamente, ma questo è il punto, non altro. Nel caso specifico dei recenti attentati in Francia, ad esempio – ma non solo negli ultimi – sembra proprio che le armi fossero state acquistate in Belgio, e dunque da lì trasportate a Parigi, attraversando la frontiera tra i due paesi via terra, non certo in aereo, dove un paio di mitragliere e un lanciagranate non sarebbero certo passati inosservati. L’ipotesi di una sospensione va dunque valutata, ma non è a priori priva di senso. E se obiezioni vanno fatte, devono essere di merito sulla sua efficacia, non di principio facendosi trascinare dall’aspetto puramente verbale dell’espressione fuorviante “libertà di circolazione”, come vedo sta già facendo Rodotà senza fornire lo straccio di una motivazione. Non imitiamo Dalema, per carità, si finisce nel burrone.
Gherardo Maffei
Una messa a punto storica s’impone egregio professore:l’epiteto di terrorista affibiato ai gueriglieri islamici, è di una disonestà intellettuale innaccetabile. Le rammento che i GAP romani di via Rasella, agirono alla stregua dei gueriglieri islamici: con la notevole differenza che al termine del conflitto furono premiati con medaglie al valor militare ed elezione in parlamento nelle fila del PCI.Ciò premesso è tempo di archiviare tale epiteto infamante. oppure smettiamola di chiamare eroiche le gesta dei GAP partigiani.Stesse coinsiderazioni possiamo estenderle alla classe dirigente israeliana, i cui leader hanno quasi tutti trascorsi “terroristici” nella bande armate tipo Stern oppure Irgun.E la classica serpe in seno che gli storici occidentali, hanno nutrito fin dagli esordi della loro carriera accademica e alla cui fonte si sono ispirati per decenni.Provate a sciogliere il nodo se ne siete capaci? Impossibile a mio modesto avviso.E’ la nemesi storica che ci presenta il conto, Non possiamo dopo aver avvelenato intere generazioni di giovani occidentali, con una chiave di lettura faziosa e partigiana, fiingere di scandalizzarci, se gli stessi metodi gli usano costoro.Infine per quanto riguarda i finanziamenti USA ai vari dittatori del passato, Benito ha trascurato di aggiungere che i registi “occulti” sono una ristretta cerchia di banchieri di New York, gli stessi che di recente hanno innodato di titoli tossici, il mercato finanziario mondiale e le cui conseguenze le stiamo pagando attualmente ancora noi europei.
Davidem
Mi pare che chiamiamo tutti troppo spesso “terrorista” chi uccide civili che ci stanno simpatici e semplice “ribelle” chi agisce contro paesi “nemici”.
Il caso di Zacarias Moussaoui è semplice e emblematico: arrestato prima dell’11 settembre, l’FBI non ottenne il permesso di frugare nel suo laptop perché… erano dimostrabili i legami con i terroristi ceceni (semplici ribelli per gli USA) e non con Binladen o altri nemici della patria.
Lasciando perdere il problema di definire cosa davvero sia terrorismo e chi lo pratichi davvero su larga scala (e una guerra che come motto abbia “Colpisci e terrorizza” la dice lunga, ad esempio…), trovo difficile credere sempre a tutti i successi attribuiti al terrorismo islamico.
Chiariamoci: non sono un complottista acritico e non attribuisco onnipotenza o malvagità a priori a servizi e intelligence occidentali.
Però i ceceni li pagano i sauditi per dar fastidio ai russi, gli afghani negli anni ’80 li pagavano gli americani; molte azioni del GIA algerino erano in realtà compiute dalla giunta militare che aveva rubato le elezioni agli islamisti (come accertato da un commissario olandese per l’EU); le bombe alle ambasciate africane del 1998 le ha messe un agente doppio dell’intelligence militare americana chiamato Alì Mohamed (ora chissà dove al sicuro dopo aver accusato binladen che smentiva); i 4 tipi della metropolitana di londra probabilmente non avevano idea di cosa avessero nello zaino (così come il tipo del bus all’aeroporto di burgas in bulgaria 2 anni fa…) e sull’11 settembre… beh, mi limito solo a riportare un po’ di roba declassificata dall’FBI: quasi tutti i dirottatori non credevano di andare a morire, nessun taglierino portato a bordo, il pilota-capo atta che vuole per forza avere il bagaglio a stiva con sé, due dirottatori seguiti dalla cia e ospitati da un agente dei sauditi, uno dei piloti i cui studi in germania erano pagati dall’esercito degli emirati, un’altro pilota i cui zii lavoravano per due diverse intelligence “occidentali”, bin laden che nega per ben due volte la paternità degli attacchi… E nel frattempo molti negli usa speravano di trovare un pretesto per andare in afghanistan e iraq…
Insomma, i terroristi islamici ci sono e giocano sporco, ma in diversi casi (i più eclatanti) io chiederei almeno l’antidoping o la prova fotografica prima di assegnare loro la medaglia. In fondo Dorando Pietri venne squalificato solo perché uno spettatore lo sorresse negli ultimi metri della maratona.