“Brasile Potenza”: nuovo imperialismo?

Nel suo penultimo libro, “Brasil Potencia. Entre la integración regional y un nuevo imperialismo” (l’ultimo e’ Preservar y compartir. Bienes comunes y movimientos sociales, con Michael Hardt), inedito in Italia, il giornalista e scrittore uruguaiano Raul Zibechi abbandona per un attimo l’analisi dei movimenti sociali sudamericani per dedicarsi alla novità geopolitica più rilevante per il continente dalla fine della Guerra Fredda: l’inarrestabile ascesa del Brasile Potenza.
brasil_potencia-258x350La sua lettura è di quelle che infastidiscono non poco la sinistra nostrana, accesa sostenitrice del “ciclo progressista” sudamericano dell’ultimo decennio. Sono stati infatti proprio i governi del Partito dei Lavoratori, secondo Zibechi, a resuscitare quel progetto di egemonia continentale brasiliana che, nato sotto i militari, aveva ricevuto una battuta d’arresto negli anni ’90 delle privatizzazioni del governo neoliberale di Cardoso. Lula prima e Dilma poi sono stati capaci di farne una strategia completa, irreversibile e dotata di una base economica e sociale ampia, sostenuta da una alleanza interclassista che va dalle multinazionali di casa propria ai sindacati.

E’ tutto scritto nel programma “Brasile in 3 tempi 2007, 2015, 2022 “, lanciato dal Nucleo Questioni Strategiche (NAE) creato da Lula nel 2003. Fra i vari obiettivi del programma, di natura sociale, politica, culturale, militare ed economica, l’aumento del numero di multinazionali brasiliane è considerato una necessità per fare del Brasile una superpotenza. Ed è infatti la mission perseguita dal BNDES, il potentissimo fondo di sviluppo statale che ha un budget di spesa più alto della banca mondiale e finanzia progetti in tutta la regione (e in africa occidentale) con un duplice obiettivo. Sviluppare le catene produttive e commerciali necessarie al paese per organizzare l’economia del continente attorno alle sue necessità, esportando in maniera più redditizia le sue merci verso Cina ed Europa, ed aumentare la presenza internazionale delle imprese brasiliane, le uniche ammesse alle gare d’appalto per le opere realizzate coi prestiti del fondo. Una dinamica, quella dei prestiti “interessati”, che secondo Zibechi ricalca in tutto e per tutto la tradizionale strategia delle banche statunitensi ed europee e degli organismi internazionali (Banca mondiale, Fondo monetario).

raul_zibechiProprio il turbinoso sviluppo economico del “Brasile Potenza”, fatto di grandi opere infrastrutturali e di collegamento, di centrali idroelettriche e della costruzione delle moderne piattaforme di estrazione petrolifera del “pre-sal”, i nuovi giacimenti individuati negli ultimi anni, ha portato allo scoperto un’altra contraddizione, quella del rapporto tra il governo e i sindacati. La cifra politica più descrittiva dell’egemonia PT è infatti, secondo Zibechi, “l’allargamento dell’élite al potere”. Oltre ad aver coinvolto nella gestione del paese gli imprenditori e le forze politiche di opposizione (checche’ ne dicano i candidati della destra), il “Lulismo” ha favorito una poderosa avanzata dei sindacati negli ambiti del potere economico e finanziario. Non solo attraverso le elezioni di un numero senza precedenti di deputati e senatori provenienti dalla dirigenza sindacale e dal ruolo svolto da molti di essi come ministri o sottosegretari, ma anche e soprattutto attraverso lo strapotere acquisito dai fondi pensione dei maggiori sindacati (aziende petrolifere, bancari, insegnanti), azionisti di maggioranza delle più grandi imprese del paese. Non è un caso che i sindacati siano intervenuti nei numerosi e aspri conflitti sorti in questi ultimi anni attorno alle grandi opere per fare da “paciere” e far ripartire i cantieri.

Come successo ad esempio nel novembre 2011, quando gli operai della diga di Belo Monte, la cui costruzione causerà oltretutto l’espulsione dall’area di 50.000 fra indigeni e contadini, iniziarono uno sciopero di protesta contro 138 licenziamenti e per rivendicare migliori condizioni di lavoro. Dopo una settimana di agitazione, su pressione della centra sindacale “Forca Sindical” e dopo l’intervento della polizia, lo sciopero termino’.  La tutela statale alle aziende brasiliane si estende però ben oltre confine, attraverso pressioni di vario tipo ai governi vicini.

Il NAE prevede ovviamente anche aspetti militari. Nel 2007 la “strategia nazionale di resistenza” che aveva come punto focale la difesa dell’amazzonia e delle sue risorse dalle mire dell’unilateralismo statunitense, con l’impiego anche di strategie di guerriglia sullo stile vietnamita, diventa “strategia nazionale di difesa”. L’amazzonia non perde la sua centralità geostrategica, ma l’attenzione è ora rivolta anche alla difesa dei giacimenti petroliferi “pre-sal” al largo delle coste brasiliane, nonché degli interessi nazionali (leggi imprese) nel continente e in africa occidentale. Il nuovo piano, oltre a prevedere un ingente aumento della spesa militare e degli effettivi, volto anche a “bilanciare” il posizionamento delle forze armate nel paese dislocandole massicciamente nella parte centrale (e amazzonica), ha l’obiettivo di usare accordi bilaterali per ottenere trasferimenti di tecnologia sulla quale detenere il controllo totale. Attraverso le forniture francesi e russe si tenta cioè di “bypassare” la tradizionale dipendenza dall’industria statunitense per quanto riguarda approvvigionamento e patenti.

Con forti investimenti sul rinnovamento tecnologico degli arsenali, il Brasile ha già in parte colmato il grande gap che lo separava da altri paesi, e sta costruendo caccia, elicotteri e sottomarini (nucleari e non) di ultima generazione.

Il dibattito

Partendo dall’analisi di Ruy Mauro Marini, esiliato in Messico durante tutto il periodo della dittatura, che al Brasile degli anni ’60-70 assegnava il ruolo di paese “subimperialista”, una sorta di “poliziotto” degli Stati Uniti egemone nella regione ma ad essi subordinato a livello economico e militare, il dibattito si apre quindi sulle diverse interpretazioni del momento storico e geopolitico del gigante sudamericano.

Lo spettro delle analisi, pur segnalandosi in generale una preferenza per il concetto di “sub-imperialismo”, è ampio.  Va dalla permanenza del Brasile in una fase sub-imperialista, come in Mathias Luce Seibel, dove la ri-primarizzazione dell’economia in corso, il dominio del latifondo a monocoltura e una “specializzazione economica regressiva” manterrebbero il paese in una fase di dipendenza dal capitale estero, un sub-imperialismo ora “social-liberale” in virtu’ del governo del PT, alla teoria “capital-imperialismo” di Virginia Fontes. Qui l’impulso alla accumulazione di capitale è diventato, nella sua fase neoliberale, “tentacolare e totalitario”. Un capitale che “può sopravvivere solo espandendosi e divorando nuovi spazi, facendo leva sulla forza militare” e non può più essere identificato in una forza “esterna” che penetra il paese.

In Brasile, tuttavia, la borghesia manterrebbe un ruolo subalterno agli interessi stranieri, e in questa “contraddizione sottile” tra imperialismo brasiliano e straniero risiederebbero le possibilità concrete per i movimenti sociali continentali di liberarsi ad un tempo del giogo del capitalismo nord-americano e di quello nazionale.

Chi propende invece nettamente per una avvenuta “autonomizzazione” del Capitale nazionale è Joâo Bernardo, che identifica nella crisi del 2008 la spallata finale a tutti i “sub”, sfruttata a dovere dalla “tecnoburocrazia” statale, in alleanza con l’esercito e le multinazionali brasiliane, per imboccare con decisione la via all’imperialismo. Questo “capitalismo burocratico”, che accomunerebbe i paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), permette, attraverso finanziamenti pubblici e la “pacificazione sociale” ottenuta tramite i piani redistributivi, di saldare per la prima volta in maniera compiuta l’espansionismo del Capitale brasiliano e della élite statale sotto le insegne della strategia nazionale.

Zibechi avverte che per qualificare il Brasile come “imperialista” occorrerebbe osservare la coesistenza di alcuni fattori, fra cui il manifestarsi di una precisa volontà imperialista del Brasile e la disponibilità dei suoi vicini a sottomettervisi. E che il momento è ancora forse prematuro per poter trarre conclusioni definitive, anche se il concetto di imperialismo, fatte alcune precisazioni, è valido.

Ma Zibechi è anche interessato all’effetto che questa riconfigurazione dei rapporti di forza avrà sui movimenti sociali, sulla loro organizzazione e azione politica. Pur lamentando l’assenza di conflittualità da parte dei sindacati e la natura di “pacificazione sociale” dei programmi sociali, lo scrittore uruguaiano identifica nel ciclo di proteste iniziato nel 2013 il punto di non ritorno. E cita Gramsci: “il consenso passivo delle classi subalterne al governo del PT è terminato”, un risveglio dei movimenti sociali favorito dalla militarizzazione delle favelas e da una realtà di diseguaglianza sociale che trova molte delle sue cause proprio nel turbo sviluppo intrapreso dal Brasile Potenza.

Dall’Argentina, Dario Clemente

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Fonti e bibliografia per la recensione

Bernardo, Joâo y Pereira, Luciano, Capitalismo sindical, Sâo Paulo, Xamá, 2008.

Fontes, Virginia, O Brasil e o capital -imperialismo, Rio de Janeiro, EP- SJV, UFRJ, 2010.
Fontes, Virginia, “O imperialismo brasileiro está nascendo?”, IHU Online, 7 de mayo de 2010. Fontes, Virginia, “O imperialismo brasileiro”, en Instituto Rosa Luxem- burg Stiftung, Empresas transnacionais brasileiras na América Lati- na, Sâo Paulo, Expressâo Popular, 2009, pp. 219-245.

Marini, Ruy Mauro, Subdesarrollo y revolución, México, Siglo XXI, 1974

Seibel LucE, Mathias, O subimperialismo brasileiro revisitado: a política de integraçâo regional do governo Lula (2003-2007), tesis de maestría en Relaciones Internacionales, Porto Alegre, Universidade Federal do Rio Grande do Sul, 2007

Zibechi, Raúl. Brasil potencia: entre la integración regional y un nuevo imperialismo. Ediciones Desde Abajo, 2012.

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Aldo Giannuli

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