Riforma Renzi: un Capo di Stato ostaggio della maggioranza?
Devo chiedere scusa per due errori in cui sono incorso ieri, scrivendo che il partito di maggioranza riceve un premio, alla Camera, tale da raggiungere i 354 seggi. Inconsciamente ho confuso la percentuale del premio (appunto il 54% dei seggi) con la cifra assoluta che è di 340 seggi. In secondo luogo la maggioranza richiesta è dei 3/5 dell’assemblea cioè 438 voti quindi alla maggioranza be servono altri 98. Spero sarete comprensivi: sti finendo il libro e con questo caldo è facile fare pasticci. Comunque non cambia molto: il partito di maggioranza, per raggiungere i 438 seggi necessari ad eleggersi da solo il Capo dello stato, ha bisogno non di 12-13 seggi ma di 98, considerato che al Senato è ragionevole che disponga di almeno un terzo dell’assemblea (31-32 seggi) che può trovare consensi fra i 5 senatori di nomina presidenziale, che può ottenere qualche seggio in più con liste civetta alla Camera, inoltre aggiungere voti i deputati eletti all’estero (che non si computano nel totale del premio di maggioranza) o fra i parlamentari delle minoranze nazionali, e che può sempre trovare qualche Scilipoti o Razzi di passaggio, mi pare che il problema ni sia di ardua soluzione e le valutazioni che facevamo non cambiano. Oggi parliamo di un altro aspetto sempre riguardante il Presidente della Repubblica ed i suoi rapporti con la maggioranza.
C’è un punto della riforma Costituzionale di Renzi particolarmente delicato, che riguarda la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica. L’art 90 della Costituzione (restato invariato) stabilisce che il Presidente risponde solo per i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione ed a decidere sulla messa in stato d’accusa è il Parlamento in seduta comune che procede a maggioranza assoluta degli aventi diritto. Con la normativa, questo significa (ricordiamo 630 deputati + 100 senatori + 2 o 3 ex Presidenti= 732/3) significa circa 367 voti. Ma la maggioranza di governo ne avrebbe già 340 alla Camera. Si immagina che fra i senatori ne abbia una trentina, considerato che è piuttosto difficile che, un partito che ha vinto le elezioni politiche, non abbia poi almeno un terzo dei senatori espressi dagli enti locali, per cui, con 370-5 voti il partito di maggioranza avrebbe già i voti necessari per spedire il Capo dello Stato davanti all’Alta Corte e senza contare altre aggiunte.
Ma, si osserverà, che è difficile che un Presidente incorra in reati così gravi come i due appena menzionati, e che comunque occorrerebbe dimostrare la fondatezza delle accuse. L’obiezione non tiene conto di due cose:
a. i due reati, soprattutto quello di attentato alla Costituzione, sono assai indeterminati e dipendono da complesse valutazioni politico-giuridiche non predeterminabili (ad esempio, nel 1992 il Pds chiese la messa in stato d’accusa del Presidente Cossiga sostenendo che gli eccessi esternatori e la prassi del Presidente verso la magistratura, alteravano i rapporti istituzionali e, perciò stesso, costituivano attentato alla Costituzione; nel 2014 il M5s, con valutazioni analoghe, propose la messa in stato d’accusa di Napolitano)
b. per deferire il Capo dello Stato all’Alta Corte, non è affatto necessario produrre prove, essendo ad insindacabile giudizio del Parlamento la valutazione del se sussistano elementi sufficienti. Per cui, il Presidente, magari sarà assolto dall’Alta Corte, ma, intanto, è evidente che debba dimettersi dalla sua carica, essendo del tutto impensabile che un Capo dello Stato in stato d’accusa resti al suo posto.
L’evento è improbabile sinché il Presidente sia in sintonia con la maggioranza parlamentare, ma immaginiamo il caso di un Presidente eletto da una maggioranza del partito A, che si trovi in carica dopo elezioni che segnino la vittoria del partito B. Sappiamo per esperienza che in questi casi si sviluppa un’evidente tensione fra Quirinale e Governo (come nel caso del rapporto fra Berlusconi e Scalfaro nel 1994-96). Cosa accadrebbe se il partito di maggioranza ritenesse insopportabile il livello della tensione? Oppure, più semplicemente, se per suoi calcoli politici, avesse interesse a liberare la poltrona del Capo dello Stato? Sin qui, la messa in stato d’accusa del Presidente ha trovato due forti limiti: la composizione bicamerale, con un Senato dove, dal 1994 in poi, la maggioranza ha sempre goduto di un limite risicatissimo di vantaggio e, in secondo luogo, il carattere di coalizione delle maggioranze (per cui, ad esempio, il gruppo di Casini non era disponibile ad allinearsi alla maggioranza di centro destra di cui era parte, per mettere in stato d’accusa Scalfaro). L’architettura istituzionale prevista dalle riforme di Renzi sopprime entrambe queste condizioni, in primo luogo perché attribuisce il premio al singolo partito di maggioranza relativa e secondariamente perché riduce il Senato ad una frazione poco influente ai fini della maggioranza nel Parlamento in seduta comune.
Un simile ordinamento ha in sé tutte le premesse per violente crisi istituzionali. Ad esempio, cosa accadrebbe se si scatenasse una gara a chi arriva prima fra il Presidente che punta allo scioglimento anticipato del Parlamento e la maggioranza che cerca di sbarrargli la strada mettendolo in stato d’accusa? Di fatto, in questo ordinamento, il Presidente diventa un ostaggio nelle mani della maggioranza governativa e, con questo dato viene meno anche la funzione di controllo ed arbitrato del Presidente della Repubblica. Si sarebbe potuto modificare l’art 90 prevedendo una maggioranza più alta per la decisione (ad esempio i 2/3), oppure spostare la decisione ad altro organo (ad esempio il Senato integrato da componenti designati dal Consiglio Superiore della Magistratura e del Consiglio di Stato) ma è significativo che non ci si sia pensato.
Si può farlo ancora? Quando si parla di nuovi assetti costituzionali, non contano le intenzioni e gli impegni futuri, quello che conta è quello che c’è scritto nel testo sottoposto a giudizio referendario, dopo potrebbe non esserci il tempo o il modo di fare l’ulteriore revisione costituzionale. Dunque, un altro evidente esempio dello “sbilanciamento esecutivista” di questa riforma.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, presidente della repubblica, riforma renzi, riforme costituzionale
mirko g. s.
Può scrivere quello che le pare è talmente un casino che non ci si capirebbe un piffero ugualmente professore. Mi sto quasi convertendo al proporzionale, spero Duverger non si rivolti nella fossa (puro però, senza soglie).
Brugial
E’ vero che ciò che conta è il testo sottoposto a Referendum (e non citerò lo spacchettamento visto che le nostre personali posizioni sul punto sono inconciliabili), ma quello che ancora si può fare, e mi pare che lo stiano considerando, è modificare la legge elettorale
Allora ditelo
Rendetevi conto dell’ipocrisia della propaganda fatta per legittimare un meschino artificio per aggirare i quorum connessi a varie deliberazioni tarati per leggi elettorali non disproporzionali (voto eguale, interpretando alla lettera).
Ache pro fare leggi elettorali che aggirano la stragrande maggioranza dei quorum se poi li si innalzano tutti?
In ogni caso anche l’innalzamento di uno solo dei quorum rispetto alle soglie originariamente previste risulta un modo per blindare implicitamente leggi elettorali disproporzionali senza stabilirlo esplicitamente in Costituzione.
I padri costituenti avrebbero dovuto stabilire la garanzia costituzionale che nessuna legge elettorale avrebbe potuto artificiosamente aggirare i quorum previsti incidendo in modo rilevante sulla composizione delle Camere per soprarappresentare alcuni gruppi a sfavore di altri.
È possibile inserire previsione costituzionale che garantisca che i quorum siano fissati relativamente alla disproporzionalità delle leggi elettorali, secondo modalità delegate a legge costituzionale, per vanificare sovra-rappresentazioni.
Ciò non correggerebbe gli handicap artificiosi a scapito di alcune minoranze né eliminerebbe la perdita di voti dovuta a soglie di sbarramento esplicite ed implicite.
Ma sarebbe certamente un approccio più permissivo del rapportare le percentuali a quelle effettive dell’elettorato totale invece che a quelle dei soli votanti.
Se il voto non è obbligatorio, nonostante sia un dovere costituzionalmente previsto, non è detto che l’astensione debba alterare pesantemente la rappresentatività delle decisioni.
L’obbligatorietà è stata aggirata nel 1993 tramite abrogazione in pendant con legge elettorale maggioritaria, quando i politologi hanno spesso osservato che le leggi maggioritarie causino incremento dell’astensione.
Gisella Bottoli
Sottolineo un aspetto: mentre dal 4° scrutinio si parla di maggioranza “dei tre quidi dell’ASSEMBLEA”, dal 7° scrutinio è sufficiente “la maggioranza dei tre quinti dei VOTANTI” .
Piero
Per terminare le polemiche circa la (in)comprensibilità della nuova Costituzione, forse il nostro Caro Leader ne proporrà una nuova versione, semplice semplice e comprensibile da tutti:
art. 1) Qui comando io.
art. 2) Qui comando SOLO io.
art. 3) Per qualsiasi dubbio circa il dettato della Costituzione, vedere il testo degli art. 1 e 2.
bruno
Non è neanche nuovo il bizantinismo insito nella “riforma” che andrà confermata o meno. Come sempre, il legislatore italiano, lascia aperte fessure, finestre e persino porte a possibili, discutibili, opportunistiche interpretazioni. Il Presidente della Repubblica nel ns sistema Parlamentare, dovrebbe essere eletto a larghissima maggioranza, quando non possibile l’unanimità, per metterlo a riparo dei colpi di mano faziosi. Cossiga e Napolitano, per ragioni diverse, ma neanche tanto, dovevano essere inquisiti. Entrambi si sono comportati “anti” qualcuno o qualcosa, cosa che non competeva loro.
Giuseppe
Premetto che quelli ipotizzati mi sembrano scenari apocalittici piuttosto improbabili. Uno scontro partito di maggioranza/Presidente della Repubblica è sicuramente possibile (è già successo…), ma che si arrivi a reciproci atti gravi quale la messa in stato di accusa o lo scioglimento anticipato, esclusivamente come armi di scontro politico fra istituzioni, mi pare alquanto difficile. In ogni caso, sarà la Corte Costituzionale a dover giudicare il Presidente della Repubblica e non è affatto detto che (in una situazione di aperto conflitto quale quella che si ipotizza) quest’ultimo debba per forza dimettersi, dal momento che non c’è nessuna norma che lo obbliga e si tratta unicamente di una questione politico/istituzionale.
Aggiungo alcune considerazioni.
La nuova Camera avrà questo potere nei confronti del Presidente, il quale però ha il potere di sciogliere la Camera. Se mancasse il primo, non si correrebbe il rischio contrario di una Camera completamente ostaggio del Presidente che ne potrebbe disporre a piacimento?
Inoltre, l’eventuale messa in stato d’accusa non impedisce lo scioglimento della Camera. Non mi sembra, infatti, che nessuna norma preveda un qualche limite in tal senso. Quindi l'”arma” più potente mi pare comunque in mano al Presidente.
Allora ditelo
Il PdR doveva rappresentare l’Unità nazionale e dunque il bacino per l’elezione di secondo livello è stato esteso oltre le Camere per includere le Istituzioni regionali nonostante il Senato fosse già «eletto a base regionale» .
http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/diritto/Diritto-costituzionale/Gli-organi-dello-Stato/Il-presidente-della-Repubblica.html
La composizione delle assemblee regionali non era stata forzatamente sincronizzata alle altre ed anzi, con la previsione di un Senato della durata di sei anni, era stato _impedito_ “consapevolmente” che le assemblee venissero rinnovate contemporaneamente.
Un progetto che richiedeva rappresentati politici in grado di mediare e cooperare per la formazione di maggioranze ed aveva la funzione di contrappeso creando una certa inerzia conto l’alternanza per garantire continuità.
Il che significava che per avere un potere decisionale esteso in più assemblee sarebbe stato necessario mantenere il consenso più a lungo di una singola scadenza elettorale.
Ciò è quanto di più lontano dalla tendenza al monocolore odierna degli election day (tranne per scomodi referendum, lì non è “necessario” risparmiare 😛 )
Il potere di scioglimento delle Camere è stato inizialmente esercitato per parificare la durata del mandato del senato a quella della camera prima di revisione costituzionale che parificasse le durate.
Del potere di scioglimento esistono tre interpretazioni ma in ogni caso necessita di controfirma del Presidente del Consiglio (cfr. irresponsabilità presidenziale Art 89 Cost. e Lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica , Articolo 279 codice penale abrogato da L 24/2/2006 n. 85.)
Giacché il Parlamento era inteso come GOVERNO, la stabilità delle legislature è sempre stata la priorità contro l’opportunismo di chi chiedeva elezioni anticipate.
Il potere di scioglimento non era verosimilmente inteso come prerogativa delle maggioranze contingenti che avrebbero potuto esercitarlo in modo di avvantaggiarsene. (una delle “interpretazioni” di tale potere lo reputa a prerogativa del Presidente del Consiglio relegando il PdR a ruolo passivo come per le nomine a PdC dei leader di coalizione “inventati” nelle leggi elettorali a partire dal 1993)
Circa la L 24/2/2006 n. 85 essa ha parzialmente abrogato il reato di attentato alla Costituzione limitandolo agli atti violenti.
In questa legislatura si è avuta la “proposta” di una deroga all’art 138 e c’è da chiedersi cosa mai salvaguardi penalmente contro tali approcci “innovativi” qualora vengano messi in pratica senza spada ma con penna e calamaio.
Circa lo stato d’accusa conto reato di attentato alla Costituzione, secondo alcune interpretazioni, esso non si limiterebbe al 283 del codice penale se applicato al Presidente della Repubblica ma i dettagli di tale accezione mi eludono.
In ogni caso ho appreso con sorpresa che l’autodichia delle camere consenta di interferire in attività istruttorie contro il reato di attentato ad organi istituzionali.
L’autodichia delle camere non sembra tuttavia possa rendere possibili deroghe ad eventuali imputazioni di violenza privata (A quando è dato capire per 379/1996 CC sui pianisti).
Ma nei luoghi ove era prevista l’espressione del “metodo democratico” non certo si deve certo ricorrere al codice penale per scoraggiare comportamenti non idonei neanche all’interno delle associazioni di persone.
Ma nel caso ciò avvenga la maggioranza parlamentare sindacherà sui comportamenti dei membri di maggioranza o della minoranza (oltre a quelli del Presidente della Repubblica)
Ercole
Giannuli ha ragione: le proposte di nuova legge elettorale e di revisione della costituzione sono dei ‘porcellum’ al quadrato. Il tutto proposto da un personaggio che non si è candidato a lider di coalizione o almeno a deputato. Questi sono i risultati delle distorsioni dei vari sistemi elettorali ‘maggioritari’ o con ‘premio di coalizione’ con i quali si vota dal 1994. Sarebbe bastato andare avanti con il proporzionale e uno sbarramento al 4% per migliorare la governabilità, e tagliando 2/3 di deputati e senatori per risparmiare: ora avremmo 200 deputati, 100 senatori, niente senatori ‘a vita’ e un governo molto più equilibrato 🙂