Pietro Scaglione: quando la sinistra non amava i magistrati
Scrivendo una serie di cose in merito alla nascita del giustizialismo, mi è tornata alla mente la storia del giudice Pietro Scaglione. Così ho chiesto all’amico e stimatissimo giornalista Francesco La Licata, se avesse avuto il tempo di ricostruirne in un pezzo per il sito la storia. Ecco l’articolo, di cui consiglio la lettura, non prima di aver ringraziato con grande affetto e stima l’autore. Buona lettura! A.G.
Di Francesco La Licata. (Nella foto, a sinistra Pietro Scaglio, a destra il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa) Il procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, fu ucciso dalla mafia la mattina del 5 maggio 1971. L’assassinio destò immenso clamore in un Paese già provato dall’inerzia dello Stato di fronte alla violenza terroristica di Cosa nostra e trovò sfogo persino nel grande cinema di Rosi e Damiani. Solo otto mesi prima, 16 settembre 1970, era scomparso nel nulla il giornalista de L’Ora Mauro De Mauro, lasciando poche speranze sulla possibilità che si potesse restituirlo alla famiglia. E ancora due anni prima (dicembre 1969)i giornali avevano titolato “Palermo come Chicago” di fronte ai quattro cadaveri della famigerata strage di viale Lazio, un regolamento di conti interno alla mafia.
Questo per dire quale fosse il clima che incombeva su Palermo, e di riflesso nell’intera nazione, quando Scaglione occupava la poltrona di capo della Procura. Per non parlare del clima politico, dominato dalla dura battaglia tra maggioranza democristiana e opposizione social comunista e arroventato dalle polemiche sugli uomini più rappresentativi della DC: Giovanni Gioia, Salvo Lima e Vito Ciancimino, protagonisti negativi di una pessima stagione politica.
In quel momento la magistratura era qualcosa di molto diverso da come viene vista e percepita adesso. La sinistra non amava di magistrati (specialmente quelli con incarichi direttivi) e li considerava (e li indicava) come “cani da guardia del sistema”.
E’ ovvio che fossero, perciò, i magistrati i più esposti al fuoco e alle bordate che puntualmente partivano dalle trincee, di estrema destra (allora fuori da ogni maggioranza parlamentare) e di sinistra. A Scaglione veniva rimproverata eccessiva cautela nel perseguimento delle responsabilità sul fronte dell’intreccio diabolico tra Cosa nostra e i poteri economico, finanziario e politico. Basterà citare soltanto l’atteggiamento assunto dal giornale d’opposizione L’ora quando giunse la notizia che il procuratore Scaglione era stato trasferito e non presso un ufficio prestigioso ma presso la Procura generale di Lecce. L’editoriale del direttore del quoatidiano del pomeriggio fu una sorta di lungo elenco delle presunte colpe del magistrato. Un commiato, ma “senza rimpianto”.
Questo atteggiamento della sinistra verso Scaglione (ma anche dell’opposizione di destra, a riconsiderare le accuse mossegli dai deputati Nicosia e Pisanò, tanto per citare qualche nome) resterà un pregiudizio duro ad essere rimosso. Un pregiudizio ingeneroso, alla luce dei fatti (dimostrabili) riconsiderati in tempi successivi e con l’onestà intellettuale di personaggi di alto spessore, come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e l’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso.
Scaglione non era stato affatto un pubblico ministero “tiepido” con la mafia, pur essendosi occupato di vicende nevralgiche per lo Stato, come la cattura e l’oscura morte di Salvatore Giuliano o come l’assassinio del sindacalista Salvatore Carnevale e come la scoperta della foiba di Roccabusambra, nel cuore del Corleonese, una sorta di cimitero di tutte le vittime della mafia di Luciano Liggio e Totò Riina. E non era stato tiepido neppure coi politici discutibili e discussi, avendo messo sotto accusa sia Vito Ciancimino che Salvo Lima.
Ma la battaglia politica non risparmiava nessuno, anche cavalcando l’accusa generica e indimostrata, così a Scaglione fu fatta pagare la propria vicinanza con la famiglia del ministro Bernardo Mattarella, attraverso l’accusa immotivata di “protettore” della mafia dei Rimi di Alcamo e dei Bonanno di Castellammare del Golfo. Tanta ostilità gli costò anche un procedimento (sia giudiziario che al Csm) per la fuga di Luciano Liggio dalla clinica “Margherita” di Roma. Una campagna giornalistica che l’esito delle indagini respingerà come falsa.
Erano altri tempi e la e la politica non aveva ancora delegato ai giudici la missione salvifica che dovrebbe fermare l’inarrestabile perdita del consenso.
Francesco La Licata
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Caruto
Oggi sono chiari i motivi dell’assassinio?
Me lo sono chiesto qualche anno fa quando, rileggendo del caso Giuliano-Pisciotta, mi accorsi che Scaglione era stato uno dei magistrati piu’ impegnati ed esposti.
Vox populi
Articolo interessante, ma secondo me la chiave di volta sono gli attacchi da destra, non da sinistra. e l’inserimento dell’omicidio Scaglione nella strategia neofascista del Golpe Borghese.
Secondo me questa della campagna della sinistra contro Scaglione è una leggenda. infatti negli ambienti politici e giudiziari di Palermo e’ risaputo che nel 1962 Pietro Scaglione divenne procuratore capo della repubblica con l’appoggio aperto delle sinistre (Pci, Psi, sinistra Dc), mentre il candidato della destra e della maggioranza ufficiale della Dc era tale magistrato Criscuolo.
E in quegli anni L’Ora si spertico’ in elogi per il procuratore Scaglione, editoriali e articoli tutti a favore di Scaglione, come gli articoli dell’Unità dell’epoca. C’era un clima di totale sintonia tra Scaglione e le sinistre, tra Scaglione e la prima commissione parlamentare antimafia e tra Scaglione e la stampa comunista e paracomunista. L’Ora persino scrisse un articolo sul matrimonio della figlia di Scaglione. I primi 3 anni di Scaglione furono idilliaci nel rapporto con la sinistra (chi c’era puo’ testimoniare). Poi, all’incirca verso il 1966, non si sa cosa successe, e una parte (solo una parte) della sinistra ruppe con Scaglione.
Ma Scaglione non era di destra, era della corrente di sinistra della magistratura. Boh misteri siciliani. Di certo negli ultimi suoi anni Scaglione fu isolato: non ebbe piu’ l’appoggio di una parte della sinistra, fu attaccato dalla destra missina (per le sue inchieste contro i principali giovani missini dell’epoca per i legami con Borghese) e ovviamente non fu difeso dalla Dc su cui indagava.
Vox populi
Uno degli articoli che conferma la tesi mia e di altri palermitani è un recente articolo di Giulio Ambrosetti, esperto conoscitore della vita politica e giudiziaria di Palermo. Scrive Ambrosetti: “La verità è che Scaglione era un magistrato scomodo in una Palermo in quegli anni acquiescente. Quando si parla di Scaglione molti dimenticano che negli anni ’60 – gli anni roventi del ‘sacco edilizio’ di Palermo – Scaglione aveva più volte a provato a creare seri problemi a Salvo Lima e a Vito Ciancimino. Che lo detestavano ‘amabilmente’.
Scaglione era perfettamente al corrente dei legami tra mafia e politica. Quando diventa Procuratore della Repubblica di Palermo la sua nomina non è ben vista da certi ambienti politici. Siciliani e romani.
Oltre alle dichiarazioni di Buscetta risulta molto interessante la ricostruzione fatta da un altro pentito di mafia, Antonio Calderone. Che ha dichiarato che l’omicidio di Scaglione va inquadrato in un contesto di azioni eversive messe in atto dai mafiosi in seguito al fallito golpe Borghese….”
Ambrosetti scrive pure che all’origine della campagna mediatica contro Scaglione in merito alla fuga di Liggio vi furono gli attacchi di Giorgio Pisanò, esponente venerato dal Movimento Sociale e dalla destra italiana.
http://palermo.meridionews.it/articolo/27917/pietro-scaglione-un-magistrato-scomodo-che-la-mafia-ha-cercato-di-screditare-anche-da-morto/