Ma il M5s è un partito o no? Ma cosa è un partito? E cosa un movimento?

Molti puristi, di fronte alla nomina del “direttorio”, hanno esclamato indignati: “Ma così diventiamo un partito!”. Forse questi amici non si erano accorti di essere già un partito e da un paio di anni. Lasciamo da parte il caso particolare del M5s e parliamo in generale di cosa è un partito e cosa un movimento.

Le parole hanno un loro senso che non è quello del linguaggio di uso comune che spesso banalizza, riduce, perde di significato. Per la signora Maria di Voghera, partito è una parolaccia sinonimo di cosca di ladri, caserma di conformisti, covo di carrieristi, profittatori e farabutti vari. Insomma una brutta cosa. Invece, la parola movimento sa di pulito, di società civile, di nuovo, di libertario e profuma di bucato. Ma le cose stanno proprio così?

Certo, in questi decenni, almeno dagli anni ottanta in poi, il ceto politico ha provocato una ondata di disgusto verso tutto quello che lo riguarda e, siccome l’immagine con cui esso si è proposto è quella del partito, questo ha creato una repulsione per la stessa parola. Ma sarebbe come prendersela con le scrivanie per le inerzie e disfunzioni del pubblico impiego. Le scrivanie sono innocenti degli sconci che si scrivono su di esse o delle troppe pratiche che dormono nei suoi cassetti: sono solo uno strumento. Il problema è chi ci sta seduto su.

Il partito, in quanto tale, è solo uno strumento e può essere molto diverso da caso a caso, poi dipende dall’uso che se ne fa. E il problema è quello di chi ci sta seduto su anche in questo caso.

Allo stesso modo, non è affatto detto che i movimenti siano sempre quello specchio di virtù civiche che molti immaginano e, spesso, sono anche meno democratici dei partiti.

Dunque, lasciamo queste convinzioni semplicistiche alla signora Maria e cerchiamo di fare un’analisi un po’ più fine: in definitiva ed, al di là dei nominalismi, cosa caratterizza un partito e cosa un movimento?

Un movimento è, per sua natura, un soggetto parziale ed “orizzontale”, cioè tende ad associare tutte  le persone di una certa area sociale, anche molto ampia (studenti oppure operai, o contribuenti, donne, ecc.) per porre un determinato problema: la condizione della donna, il diritto allo studio, la condizione di vita in fabbrica, l’eccessivo carico fiscale, l’accoglienza agli immigrati o, vice versa, il bisogno di respingerli. Per fare questo, il movimento cerca il massimo consenso, senza discriminanti ideologiche (anche se poi può affermarsi la prevalenza di una coloritura piuttosto che un’altra) e, tanto meno, collocazione partitica. Non è un caso che in diverse occasioni (vedi i forconi dell’anno scorso) i movimenti tendono a dirsi “a-politici” e, talvolta, sono anti politici. Per i movimenti esiste solo la centralità del tema intorno a cui si raccolgono.

Al contrario, i partiti sono soggetti “verticali” e “generalisti”. Infatti un partito cerca un mandato di rappresentanza pieno, per partecipare a tutte le decisioni di una assemblea elettiva. E, siccome si rende necessario avere un minimo di coerenza fra le diverse posizioni da assumere (dalla politica estera alla giustizia, dall’economia all’ambiente, dai lavori pubblici alla ricerca scientifica), anche per evitare di sbriciolarsi ad ogni votazione, il partito cerca di darsi una sua cultura politica che serva sia a renderlo riconoscibile, sia a tenere unito il gruppo degli eletti. Dove i movimenti sono parziali per la tematica, il partito è generalista e dove i movimenti sono potenzialmente universalisti (accogliendo tutti i possibili interessati alla sua tematica) i partiti sono “parziali” e “dividono” cioè sono rappresentanti di parte (appunto: partiti). Dove i movimenti hanno una centralità tematica, il partito ha una agenda politica che gradua diversamente le urgenze in base all’analisi che fa della situazione.

Il compito principale dei movimenti è quello di creare domanda politica differenziata, quello dei partiti è aggregare la domanda politica in linee programmatiche da portare nelle istituzioni.

Dunque, il campo naturale dei movimento è l’azione sociale, i posti di socializzazione, vice versa il terreno specifico dei partiti sono le istituzioni. Ovviamente le cose non sono separabili con un colpo di coltello: i partiti devono avere un loro radicamento sociale così come i movimenti devono avere una loro interlocuzione con le istituzioni. Ma ognuno deve fare il suo mestiere: i movimenti nella società civile, i partiti nelle istituzioni.

Ne consegue che spesso (ma non sempre) i movimenti hanno carattere spontaneo e non organizzato, e guardano come a strumenti di divisione e di potenziale burocratizzazione, tutte quelle forme organizzative (gerarchie territoriali, gruppi dirigenti formalizzati, statuti, tesseramento ecc), anche se va detto che in diversi casi (si pensi al sindacato, ma anche all’associazionismo) i movimenti si danno organizzazioni permanenti che, non di rado, subiscono pesanti processi di burocratizzazione.

Detto questo, non è detto che i movimenti spontanei siano sempre più democratici delle organizzazioni: anzi spesso la mancanza di qualsiasi formalizzazione dà luogo a fenomeni di intolleranza verso eventuali dissensi, a pratiche manipolatorie assai disinvolte ecc. Quanto alla burocratizzazione, molti anni di militanza nei movimenti, mi hanno insegnato che il peggior burocrate è il burocrate spontaneista, che non risponde del suo operato a nessuno ed impedisce in ogni modo che emerga un ricambio a sé stesso.

I movimenti, con tutti i loro limiti, hanno una funzione molto positiva che contribuisce a rendere più vitale la democrazia, favorendo la partecipazione ed alimentando forme di democrazia diretta.

Al contrario, i partiti non possono avere un’esistenza precaria e devono per forza darsi una struttura organizzativa che ne assicuri la continuità, né possono vivere a lungo senza un minimo di formalizzazione: chi elegge il gruppo dirigente? Con che procedure? Chi giudica i comportamenti disciplinari? Chi compone le liste elettorali? Chi assume le decisioni? Chi coordina i gruppi parlamentari, quelli negli enti locali ecc? E così via.

Il problema può essere quello del maggiore o minore grado di democrazia e partecipazione della base, di un grado maggiore o minore di efficienza, di garantismo interno ecc. ma è comunque un tema interno ad un universo organizzato. La criticità nasce già al momento in cui una formazione politica si presenta alle elezioni ed ottiene dei rappresentanti. Da quel momento è un partito che deve darsi regole e soluzioni organizzative coerenti con i risultati che vuole ottenere. E, qualsiasi soluzione adotti, viene fuori un modello organizzativo piuttosto che un altro. Ad esempio, se una formazione politica costituisce dei gruppi parlamentari, ma non una direzione nazionale eletta dagli iscritti, il risultato non è quello di “continuare ad essere un movimento”, ma, semplicemente, viene fuori un partito “interno” al Parlamento, che era la formula della democrazia liberale pre fascista. Insomma, viene fuori un partito di tipo giolittiano, non un movimento spontaneo con una occasionale proiezione istituzionale.

Quindi, cari amici del M5s, mettetevi l’anima in pace: siete già un partito, dovete solo scegliere che tipo di partito essere. Che ne dite di farlo un po’ più democratico?

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (3)

  • Gent.mo Prof. Giannulli,

    le considerazioni da Lei esposte sono illuminati e condivisibili, sia per quanto inerisce diverse peculiarità che contraddistinguono un movimento da un partito. Conseguentemente anche la necessità del partito di disporre di un’organizzazione. La questione derimente, nella fattispecie del M5S, è solo ed esclusivamente quella legata alle modalità con cui si sono scelti i componenti del cosiddetto “direttorio”: non si ravvisano incompatibilità tra l’esigenza di dotarsi di una struttura, di un organo o che si voglia, e il meccanismo partecipativo e democratico di una consultazione “popolare” (con votazione on-line tra gli iscritti certificati) che indichi quali persone ne debbano far parte. Colgo l’occasione per ringraziarLa per il prezioso contributo che ha dato e che vorrà dare allo scopo di aiutare tutti noi cittadini a comprendere meglio il nostro ordinamento giuridico. Cordialmente, Nicola Maglione

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