La storia per anniversari: il ciclo 1958-1973

La mia è stata una generazione che ha avuto un’iper nutrizione storiografica, una vera over dose di storia, complice uno straordinario ciclo di anniversari iniziato nel 1959, con il centenario della II guerra di indipendenza (avevo sette anni). Poi, nell’anno successivo, ci fu il centenario dell’impresa dei Mille di Garibaldi, seguito, nel 1961, dal quello dell’unità d’Italia. Dopo una breve pausa, la serie riprese con il ventesimo della caduta del fascismo, nel 1963, quindi, nel 1964 il cinquantesimo della prima guerra mondiale, nel 1965 il ventesimo della guerra di liberazione e  il centocinquantesimo di Waterloo, nel 1966 il centenario della terza guerra di indipendenza, nel 1967 il cinquantesimo della rivoluzione russa, nel 1968 quello della fine della prima guerra mondiale, nel 1970 il centenario di Roma Capitale e della nascita di Lenin, nel 1971 il centenario della Comune ed il cinquantesimo del Pci, nel 1972 il cinquantesimo della marcia su Roma, nel 1973 il ventesimo della morte di Stalin.

Ed ogni anniversario fu accompagnato da un’orgia di trasmissioni televisive, film, libri a dispense, soldatini commemorativi, opere teatrali, francobolli, celebrazioni ufficiali, album di figurine, convegni, numeri speciali di riviste sia accademiche che divulgative, mostre, ecc. ecc.

Poi, negli anni successivi, l’attenzione agli anniversari calò di molto, probabilmente per mancanza di centenari, cinquantenari o ventennali (le tre scadenze maggiormente osservate) di eventi parimenti importanti, o forse perché le celebrazioni precedenti avevano in qualche modo “esaurito” gli argomenti (nel 1975 cadeva il cinquantesimo della nascita del regime fascista con le leggi speciali e del trentesimo della Resistenza, ma gli argomenti erano già stati ampiamente trattati nel 1965 e nel 1972 e ulteriori celebrazioni sarebbero apparse come un doppione) o, forse, più semplicemente  per un effetto di saturazione.

E poi, l’arrivo dell’influenza francese degli Annales che spostava l’attenzione dagli eventi ai processi ed i processi sono scarsamente “anniversarizzabili”.

Quale che sia stato il motivo, quel quindicennio di “over dose storiografica” lasciò conseguenze durevoli su una intera generazione, quella che “tenne la scena” fra il 1968 ed il 1972. L’interesse per la storia, l’approccio storicista fu un fenomeno generalizzato cui partecipò la stragrande maggioranza di una generazione, ancor più di quanto non fosse avvenuto per le precedenti che, pure, avevano vissuto in un’atmosfera fortemente storicizzante. Certo, anche le generazioni precedenti, quantomeno dall’Unità in poi, avevano avuto un’impostazione educativa con una forte carica storiografica, ma la nostra ebbe un impatto molto maggiore per effetto della scuola dell’obbligo, della moltiplicazione dei canali informativi (prima di tutto la televisione), della grande varietà degli strumenti di divulgazione che assommava vecchie forme (soldatini, francobolli, celebrazioni ufficiali e lapidi) a nuove come il cinema, le dispense in edicola o riviste con impostazioni fortemente innovative come “Storia Illustrata”.

In più, l’ondata di anniversari, che plasmò la nostra generazione, ebbe una inedita impronta internazionale che allargava di molto gli orizzonti. La stessa storia nazionale, dal Risorgimento alla Resistenza, venne riletta con un occhio molto più europeo. La nostra “atmosfera di storicità” fu molto più coinvolgente e totalizzante del passato. Ed il sedimento durevole fu la convinzione che è la politica che fa la storia: la nostra storia era densa di fatti militari, di rivolte, di azioni diplomatiche, di movimenti politici e, per converso, fu poco attenta all’economia, al sociale, alla cultura.

Per la scoperta del sociale a livello di massa, (ma era iniziata sin dagli anni cinquanta fra le avanguardie storiografiche) bisognò attendere i primi anni settanta.

Quanto alla storia culturale, c’era attenzione per letteratura, arti visive, filosofia ecc., ma viste sempre in posizione subalterna alla politica. Certo fu una visione del mondo iper politicista troppo unilaterale, ma per la nostra generazione questo coincise con l’idea che la politica è il campo della libertà del soggetto: è con la politica che l’uomo scrive la storia e plasma il Mondo, può farlo bene o male, ma questo, appunto, è il campo della libera scelta morale.

Non fu un caso che la nostra generazione visse un decennio di fortissima partecipazione politica, spesso declinata nella forma di una militanza nevrotica e totalizzante, ma sempre nella che la politica non è amministrazione dell’esistente, ma tensione per cambiare il Mondo.

Dopo, negli anni ottanta, la “storia per anniversari” riprese, ma in modo completamente diverso: priva del supporto della mobilitazione politica, divenne in gran parte intrattenimento culturale o mera esercitazione erudita, non ebbe la stessa capacità formativa e produsse, semmai, un nuovo genere di conformismo. Ma di questo riparleremo a breve.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (8)

  • (io, poi, sono nato il 6 agosto: praticamente radioattivo dalla nascita…)
    Scherzi a parte, sarebbe interessante fare la storia del concetto di Storia Condivisa, che mi è sempre sembrato un prodotto del Ministero della Verità.

  • Gentile Professore,
    scusandomi in anticipo per il pessimismo cosmico del mio commentino, mi pare di ricordare che fosse Hobsbawn a rilevare che uno dei fenomeni più rilevanti degli anni 90 del secolo scorso sia la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, cosicché i giovani (ai quali ahimè all’epoca appartenevo) è cresciuta in una sorta di eterno presente, incomprensibile senza la conoscenza del passato. Oggi alla luce del quasi totale smantellamento dei diritti sociali disegnati dalla Costituzione (istruzione pubblica, sanità, lavoro, pensioni) ed alla progressiva sterilizzazione del principio democratico quel fenomeno che Hobsbawn definiva “strano” mi appare chiaro. Solo se ignori quante lotte, quante esistenze si sono spese (e sono state spente anche violentemente) per ottenere, che so, l’istruzione pubblica gratuita fino alla maggiore età, l’assistenza sanitaria pubblica, puoi a cuor leggero rinunciarvi. Del resto uno degli sfracelli maggiori del pensiero economicistico, specie se declinato nella chiave imperante neoclassica, è proprio quello di abolire la Storia, per cui si allevano tanti idiot savants, che sanno tanto di aritmetica, ma nulla di Storia e proprio perché la ignorano sono convinti in buona fede dell’esistenza di mercati efficienti, a cui sacrificare diritti, persone, esistenze ed alla fin fine la stessa democrazia.

  • Tenerone Dolcissimo

    Almeno gli italiani conoscessero la storia. DOpo tutte queste ricorrenze e celebrazioni leggo ancora sui libri che la II GM è cominciata con l’invasione della Polonia il 1° settembre 1939

  • @Tepozzino
    @Aldo
    Hobsbawn riporta agli anni 90 del secolo scorso la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti.
    Immediatamente prima individua la fine il secolo breve.
    A me sembra che tra i plurimi, e sottolineo plurimi, elementi che (più che distruggere)rendono meno efficace l’apporto che la storia può dare alla lettura del contemporaneo vi sia proprio la fine dell’epoca delle ideologie e l’inizio di un periodo ancora in cerca di un’identità.
    Ritenere questo periodo individuato dall’affermarsi di quello che viene definito pensiero economicista mi sembra frutto del tentativo di qualificare una realtà tanto complessa da risultare sfuggente con una categoria ideologica.
    Ogni tanto la Storia accellera bruscamente ed è necessario capire dove ci porta, scevri, per quanto possibile, dai condizionamenti che vengono dal passato.
    Due esempi, i primi che mi vengono in mente, delle accelerazioni della Storia: il Giappone della guerra dello shogunato: una società millenaria cambia se stessa; il Portogallo di Salazar imploso perchè incapace di cogliere la fine di un periodo, quello coloniale, durato 5 secoli.
    Ovviamente, prevengo Aldo, anche questa è ideologia.

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