La politica è uno specialismo. Però…

So di toccare un tema delicato che fa scattare molte suscettibilità, ma, tanto vale, dirla subito con franchezza: chi sogna una politica senza intermediazioni, praticabile immediatamente da tutti, è completamente fuori strada, perché la politica è inevitabilmente uno specialismo, come l’economia, la medicina, l’architettura o la matematica.  Mi dispiace ma è così.

Questo non significa che ci si debba mettere, ad occhi chiusi, nelle mani dei politici di professione o degli “esperti”, perché politici e tecnici sono tutt’altro che gente disinteressata di cui ci si possa fidare. E, peraltro, ognuno ha diritto di intervenire su decisioni che incidono sulla sua vita e sulla vita dei suoi figli. Il problema è come fare. Procediamo con ordine.

In primo luogo: perché la politica è uno specialismo ed in che senso lo è?

La politica non è fatta di pochi atti, come ad esempio fare sette leggi all’anno o decidere una volta per tutto come si spende il denaro dello Stato e come si alimentano le casse dello Stato. E’ fatta di decine di decisioni ogni giorno. Per limitarci alla sfera nazionale (senza tener conto degli enti locali) in un anno, il Parlamento approva mediamente 200 leggi, ma accanto ad esse ci sono le disposizioni ministeriali che ne guidano l’applicazione (regolamenti, circolari ecc.), inoltre ci sono gli atti di politica estera, le commissioni di inchiesta e di indagine, gli atti di controllo ecc. Certo: molte leggi sono inutili e potrebbero essere eliminate, ma questo non farebbe che spostare la decisione dal momento legislativo a quello amministrativo, per cui la situazione non cambierebbe di molto e, comunque, resterebbe sempre un numero consistente di decisioni da prendere ogni giorno. Infine, solo una parte delle leggi è fatta di pochi articoli (sono le cd leggi di interesse micro settoriale o personale), mentre una parte non piccola è fatta di diversi articoli suddivisi in paragrafi e, spesso, la discussione verte sulla proposta di emendamento di un singolo articolo o paragrafo ed è la conseguente votazione ad assorbire non poco tempo.

Tutto questo implica che si tratti di un lavoro a tempo pieno per parlamentari, ministri, sottosegretari e personale di supporto, e già questo dice che ci sono alcune migliaia di persone (qualche decina di migliaia se consideriamo anche i consigli regionali, sindaci ed assessori dei centri maggiori ecc.) che devono fare solo quel lavoro. La stragrande maggioranza delle persone non avrebbe il tempo anche solo di votare ogni giorno su tutte le questioni che si pongono, senza contare che, per decidere, occorrerebbe studiare il problema e discuterlo e che una singola legge può richiedere anche molte decine di votazioni articolo per articolo, emendamento per emendamento.

Dunque mettiamoci il cuore in pace: anche stando attaccati alla tastiera del pc per qualche ora al giorno, non sarebbe possibile partecipare a tutte le decisioni necessarie. Ma, qualcuno obietterà, ciascuno potrebbe seguire la materia che lo interessa, per cui, se a me importa l’università, seguirò tutte le decisioni che la riguardano, mentre un altro seguirà i lavori sulla politica agricola ed un terzo il fisco. In fondo, anche i parlamentari sono divisi in commissioni ed in aula vanno solo poche leggi di interesse generale.

Non cambierebbe lo stesso, perché, comunque ci sarebbe da assumere una quantità di decisioni tali da riempire abbondantemente lo spazio di una giornata e la gente deve lavorare e risolvere i suoi problemi quotidiani, per cui non sarebbe materialmente possibile seguire anche solo una parte della produzione legislativa, senza contare gli atti di politica non legislativa (politica estera, atti di controllo ecc.).

Si porrebbe poi un altro problema: la politica non è la sommatoria più o meno casuale di una serie di decisioni non correlate fra loro, occorre che, per quanto possibile, ci sia una coerenza di fondo nell’intera produzione legislativa, per ragioni economiche, culturali o anche propriamente politiche. Se abbiamo scelto un certo indirizzo di politica economica, ad esempio di contenimento della spesa, poi non possiamo produrre leggi di settore che, invece, incrementino la spesa e se la priorità è, ad esempio,  della scuola, occorre che poi altri settori stiano fermi. Ed è solo un esempio.

Indubbiamente, anche il Parlamento non è spesso in grado di assicurare questo grado di coerenza necessario, ma, infatti, anche per questo le cose vanno male.

Dunque occorre che un qualche soggetto assicuri questo quadro di insieme ed a più forte ragione questo problema si pone quanto più il centro decisionale si avvicina al popolo: è dimostrato per lunga esperienza che, quanto più il centro decisionale di spesa si avvicina all’elettorato,  tanto più aumenta la propensione alla spesa. E quanto più il centro decisionale si avvicina al popolo (o, se preferite, ai “cittadini”) tanto più aumentano le spinte divaricanti e, di conseguenza, la propensione all’entropia del sistema. E questo non perché il cittadino comune sia sprovvisto di buon senso e di razionalità, ma perché spesso non ha gli strumenti culturali necessari (come vedremo più avanti) e, soprattutto, perché il “popolo” non è una aggregazione organica ed omogenea. Il popolo è diviso per interessi (pare che quelli di un lavoratore, almeno in parte, non coincidano con quelli de suo datore di lavoro, che un commerciante la veda in modo diverso dal suo cliente, e così un debitore rispetto al creditore ecc.) per orientamenti culturali, politici, religiosi, per fasce di età e per sesso. Tutto questo dà luogo al doppio fenomeno dei gruppi di interesse (per classi, fasce generazionali, aree culturali, divisioni per sesso, aree geografiche ecc.) e delle “identità plurime” (per cui un cittadino sarà insieme maschio, lavoratore dipendente, cattolico  e giovane, un altro sarà sempre maschio e giovane ma lavoratore precario ed islamico, una terza persona sarà donna, atea, lavoratrice dipendente e di mezza età ed un altro armeno, gay e professionista e altre cose ancora e ciascuno risponderà con maggiore o minore sensibilità ad uno dei tratti della sua identità sociale, anche in base al proporsi di ogni singolo problema). Ovviamente, ciascun gruppo tende a “tirare l’acqua al suo mulino” e l’insieme della domanda politica difficilmente sarà compatibile ed ordinato. Occorre quindi che ci siano dei soggetti “aggregatori della domanda politica” che cerchino di ridurre le tendenze centrifughe, e questo è il ruolo degli intermediatori politici (partiti, sindacati, movimenti di interesse macro settoriale, associazioni) che, con spettro prospettico maggiore o minore, effettuano questo primo lavoro di aggregazione, da negoziare poi non altri soggetti analoghi nelle istituzioni. Non ci sono soluzioni alternative, o meglio, ci sono ma si tratta del fenomeno populista che si affida al leader carismatico (Peron, De Gaulle, Reagan ecc.) mettendo nelle sue mani il compito di risolvere ogni problema sociale, il che rappresenta il massimo della delega e, pertanto, il massimo di negazione della partecipazione democratica. Dunque, la presenza di corpi intermedi è ineliminabile in democrazia  sia che si tratti di democrazia diretta che di democrazia rappresentativa. E questo, a sua volta, individua un’altra specializzazione.

Infine, c’è un’altra ragione per cui la politica è uno specialismo a sé. In una società sviluppata, come la nostra, i problemi non possono che presentarsi in forma complessa ed i problemi complessi, per definizione, non hanno soluzioni semplici.

Facciamo un esempio: dobbiamo decidere quale politica tenere nei confronti degli immigrati e partiamo da un dilemma base: accoglierli o respingerli. Accoglierli significa assumersi un carico economico considerevole (almeno per un certo lasso di tempo), andare incontro a forti resistenze interne, gestire l’integrazione di persone delle più disparate provenienze geografiche e culturali, affrontare rischi di infiltrazioni terroristiche e malavitose ecc. Respingerli significa mettere comunque in conto spese considerevoli per gli apparati di respingimento, fare i conti con una cospicua fascia di clandestini che possono diventare area di reclutamento mafioso e possibili veicoli di malattie contagiose, peggiorare l’immagine del nostro paese in aree geografiche nelle quali si hanno interessi economici, privarsi di una forza lavoro indispensabile in alcuni settori, peggiorare lo stato di invecchiamento della popolazione. Probabilmente, prevarrà una soluzione intermedia, per cui si accoglierà una determinata quota di immigrati, cercando, in qualche modo, di integrarli, e, nello stesso tempo attrezzarsi per contenere i flussi. Ma una certa quota cosa significa? Quanti? Poi, dire una certa quota significa anche scegliere chi deve entrare ed in che proporzioni. Allora, scegliamo sulla base della vicinanza geografica? In questo caso è probabile che rendiamo meno facili arrivi clandestini, ma non è detto che questa sia una soluzione desiderabile su altri piani. Scegliamo sulla base dell’affinità culturale (ad es. particolari requisiti religiosi e linguistici)? Questo rischia di urtare profondamente gli altri e magari si tratta di paesi con i quali abbiamo un importante interscambio commerciale. Scegliamo sulla base delle caratteristiche professionali (tante badanti, tanti elettrotecnici, tanti operai con quella determinata specializzazione)? Potremmo trovarci di fronte a problemi di integrazione, di controllo dei flussi ecc.

Poi: favorire i ricongiungimenti familiari o no? Se li favoriamo la crescita del numero degli immigrati e stimoliamo altri a venire, ma se non lo facciamo alimentiamo il fenomeno delle rimesse all’estero, con conseguente esportazione di denaro fuori dai confini nazionali.

Come si vede ogni soluzione ha i suoi vantaggi e le sue controindicazioni e spesso si tratta di controindicazioni non immediatamente individuabili ma di natura controintuitiva. Bisogna cercare di “azzeccare” il cocktail giusto di misure che riduca gli effetti negativi ed amplifichi quelli positivi. Ma questo è tutt’altro che semplice perché, appunto, i problemi complessi non hanno soluzioni semplici.

Dunque, mettiamoci l’anima in pace anche in questo caso: l’onestà personale, il senso comune, la buona volontà sono belle cose, ma in politica servono a poco, esattamente come i rimedi tradizionali della nonna in un caso di cardiopatia gravemente scompensata.

E, dunque, piaccia o no, la politica è uno specialismo che richiede tempo, preparazione specifica e, spesso, sensibilità, intuito e coraggio che non tutti hanno.

So di aver rovinato la digestione a molti amici, soprattutto del M5s, e me ne dispiace, ma, per farmi perdonare, dico anche che ci sono molti contrappesi per evitare di delegare tutti ai politici, che spesso sono cricche di delinquenti comuni, e tecnici che spesso sono soprattutto esperti di come ricavare i massimi vantaggi per sé. I cittadini hanno comunque modo di pesare nelle scelte, come è giusto che sia. Ma di questo parleremo in un prossimo pezzo perché questo è già troppo lungo.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (19)

  • Gerardo D'Ambrosio

    Bel pezzo, lo farò leggere alle mie allieve del professionale, così magari la smetteranno di fare i soliti discorsi qualunquisti del tipo #tuttiacasa #politicifancazzisti e tante altre belle stupidate che ripetono dopo averle lette sui social o sentite dai genitori.

  • Benissimo. Grazie Aldo
    Non te la menare. Le chiacchiere da bar senza costrutto sono brevi e lapidarie. I ragionamenti che costruiscono sono lunghi.
    Racconto la mia esperienza.
    Io faccio l’assessore in piccolo comune della cintura milanese. Racconto per titoli il percorso per rinnovare l’affidamento degli asili nido.
    1) Conoscere lo stato di fatto e di diritto dei nidi.
    2) Conoscere l’impostazione pedagogica dei nidi
    3) La situazione è da me mista in parte ca gestione comunale in parte esternalizzata. Capire perché esternalizzare oppure no, per scoprire che di fatto la legge ti costringe a esternalizzare.
    4) Decidere la forma di esternalizzazione: discutere la forma di affidamento (appalto o concessione).
    5) Studiare come funziona lo strumento tecnico legale, supponiamo la concessione. Se non si conosce lo strumento tecnico diventa difficile applicare la propria volontà, gli indirizzi politici.
    6) Relazionare alla propria maggioranza e al sindaco sul percorso precedente e stabilire gli indirizzi politici.
    7) Scrittura, discussione e votazione degli indirizzi in una delibera di Consiglio comunale. I Consiglieri comunali, se sono persone serie, hanno fatto un lavoro personale per capire tutti i precedenti passaggi.
    8) Da qui parte poi il percorso burocratico: i tecnici scrivono i documenti (Disciplinare e Capitolato) cercando di interpretare gli indirizzi politici.
    9) Discussione in Commissione, discussione in maggioranza e lavoro per coordinare indirizzi politici e sistema del diritto amministrativo cosa che implica parecchie riunioni.
    10) Pubblicazione del bando.
    Questo solo per sommi capi, per titoli

  • Complimenti per l’ottimo articolo.
    E non si preoccupi troppo della lunghezza: tematiche complesse non possono essere affrontate in 6 righe.

  • Uno spostamento delle decisioni da centrale a locale non permetterebbe una maggior conoscenza e autorità dei cittadini al momento della decisione, insieme ad un maggior coinvolgimento da parte loro, e al tempo stesso una naturale creazione di soggetti rappresentativi della comunità, quindi eletti su base di conoscenza personale?
    Ovviamente sarebbero necessari rappresentanti delle comunità che decidessero insieme alcune materie “nazionali” (se nel mondo ipotetico che stiamo disegnando esistessero le nazioni), ma queste materie sarebbero materie di competenza più specifica e probabilmente meno vicina agli interessi degli abitanti delle varie comunità. Insomma, l’idea di un “potere” inteso come potere decisionale distribuito, non può essere valida in politica così come lo è in informatica?

    • sarebbe comunque un meccanismo di democrazia rappresentativa e le epserienze storiche fatte dimostrano che i risultati in tyermini do partecipazione sono molto modesti

      • Grazie per la risposta professore. Mi può indicare qualche precedente storico del genere da approfondire?
        Sicuramente a livello secondario il meccanismo sarebbe rappresentativo; a livello primario invece, di comunità, potrebbe essere di democrazia diretta.
        Quale di queste partecipazioni sarebbe secondo lei ridotta?

  • Caro Giannuli la digestione non me la rovina affatto. Però credo sia necessario mettersi d’accordo su cosa intendiamo per democrazia e di conseguenza cosa vogliamo dalla democrazia. E’ evidente che un reparto di pediatria debba essere diretto da un pediatra e non un pediatra qualsiasi, ma da quello più esperto e capace; che debba essere questi a decidere di cosa abbisogna e come debba funzionare la struttura affidatagli, ma se la struttura in questione è di proprietà pubblica, la comunità di riferimento ( non il manager asl o il boss politico di turno ) deve pure poter dire, alla fine dei conti, se la direzione del reparto va bene oppure no.
    Ecco, io credo che l’idea di democrazia del M5s miri più a coinvolgere il cittadino nella valutazione della competenza ed esperienza del candidato che a certificarne la buona moralità in fondo richiesta solo come un prerequisito; mentre per ciò che concerne le responsabilità di governo, lo stesso movimento, non ha mai fatto mistero di gradire l’ingresso di particolari personalità di spicco indipendenti.
    Allora saranno tutte rose e fiori? Certamente no, che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, ma è assolutamente necessario avere il coraggio di provarci, di agire, altrimenti la nostra democrazia sarà destinata ad essere ricordata come un aborto della storia.

    • Ragazzi, ma se nessuno dice che gli ho guastato la digestione, la guastate voi a me! E che scrivo a fare se tutti poi digeriscono bene e non si inalberano?
      Sul coinvolgimento dei cittadini e sull’argine a tecnici e politici siamo pienamente d’accordo e ci tornerò

    • Che il reparto di pediatria debba essere diretto dal pediatra più esperto è tutto da vedere; e forse anche tutto da discutere.
      In realtà, questa è la vecchia, vecchissima polemica tra chi privilegia le capacità tecniche e chi quelle dirigenziali (e lasciamo perdere il termine “manageriali”, usiamo l’italiano), quando ci sia da valutare a chi affidare la guida di qualcosa.
      Chiunque abbia un minimo di esperienza di lavoro in aziende che producono qualcosa, in cui ci sia necessità di avere grandi capacità di tipo tecnico, ha potuto certamente constatare che il grande tecnico, tutto concentrato sul suo lavoro e completamente assorbito dai suoi problemi pratici, è infastidito e tende a sottovalutare gli aspetti amministrativi e si rivela spessissimo una completa frana sia nella gestione economica, sia in quella del personale.
      Quindi, dato che la soluzione più ovvia, consistente nell’avere due dirigenti, il direttore tecnico e quello amministrativo, è scartata ormai ovunque per questione di costi, hanno buon gioco i politici ad affidare il compito a qualcuno che, oltre a dare garanzie di fedeltà al partito o al politico di turno, sia anche capace di gestire il personale e seguire l’amministrazione in modo da non creare problemi.
      Anche perchè, molto spesso, il bravissimo tecnico rifiuta, o comunque non briga per ottenere, sopratutto da giovane, posizioni che lo allontanano dalle sue amate questioni tecniche: è triste, ma è così.

        • Per carità, andare a “vedere” è sempre utilissimo!
          L’esempio da me portato non era scelto a caso. Per capirci, già parlare di azienda nel caso di un ospedale mi pare una aberrazione che ben descrive la degenerazione dei nostri tempi.
          Nonostante si sia giunti a tomografie computerizzate a 512 strati e la robotica vi stia entrando di gran carriera, la medicina la fanno i medici ( categoria-casta privilegiata piena di marchettari ma di cui non possiamo fare a meno).
          Conclusione: un reparto di pediatria deve far bene la pediatria nell’interesse dei piccoli pazienti, il resto è pure importante ma secondario e di gran lunga.

  • Caro prof., desidero anzitutto tranquillizzarla: voto M5S e sono anche un iscritto, ma ho digerito benissimo il suo pezzo (un po’ meno l’ultimo pasto, per problemi di gastrite, sob!). Al contrario, ho letto cose che penso anch’io, solo esposte con molta più hiarezza e proprietà di linguaggio. Perciò, stia sereno e …. chapeau! D’altro canto, non si è professori per caso.
    Andando sul concreto, “la politica è uno specialismo che richiede tempo, preparazione specifica e, spesso, sensibilità, intuito e coraggio che non tutti hanno”: questa affermazione, perfettamente argomentata nel pezzo ed abbondantemente suffragata dalla mia esperienza personale, riassume perfettamente il mio pensiero e non ha bisogno di altre parole.
    Ma su quest’altra “l’onestà personale, il senso comune, la buona volontà sono belle cose, ma in politica servono a poco, esattamente come i rimedi tradizionali della nonna in un caso di cardiopatia gravemente scompensata.”, invece, avrei qualcosa da ridire.
    Togliamo anzitutto di mezzo l’esempio della nonnina (di c’era una volta, tra l’altro, perchè oggi le “nonnine” sono quelle del ’68, che poco sanno di rimedi tradizionali ed ai primi segni di malessere si affrettavano ad imbottire i figli di antibiotici): è una evidente forzatura, ci può stare in un discorso da bar, ma non in questo contesto. Senza considerare che certi rimedi “tradizionali” hanno salvato più di una vita.
    Toglierei di mezzo anche un’altra comune sciocchezza: gli esseri umani sono, per l’appunto, “umani”. Pare che Andreotti una volta ebbe a dire che i manicomi sono pieni di due tipi di persone: quelli che si credono Napoleone, e altri che sono convinti di poter
    risanare le Ferrovie dello Stato. Questa battuta (ma mica tanto, poi), per dire che l’onesto assoluto, il disinteressato sopra ogni cosa, il volenteroso sempre e comunque, appartengono al mondo delle idee ma non al mondo reale e cercarli nel politico vale quanto la famosa ricerca di Diogene. Quindi, manteniamo i piedi per terra.
    Ciò non toglie che proprio tutto il suo argomentare, data l’impossibilità di occuparsi di tutto e di tutti, nella stessa maniera e con lo stesso impegno e preparazione, porta a concludere che tutti i nostri guai derivano anzitutto, direi quasi esclusivamente, da una classe dirigente e, aggiungo, intellettuale in gran parte disonesta, rinchiusa nel proprio particolare, pronta in ogni occasione ad anteporre il proprio interesse personale, quasi sempre indifferente all’etica ed alla morale.
    E, naturalmente, dato che il pesce puzza sempre ad iniziare dalla testa, questa indifferenza ha finito per trasmettersi ed infettare anche la gente comune che, specialmente da noi, è oramai convinta che il mantenere una certa dirittura morale sia solo un eroismo, per di più inutile, spesso addirittura controproducente. Ma una certa parte dell’opinione pubblica si è resa conto che l’onestà, non solo dichiarata ma anche praticata, per quanto umanamente possibile, sia indispensabile; e questa parte cresce di giorno in giorno, ed è quella su cui è fondata l’improvvisa esplosione del Movimento 5 stelle.
    Perciò, prima di tutto il ritorno all’orgoglio dell’onestà e della dirittura morale, come valori fondanti della società, condizione prioritaria e necessaria, anche se non sufficiente, per sperare in un futuro per i nostri figli e nipoti e per uscire dalla melma in cui siamo: assicurata questa condizione, il resto, competenza, impegno, preparazione, buona volontà, verranno di conseguenza.
    E se così non dovesse essere e siamo davvero convinti di questo, tanto vale arrendersi ed adagiarsi al “così fan tutti”: avrebbero vinto definitivamente i Razzi con il “fatte li cazzi tua” (anche se non ho forti dubbi che il personaggio sia quell’amorale che ci viene presentato).
    Termino con una citazione da uno dei più film che più amo, “Vincitori e vinti”:
    “Una Nazione non è solo un territorio, nè solo un agglomerato di uomini: è nei principi che sostiene, quando sostenere un principio è la cosa più difficile!”.
    Mi scuso per la lunghezza dell’intervento: se crede, la autorizzo a tagliare qualcosa per renderlo più leggibile.

    • nulla da ridire sull’orgoglio dell’onestà e sulla necessità di essa nella fondazione del patto sociale. Ma ai fini dei problemi politici questa può essere una condizione necessaria (e nin sempre lo è, Haimè) ma assolutamente non sufficiente, non più di quanto lo sarebbe in un intervento chirurgico, nella progettazione di un grattacielo o nella coltivazione di un campo.
      Mi spiegate perchè si pensa sempre che l’economia sia uno specialismo (per cui nessuno realisticamente si improvviderebbe amministratore delegato di una multinazionale o di una banca) e la politica no?

      • Perché la politica affronta temi molto più ampi e variegati di quelli richiesti da un’attività commerciale( cfr il mio intervento più sotto )

  • Ma, prof., ho scritto e ribadisco che sono assolutamente d’accordo, che il suo pensiero rispecchia totalmente il mio. Tranne sul ruolo centrale dell’onestà, anzi meglio, della ricerca dell’onestà. E spero di non sbagliare nel credere che, assolto a questo dovere, cioè al dovere della ricerca dell’onestà, le altre cose verranno di conseguenza, perchè quando si cerca di essere onesti, sopratutto con se stessi, la prima conseguenza è l’esigenza di parlare a ragion veduta, quindi di prepararsi ed avere l’umiltà di imparare.
    E, mi creda, frequento attivamente l’ambiente 5 stelle, meetup ed altro, e riscontro spesso quanto questo sia vero: le persone, investite di responsabilità, sentono il bisogno di prepararsi. A meno che, non si voglia asserire che politici si nasce e non si diventa; in tal caso, di che parliamo?
    Una postilla: non viene mai messo abbastanza in evidenza il carattere programmaticamente non-violento del M5S che, oltre alla ricerca dell’onestà, è quello che lo rende davvero forte in una visione prospettica.

    • infatti siamo d’accordo ma io rispondevo solo alla sua ossevazione sui rimedi della nonnina.
      Per il resto è ovvio che politici non si nasce ma si diventa
      Sulla nkn violenza è tutto un dibattito che dobbiamo fare

  • Totalmente in disaccordo.

    “E, dunque, piaccia o no, la politica è uno specialismo che richiede tempo, preparazione specifica e, spesso, sensibilità, intuito e coraggio che non tutti hanno.”

    Il cittadino comune può avere il tempo da dedicare. Il cittadino comune spesso ha una preparazione specifica in un ambito lavorativo. Il cittadino comune ha la stessa sensibilità, lo stesso intuito e coraggio di un politico (rispetto a quelli di oggi direi superiore).

    Secondo me la politica non è assolutamente uno specialismo anzi! Il governo dovrebbe essere composto di specialisti. Il parlamento a mio avviso dovrebbe essere composto da cittadini comuni mentre i “politici” di partito dovrebbero essere persone comuni dotate di spirito e capacita fuori dalla norma che animano il dibattito politico ma che non dovrebbero fare parte del parlamento..

    L’arroganza con cui in generale si considera immutabile e unica alternativa la forma attuale di “democrazia” è quanto di più antidemocratico ci possa essere..per forza poi ci si convince che il politico è uno specialista..

    Grazie cmq di affrontare temi cosi difficili in modo cosi aperto..

    Saluti

  • La politica riguarda qualsiasi tema diventi d’interesse pubblico, dall’aborto alle centrali nucleari all’inflazione; in tal senso è il contrario di un’attività specializzata come la medicina o l’ingegneria. Il politico è un ” generalista “; ascolterà gli esperti nelle varie materie, ma alla fine è lui a decidere. Lo specifico della politica sembra essere il saper manovrare nei rapporti di potere: decidere quando e con chi scontrarsi o allearsi, nelle relazioni interne ed esterne alla nazione; è’ così che una lunga tradizione, dal Platone del ” Politico ” a Max Weber, ha inteso la politica. E forse non è necessario esser dei politici di professione per disporre di quell’abilità. Ciò non toglie che la politica, specie in uno Stato moderno, richieda tempo da dedicarle e quindi degli incaricati a tempo pieno: è cosa diversa dal dire che devono esser dei professionisti o, peggio, degli specialisti come i medici.

  • giannuli, poteva svegliarsi prima: lo sa che negli ultimi 5 anni è cresciuto un movimento il cui guru propugna l’uso di internet esattamente per fare quello che lei finalmente oggi dice che non si può fare?
    ah, lei già lo sa.

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