La metamorfosi della magistratura e il tormentone delle toghe rosse. 2a puntata
Leggi la 1a puntata: Ma sono proprio le Toghe Rosse i nemici di Berlusconi?
Come si sa, la gens berlusconia indica nelle “toghe rosse” l’origine dei guai del Cavaliere. Il ragionamento è questo: negli anni settanta si affermò fra i magistrati una corrente di contestatori (Magistratura Democratica) che, in breve, divenne la longa manus del Pci nel potere giudiziario. Lentamente questa corrente ed i suoi amici nelle correnti confinanti, conquistarono le Procure della Repubblica e –complice il nuovo codice di procedura penale- sferrarono l’attacco che portò alla distruzione di Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli (i cinque partiti che assicurarono democrazia e benessere, ha detto di recente Berlusconi). Quella stessa corrente è poi passata all’attacco del Cavaliere nel momento in cui, con la sua “discesa in campo”, egli impedì la vittoria del Pds, che altri non era che il vecchio Pci travestito.
Oggi, quella corrente ha vinto la sua battaglia portando il Cavaliere alla sua prima condanna definitiva. Poco importa che solo una parte degli inquirenti e giudicanti erano effettivamente appartenenti a Md: gli altri erano solo cripto agenti di Md o si sono fatti infinocchiare.
Al di là dei giudizi di merito in gran parte gratuiti, qualche grammo di verità (ho detto grammo) in questo ragionamento c’è. Però è solo una piccola, trascurabile parte di un fenomeno molto più vasto e complesso che merita un esame più attento. Lasciamo da parte il caso Berlusconi (su cui si è già detto troppo nei pezzi precedenti) e vediamo il fenomeno un po’ più in generale, partendo dalle inchieste per corruzione degli anni novanta.
In primo luogo, questa ondata di inchieste non si è verificata solo in Italia –dove c’è stata sicuramente la punta più acuta- ma anche in diversi altri paesi europei (Francia, Spagna, Germania e, con particolarità diverse, Belgio) nei quali non esisteva che un debole partito comunista e non c’era nulla di paragonabile a Md (salvo, in parte, la Francia). In tutti questi casi si è assistito al protagonismo dei Pm che sfidavano apertamente il potere politico, un fenomeno inedito, per lo meno nel periodo della guerra fredda, durante il quale la magistratura ha agito in costante sintonia con il potere politico.
In parte questo era il prodotto della crescita senza precedenti della corruzione politica che assumeva caratteri sistemici, toccando vertici che producevano una serpeggiante delegittimazione del sistema. E tale effetto era ulteriormente accentuato dalla conclusione della guerra fredda che toglieva molte giustificazioni agli abusi della classe politica.
Ma esso fu soprattutto la conseguenza della metamorfosi del potere giudiziario della magistratura indotto dalla globalizzazione. Come autorevoli giuristi (Taubner, Cassese, Galgano) hanno segnalato, la globalizzazione ha prodotto la moltiplicazione delle fonti del diritto extra legem (dove per legge intendiamo un testo derivato da una autorità pubblica, parlamentare o governativa): trattati e contratti internazionali, giurisprudenza di corti internazionali, decisioni arbitrali, indicazioni di organismi internazionali di diritto privato ecc. Al punto che alcuni (come appunto Taubner e Galgano) si sono spinti a parlare di una nuova lex mercatoria convenzionale, pattizia, privatistica ed espressa direttamente dal mercato, senza mediazione dell’autorità politica.
In questo contesto, la giurisprudenza, sia nazionale che internazionale, assume un peso maggiore della legge e, di conseguenza, assegna al giudice una funzione primaria nella produzione del diritto che sopravanza quella dei Parlamenti e dei Governi. Ed è già qui la ragione del nuovo protagonismo dei magistrati, accentuato, nel caso europeo, dalla loro selezione esclusivamente per concorso e non per elezione, come accade negli Usa. Il corpo dei magistrati viene quindi a porsi come produttore di diritto in quanto depositario di un sapere specialistico, dunque come articolazione tecnocratica del sapere, sottratta alla formazione democratica che, invece, caratterizza il Parlamento.
In secondo luogo, il progetto di globalizzazione neo liberista implica una alleanza diretta fra il potere finanziario e gli apparati tecnici dello stato (esercito, polizia, magistratura, servizi segreti), confinando il potere politico ad una funzione meramente servente: per esprimere questo nuovo “blocco storico” ho utilizzato nel mio “2012 la Grande Crisi” la dicitura “alleanza fra la spada e la moneta” (dove la spada non è solo quella delle forze armate ma anche quella delle forze di polizia e della magistratura che se ne serve). E, infatti, le operazioni di peacekeping sono regolarmente presentate come “operazioni di polizia internazionale” che trovano la loro legittimazione nel permesso dell’Onu e che perfezionano tale legittimazione nelle decisioni della Corte Internazionale per i crimini di guerra (come quella che ha giudicato Milosevic) o in omologhi nazionali (come la corte di Bagdad che ha giudicato Saddam Hussein).
Le forze armate sono quindi chiamate a questo ruolo di polizia (dunque, non di guerra regolare) perché l’Impero (o quello che si immagina come tale, come governance globale) non conosce nemici, ma solo ribelli da domare e si assegna come compito di “parcere subjectis et debellare superbos”.
Parallela va l’azione della magistratura verso i “nemici interni” dell’ordine pubblico: che si tratti degli scontri nella banlieu parigina, di quelli del movimento No Tav, di quelli a Londra nel luglio 2011 o di Atene, da dieci anni la magistratura sta usando il pugno di ferro nei confronti della conflittualità sociale, contestando reati gravissimi (come “devastazione e saccheggio” persino per i modestissimi incidenti milanesi dell’11 marzo 2006) ed irrogando pene semplicemente spropositate.
Determinante in questa funzione ormai politica della magistratura è l’esser chiamata a combattere alcun fenomeni criminali come mafia o terrorismo: “la magistratura contro il terrorismo” o “contro la Mafia”. Dimenticando che alla magistratura spetta il compito di giudicare singoli imputati di questo o quel reato –magari di appartenenza ad una organizzazione eversiva o della grande criminalità- ma non di combattere fenomeni criminali in quanto tali, compito che spetta, semmai, al potere politico attraverso la legislazione e l’azione di polizia. Ed il riflesso di questa torsione dell’azione giudiziaria è nella giurisprudenza (anche in questo caso, non solo italiana) basata sulla dilatazione del reato associativo che sfocia in una sostanziale inversione dell’onere della prova, per cui, ad esempio, un appartenente alle Brigate Rosse risponde di ogni singolo reato della sua colonna di appartenenza (ovviamente per il periodo di libertà e di vincolo organizzativo) salvo dimostrazione di prova contraria. Ed è questo il presupposto sul quale si è fondato il principio logico del “non poteva non sapere” che diventa una sorta di presunzione di colpevolezza in base alla collocazione all’interno di una organizzazione.
Questo discorso è passato, pari pari, dalla lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata, alla lotta alla corruzione ed il giudice è stato chiamato a partecipare alla rifondazione del sistema politico o, in contesti diversi, alla eliminazione, di determinati soggetti, come accaduto a Bernard Tapie, o agli ex presidenti Collor de Mello o Fujimori (che, per la verità, lo meritava ad abbundantiam). E determinante in questa funzione è stato l’uso selettivo dell’azione penale anche in quei paesi (come il nostro) che prevedono l’obbligo dell’azione penale che, tuttavia, resta una pura istanza del dover essere, piuttosto che una realtà concreta (come dimostra il fatto che oltre la metà dei reati è archiviata, per decorrenza dei termini, senza che ci sia stato alcun atto istruttorio).
In questo quadro la magistratura assume anche un ruolo arbitrale fra i diversi potentati finanziari o una funzione di indirizzo politico, suggerendo le norme che sarebbe opportuno adottare e, magari in sinergia con i medesimi potentati (e i casi Enron, Madoff o Lehman Brothers negli Usa, oppure Antonveneta-Banca d’Italia, Parmalat, ecc.. in Italia, forniscono abbondante materiale di studio in questo senso).
A favorire questa metamorfosi del giudice fu anche l’ibridazione del classico modello basato sulla codificazione, sino agli anni ottanta nettamente prevalente nell’Europa continentale, con quello di Common law che, come si sa, ha natura spiccatamente privatistica e giurisprudenziale.
In questo quadro va inserita anche la riforma del processo penale italiano varata nel 1989 che adottava le modalità del rito accusatorio “all’americana” ma conservando l’appartenenza del Pm agli stessi ruoli della magistratura giudicante e l’obbligo formale dell’azione penale. Questa particolare miscela ha prodotto dinamiche impreviste e non coincidenti con quelle dell’esperienza americana.
Fra le dinamiche impreviste c’è quella del corto circuito mediatico-giudiziario. Il rito accusatorio è per sua natura incline alla forte spettacolarizzazione del processo (e, infatti, si parlò di “processo alla Perry Mason” dal titolo di una fortunata serie televisiva nella quale il protagonista non era il Pm ma l’avvocato-detective Perry Mason). Nello stesso tempo, un giornalismo reso sempre più compulsivo e sensazionalistico dall’irrompere della televisione commerciale (questa è la nemesi, Cavalier Berlusconi) placava la sua fame di scoop divorando avidamente i comunicati e le conferenze stampa delle Procure della Repubblica. Un avviso di reato valeva un titolo di prima pagina che, oggettivamente, suonava come una sentenza di condanna.
Tutto questo ha prodotto –in particolare in Italia, ma non solo, una diffusa aspettativa di “giustizia sociale” nei confronti del potere giudiziario e dell’ufficio di Pm in particolare. Di fronte alla sordità del ceto politico ed, in particolare, all’inefficacia dei meccanismi di controllo parlamentare e, più in generale, della politica, larghe fasce di opinione pubblica hanno rivolto alla magistratura la propria domanda di giustizia sociale. E sono sorti due populismi simmetrici e speculari: un populismo giudiziario che cerca nella giustizia penale l’eliminazione dell’avversario politico “scorretto” ed il “populismo antigiudiziario” di chi pensa che l’investitura popolare valga una immunità totale e definitiva.
E, come sempre, il populismo è una riduzione arbitraria del reale, la finta soluzione semplice al problema complesso che, semmai, si ingigantisce per l’inconsapevolezza delle sue reali dimensioni.
Aldo Giannuli
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Mauro
Gentile Professore, temo che per il caso Berlusconi i populismi di cui Ella scrive non siano simmetrici e speculari, e cioè deprecabili nella stessa misura. Il populismo giudiziario che cerca nella giustizia penale l’eliminazione del Berlusconi avversario politico “scorretto”, non può essere paragonato a quello anti-giudiziario, perché:
A)nel primo sono confluiti tutti coloro che hanno anche capito che tre tv commerciali, anziché dare lavoro lo hanno distrutto, creando per la prima volta nel nostro Paese un pizzo oligarchico da pagare, esorbitante per le piccole e medie imprese, per arrivare ai consumatori sul loro stesso territorio. Sui consumatori poi viene comunque ribaltato quello che le uniche superstiti, le grandi, pagano a chi riscuote tale pizzo. Anzi queste si possono ingrandire sempre più proprio grazie al fatto di poter pagare quel pizzo, fissando i prezzi come vogliono e raggiungendo superprofitti impensabili in un mercato concorrenziale (dove invece oltretutto l’utilità marginale del consumatore raggiungerebbe il costo di produzione).
B) Nel secondo populismo ci sono quelli che campano con i rivoli di quel pizzo o con quei superprofitti.
Che la magistratura si “assurga” un ruolo di “indebito” indirizzo e condanni Berlusconi a rieducarsi presso i servizi sociali è a dir poco un’ironia, quando è un intero Paese che andrebbe rieducato, dato che a tavola discute, se non addirittura guarda solo inebetito, l’agenda decisa dal secondo populismo, mentre fuori sta calando un “inverno” senza precedenti.
giandavide
d’accordissimo, ma quanto avrebbe venduto la fortunata serie televisiva se non ci fosse stato jack nicolson sul banco degli imputati? la polarizzazione è stata paradossalmente portata avanti dal nano di arcore, e senza di lui non potrebbe certo esistere, dato lo scarso carisma dei magistrati.
SantiNumi
Accidenti che pezzo…
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.
Come concentrare in poche cartelle sintesi di approfondite analisi in una cornice concettuale intrinsecamente coerente e ben contestualizzata nella complessità di un sistema estremamente opaco e complesso come come quello della mondializzazione degli ultimi decenni. Eccellente.
Emergono tantissimi spunti di studio.
Potrebbe essere interessante ricordare a margine e in senso speculare, la prima (almeno per risonanza mediatica) esperienza di PM tacciato di “divismo”: quella del giudice Palermo.
Mi permetto di rilevare, salvo imprecisioni, che il magistrato scoperchiò a metà anni ’80 un vaso di Pandora come credo poche altre inchieste in Occidente: denunciò uno dei sistemi più osceni con cui “l’Impero” finanziava i suoi vizi (e, a giudicare dall’Afghanistan, finanzia ancora…). Il traffico globale di farmaci stupefacenti.
In quel contesto Indro non si distinse da un Facci qualsiasi.
Per la relazione tra Potere e magistratura potrebbe essere interessante riportare anche:
http://www.fanpage.it/ed-eccolo-quell-articolo-su-repubblica-contro-giovanni-falcone/
http://archiviostorico.corriere.it/1994/novembre/03/Paolo_Borsellino_era_destra_figlio_co_0_9411038979.shtml
Capire dove stia il “Rosso” tra le Toghe, tra certi quotidiani di “progressisti” e una certa propaganda populista “pro-giudici” è per me un bel dilemma.
Alex
inserirsi fra le pieghe dell’articolo occorrerebbe un tempo quasi infinito. Fosse vero, la prima cosa che dovrebbe preoccupare sono le semplici conseguenze del nuovo contesto perchè da sole sembrerebbero votate a scardinare il sistema democratico come lo abbiamo non dico organizzato, ma realmente vissuto, che è molto meno ma sicuramente molto di più di quanto ci attenda. Che fare?
Caruto
Concordo con il giudizio che e’ stato dato: tema complesso, intervento utile e stimolante.
Io mi ero fatto un altro film in testa, ma probabilmente mi sbagliavo (il riferimento a Galgano e’ stato quello che mi ha convinto del mio molto probabile errore).
Dunque, io pensavo che la situazione si configurasse cosi’:
1) Focus della contraddizione tra livello nazionale e livello sovranazionale, e qui ci siamo;
2) Attribuivo al sistema politico, ma dovrei dire piu’ esattamente al livello politico-parlamentare, una dinamica erratica fondata in parte sulla difesa di privilegi di status (sempre meno giustificati dalla perdita graduale di sovranita’ nazionale, per un processo universale di globalizzazione) e un tentativo di europeizzazione, nel senso di volersi adeguare ad un common sense sovranazionale ed europeo che imporrebbe (a torto o a ragione) regolazione simili e via via convergenti;
3) Attribuivo alla magistratura un ruolo di “guardiano del livello nazionale”, quindi conservatore, ma non necessariamente negativo, visto che le regole comuni vanno rispettate fino a quando non vengono cambiate;
4) Le imprese, grosso modo, in due categorie: a) quelle esposte alla competizione internazionale e sopravvissute, partecipi di un circuito sovranazionale del tutto estraneo al “Sistema Italia” se non per alcuni aspetti fiscali e di relazioni industriali (soprattutto i contratti di lavoro) e b) quelle con un mercato a prevalenza italiano molto compromesse (per evasione fiscale, soprattutto) e quindi colluse;
5) burocrazia statale, salvo qualche isola felice (per favore, qualcuno mi informi) completamente fuori dalla grazia di Dio.
Ora vedo che si introduce il ruolo della magistratura (se ho capito bene) quale regolatore dei conflitti nazionali secondo norme approvate in contesti sovranazionali; alla stessa magistratura si imputa anche l’errato compito di risolvere problemi complessi (per es., la mafia) che spetterebbero alla politica.
Su quest’ultimo punto preferirei “passare”, perche’ non penso che possa essere imputato alle dinamiche degli ultimi decenni (la mia idea e’ che la mafia e’ un residuo di feudalita’, e quindi segnala una modernizzazione insufficiente); e comunque non sono molto convinto che dipenda dalla magistratura in se’; casomai dipende da quel ruolo conservatore di cui parlavo al punto 3) e quindi si potrebbe dire di un suo (della magistratura) tentativo di affermazione dello stato di diritto messo in crisi dalla globalizzazione che rende piu’ facili comportamenti altrimenti leggibili come reati: per es. l’elusione o l’evasione fiscale tramite scatole cinesi.
Sono d’accordo con l’assoluta inanita’ dei cosiddetti opposti populismi giudiziari, semplicemente perche’ non risolvono alcun problema. Anche se bisognerebbe ricordare quello che ho appena detto: se le regole comuni esistono devono essere rispettate e fatte applicare.
Ritornando pero’ al problema affrontato: io riformulerei l’analisi secondo un asse metodologico differente.
Dato che non sono molto convinto di alcune delle conseguenze richiamate (tramite un procedimento logico-deduttivo) che si applicherebbero ad intere categorie (per es. di nuovo: “a tutta la magistratura”), proporrei di affrontare il problema disaggregando ed aggregando “categorie” e “relazioni” a seconda del rapporto (di specifici soggetti a qualunque categoria appartengano) con il focus della contraddizione: nazionale versus globalizzazione.
Un criterio che potrei definire posizionale e di ruolo.
Secondo me potrebbe restituirci un quadro relazionale, prima ancora che categoriale, interessante e dinamico.
io
Il post di Caruto credo che contenga spunti molto interessanti.
Se guardiamo ai Paesi occidentali, i testi accademici ci hanno sempre detto che il secolo trascorso è stata l’affermazione degli stati nazionali, nati nel secolo precedente, caratterizzati da una dimensione liberale, cioè dal riconoscimento di libertà a fronte di obblighi che in precedenza erano più compressi e limitati, propri di una classe di soggetti ancora che li aveva per nascita (per natura, il cd. Diritto naturale).
Lo schema classico liberale è quello del Sovrano, o anche di un’Assemblea legislativa, che concede dei diritti e prevede degli obblighi a favore di un certo numero di individui.
Gli attori di questo sistema sono lo Stato, rappresentato da un Sovrano legislatore che fissa nella Legge dei diritti, cd. Diritto positivo, prevedendo però anche obblighi e sanzioni per le violazioni commesse (cd. Diritto negativo).
Quando i diritti non vengono riconosciuti o gli obblighi non sono rispettati ci si rivolge ad un terzo, il Giudice, che conoscendo la Legge, la applica e risolve il conflitto.
Il modello liberale classico viene messo in crisi dal mutamento ambientale a cavallo del XIX e nei primi decenni di quello successivo dall’incremento del numero di individui che vantano diritti ed hanno obblighi (estensione del diritto di voto progressiva ai maggiorenni, cioè a coloro che hanno capacità di agire o interagire con gli altri individui e con lo Stato) e la comparsa sulla scena sociale ed economica di nuovi soggetti collettivi, organizzati, quali i partiti, i movimenti collettivi dei lavoratori, dei datori di lavoro, che sono portatori di interessi ed aspettative ulteriori rispetto a quelle dei rappresentati.
Sul piano economico fanno la comparsa nuovi soggetti organizzati, le imprese, a loro volta portatrici di interessi autonomi.
Quando si moltiplicano i soggetti che hanno aspettative e interessi può bastare la Legge ed il Giudice a dare giustizia? La risposta non può che essere negativa. Lo stato liberale può essere conservato nella misura in cui gli interessi sociali ed economici possano essere soddisfatti, cioè vi sia una situazione di benessere per un numero crescente di individui e soggetti organizzati. Esso viene messo in crisi proprio quando (Germania, Italia, Spagna) le condizioni economiche e sociali siano tali da rendere necessario uno stravolgimento dello stesso.
La caratteristica dei sistemi giuridici del XX secolo è rappresentata dalla comparsa di un nuovo soggetto rispetto al modello classico liberale che è quella delle organizzazioni pubbliche, degli apparati statali chiamati a consentire la realizzazione degli interessi ed aspettative di un numero assai elevato di soggetti sociali, attenuando in tal modo i conflitti.
A chi risponda la PA, come e con che regole agisca, è uno di quei temi sottovalutati dalle scienze sociali. Se voi interrogate un giurista vi dirà che la PA deve applicare la Legge nello svolgimento della funzione, del servizio che lo Stato (Legislatore, Re) le richiede a beneficio dei cittadini, attenuando i conflitti che possono insorgere.
Ma questa è una risposta accademica che non spiega un bel nulla.
Manca tutta un’analisi su come funzioni o debba funzionare la PA in termini giuridici e di regole proprie. Se voi cercate su internet troverete dei motori di ricerca di leggi dello stato, di sentenze dello stato, ma non troverete raccolte di atti amministrativi.
Se non si capisce come operi un’organizzazione, pubblica non privata, non è possibile neppure valutarne a priori quali possano essere i comportamenti.
Questa è una delle cause che alimenta confusione, nella migliore delle ipotesi, corruzione nella peggiore.
Ecco perché, dove la PA meno funzioni, la parola che spesso si utilizza è “burocrazia”, cioè potere del Bureau, dell’ufficio, per esprimere un soggetto che non risponde a nessuno quasi fosse legibus solutus (così non è) ma si mantiene per inerzia, rispondendo a se stessa.
Bisognerebbe studiare un po’ di più un sociologo tedesco morto una quindicina di anni fa Niclas Luhmann, non a caso poco apprezzato sia da liberali che socialisti/marxisti.
Il corpo giudiziario ha indubbiamente conservato un suo peso sul piano interno, sia come risolutore di conflitti tra privati (funzione storica presente nel modello liberale) sia come strumento di risoluzione dei conflitti tra Stato e individui ed organizzazioni private (funzione aggiunta) in modo tale che questi ultimi possano opporsi agli atti compiuti dallo Stato (fatta eccezione per gli atti giustificati dalla “ragion di stato”; al limite in questo caso l’autorizzazione giudiziaria può essere preventiva, soluzione adottata nei paesi di common law, vedi caso Snowden, ma non vi potrà mai essere un controllo postumo).
Paradossalmente la funzione giurisdizionale, proprio dove l’apparato legislativo e amministrativo sono mal funzionanti, viene intesa come strumento di difesa o di tutela dalle oppressione dello Stato medesimo, scaricando su di essa quella aspettativa di giustizia sociale che dovrebbero trovare risposta ordinaria e fisiologica mediante la Legge e l’apparato amministrativo.
Ah la Legge, il Legislatore, che nel modello liberale era il motore del sistema che fine ha fatto? Sicuramente la sua funzione è stata attenuata dalla circostanza che i centri di produzione della Legge si sono spostati al di fuori dello Stato.
Se fino agli anni 70/80 i Paesi occidentali hanno conservato una loro indipendenza, sia pur condizionata dalla sottoscrizione di trattati internazionali (regole che stanno sopra ed oltre lo Stato) con l’unificazione europea hanno perso ulteriormente la loro capacità di fissare le regole, cioè di fare Leggi vincolanti per gli altri attori sociali a prescindere dai nuovi centri di produzione di regole legislative sovranazionali.
I giuristi spesso ne fanno una questione di “gerarchia delle regole”; in realtà, in termini più ampi, più concreti e anche veritieri giuridicamente, nel diritto internazionale si dice che il diritto nasca dai fatti e non dalla Legge (ex factu oritur ius), come a rimarcare che il diritto sovranazionale non lo fa la Legge, intesa
Se a ciò aggiungiamo, come indicato nell’articolo, la comparsa sulla scena di nuovi attori internazionali (Ocse, FMI), che si sono fatti centri di potere politico, non ancora completamente in grado fissare regole che siano attuabili direttamente senza la mediazione (qualcuno dirà costrizione) dei Legislatori nazionali, si ha indubbiamente un quadro assai complesso.
L’avvertenza però, per tutti, è quella di non dare letture secondo schemi o modelli consoni per ragioni di smarrimento, a usare un liberalismo o liberismo di ritorno usando “analogie” anziché “similitudini /difformità nella mutazione dei sistemi a fronte di cambiamenti ambientali.
SantiNumi
Questo processo di “anglomorfismo” che sta trasformando con prepotenza intere discipline, custumi, linguaggi e relazioni nell’Europa in particolare (ma non solo) è assolutamente inquietante.
Le grandi socialdemocrazie europee si stanno imbastardendo e stanno perdendo i loro equilibri che hanno portato al più grande benessere diffuso nella storia umana. Manca l’ultima spallata.
Non si può non sottolineare l’incredibile deficit culturale dei Paesi anglosassoni e la pessima qualità e speranza di vita che concedono ai loro cittadini nonostante le enormi risorse.
Integrando un precedente intervento di @Mauro sul ruolo geopolitico dei Paesi anglofoni non mi stupisce che per assaltare la penisola ellenica è stata imposta ai nostri cugini “periferici” la common low invece delle norme di diritto internazionale nel processo di ristrutturazione/arrembaggio delle loro finanze.
La legge dell’Impero. La legge del più forte.
Credo che Ida Magli non centri appieno l’analisi della disintegrazione culturale dell’Europa concentrandosi esclusivamente sul favorimento dei flussi migratori e della relativa “islamizzazione” del continente.
Già tutte le arti sono state incredibilmente compromesse da quando sono state comprate dal “libero mercato” anglosassone.
La prima e vera immigrazione di massa è sempre arrivata da Hollywood.
Se il progetto mondialista è “illuminato” lo è da Lucifero in persona.
Non basta atteggiarsi da lord. Barbari erano e barbari sono rimasti.
@Mauro
Ho apprezzato molto il taglio che ha dato alla critica dell’oligarchia di Arcore. Se ho afferrato: la tragedia vera dell’anomalia berlusconiana e del suo conflitto di interessi consiste prima fra tutte quella di aver creato un fallimento di mercato di proporzioni cosmiche a causa del monopolio di Publitalia.
Leonilde
Dopo aver letto anche tutti i commenti molto intelligenti e dopo aver ibridato il privato, posso sinceramente affermare di non aver capito un c….
Mauro
@SantiNumi.
Non vorrei beccarmi un rimprovero da chi ci ospita, per “uscita dal tema proposto”.
Le tragedie dell’anomalia berlusconiana, come Ella giustamente osserva, sono molteplici, perché a mio parere, sebbene concatenate, incidono su vari livelli della nostra società.
Il conflitto di interessi è già una delle tre: al di là delle di per sé gravissime leggi ad personam, esso rende tale oligarchia ed il Governo che esprime, perfettamente ricattabili dal potere atlantico; basti pensare a quanto più difficile era per questo potere mettere paura alla DC che non oggi a PdL, Lega, Centro e PD.
La distorsione o, come Ella dice, “fallimento” del mercato è un’altra tragedia avvenuta, che dimostra come la classe che seguì Moro e Baffi, e cioè quella dei Craxi, Andreotti, De Mita, Ciampi e le loro appendici, permettendo l’ascesa del Cavaliere e del suo imbuto oligopolistico, dopo quello degli Agnelli e dei Cuccia, dimostrò di avere una concezione dello Stato ben misera: al contrario, dopo l’istruzione, la sanità e le infrastrutture, il primo compito della Repubblica è quello di mantenere il pluralismo fra le imprese, da cui conseguono non solo la libera stampa, la dialettica fra i partiti ed una sana politica economica, ma persino la tutela dell’ambiente e la difesa, poiché un popolo di piccoli e medi imprenditori rispettivamente non s’azzarda a devastare il territorio e non è facilmente schiavizzabile.
Ma la terza tragedia, e la prima in ordine di importanza, è la devastazione delle menti di un paio di generazioni di bambini e adolescenti, trasformati in consumatori compulsivi e resi incapaci di un’attività cerebrale propria. Oggi sono già tutti adulti con figli: dove troveranno la forza di proteggere i loro figli dalla stessa passivizzazione?
giandavide
@ mauro noti curare di rispondere alcasapoundino santinumi: tutto quello che scrive sembra preso di peso dal vangelo secondo croppi e iannone, lui ci aggiunge solo i condizionali sbagliati. ma credo che sia una perdita di tempo stare dietro a dei mentecatti che sostengono che casapound non solo non è un gruppo di estrema destra, ma che sarebbe pure di sinistra. che bisogna fsare con questi? boh lasciamoli alla loro botta psichedelica, tutta tesa verso corto meltese e capitan harlock visti come novelli mussolini e contro gli zinghiri strumento del complotto mondiale. basta che non si parli di neoliberismo che ai fascisti va tutto bene.
Mauro
Nonostante qualche divertente baruffa, grazie infinite Professore, il suo blog aiuta a scambiarsi le magliette a fine partita. Quando ciò succede allo stadio è il calcio ad uscirne vincitore, qui sicuramente l’analisi e probabilmente anche la logica. Speriamo che anche il pubblico sugli spalti ne tragga spunto.
Get Smart
Luciano Violante ha avanzato un’interessante ricostruzione storica, sottolineando la distinzione tra democrazia rappresentativa e democrazia costituzionale. La prima, che pone il fulcro del sistema politico attorno al principio di rappresentanza fu per lungo tempo propria del modello europeo, la seconda, per la quale vi è un limite alla politica rappresentato dalla costituzione, ha rappresentato il principio del modello statunitense. “Alla fine della seconda guerra mondiale – ha ricordato Violante – gli Alleati pongono due condizioni alla Germania e all’Italia: avere una costituzione rigida e una Corte costituzionale che sorvegliasse il potere politico. Da quel momento in poi anche in Europa le magistrature fanno parte della governance”. Per tali motivi “dobbiamo renderci conto che la magistratura è dentro questo mondo, fa parte del sistema politico, e non bisogna per questo tirarsi via i capelli, ma comporta delle regole anche da parte della magistratura, perché ciò che non vogliamo è una democrazia giudiziaria”.
aldogiannuli
Get Smart: mi sembra una ricostruzione storiografica un po maccheronica. le vicende del costituzionalismo europeo sono molto più complesse
Aglieglie Bratsorf
Complimenti per questo mini-saggio, tanto sintetico quanto esauriente.
Vero che la magistratura ha subito le metamorfosi spiegate e la giustizia stessa si è “evoluta” con la globalizzazione, ma il berlusconismo nel senso politico e nel senso mediatico ha – in Italia – dato un sua veste a questa trasformazione, pacchiana e insidiosa (quindi pericolosa all’italiana).
Non so se qualcuno ha notato (sicuramente nessuno ha reagito) che Berlusconi, in una delle sue schiumanti rampogne in diretta tv contro le toghe rosse e i pm “criminali”, accusava questi di sprecare tempo e denaro contro gli innocenti come lui facendo venir meno il ruolo di “servizio pubblico”.
Per Berlusconi quindi la magistratura non è un potere dello stato come il governo o il parlamento, ma un servizio pubblico come le poste. Che Berlusconi veda tutti al proprio servizio non c’è bisogno di spiegarlo, ma che ormai la percezione comune della magistratura sia quella di un “servizio pubblico” e non di un potere dello stato, un fondamento dello stato, secondo me è evidente ed è un dato acquisito culturale dell’italiano medio.
La dissacrazione della giustizia, lo svilimento del ruolo del magistrato a quello di postino o di lettore del gas è una colpa enorme della televisione che dà, ormai, al caso giudiziario i suoi tempi e le sue logiche di spettacolo; dà a conduttori di programmi e giornalisti la libertà di fare un processo parallelo, in cui tutto funziona, in cui si trovano prove che il tribunale non considera, si ascoltano testimonianze che il giudice trascura. Nella giustizia mediatica, alla fine, il magistrato (inquirente o giudicante è la stessa cosa) ha sempre torto, se non altro perché pronuncia la sentenza in ritardo, quando Salvo Sottile o Telefono Giallo avevano già trovato la soluzione da tempo.
La conferma, ossessivamente ripetuta, urlata o scritta, di Berlusconi e dei suoi pards che il giudice ha sempre e comunque torto, si aggiunge e fa il resto.
I magistrati sono cambiati, forse in peggio, ma sono cambiati di più i cittadini, sicuramente in peggio.
E anche qui Berlusconi ha delle responsabilità.
SantiNumi
@Mauro
Grazie mille per il puntuale feedback e per i relativi contenuti che condivido appieno.
Devo poi, per la santa pazienza del Professore, ammettere che apprendimento, lucida analisi e passione si conciliano malvolentieri. Ed è spesso peccato di gioventù.
Ma la tastiera può essere un buon mezzo per convogliare certa “esuberanza” che in altri contesti è stata espressa diversamente.
Pare poi che l’emotività sia misurabile in errori di battitura.