Isis: l’errore di partenza.

Tutta la questione dell’Isis e della conseguente decisione sulla guerra, si basa su un assunto di partenza: che l’Isis voglia distruggere l’Occidente cristiano, il nostro stile di vita, le nostre libertà e trasformare San Pietro in una Moschea, come si legge nei loro proclami che ci appaiono farneticanti. Dunque è l’Occidente il nemico principale della jihad da cui dobbiamo difenderci. Ma le cose stanno proprio così?

Indubbiamente questa è la versione propagandistica dell’Isis e non c’è dubbio che gli jihadisti “di base” (se ci si consente il termine) pensa esattamente questo ed è disposta ad immolarsi con gli attentati suicidi, anche per vendicare i morti dei bombardamenti occidentali.

Forse è il caso di ricordare che le imprese guerresche occidentali hanno fatti 1 milione di morti fra i civili irakeni, centinaia di migliaia fra gli Afghani, decine di migliaia fra libanesi, libici ecc. Senza contare i palestinesi nel conflitto con gli israeliani. Dunque, che ci sia un sentimento di forte ostilità nei confronti dell’occidente è del tutto plausibile e non solo fra gli estremisti della Jihad, ma anche fra la gente comune ed è proprio su questo risentimento che gli jihadisti fanno leva sia per allargare la loro sfera di influenza, sia per delegittimare, parallelamente le classi dirigenti nazionali dei paesi arabi o, comunque, islamici.

La “narrazione” della guerra Occidente-Islam è profondamente distorsiva ed impedisce di vedere una serie di aspetti di grande importanza. In primo luogo occulta il dato della guerra civile islamica che, come diremo, è prevalente sulla guerra con l’Occidente. In secondo luogo alimenta la leggenda di un islam moderato che si identifica con i pretesi alleati dell’Occidente (sauditi, quatarioti, Erdogan ecc.) che, al contrario, rappresentano la parte peggiore e più integralista dell’Islam.

Di conseguenza, spinge ad individuare come nemici primari molti settori laici dell’Islam come i regimi militari Baaht o gli yemeniti. Ovviamente, Gheddafi, Saddam, Assad hanno espresso regimi di ripugnante autoritarismo che si sono macchiati di crimini contro l’umanità, su questo non c’è dubbio, ma sono stati (come peraltro lo è in una certa misura il regime dei generali egiziani, per nulla migliore dei regimi Baaht) un argine al fondamentalismo jihadista e, forse, non erano i nemici da affrontare per primi.

Poi si tende ad una identificazione fra Islam e suoi settori jihadisti secondo l’erratissimo schema del conflitto di civiltà che individua il nemico nell’Islam in quanto tale. Ed è interessante notare che di questa idea esistono due versioni speculari: quelle di destra alla Fallaci (per intenderci) che è accettata da Pierluigi Battista o Giuliano Ferrara, ma anche una di “sinistra” di quelli che riconoscono nell’azione Isis la risposta armata ed asimmetrica all’aggressione occidentale, e, per ciò stesso, l’espressione dell’Islam che resiste”.

Che ci sia una aggressione occidentale è fuori discussione, così come il fatto che si siano compiuti orrendi crimini di guerra da parte degli americani, quello che non è vero è che l’Isis rappresenti il mondo islamico, quel che legittimerebbe perfettamente il delirio del conflitto di civiltà. Ma, soprattutto, questa visione rozzamente manichea, non opera alcuna distinzione fra militanti di base e gruppo dirigente jihadista.

L’immagine che si ha e si diffonde dei capi jihadisti, sia Al Quaeda che Isis (e prima delle altre formazioni come quella algerina del Fis) è quella di rozzi ed esaltati capi setta, che davvero sognano di espandere il loro dominio a tutto il medio oriente, mezza Europa e, in futuro, in India.

In realtà, tanto i capi di Aq quanto quello dell’Isis, al di là della propaganda, hanno dimostrato grande realismo politico, abilità nel giocare di sponda e capacità comunicativa non comune. Nel caso dell’Isis, inoltre, hanno dimostrato una non comune capacità organizzativa. Per gli jihadisti, la guerra civile islamica è il vero piano strategico su cui misurarsi, mentre l’Occidente è solo un “nemico di rimbalzo”. Quello che interessa ai capi della Jihad è la costituzione di una grande potenza teocratica di area. Il mondo islamico, sulla carta, assomma a 1 miliardo e 200 milioni di persone, con un esercito chge complessivamente raggiunge i 20 milioni di uomini con sofisticatissimi sistemi d’arma (grazie soprattutto agli acquisti dell’Arabia Saudita e dell’Egitto), dispone di una potenza nucleare (il Pakistan) e forse due (con l’Iran), è una potenza finanziaria di prim’ordine grazie al controllo della maggior parte della produzione petrolifera mondiale. Ma non conta praticamente nulla: non ha nessun membro permanente del consiglio di sicurezza, nessun membro del G8 ed a stento uno (l’Egitto) nel G20, ha un peso arginale nella City di Londra e praticamente nessuno a Wall Street, non conta niente nel Fmi e nella Banca mondiale ecc. Gli islamici, dove sono minoranze, sono messi ai margini delle rispettive società (in Europa, e sai pensi alla banlieu, in Cina gli uiguri, in Russia i ceceni, per non dire dei palestinesi e della minoranza islamica in India ecc.) senza che nessuno ne possa assumere la rappresentanza a livello mondiale, facendone valere i diritti.

Questo perché il mondo islamico è frazionato in una trentina di stati, nessuno dei quali ha il rango di grande potenza di riferimento, mentre ci sono una mezza dozzina di aspiranti a questo ruolo, che giocano la partita su piani diversi (Egitto, Irak, Pakistan, Turchia, Indonesia, Arabia Saudita, Iran, recentemente anche il Quatar). Gli jihadisti ritengono che la radice del male stia proprio nella costituzione di Stati nazionali che spezzano l’”Umma” e ritengono (per certi versi non infondatamente) che il modo per permettere al mondo islamico di entrare nella “stanza dei bottoni” del potere mondiale è proprio quello di abbattere gli stati nazionali e costruire un superstato islamico  fondato sulla nozione teologica di Califfato.

In questo quadro, il principale nemico della Jihad non sono i “crociati” di Europa ed America, ma proprio le classi dirigenti nazionali islamiche. Gli occidentali sono appunto, un “nemico dello schermo” che serve a dimostrare chi ha il coraggio di opporsi al “ Satana occidentale” e delegittimare le classi al potere negli stati arabi e comunque islamici, presentandole come corrotte ed asservire al nemico. Da questo punto di vista, gli jihadisti hanno già ottenuto notevoli successi, mietendo consensi che, se ancora minoritari, non sono affatto irrilevanti, attingendo al grande bacino della frustrazione delle masse islamiche. Dunque, lo scontro con l’occidente, dalle invasioni subite agli attentati inflitti, hanno una valenza essenzialmente tattica.

L’eventuale nuova  invasione di europei ed americani avrebbe facilmente ragione delle forze del Califfato, ma questo è nel conto: l’attuale configurazione geografica dello Stato Islamico non è data affatto per definitiva e neppure la stessa esistenza dello stato è ritenuta un dato necessariamente stabile. Se l’attuale “Califfato” fosse distrutto da forze preponderanti, magari dopo sanguinosissimi scontri in cui perissero decine di migliaia di suoi combattenti, sarebbe molto facile ribaltare la sconfitta militare (inevitabile) in un enorme successo propagandistico, con tanto di schiere di martiri caduti per la fede. Ed il reclutamento riprenderebbe moltiplicato in ogni parte del mondo.

Perdonatemi l’accostamento blasfemo, lo faccio solo per dire quale potrebbe essere la valenza propagandistica del fatto, sarebbe qualcosa di molto simile a quello che fu, per il movimento socialista mondiale, la Comune di Parigi: una grande tragedia, con migliaia di massacrati, ma che si convertì in uno strumento di straordinaria efficacia per costruire l’immaginario intorno a cui far crescere il socialismo.

E gli attentati in Europa (ed Usa) non diminuirebbero, ma, al contrario aumenterebbero. Allora come se ne esce? Ne riparliamo una delle prossime volte, ma certamente non con una avventura militare che andrebbe proprio nel senso di quello che l’Isis vuole.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (28)

  • “abbattere gli stati nazionali e costruire un superstato islamico fondato sulla nozione teologica di Califfato”
    Quello che si vorrebbe fare, togliendo di mezzo l’Islam ma non la teologia, attraverso la UE.

  • interessantissimo. A questo punto si potrebbe sintetizzare il tutto dicendo che esiste un sogno islamico di riunire l’islam. Un sogno e’ un progetto, una strategia. E noi qua in occidente che progetto abbiamo? Che progetto hanno i nostri governanti? Che comprensione hanno dei fatti del mondo? Niente, solo il tornaconto personale e immediato, ecco perche’ non abbiamo futuro

  • Caro Professore,

    analisi estremamente lucida e lungimirante, con due appunti..(con la massima stima)

    – “Ovviamente, Gheddafi, Saddam, Assad hanno espresso regimi di ripugnante autoritarismo che si sono macchiati di crimini contro l’umanità, su questo non c’è dubbio”. I dubbi ci sono, ormai. Alla luce della sistematica mostrificazione mediatica di chiunque si opponga all’Impero…certo regimi autocratici, ma che innegabilmente hanno portato i loro paesi a livelli di sviluppo introvabili altrove, e forse soprattutto colpevoli di aver instaurato regimi di stampo laico-socialista, inviso a molti.

    – “L’eventuale nuova invasione di europei ed americani avrebbe facilmente ragione delle forze del Califfato”. Alla luce di Afghanistan e Iraq ne siamo cosi’ sicuri?? E’ tragicamente provato che, boots on the ground, la superiorita’ militare/tecnologica non impatta come dovrebbe. Non si dica che quelle guerre non vogliono vincerle per mantenere il caos permanente, la questione e’ che, militarmente, gi USA le ultime guerre le hanno, non avendole stravinte, di fatto, perse.

    Grazie davvero invece per le note geopolitiche sul peso dell’islam nel contesto mondiale, aria fresca in un mondo sempre piu’ ammorbato dal puzzo della polvere da sparo.

    Cordiali saluti

    edoardo

    • Le guerre gli americani le hanno perse perchè la guerra è la prosecuzione della politica e se non hai una strategia politica efficace alla fine devi abbandonare la campagna militare. In Afghanistan c’era il problema dell’appoggio delle tribù locali; in Iraq non avevano un piano decente per il periodo dopo la rimozione di Saddam ed il discorso si può ripetere per tutte le campagne belliche precedenti.

    • Caro Edoardo,
      i Suoi due appunti sono centrati. Sul secondo si potrebbe aggiungere che non le hanno veramente perse:
      1) in Afghanistan sono rimasti, vi producono eroina ed impediscono qualsiasi infrastruttura internazionale;
      2) in Iraq prima della dipartita (sebbene solo parziale) sono riusciti ad indebolire lo Stato al punto da poterne poi smembrare il territorio con il Califfo. Gli altri pozzi petroliferi stanno a Sud in pieno deserto e dal Kuwait sono sempre facilmente raggiungibili con una nuova offensiva.

    • La storia dei regimi autocratici e criminali come male minore o addirittura portatori di progresso (perchè stabililizzanti attraverso il pugno di ferro) vallo a raccontare alle migliaia di siriani torturati e spariti nelle galere di Assad.

    • Condivido la sua analisi. Il problema “dell’esportare la democrazia” forse un poco, dopo qualche decennio, gli Americani iniziano a capirlo. L’illusione credo fosse dettata dagli esiti della II Guerra Mondiale, proprio pensando ai loro Paesi di frontiera, come il nostro, come la Germania. Forse agli inizio degli anni 90 hanno pensato, malamente, che la liberazione militare, il sostentamento economico e la sicurezza militare, fossero di per se sufficienti per riproporre il modello su scala globale. D’altronde se funziona una volta, é umano che si possa pensare che sia riproponibile. Certo sono necessari gli aiuti economici e militari ma occorre che la società abbia delle istituzioni politiche, sociali, culturali che siano in grado di supportare lo stato democratico. Non é che la democrazia cristiana come baricentro per la composizione di interessi ed il confronto non armato con gli avversari se la siano inventata gli americani, hanno trovato un contesto istituzionale che poteva favorire quel tipo di sviluppo. Con tutti i limiti del caso dati dal fatto di essere un Paese di frontiera, con divisioni culturali al proprio interno piuttosto significative. Per uno che arriva da fuori, capire le istituzioni, la società, non é semplice. E’ forse l’elemento più difficile da percepire e richiede tempo. Puoi introdurre tecnologia militare, tecnologia industriale in un Paese arretrato ma non puoi attraverso di essa mutarne il contesto sociale. Quello si evolve maturando nel tempo. Quando gli americani hanno lasciato quei territori, non hanno lasciato un partito di massa moderato “democrazia islamica”, che potesse garantire stabilità ed essere un referente credibile. Hanno lasciato il nulla. Comprensibilmente dall’esterno si dice: forse era meglio la dittatura che almeno non crea problemi ed instabilità (ragionamento politico che ha una sua logica storica di breve periodo, non sempre condivisibile, se poi si pensa a che prezzo le popolazioni locali debbono tollerare la dittatura per convenienza esterna). Questi pensieri credo possano sfuggire invece a Paesi europei che, non avendo avuto un ruolo significativo strategico da decenni e non avendo vissuto il ruolo di Paesi di frontiera, come appunto la Germania e l’Italia, pensano che “boots on the ground” possa risolvere i problemi e che tolto un regime automaticamente si possa realizzare ciò di cui la comunità locale non riesce a dotarsi

  • “Perdonatemi l’accostamento blasfemo, lo faccio solo per dire quale potrebbe essere la valenza propagandistica del fatto, sarebbe qualcosa di molto simile a quello che fu, per il movimento socialista mondiale, la Comune di Parigi: una grande tragedia, con migliaia di massacrati, ma che si convertì in uno strumento di straordinaria efficacia per costruire l’immaginario intorno a cui far crescere il socialismo.” Io invece ho pensato come parallelo alle persecuzioni religiose nell’impero romano oppure alle azioni dei guerriglieri in Viet Nam.

  • Ottima analisi che dovrebbe passare anche nei media per arrivare all’opinione pubblica. Immagino che la Francia e governanti come Hollande ne siano coscenti o per lo meno abbiano consiglieri dotti in materia. Rimane da capire quindi se la rappresaglia militare in corso sia solo per soddisfare l’elettorato o se ci sia altro in ballo. Cosa c’è nell’altro piatto della bilancia che pesa più dei rischi derivanti dal ricompattare il mondo islamico e che ha già portato i francesi a promuovere azioni militari unilaterali? Immagino i soliti interessi petroliferi e strategici, ma forse la Francia ha già un piano preciso in mente?

    Mi permetto di segnalare che nel G20, se non erro, ci dovrebbe essere l’Arabia Saudita e non l’Egitto.

    • @ Mauro Gandolfo
      “… Cosa c’è nell’altro piatto della bilancia che pesa più dei rischi derivanti dal ricompattare il mondo islamico e che ha già portato i francesi a promuovere azioni militari unilaterali? Immagino i soliti interessi petroliferi e strategici, …”

      secondo me, non si puo’ parlare di una strategia occidentale, se per strategia si intende un piano per conseguire degli obbiettivi importanti. Semplicemente l’occidente si crede superiore e come tale pensa che non valga la pena tentare di capire chi non fa’ parte del suo mondo. Il dio mercato ha come comandamento il massimo profitto subito e a tutti i costi senza porsi il problema del dopo. La destabilizzazione di alcuni paesi islamici e l’appoggio all’isis dato anche dalla Francia erano senza dubbio volti a qualche tornaconto, ma non hanno considerato l’effetto boomerang

  • Gentile Professore,
    dopo un inizio lucido (e direi anche inaspettato dopo le Sue uscite dei giorni scorsi), la Sua analisi mi sembra incorrere in una contraddizione.
    Come fa a scrivere, da una parte, che il “mondo islamico” (entità che improvvisamente si ricompone dai suoi frammenti) non ha alcun accesso alla stanza dei bottoni, e, dall’altra, che esso è capace di lanciare sfide di così grande portata come quella in Medio Oriente (forniture di armi sofisticatissime a fronte di almeno 2.800 tonnellate di petrolio venduto “clandestinamente” ogni giorno, con il risultato di mettere in ginocchio due eserciti alquanto esperti come quello iracheno e soprattutto quello siriano) o quella di Parigi (servizi di sicurezza francesi rimasti completamente “attoniti per l’inaudita sincronia dei terroristi”).
    A volte mi chiedo se Ella questi giochetti ce li fa apposta solo per risuscitare una discussione che altrimenti languirebbe, oppure addirittura ce li fa perché teme di esporsi troppo e lascia che siamo noi a “corigerla”? Se si tratta di questo secondo caso vuol dire che in questo Paese stiamo già messi male.
    Rilancio la provocazione: perché non ci delizia con una delle Sue analisi “spacca-capello” sul nuovo governo di unità nazionale, che il “74% dei francesi” già auspica, nonché sulla sorte che toccherà alla Le Pen (il fumo negli occhi di lor signori della cupola e l’amica di Putin, aspirante niente di meno che alla presidenza dello stato vassallo)?
    A proposito, occhio ai servizi di sicurezza francesi che, quando si svegliano dal lungo torpore, trovano subito i nemici della nazione e gli cambiano i connotati (forse un po’ troppo, infatti li rendono anche irriconoscibili).
    Mi perdoni se insisto: una delle Sue splendide analisi “spacca-capello” e non una da nostalgico marxista avverso per definizione alle “bionde fasciste e xenofobe”.

    • Ambigere in latino non significa solo dubitare, non far capire, ma in senso figurato portare/toccare/sostenere sia un argomento, sia l’altro, persino contrario. La capacità di ambigere era riconosciuta solo ai più bravi.
      Oggi a volte si preferisce sdoppiare e avere un discussant.
      Fare esercizi e applicazioni di storia contemporanea non è per nulla facile. Occorrono molteplici competenze, una Cultura non comune e una raffinata capacità di analisi e altro ancora .. e non è detto che vada bene .. a causa della molteplicità dei fattori.
      Nell’essere destruens della contemporaneità soccorre il relativismo. Le parti costruentes sono più impegnative.
      Tuttavia nel supermecato delle visioni vi sono punti di vista più dogmatici o lineari, p.es. gli oroscopi, gli oracoli e via discorrendo.
      Vede, persino io, che sono generalmente monocorde, grazie al suo contributo sono riuscito ad essere quasi ambigens.

  • l’isis serve a mettere paura alle masse occidentali; questa cosa è chiara come il sole.
    chi non lo vede, o non lo vuole vedere oppure sbaglia l’analisi.

    è chiaro che l’isis è un paravento.
    ma cosa pensate: che quattro drogati, perdenti della vita si mettano a uccidere così impunemente civili innocenti per la grandezza dell’islam?

    le cose sono più semplici ed immediate.
    leggetevi tucidide e capirete.

    saluti

    victor serge.

    • Concordo, è quello che ho tentato a più riprese di dire su questo blog, ma ogni volta Aldo mi boccia con stile assertivo, senza trovare la voglia di argomentare il suo dissenso da questa tesi.
      Le strategie geopolitiche, o riguadano il complesso del nostro pianeta, o non sono geopolitica. Pensare di spiegare tutto alla luce dei soli equilibri in medioriente non ha senso alcuno. Come spiegare sennò l’insistenza nel pubblicizzare al massimo grado i pericoli di guerra chimica e batteriologica, come interpretare l’elenco peraltro del tutto inutile di possibili obiettivi dei terroristi, diffuso dal FBI?
      Il frutto più importante di tutto questo è il terrore, il modo più rapido ed indolore per distruggere ogni anche labile segno di democrazia nel continente e condurre il gregge così addomesticato al TTIP e quindi al proprio macello.

  • Buone osservazioni. Soprattutto quando chiarisce il ruolo preminente dell’aggressività ‘occidentale’ (dizione politicamente corretta per indicare l’impero statunitense e i suoi satelliti). Ma anche quando demistifica la mitologia dello scontro di civiltà e vede come gli attentati rappresentino in primis uno sforzo di provocare l’impero all’ennesimo intervento terrestre.

    Faccio qualche distinguo. L’obbiettivo principale dei rivoluzionari islamici sono le classi dirigenti del blocco sunnita filooccidentale, ma siccome queste vengono essenzialmente mantenute al potere dall’Impero, l’aspirazione jahdista a una lotta integrata contro ambo i versanti del blocco dominante mi sembra corretta. Certo l’occupazione dell’Europa non è obbiettivo immediatamente realizzabile. Ma può darsi lo diventi man mano che la crisi e l’atomismo individualista affossano la residua omogeneità delle società plutocratiche, e l’invasione extracomunitaria sposta l’equilibrio demografico in senso islamista.

    Sul mito dello scontro di civiltà. E’ vero che si tratta di una sciocchezza, nel migliore dei casi di una grossolana semplificazione, ma ogni dottrina identitaria vive di rozze semplificazioni autoalimentantisi, e ogni rivoluzione si fonda su un qualche scontro di civiltà che, a forza di essere profetizzato, finisce per rendersi reale. Fra la profezia marxista dello scontro fra le ‘civiltà’ proletaria e borghese e quella del califfato aspirante a sopraffare l’occidente ateo non c’è differenza di sostanza. Tutte le categorie della vita associata – dalla nozione di ‘popolo’ come soggetto unitario (alla base del costituzionalismo occidentale) a quella marxista di classe rivoluzionaria, fino alla Sua religione umanista – sono basate sul pregiudizio e sull’affabulazione.

    Un’ultima osservazione: il Suo marxismo è ben poca cosa, assai più vicino a Vendola che a Lenin o Che Guevara. Davvero un bel rivoluzionario quello che parla delle società turbocapitalistiche alla prima persona plurale e si propone di salvare loro il deretano dopo un ventennio di guerre imperialistiche malamente fallite. Un rivoluzionario cercherebbe di spingere l’impero statunitense nel precipizio dell’ennesimo intervento mediorientale (quando mai Lenin o Mao avrebbero fatto le loro rivoluzioni senza una guerra persa?); lei si fa consigliere del principe suggerendogli rimedi ai propri disastri.

    E’ il ruolo storicamente svolto dalle socialdemocrazie, che mi sembrano rappresentare il suo vero contesto di riferimento.

  • bellissimo e chiaro articolo che mi trova d’accordo in tutto. La religione è solo un paravento come per i Crociati nei tempi che furono..in nome di un altro Dio… e arma utile di lavaggio del cervello ai tanti che si fanno scoppiare per la causa.

  • Un discorso abbastanza condivisibile ma non del tutto. Intanto, tirerei fuori l’Iran dal mazzo: l’avversità fra Sciiti e Sunniti è irriducibile, e comunque l’Iran sta ricevendo un certo riconoscimento internazionale; tra l’altro, dal 13/9/2013 fa parte dello SCO, che è l’unica grande organizzazione internazionale fuori dal controllo degli USA. Per il resto, mi sembra importante tenere l’attenzione su due punti: 1) sostenere, per quanto possibile, le forze relativamente più democratiche, laiche e progressiste esistenti nel Vicino Oriente e nel Nord Africa, anche contro gli alleati degli USA e dei loro vassalli europei 2) monitorare, per quanto possibile, quanto avviene sulle frontiere del contrabbando del Califfato e più in generale sugli assi Califfato-Turchia e Califfato-Arabia Saudita. Sul punto 2, magari a qualche supertecnologico amico possono venire delle idee…

  • Sottoscrivo anche le virgole. Ma ho paura che quest’analisi piena di buon senso cadrà nel vuoto in un paese sempre più preda di una narrazione malata e falsa.

  • Rimane sempre da capire l’atteggiamento americano nei confronti del terrorismo.
    Negli anni ’80 hanno addestrato gli estremisti islamici contro i russi in Afghanistan e poi hanno subito attacchi dagli stessi terroristi che avevano istruito.
    Non contenti, dopo l’esperienza negativa di Al Quaeda, ne hanno preparati degli altri in funzione anti-Assad e anche questi gli sono sfuggiti di mano.
    Ora, o i servizi segreti occidentali sono diretti da incapaci, che ripetono errori devastanti, dimenticando gli insegnamenti del passato oppure sono guidati da gente troppo furba, che ci racconta favole, contando sulla memoria corta della gente.

    • Forse sono vere entrambe le ipotesi.
      Ma non parlerei di “servizi segreti occidentali”, quanto piuttosto di servizi segreti americani e inglesi, con qualche spruzzata di francese, che fa sempre eleganza.
      Purtroppo, questi hanno vinto la guerra e malgrado siano ormai passati 70 anni, dettano ancora le loro condizioni ai vinti.
      Prima c’erano i sovietici a mettere limite alle loro prepotenze: adesso chi può fermarli?
      Putin fa quello che può, e non per senso di giustizia o per bontà d’animo perchè in politica estera queste parole sono prive di significato: purtroppo la Russia di oggi (e anche del futuro, direi), non è l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, vincitrice della II Guerra Mondiale assieme agli altri.

  • Questo articolo meriterebbe di essere tradotto in inglese. È di interesse che va ben oltre i nostri confini.

    Ora i miei commenti. Mi sembra difficile integrare questa visione con il fatto che questo califfato si basa sulla legge coranica. E se non mi sbaglio questa legge vieta loro di avere accordi di pace che non siano limitati a 10 anni. In modo da essere in uno stato di guerra continua per espandere l’ISLAM
    Il problem

  • Una risposta militare agli attentati omicidi (aereo russo, Parigi) e alle decapitazioni ci deve essere. Perchè questo è l’unico linguaggio che capiscono. Come debba essere eseguita lo decida chi si occupa di tattica militare.
    Il termine ‘islam’ significa ‘sottomissione’: già il nome è un programma. Il nocciolo del problema sta nell’islam come gruppo sociale e nel suo testo di riferimento, che non è liberamente interpretabile: è lì che, in forma poetica, viene predicato l’odio, la violenza, l’espansionismo militare, il suprematismo.
    Questa ideologia produrrebbe costantemente combattenti anche se i cosiddetti ‘occidentali’ non fossero mai esistiti, anche se Bush jr non avesse attaccato l’Irak di Saddam Hussein nel 2003. Infatti nei secoli passati i suoi propugnatori si sono espansi armi in pugno non solo fino in Spagna, ma anche in Asia centrale e nel sud-est asiatico; infatti l’attacco alle Torri Gemelle di Nuova York è del 2001; e la conquista di Costantinopoli, dei Balcani e i relativi stermini e conversioni forzate delle popolazioni autoctone risalgono al 1492 e ai secoli successivi; e lo stermino degli armeni cristiani (popolazione autoctona) è del 1915-1917, quindi molto prima che Bush jr facesse la guerra all’Irak nel 2003.
    Ripeto: Il nocciolo del problema sta nell’islam come gruppo sociale e nel suo testo di riferimento, che non è liberamente interpretabile: è lì che, in forma poetica, viene predicato l’odio, la violenza, l’espansionismo militare, il suprematismo.
    Quindi: sì alla risposta militare, ma soprattutto ad un programma di remigrazione dall’Occidente’ per gli islamici.

      • Negli ambiti in questione (quelli religioso, politico e militare – non essendoci nell’islam separazione tra i tre), ha un significato ben preciso. Cito da Wikipedia:

        “Islàm (con accento sull’ultima sillaba) è un sostantivo verbale traducibile con «sottomissione, abbandono, consegna totale [di sé a Dio]» che deriva dalla radice aslama, congiunzione causale di salima («essere o porsi in uno stato di sicurezza»), ed è collegato a salām («pace»). Nel linguaggio religioso, il concetto è traducibile con la parafrasi: «entrare in uno stato di pace e sicurezza con Dio attraverso la sottomissione e la resa a Lui»”.

        Attenzione: qui ‘sottomissione’ non è intesa sottomissione volontaria a un dio qualsiasi, un dio che ognuno si può scegliere e cambiare liberamente. Ma è invece chiaramente specificato che l’unica sottomissione accettata è quella all’entità suprema prevista nel testo poetico ‘corano’, denominata ‘allah’; e l’unica legge accettata è la ‘sciaria’, quella prevista in questo e in altri testi dello stesso ordinamento giuridico ad esso collegati (ad esempio gli ‘hadith’). Qui il termine ‘pace’ è indissolubilmente legato a quello di ‘sottomissione’: la pace è il risultato della sottomissione.
        Il termine ‘jihad’ indica sia la lotta interiore per raggiungere una perfetta fede sia la guerra santa; entrambi sono un obbligo per ogni credente.
        La sottomissione/pace individuale si ottiene con la ‘jihad’ (lotta), sottomettendosi volontariamente ad ‘allah’ e alla sua legge (la ‘sciaria’).
        La sottomissione/pace mondiale si ottiene attraverso la ‘jihad’ (sforzo, guerra), causando la sottomissione ad ‘allah’ e alla ‘sciaria’ – con il proselitismo e la violenza – di tutti coloro che ancora non credono in questa ideologia.

        Quindi: Qui il termine ‘pace’ è inteso come il risultato della sottomissione: tutti devono avere la stessa fede e seguire una certa legge (quella specificata nel testo, non una qualsiasi!). In questo modo, non essendoci più differenze di fede e di legge non ci sono più conflitti di fede e di legge, quindi c’è la pace. Una chiara ideologia suprematista. La più pericolosa inventata sinora perchè collegata ad un’entità divina che promette il paradiso a chi la propugna.

  • In un libro inchiesta del 2012: “Rivoluzioni s.p.a.”, Alfredo Macchi scriveva:

    “La Primavera Araba, preparata o meno che fosse, è stata per Washington l’occasione per sbarazzarsi di regimi legati in qualche modo alla vecchia concezione statalista e nazionalista dell’economia, eredità del socialismo sovietico in salsa araba.
    In ballo c’è, come avvenuto dopo la caduta del Muro di Berlino nell’est Europa, un grande mercato dove fare largo alle imprese americane, finora osteggiate dal diffuso anti-americanismo di quei regimi.
    «Le rivoluzioni democratiche in Tunisia, Egitto e Libia, e quelle ancora in corso in Siria e Yemen, sono imbevute di spirito imprenditoriale », ha detto il vicepresidente americano Joe Biden, parlando il 3 dicembre 2011 a Istanbul ad un convegno di imprenditori interessati a promuovere l’iniziativa privata nel mondo arabo. Sacrificare vecchi amici come Ben Alì, Mubarak, Saleh e tradizionali nemici, come Gheddafi e Assad, in nome del libero mercato, è una scelta obbligata per Washington”.
    Un discorso simile venne fatto per l’Italia per spiegare le inchieste di “Mani Pulite”, quando alcuni commentatori dissero che si era trattato di una manovra per eliminare una classe politica, quella della Prima Repubblica, corrotta, ma legata ad una concezione dell’economia troppo favorevole alla presenza del settore pubblico e quindi in contrasto con le nuove tendenze ultraliberiste dei poteri economici angloamericani.
    Credo che molti fenomeni apparentemente inspiegabili degli ultimi anni siano da ricondurre al grande progetto mondiale neoliberista, che si serve di tutte le armi, compreso il terrorismo per raggiungere i suoi scopi.

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