Due conti in tasca a Tsipras…
Con grande piacere ed interesse, iniziamo una collaborazione con Lamberto Aliberti ed il gruppo Dext, esperto di system dynamics, che ha sviluppato un interessante lavoro sul debito e che oggi ci propone un approfondimento sulle sfide che Tsipras dovrà affrontare, facendo ricorso ad una serie di dati e calcoli molto interessanti, per cogliere la complessità dei fenomeni e delle sfide da affrontare. Buona lettura! A.G.
Per l’Ing. Tsipras un po’ di ingegneria umanistica.
Sul piano politico, lasceremo il commento a chi ne sa più di noi. Come ingegneri, speriamo di trovare la sua attenzione. Ne avrà in contropartita i benefici di una disciplina, che discende dalla sua: la modellistica matematica, a supporto della presa di decisione manageriale, system dynamics, per essere esatti.
Il suo filone, che tratta di sistemi politici e sociali, lo chiamiamo ingegneria umanistica. Noi siamo Dext e abbiamo costruito un modello dinamico del debito sovrano, in relazione alla crescita economica. Lo si trova, o meglio, si potrà trovare tra poco, sul nostro sito.
Perché l’abbiamo costruito? Per la stessa ragione, per cui i modelli d’ingegneria umanistica sono indispensabili oggi, i sistemi politico-sociali, troppo complessi per affrontarli solo con le nostre povere, incerte, mutevoli, soggettive rappresentazioni mentali, aiutati al più da carta e matita. Eccone un saggio, è una parte del contenuto del modello debito, richiama solo le grandezze principali e le loro relazioni causa/effetto.
La freccia indica le relazioni causa/effetto (clicca sull’immagine per ingrandire). Il segno algebrico la direzione, impressa dalla causa all’effetto. Il + (più) indica una relazione diretta: al crescere della causa anche l’effetto cresce, al diminuire della causa, anche l’effetto diminuisce. Il segno – (meno) una relazione inversa: se la causa cresce, l’effetto diminuisce, se diminuisce, l’effetto cresce.
La complessità è ben visibile. Eppure stiamo vedendo solo la punta dell’iceberg. Per es. le componenti del PIL (Prodotto Interno Lordo) e le sue cause prossime e remote qui sono taciute. Perciò mostrare all’ingegnere cosa possiamo fare per lui, e anche per voler essere chiari, ci richiederà testi un po’ lunghi. Ma ben ripagati. Ecco comunque il programma:
1. Vedere la situazione in termini complessivi
2. Il problema della crescita
3. Misurare le conseguenze sull’Europa, la questione del contagio.
4. Assisterla nella partita a scacchi con la Commissione Europea.
La situazione della Grecia, a livello aggregato.
Interroghiamo il passato per addentrarci, dopo, nel futuro, servendoci della mappa del debito presentata. La fonte è Eurostat. Ecco la variabile centrale.
Confrontiamo la Grecia con noi, non siamo anime gemelle, da millenni? Graecia capta ferum victorem cepit. E accanto ai due reprobi la virtù teutonica.
-La prima osservazione è che a nessuno dei 3 l’Euro ha fatto bene, direbbe Salvini
-Certo la situazione è ben diversa, tra noi e i tedeschi, tra i greci e noi
-Se pensiamo che l’Europa vorrebbe un 60%
Domanda: è eccessivo il debito o troppo basso il PIL?
Confrontiamo i tre paesi in pro capite. Prima il debito.
Le cose cominciano ad apparirci in una luce diversa:
-Siamo noi da sempre a portarci sul groppone il peso maggiore del debito: giunto alla bellezza di oltre 34mila euro, nessuno escluso, per famiglia sui 100mila, all’anno
-La Grecia parte addirittura, 1995-2005, nella condizione migliore; ora non è che stia molto meglio di noi, ci ha raggiunti nel 2011, poi si distacca, anche se l’inflesso del 2013 un po’ minaccioso lo è
-Anche la virtuosa Germania qualche stupore lo desta; la crisi del 2008 l’ha sorpresa
-Notiamo infine che il passaggio dalle monete nazionali all’Euro ha segnato, prima o poi, un’accelerazione nella crescita del debito pro capite, decisa per la Grecia, un po’ meno per gli altri due; diavolo, che si debba dar ragione a Salvini?
Ora si passa al PIL.
Che la Germania sia in testa non ci stupisce, ma che realizzi la variazione massima positiva proprio nel pieno della maggiore crisi economica del dopoguerra ci lascia allibiti; chapeau!
Noi siamo, anzi eravamo, vicini ai tedeschi, poi la crisi ci ferma e la nostra staticità fa paura. Peggio ancora per i greci, da sempre lontani da noi e, a maggior ragione, dai tedeschi; l’avvento della crisi, poi, fa temere il peggio: nel 2013 hanno perso circa 4000 euro all’anno, pro capite, cioè un 25% rispetto al 2008. E dire che il PIL qui è espresso a prezzi correnti, quindi la crescita reale è inferiore, probabilmente però di poco, per l’incidenza recente della deflazione. Ci sembra opportuna un’occhiata.
Le dinamiche a prezzi costanti non cambiano il quadro, che ovviamente peggiora per tutti; la vera deflazione non è ancora arrivata. Chi ne esce peggio siamo però noi. Quella staticità, a seguito della crisi del 2008, è diventata vera e propria recessione.
In conclusione: un punto per l’ingegnere. E che punto. Perché l’austerity, che è deciso a combattere, incentrata sull’aumento delle tasse e sulla riduzione della spesa pubblica, non può certo produrre un aumento del PIL, la priorità della Grecia, è semmai una sua riduzione. E infatti il PIL cala a precipizio, da quando si è cominciato ad applicare la ricetta, così cara alla Commissione Europea. D’altro canto lo sanno tutti che l’austerity è preposta alla riduzione del debito. Infatti, dacché è applicata, il debito greco un po’ è salito e un po’ è sceso. E comunque non ha mai compensato la riduzione del PIL. Infatti il rapporto debito/PIL è drammaticamente salito, salvo una piccola, probabilmente illusoria, pausa.
Che si può fare? Tagliare qua e là è facile. Tassare a piene mani, ancor di più. Tirare su il PIL fa tremare le vene e i polsi. Ma ci proveremo. Lo faremo prima a livello aggregato. Creando una banda di oscillazione entro la quale la povera Grecia andrà a muoversi nel futuro. Poi, in un prossimo capitolo, scenderemo nel dettaglio, prendendo di mira le componenti del PIL. In entrambi i casi, dovremo spingerci parecchio avanti nel futuro. D’altronde il fiscal compact, il dispositivo, tuttora previsto per la riduzione del debito, è programmato in vent’anni. Prima di arrivarci, una parentesi.
Di fronte alle uscite elettorali del nostro ingegnere, Draghi, che non è uno che parla a vanvera, ha osservato che la Grecia ha una pressione fiscale bassa, rispetto ad altri paesi della zona Euro. È vero? Perché una riflessione il tema lo merita, prima di andare sul futuro. Eccola:
Non disponiamo ancora del 2013, ma Draghi ha ragione: l’entrata nell’Euro è servita alla Grecia per abbassare costantemente l’incidenza delle tasse sul PIL. Dal 2009 la tendenza cambia, piuttosto bruscamente, però restiamo lontano. Qui mezzo punto in meno per l’ingegnere. E, di passaggio, notiamo che l’Italia è messa proprio male, dal 2005, con una brusca crescita nel 2012. Siamo curiosi di scoprire cosa ha fatto Renzi. E nominando Draghi ci sembra necessario menzionare un’altra peculiarità della Grecia: i tassi d’interesse che paga sul debito.
Una premessa: non ci dica Salvini, almeno a questo livello, che l’Euro non ci ha giovato. E la Grecia che nel 2013 arriva a un costo del debito inferiore a quello tedesco? Se il tasso d’interesse passivo rispecchia il rischio, c’è sicuramente un abisso fra i due paesi. Non ha senso che la Grecia paghi quasi il 20% in meno della Germania e l’talia il 40% in più. Né la circostanza si può attribuire ad una scadenza del debito greco molto più rapida degli altri. Anzi. Piuttosto è il fatto è che questo debito è in gran parte posseduto dalla BCE, dagli altri paesi europei, attraverso il fondo Salvastati, e da organismi internazionali, come il Fondo Monetario. La povera Grecia dunque un agreement sostanzioso l’ha ricevuto. Un altro mezzo punto in meno per l’ingegnere.
Che ci aspettiamo per la Grecia.
Il modello Dext lavora per simulazione, cioè risponde con un output ad ipotesi formulate su fattori esogeni, che hanno cioè sul sistema osservato solo relazione di causa. Tali fattori appartengono a due categorie:
-Fuori controllo, detti anche scenari
-Decisioni, cioè scelte operate da attori del sistema.
Simuleremo in entrambe le categorie, percorrendo però una parte del panorama. Per gli scenari chiameremo in causa alcuni fattori che impattano sul PIL. Eccoli:
Precisiamo:
-Gli scenari sono sempre modelli dentro altri modelli; l’impatto è perciò il risultato di una serie di relazioni causa/effetto non riportate e notevolmente approssimato;
-È ben chiaro che i microfattori sono autonomi, l’uno rispetto all’altro, anche quando si trovino all’interno dello stesso macrofattore; accuratezza perciò vorrebbe che si simulassero in alternativa l’uno con l’altro, come si fa nelle aziende per elaborare strategie; lo faremo di certo il giorno in cui Tsipras si siederà davanti al modello o se qualcuno di voi ha delle necessità o delle curiosità particolari;
-Alcuni macrofattori sono una sintesi della sintesi, qui domanda e offerta, che trasferiscono in termini di commercio internazionali il bailamme politico attuale, con economie al collasso (Russia), altre molto dubbie (Cina), altre in ripresa (US).
Come si diceva, alcuni scenari non sono stati toccati, in particolare quello finanziario, che pure incide molto anche nell’economia. Per questa ragione sono immutati i fattori (Bund e spread), che incidono sui tassi d’interesse. Non toccarli però non significa, questi e molti altri, che siano spariti dal modello, semplicemente che abbiamo mantenuto i loro valori storici. Per cui l’effetto lo fanno comunque.
Ecco la politica. Sono alcuni fattori nel potere di Tsipras.
-Quanto detto prima vale, cioè
sono una minima rappresentanza, che intendiamo sviluppare poi, a livello di dettaglio
-ignoriamo le interazioni reciproche
-in più, in questo caso, ci sono effetti sul PIL, trattati con specifiche funzioni
-infatti la pressione fiscale vi agisce tramite i suoi componenti, come i consumi finali, gli investimenti, l’import e l’export
-e la spesa pubblica col sottoinsieme dei consumi pubblici, che è l’altro addendo del PIL
-le ipotesi si sono ridotte a due, perché combinate con le 3 degli scenari si arriva a 6 simulazioni, il cui output principale – le variabili già chiamate in causa a livello storico – vorremmo portare sullo stesso diagramma, perché il confronto è il sale della modellistica.
Passiamo all’output, che grandi commenti non richiede.
Il rapporto debito/PIL assomma tutta varietà del sistema e perciò si dispone su largo spettro.
Esattamente il contrario per il debito: un macigno durissimo da ridimensionare.
Col PIL torniamo ad un’ampia distribuzione.
Completiamo con le altri variabili centrali:
Conclusione (provvisoria).
Ben difficilmente la Grecia si salverà. È vero che è stato simulato un caso di un allentamento del rapporto debito/PIL, ma il debito continua a salire, in tutti gli scenari e qualunque sia la presa di decisione. Conseguentemente salgono sempre gli interessi passivi e, anche un avanzo primario (entrate meno uscite, al netto degli interessi) positivo, possibile, ma difficile, non riesce a colmare il deficit, che può, nelle migliori ipotesi, stabilizzarsi, restando però inesorabilmente deficit e non surplus, alla faccia di tutti i dictat europei. Per l’ingegnere dunque nuova stagione alle porte, del resto ampiamente annunciata. Rinegoziazione del debito o quanto meno allungamento delle sue scadenze. Nuova strada alquanto impervia. Noi però saremo al suo fianco, subito dopo aver rivisto l’intero panorama in dettaglio, a partire da una completa messa a fuoco delle possibilità di crescita del PIL.
Questo come prima idea del nostro approccio e della sua portata. Se poi qualcuno, non solo Tsipras, vorrà porci dei quesiti, sottoporci altenative da simulare, saremo lietissimi di servirlo.
Lamberto Aliberti
29 gennaio 2015
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Mattia
Lavoro per una società di forecasting macroeconomico che utilizza modelli completamente automatici all’avanguardia, tanto che quasi sempre performa meglio di tutti quelle previsioni fatte da grandi enti che utilizzano modelli matematici insieme a elementi di giudizio umano.
Non c’è che dire, questo tipo di modelli funziona.
Ma attenzione anche qui al – supposto – rapporto causa/effetto: crediamo che funzionino perchè funzionano effettivamente, o funzionano perchè crediamo che funzionino?
Voglio dire che l’impressione che mi sono fatto è che più che una previsione, questi modelli costituiscano una “linea guida” che si viene a tracciare e ha l’opportunità di farsi reale perchè, grazie alla sua matematicità, è la stessa linea guida per tutti, che quindi finiscono per credere sia l’unica possibile.
Per fare un esempio, quanti credono ancora che i giudizi delle agenzie di rating siano sterili previsioni? Non sono piuttosto la causa stessa dell’avverarsi delle proprie previsioni?
Voglio dire: se io – agenzia di rating, o modello matematico, o qualsiasi ente rispettato generalmente – dico che prevedo che domani l’economia del paese A andrà male, non sto mettendo le basi affinchè la gente si spaventi, cominci a liberarsi dei titoli del paese A o a chiederne in cambio maggiori interessi, gettando le basi per un’effettiva deriva economica del paese A?
E poco importa che in questo processo vi sia della malizia (molto probabile a mio parere, soprattutto quando si parla di agenzie di rating, che sono esse stesse giocatori del mercato e non sterili arbitri), o pura fede nel metodo (largamente ingiustificata, vista la totale incapacità da parte di tali modelli di prevedere gli eveti veramente importanti, come la crisi in ambito economico, gli attacchi terroristici in ambito geopolitico, i cambiamenti climatici che vadano al di là di un paio di giorni – previsioni, queste utime, che poteva azzeccare pure mio nonno auscultando il proprio ginocchio più o meno con lo stesso grado di confidenza dei metereologi e i loro modelli di nowcasting).
Certo questo discorso si inserisce in un contesto estremamente più ampio, che penso si possa ricondurre alle filosofie di Heidegger, Jaspers o Severino, tanto per citare un grande italiano.
Ma sono fermamente convinto che una riflessione in tal senso vada considerata: siamo sicuri che con tutta questa razionalizzazione stiamo effettivamente rendendoci la vita più sicura, stiamo anticipando il futuro (consiglio la lettura de ‘Il cigno nero’ di Taleb in merito) e non stiamo invece costruendoci delle gabbie che limitano il futuro possibile a quello conseguente gli assiomi e le regole di produzione tramite i quali crediamo di aver esaurito la descrizione dello stato della realtà e del suo evolversi, rispettivamente?
leprechaun
Osservazioni sensate. E’ che gli oggetti dell’economia (e della sociologia, ecc. ecc.) sono dotati di proiezione e di aspettative. Dunque, in queste discipline, capita che l’effetto preceda la causa, piccolo problemino. E infatti gli economisti parlano di “aspettative”. E a volte esagerano anche, e dimenticano il resto.
Ma non c’è economista degno di questo nome che non sia consapevole di tutto questo.
Quello che semmai molti ignorano, è che anche una seppia proietta ed è dotata di aspettative, per non parlare di un polpo, che è uno che pensa, nel senso umano del termine. Anzi, pensa talvolta meglio (“è più intelligente”, letteralmente) di molte persone che mi è toccato conoscere.
http://en.wikipedia.org/wiki/Jerome_Lettvin#Unusual_experiments
Leggetevi qui il paragrafo finale del capitolo, dove parla della storia allo Zoo Marino di Napoli. Poi provatevi a fare un modello di simulazione di JD.
E non pensiate che questa è l’unica storia che si possa raccontare dei polpi.
Qualcuna ne potrei raccontare anche io, oltre all’esperimento di Cousteau, che viene replicato continuamente in ogni acquario di polpi.
Mattia
Il punto della mia riflessione – da polpo, se vuole – non è riflettere sul fatto che dovremmo o meno avere aspettative, piuttosto sulla base di quali strumenti queste aspettative vengono a formarsi.
Quello che metto in discussione è la potenza e la profondità d’orizzonte degli strumenti matematici rispetto a quella di altri strumenti più “umani”.
È spesso capitato che alcuni grandi eventi della storia fossero anticipati da filosofi, scrittori, politici con speculazioni puramente elucubrative (penso a Nietzche, Orwell) mentre fatico a vedere anche una sola grande previsione uscita da un modello matematico.
Certo, questi ultimi sono molto più precisi per quanto riguarda il breve termine, ancora meglio quando si tratta del presente (il succitato nowcasting), ma quando l’orizzonte di previsione s’allunga appena mi paiono totalmente impotenti.
Forse quest’ultimo parere è dettato dalla mia ignoranza; in tal caso sarei molto curioso di conoscere contro esempi a questa mia affermazione.
Insomma, benissimo basarsi su questo tipo di modelli se si è speculatori finanziari.
Quando si tratta di decidere le politiche di un paese lo trovo totalmente fuori luogo.
leprechaun
Perfettamente d’accordo. Non solo, aggiungo: anche in fisica è così. Tutte le teorie, le rivoluzioni, sono state concepite prima dei modelli matematici e addirittura prima della loro formalizzazione matematica.
L’algebra tensoriale non esistema prima della concezione della relatività generale. Fu concepita e formalizzata da Ricci-Curbastro e Levi_Civita su richiestadi Einstein, che ne aveva bisogno ma non era in grado di farsela da solo.
Anche la geometria non-euclidea è stata sviluppata da Riemann perché pensava la curvatura potesse spiegare i campi di forza. Lo disse per difendersi dall’attacco di Dühring, che la riteneva “inutile”. Quello contro il quale Engels scrisse l’omonimo libro.
Come ci dicono Turing e Goedel, e altri dopo di loro, il pensiero non è un calcolo.
Lo vede, polpo, che lei è più intelligente di certi esseri umani (che allignano al MIT)? 😉
Lamberto Aliberti
Nel mondo della modellistica, a supporto della presa di decisione manageriale, produttori e utenti, la questione posta è stata ampiamente discussa. Gli americani la chiamano self-fulfilling (o fulfilled) prophecy, una profezia che si auto-avvera. Siccome sono ospite di un illustre storico, Le racconto una storia. Eravamo alla fine degli anni ’70. La mia società, la Maspa Italia, si era avviata sulla strada della modellistica, come attività esclusiva. Una delle più importanti associazioni di categoria formò un gruppo di lavoro, composto di aziende omogenee sotto il profilo dei prodotti, per costruire e gestire con noi un modello di scenario. Focus: la domanda internazionale. Così si fece. Dopo 9 mesi si cominciarono a produrre previsioni a 5 anni. Gli associati ci mandavano i dati settoriali (a quel tempo non era facile trovarli) e le loro considerazioni, noi correggevamo l’analisi, aggiornavamo il quadro macroeconomico, quindi ci si riuniva, con periodicità trimestrale, davanti a un computer (lo ricordo con nostalgia, solo per la giovinezza perduta: era un P6060 dell’Olivetti) e tutto il Gruppo di Lavoro interrogava il modello, con grande fervore e interesse, in riunioni animate e intense, che duravano pomeriggi interi, spesso fino a notte. Poi cominciò a diffondersi quella parola: self-fulfilling prophecies. L’aveva definita e divulgata uno del Gruppo. Una situazione al limite della fantascienza: una decina di operosi sciur Brambilla, abituati a parlare in dialetto con gli operai, ad affrontare a muso duro i sindacati, a varcare l’Oceano col copia commissioni in mano, senza sapere le lingue, che si stavano cimentando da un paio d’anni con l’economia mondiale, il causa/effetto, le relazioni dirette e inverse, le esponenziali, logistiche e gaussiane, ora formava capannelli per prendere una posizione pro o contro le self-fulfilling prophecies. Ma l’autore del fracasso andava al sodo. Era intimo del Presidente dell’Associazione e presto venne la sentenza: il modello non si fa più. Devo dire che i delusi nel Gruppo furono parecchi. Noi disperati. S’interrompeva un lavoro, affrontato con passione, e veniva meno una fetta importante del nostro misero fatturato di allora. Passarono, se ben ricordo, 5/6 mesi. Stavo con un cliente, quando la mia Segretaria mi viene a parlare all’orecchio: “X (l’autore del pateracchio) al telefono”. Un tuffo al cuore. Che male ci farà ancora? Voleva un appuntamento. Da lui. La faccio breve: il modello trasmigrò tel quel nell’azienda di chi l’aveva affossato. Che trovò modo anche di risparmiare, dicendo che le basi erano già pronte e avremmo avuto a che fare con uno solo e non una masnada ciarliera e spesso in contrasto. Insomma, fece buon uso di quelle doti che ne avrebbero fatto, da allora, il leader del settore. Nel volgere di pochi mesi il modello fu consegnato e addestrati gli addetti interni. Noi restammo in relazione per 35 anni, chiamati, di tanto in tanto, per la manutenzione straordinaria e l’ampliamente dello strumento, che diventò il suppporto principale, un vero e proprio laboratorio, per le strategie di marketing. Per noi due, X ed io, uno splendido rapporto professionale, anche se passammo presto la mano ai collaboratori. Ma non so se si parlò ancora di self-fulfilling prophecies.
Mi fermo per una riflessione su questi punti:
Nessun modello può vedere il futuro secondo un’unica “linea guida”, per usare le sue parole; noi usiamo sempre la simulazione, tracciamo cioè dei binari; insomma, il nostro compito è ridurre l’incertezza, che permea tutte le cose del mondo
Nel mondo della microeconomia, delle aziende in particolare, divulgare l’output dei modelli è verboten; perché devo far sapere a un mio concorrente, che, attendendomi una crisi di domanda, abbasserò i prezzi e varerò una campagna promozionale per sottrarre a lui e a altri delle quote di mercato, che mi consentano di mantenere i livelli di produzione? Per rendegli più facile contrastarmi?
Certo che i modelli si fanno non solo per intravedere il futuro, ma anche per cambiarlo; stando all’esempio di prima, ho portato notizia di una possibile crisi di vendita e dei mezzi, in grado di correggerla; se l’azienda mi crede, il forecast delle vendite sarà diverso e, addirittura, se il marchio è abbastanza importante,dall’abbassamento del listino può derivare una correzione della domanda globale; ma il buon modellista non deve mai trascurare questo feedback
In campo macroeconomico poi che i destinatari del modello, fossero pure una folla, fosse pure Obama, non parliamo di Tsipras, possano cambiare gli scenari, mi sembra un po’ azzardato, diciamo che ci provano, ma quando gli riesce?
Se crede queste riflessioni le facciamo insieme. Mi ha colpito il taglio culturale con cui affronta un mestiere assai simile al mio. Ho passato una vita, da matematico, con ingegneri. Se tiravo fuori Taleb, mi seppellivano di integrali. E, le confesso, sono curioso di capire cosa sono i “modelli completamente automatici all’avanguardia”.
Lamberto Aliberti
garbage
La Grecia ha votato le sanzioni contro la Russia
la notizia qui:
http://www.reuters.com/article/2015/01/29/us-ukraine-crisis-idUSKBN0L22B720150129
Il sogno è stato bello finché è durato.
Ora dimentichiamoci pure di SYRIZA.
vineyardsaker.blogspot.co.nz
benito
prima bisogna capire se e’ vero, sul sito del quotidiano “La Stampa” c’e’ una notizia di un ora fa secondo la quale Tzipras continua a non essere d’accordo con le sanzioni. Sul sole24 ore poi dicono che la Russia si e’ offerta di aiutare economicamente la Grecia. Le agenzie di stampa sono in mano ai servizi segreti quindi occhio a quello che dicono…..
cinico senese
Si e no. La Grecia era per il no alla estensione delle sanzioni fino a dicembre. Poi ha accettato la estensione solo fino a Settembre. Lo si può vedere come un calare le braghe o come arte della politica del possibile. Credo che sarà tutta così la politica di Syriza: chiede 100 per avere 50. Non ci dobbiamo aspettare chissà che cambiamenti. Lo si vede anche dai mercati che non hanno fatto sfracelli. Vedremo…comunque sia, la Grecia è troppo piccolina per dare fastidio vero alla Germania, e con le pezze al culo non si va molto lontano. Se andasse fino in fondo, la porta sarebbe l’uscita dall’euro. Vedremo…
Soldato Kowalsky
La Grecia ha annunciato di non volere ulteriori sanzioni alla Russia. Queste non sono ulteriori sanzioni, sono quelle vecchie.
Ma secondo voi russi e cinesi si possono permettere di vetare ogni decisioni del Consiglio di Sicurezza con cui non sono d’accordo?
Vi risparmio la fatica, no, non se lo possono permettere perchè nessuno sta in un sistema autosufficiente. E se non se lo possono permettere russi e cinesi figuriamoci i greci.
Hanno preso una posizione politica, hanno ottenuto un’alleggerimento della posizione europea che, ricordiamolo, con “nuove sanzioni” intende “muoviamoci verso la guerra”.
Riformulando, al secondo giorno di governo hanno evitato che l’UE facesse un passo in avanti nella direzione della guerra.
Poi, se volete qualcuno che ponga il veto su tutto, potete abbandonare il mondo reale e cominciare a giocare a Geopolitical Simulator…
Lamberto Aliberti
Sono d’accordo che le sanzioni sono una cavolata. Ma poteva la piccola Grecia fare diversamente? E se l’avesse fatto per meglio sparare a morte sul debito?
Lamberto Aliberti
leopoldo
molto interessante, e va riletto con calma. Una piccola domanda per quali valori uno stato moderno scompare? Cioè non è più in grado di identificare le persone che lo costituiscono (-:
Lamberto Aliberti
Bellissima domanda. Va girata al mio ospite, storico insigne. Da matematico, direi che uno stato scompare quando si dissolve in un’entità superiore (magari avvenisse per l’Europa), o in uno stato vincitore (è ancora successo dopo l’800?) o si spezza in tanti stati più piccoli (Sud Africa).
Per il modello c’è il default. L’accertata impossibilità di tener fede alle proprie obbligazioni finanziarie. Qualcosa, credo, di molto meno, anche se altrettanto denso, anzi forse di più, di effetti politici, economici e sociali. Ce ne occuperemo, se certe tensioni si confermano. Checché ne pensino certuni, uscire dall’Euro non vuol dire solo dare una fregatura alla Merkel e alle grandi banche.
Lamberto Aliberti
ilBuonPeppe
Che l’aumento del rapporto debito/PIL faccia aumentare lo spread (come visibile nello schema) mi pare come minimo una forzatura: i fatti (che abbiamo vissuto anche sulla nostra pelle) dimostrano che lo spread si muove secondo logiche ben diverse.
Che poi l’aumento dello spread provochi un aumento del tasso di interesse è invece fantasioso: piuttosto è vero il contrario, l’aumento del tasso di interesse provoca l’aumento dello spread.
Soldato Kowalsky
accademicamente nessuno dice che lo spread è funzione del debito/PIL
si dice, semmai, ed è un semmai notevolessimo, che è funzione dell’esposizione privata e pubblica verso l’estero
Lamberto Aliberti
Spero di aver capito che Lei vuol parlare del sottosistema dei tassi d’interesse sul debito sovrano. Le grandezze in gioco sono tante e ci scusiamo se la rete sistemica presentata è eccessivamente sintetica. Vi ovvieremo presto. Per ora dobbiamo accontantarci delle parole.
Cominciamo con l’aritmetica: il tasso di un’obbligazione pubblica è calcolato, per convenzione, come somma dei Bund tedeschi a 10 anni e spread, cioè differenza. Qui Lei ha pienamente ragione.
Adesso passiamo alla logica: che cosa induce, nelle aste, quelle grandi banche a darci dei soldi, in contropartita di un certo tasso d’interesse? La convinzione che i soldi saranno restituiti e gli interessi pagati. È il rischio. Oltre una certa soglia del quale i soldi non arriveranno. Al di sotto di essa, possiamo affermare che il tasso d’interesse, che ci chiederanno, è proporzionale al rischio. Sale il rischio, sale il tasso d’interesse. Scende il rischio, scende il tasso d’interesse.
E qual è il fattore cruciale del rischio? Noi diciamo che, nel caso, è il rapporto debito/PIL. È la causa principale, più impattosa sul rischio, in relazione diretta. Attenzione: non è il rapporto attuale, perché i soldi ce li prestano per esserne ripagati in futuro. È quello atteso. Le banche si fanno una previsione del rapporto in questione, per tutto l’arco di vita di quel debito. D’altro canto si tratta di una condizione generale. Se una persona va in banca a chiedere un prestito, l’impiegato ne analizza la situazione debitoria, poi il reddito, infine il patrimonio netto, proiettandoli nel fruturo, quanto è la durata del prestito. Si chiama fido. È una situazione così diversa per gli stati? Insomma, nella relazione rischio/rapporto debito su PIL quale sia la causa e quale l’effetto non abbiamo dubbi.
Certo i fattori sono in gioco sul rischio sono molti. Prima di tutto chi presta i soldi. È noto che sulle banche ci siano pressioni di ordine politico, anche se alla fine vincono sempre loro. Poi ci sono le Istituzioni Finanziarie. La Grecia l’hanno salvata dal fallimento il Fondo Salvastati (dove siamo anche noi) e il Fondo Monetario Internazionale (IMF). Dalle banche non precettate non avrebbero ottenuto il becco d’un Euro. Ecco il macigno da affrontare per Tsipras. Per lui e noi, oggi poi una situazione completamente nuova: il quantitative easing di Draghi. A che tasso la BCE comprerà titoli di stato e in che quantità?
E fattori finanziari ce ne sono anche altri: il costo del denaro, il suo valore, la liquidità del sistema, l’inflazione. Non mancano quelli economici: specifici, come occupazione, produzione, reddito e risparmio; generali, come commercio mondiale, competitività del paese, ecc. Sotto in certo profilo, il PIL, proiettato nel futuro, potrebbe riassumerli, ma noi non ci siamo accontentati. Lo vedrà
Per chiudere, come non chiamare in causa anche fattori né finanziari né economici. Quelli politici anzitutto. Chi non ricorda il governo Berlusconi 2008-2010: il rapporto debito/PIL passò dal 103 del 2007 al 119%. Ma non sarebbe bastato ad alzare lo spread, che veleggiò intorno a 400. Eravamo diventati la scheggia impazzita d’Europa, i più ridevano, qualcuno (le banche) si spaventò. Ovviamente fattori del genere, che possono perturbare notevolmente il sistema nel modello sono presenti. E vedremo come Tsipras se la caverà.
Un’ultima considerazione: la convenzione di determinare il tasso come Bund + spread fa sì che ogni fattore causa debba essere applicato alla Germania. Quindi ricalcolato per tutti i paesi dell’Euro, come differenza, rispetto ai tedeschi. Noi diciamo “in termini relativi”. Ecco così lo spread.
Mi auguro di essere stato esauriente. E mi mantengo a sua disposizione.
Lamberto Aliberti
Filippo
conoscete il lavoro di Gennaro Zezza e del Levy Institute sulle stesse problematiche ?
http://gennaro.zezza.it/?p=1497
http://www.levyinstitute.org/publications/is-greece-heading-for-a-recovery
Lamberto Aliberti
Purtroppo no. Ci metteremo in contatto. O, se preferisce, dica loro di contattarci al sito.
Lamberto Aliberti
Mugo
Gentile dott. Aliberti, da dove ricava il tasso di interesse pagato dalla Grecia sul proprio debito? Proprio oggi lo spread sul decennale ha superato il 10% a sfavore della Grecia, il che sul suo grafico la metterebbe fuoriscala.
Lamberto Aliberti
Come ha visto, la mia fonte, scelta dopo attenti confronti, è l’Eurostat, aggiornato tuttoggi al dicembre 2013 (serie annuale). Lavorando con la system dynamics e non con la statistica, l’aggiornamento non è importante. Per le simulazioni mi pare di aver detto che tenevo fermi tutti i fattori finanziari, per concentrarmi su quelli economici e sulle decisioni. Una scelta infelice? Forse. Ma le variabili di input del modello sono oltre 150. Devo andare per gradi. Per ora stiamo saggiando il sistema greco. Non facendo previsioni. E arriveremo anche alle variabili finanziarie. Del sottosistema dedicato allo spread sono molto orgoglioso. Ci hanno lavorato sodo i miei ragazzi. E contiamo di uscire al più presto. Vedrà che il forecast sarà interessante e che la crescita del tasso è nella logica delle cose.
Lamberto Aliberti
leprechaun
La conoscenza non si fa, ahimè, coi modelli matematici, neanche in fisica. La fisica non si riduce ai suoi modelli matematici, nonostante in fisica questi abbiano assai più pregnanza che nelle discipline dove gli oggetti sono dotati di capacità di proiezione e di aspettative, come nel caso degli animali. Ho scritto animali, non “uomini”, si prega di notare. Già il concetto stesso di “fatto”, e di causalità, cambia passando dalla fisica alla biologia.
Il modello presentato parte da un’ipotesi di fondo che è falsa: e cioè che il problema centrale sia “il debito pubblico”. E così, si istituisce un nesso causale tra debito/Pil e spread, che nella realtà non c’è, o meglio, è assai più blando di quel che si creda, perché i famosi “mercati” guardano assai di più alla crescita del PIL e ancora di più all’occupazione nello “stabilire” i tassi di interesse. Lo si vede semplicemente facendo una correlazione alla Reihnarth & Rogoff, ma senza escludere i dati scomodi, questa volta. Ma nello schema non si vedono nessi causali tra crescita del PIL (un flusso) e tassi, né tra occupazione (che dipende da un sacco di altri fattori) e tassi.
E così, concentrandosi sul luogo comune del debito pubblico, non si capisce perché l’euro ha danneggiato – come ha fatto – la Grecia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia, ecc. ecc. e avvantaggiato invece la Germania. Il che è un errore da bocciatura all’esame, a qualsiasi esame.
Il punto più erroneo è prendere in esame quel parametro che ci è stato somministrato per anni – ed è una colossale fregnaccia per ragioni logiche – del “debito (pubblico) pro-capite”. Il debito pro capite, se è interno, non è un debito. E questo perché il debito sono soldi (o altro) che si devono a qualcun altro, non a sé stessi. Lo è invece il debito estero. Quindi se non si scompone il debito in interno e estero, non si capisce nulla.
Il debito pubblico italiano, ad esempio, è interno per il 70%, ormai. E prima degli anni ’90 praticamente il 100%.
In un sistema dotato di una Banca Centrale – quindi non l’eurozona, unica al mondo – la Banca compra i titoli del debito pubblico e li butta nel cestino (questo fa, leggetevi De Grauwe su Project Syndicate, recentemente).
E’ inutile fare modelli se non si capisce la fenomenologia fondamentale.
Il problema della Grecia (come di chiunque altro) non è il debito pubblico, è il debito privato delle sue banche (http://vocidallestero.it/2015/01/27/krugman-il-punto-sulla-grecia/)
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Il Giappone ha da decenni un debito pubblico altissimo, e paga meno interessi della Svizzera. Perché il suo debito è tutto interno.
Chi sa fare bene i conti (il che significa oggi: chi sa usare gli strumenti informatici) si illude di possedere “qualcosa in più.” Ahimè, non è così. Conoscere una disciplina – come l’economia, ma qualsiasi altra – implica conoscere un sacco di fatti, dati, storie, istituzioni, ecc. che coi modelli matematici non hanno nulla a che vedere. I modelli matematici sono una cosa banale, mi spiace dirlo, sono l’ultimo dei problemi. E’ molto più importante stabilire cosa dipende da cosa, e cosa è indipendente da cosa. E questo non sono i modelli che te lo dicono, è l’osservazione del mondo, la conoscenza della fenomenologia e il quadro teorico (teorico, non “matematico”) che vi si costruisce sopra. Come Galileo, per intenderci. Vale anche per la fisica, figuriamoci per il resto.
Un ultima cosa: il calcolo è una cosa, la matematica un’altra. Il primo è della seconda solo un aspetto molto limitato. E anche la matematica è costruita sull’osservazione del mondo, è una scienza naturale, solo ad un livello di astrazione più alto delle altre. Quindi questi non sono “modelli matematici”, sono “modelli informatici, di calcolo”.
PS: a proposito dei nessi di tipo giornalistico tipo “i tassi remunerano il rischio”, come mai i tassi dei titoli del Tesori USA sono superiori a quelli dei bond di molti paesi europei? Come mai i tassi normalmente sono più bassi in periodi di crisi di quanto non lo siano in periodi normali “di crescita”?
PPS: credete forse che gli economisti non utilizzino modelli di simulazione? Pensate di avere veramente qualcosa da dire a Yanis Varoufakis su questo terreno?
Celine
Precisione, evidenza, conoscenza, onestà intellettuale…. a un certo punto citi anche Riemann… oltre agli altri…. ma quest’ultimo sempre piuttosto dimenticato…. ma soprattutto analisi sofisticate sulla complessità che si cimentano col fango della realtà politica, economica, giornalistica, mediatica…. bellissime le insursioni epistemologiche su matematica, calcolo, fisica…. finalmente qualcuno che rimbecca la dominante idiozia del calcolo matematico declinato all’utile produttivo, detto anche ingegneria….
Mugo
“PPS: credete forse che gli economisti non utilizzino modelli di simulazione? Pensate di avere veramente qualcosa da dire a Yanis Varoufakis su questo terreno?”
Il modello econometrico trimestrale della Banca d’Italia, sviluppato nella prima metà degli anni ottanta, descrive le interazioni fra i più importanti aggregati macroeconomici dell’economia italiana. È costituito da circa 800 equazioni, di cui quasi 100 stocastiche, con una specificazione articolata dei diversi settori economici, incluso quello pubblico. E prende i granchi che prende.
Qui si va in guerra col fucile a tappi…
Lamberto Aliberti
Perché è così incazzato? Non Le abbiamo mica chiesto l’abiura dei suoi dogmi?
Se la sua religione le permettesse la lettura, potrebbe vedere che i suoi pochi richiami, non oscurati dal fondamentalismo, come banche, non solo greche, tassi e debito privato sono nella rete sistemica.
Non so invece se Varoufakis ha un modello. Le faccio però una sorpresa: ci sono altri – abbiamo lavorato sui problemi del debito (pubblico, s’intende)-PIL, su scala europea – che ce l’hanno, per es. la Banca d’Italia, con cui ho lavorato nei lontani anni ’70, e il nostro è meglio per quattro motivi:
Più facile da usare; lo possono interrogare tutti, basta che non siano Torquemada;
Non totale dipendenza dalle serie statistiche, come gran parte di quelli realizzati dalle banche centrali; ci si impegola così meno con questioni di affidabilità dei dati numerici, tuttora presenti; sulla Grecia poi…
Personalizzabilità; è adattabile senza grande fatica ai nostri modelli mentali; ma forse anche loro sono giornalismo
Meccanismi interni di convalida; ma guarda un po’ un oggetto così inutile le dice di quanto sbaglia.
Sono di parte? Forse, ma ho qualche ragione di esserlo. Vuole la principale? Per 35 anni abbiamo campato, piuttosto bene, sui modelli matematici a supporto del management in 14 e i miei collaboratori continuano ancora. Siamo degli abili imbroglioni? Le farei volentieri i nomi dei nostri clienti, ma solo il giorno in cui si scuoterà dal suo cupio dissolvi. Scoprirebbe allora che una lira che sia una non gliel’ha mai scippata nessuno.
Vedo che ha molti seguaci. Non se ne glori. Lei sa tante cose, sarà conscio del fatto che il dogmatismo nichilista si diffonde facilmente. La cupa situazione del nostro paese è una miccia inesorabile. Se volessero confrontarsi sul serio, li invito sul nostro sito, appena sarà pronto. Noi siamo sempre aperti, fare modelli ci ha insegnato a essere critici costruttivi.
Suvvia un po’ di serenità, incide anche positivamente sul giudizio, altrimenti raggiunga anche Lei l’ISIS.
Giacomo Bandini
Vorrei dire una cosa. Io non so dire chi, fra lei o l’utente Leprechaun, abbia ragione sul merito della questione, purtroppo non ho sufficente preparazione in materia: quello che so per certo è che lei è un orrendo argomentatore. La sua replica a Leprechaun è piena di gretti artifici retorici, che sporcano la discussione. Lei attacca la persona del suo interlocutore di dogmatismo, di fanatismo religioso addirittura. Lei lo accusa di essere “incazzato”, quando ad essere sopra le righe semmai è la sua risposta, in cui addirittura gli da di “Torquemada”. E per concludere, addirittura, paragona la mentalità del suo interlocutore a quella dei Talebani dell’ISIS.
No, mi dispiace ma no. Non è questo il modo di argomentare, non su questioni di tale complessità. Se questa fosse una partita, lei perderebbe per squalifica.
Aldo Giannuli
Bandini: conosco bene Lamberto Aliberti e so che nel suo modo di argomentare c’è molta ironia, per cui non prenda alla lettera alcune espressioni come Torquemada che, peraltro, non era diretta a leprechaun. Le garantisco che non ci sono intenzioni offensive, purtroppo lo scritto non permette di vedere le espressioni del viso ed il tono della voce altrimenti lo avrebbe colto subito.
Poi a volte anche io prendo cappello perchè mi sembrano rivolti a me apprezzamenti che l’interventore dedica ad altri, mi è successo proprio di recente ed ho chiesto scusa.
Marco
Non ho capito che sognifica tutta questa simulazione quando voi stessi prescindete da una valutazione politica che nei fatti è l’elemento più importante (quando vi riferite al campo “decisioni” si tratta di politica) ma soprattutto considerando che glissate con nonchalance sul fiscal compact che è il fattore strutturale determinante sull’esito di qualsiasi ipotesi di recovery nel senso della crescita.
In altre parole con il fiscal compact alla Grecia non resta altro che la sottomissione alla Troika e a questo punto vedete anche voi che la questione diventa esclusivamente politica: Tsipras alla fine si piegherà a rinunciare alla sovranità del proprio paese?
La risposta è molto meno scontata di quello che puoò sembrare perché i terribili disagi di un’uscita dalla moneta unica ed eventualmente dall’UE non sono peggiori dei terribili disagi che la Grecia sarà obbligata a patire se resterà sotto il tallone della Troika (e con il fiscal compact da rispettare dovrebbe restarci almeno una quindicina d’anni). E nel cpstro modellino dove lo mettete l’orgoglio nazionale?
Insomma devo confessare che questo vostro sistemino mi pare una cosa più da gestione aziendale o familiare che altro; teniamo conto che la polemica deglibanti liberisti parte proprio dall’idea di negare l’artificiosa analogia neo liberista per cuibla gestione dello Stato è del tutto sovrapponibile a quella dibun’azienda o una famiglia.
giandavide
anch’io sono poco convinto dell’efficacia di questi strumenti, che peraltro sono già ampiamente utilizzati in ambito economico e finanziario con risultati altalenanti. anzi credo che applicare i paradigmi epistemologici delle scienze esatte alle scienze sociali e all’economia sia una pratica sbagliata in termini teorici e dannosissima a livello concreto. qualsiasi modello della realtà è infatti riconducibile a polarizzazioni di ordine ideologico, polarizzazioni che ne orientano la lettura in modo determinante. il modello quindi esclude dalla realtà i dati incompatibili con una certa visione ideologica – però si possono aggiungere dopo! (che si sbaglia) – e in pratica vorrebbe essere la conferma scientifica della visione ideologica in questione.
conferma di cui se ne dovrebbe fare veramente a meno: se delle scelte economiche sono sbagliate bisognerebbe cambiarle. invece si fa il contrario: si usano questi strumenti per dimostrarne la presunta scientificità, e quindi, una volta mostrati i bellissimi modelli, si continua a sbagliare “perchè la sicenza dice così”
Junius
Mi unisco nei complimenti a @leprechaun: la cultura, senza una solida base epistemologica, è vuota erudizione o techne al servizio del nulla… quando va bene.
Danilo
La situazione economica della Grecia ,aldilà di infiniti onanismi mentali e sterili esibizioni di cultura micro e macroeconomica e’ drammaticamente più semplice: al momento dell’abolizione della Dracma sono stati artatamente truccati i conti pubblici.La disastrosa condizione delle finanze pubbliche elleniche non è stata accertata dal miope se non strabico controllo ” a vista” dell’ ineffabile Troika che ha avuto lo stesso intento dell’imbonitore circense che grida:”venghino venghino siori ,più gente entra più’ animali si vedono”… Corruzione ed evasione fiscale sono superiori addirittura a quelle nostrane! Tsipras sia trova nella condizione di un povero titolare d’azienda in mano agli usurai. Non si può dire “muoia Sansone con tutti i Filistei” e quindi come un granello di sabbia rischia di distruggere il delicato meccanismo di un orologio di pregio o come un forellino in una gomma può arrestare la corsa di una Rolls Royce così occorre che si intervenga per escludere questa perniciosa eventualità’ dell’uscita della Grecia dall’Euro visto che non se ne è impedito l’ormai irreversibile ingresso .Se la Grecia e’ “Franti” l’Europa ,sotto lo sguardo di “Perboni” Draghi ,deve essere “Garrone”!!!
lamberto
Forse Tsipras non pensa di essere Franti. Ci assomiglia di più il suo ministro dell’economia Varoufakis. Comunque siamo anche noi curiosi di scoprire se Draghi farà il Garrone, anche perché siamo decisamente interessati, come italiani. Presto comunque offriremo a tutte le parti in causa un po’ di alternative modellizzate. Ci segua, magari con la nostalgia di ritornare ai semplici tipi ottocenteschi. D’altronde, facendo le nostre esperienze capita di scoprire, che molti sono ancora nel buio Medio-Evo.
Leonilde
Confesso che dal punto ‘Che ci aspettiamo per la Grecia’ in poi non ho capito più nulla.
Mi mancano i fondamentali …
Vorrei però fare una domanda.
Questi modelli matematici applicati all’Europa anni ’20 e ’30 avrebbero previsto la seconda guerra mondiale?
lamberto
Se non ha capito più nulla è colpa mia e cercherò di emendarmi con le prossime uscite. Glielo assicuro. Però mi segua e mi aiuti con le sue critiche. Ho lavorato coi top managers più carogna e se non fossi riuscito a farmi capire avrei raggiunto, come si diceva, allora la Brigata Cirio (dalle lattine con la magra cena). Blanda giustificazione: qui ho solo parole e immagini, là avevo anche la voce e l’interattività. Ma un giorno vi ovvieremo.
Quanto alle due guerre mondiali, siccome non le ha prodotte Manitù, si potevano – forse non allora – benissimo simulare le conseguenze sociali ed economiche (dalle stragi provocate dalle mitragliatrici nella Somme al bunker di Berlino). E con il mio gentile ospite, Aldo Giannuli, abbiamo parlato più volte di una “storia coi se”. Usare la simulazione per osservare come sarebbe andata, se.. Uso la sua osservazione: Aldo, quando partiamo?
gio to
Confesso che pur non sentendomi all’altezza della dotta dissertazione in atto sulla validità/utilità dei modelli dinamici , credo che essi possano essere un valido supporto per le strategie in ambito economico e politico sociale.
Esorto quindi il Gruppo Dext a perseverare ed affinare gli studi su tali processi. Chissà che un giorno possano aiutare qualche politico illuminato nella formulazione delle strategie in campo politico/sociale evitando le solite demagogiche tosature del povero cittadino /contribuente. Che Dio ce la mandi buona! Auguri.
lamberto
Complimenti. E’ esattamente il nostro obiettivo: incidere sulla impresa di decisione politica. Non c’illudiamo. Tra noi si alternano scetticismo e speranza. Io penso che, tutto sommato, ci basta avere dalla nostra persone come Lei. Grazie.
Leopold Bloom
Analisi molto interessante quella del Dr. Aliberti, già solo a partire dai dati (dai quali si prescinde sempre più spesso, purtroppo).
Se da un lato i valori pro capite indicano situazioni di preoccupante analogia tra gli stati, dall’altro i valori assoluti ci presentano condizioni estremamente diverse: la Grecia ha un PIL inferiore al 2% di quello dell’Unione Europea e un debito che supera di non molto i 300 miliardi. Con ciò non intendo sostenere che siano cifre irrisorie ma è corretto porle in paragone a quelle degli altri stati (o al q.e. appena varato da Draghi di 60 miliardi al mese).
Mi sembra quindi che la BCE abbia risposto in maniera molto confusionaria alla crisi del debito greco, mantenendo per un tempo troppo lungo un rischio contagio, specialmente nei confronti di quei paesi il cui debito sarebbe molto più difficile da sostenere (Italia e Spagna in primis).
Forse, allora, proprio la BCE dovrebbe dotarsi di strumenti del genere, cercando di monitorare situazioni ben più irreparabili di quella greca.
L’austerità europea di questi anni di certo non ha portato a grandi risultati eppure il ritenere di poter continuare ancora ad aumentare il debito per fare crescita (senza accorgersi che è la strada che già percorriamo, perchè i debiti hanno continuato ad aumentare comunque e la crescita non si è vista) potrebbe rivelarsi una strada ancor più pericolosa.
UMBERTO 1954
ho letto con interesse la relazione del prof. Aliberti , penso che sarà un contributo estremamente utile per gestire le dinamiche in corso in Grecia ma anche in altri paesi in E.U.
bruna
Condivido pienamente con gio to sull’utilità dei Vs modelli dinamici e Vi invito a continuare negli studi. Mi complimento comunque con Voi e Vi esorto a non mollare malgrado il dilagante scetticismo,