Informazione: cosa resterà a sinistra?

La fine dell’anno porta sempre a fare “il gioco dei bilanci” e se ci concentriamo brevemente sullo stato in Italia della stampa cartacea e online, il bilancio è molto grave. Il settore è tutto in sofferenza, ed anche colossi come Corriere e Repubblica non se la passano bene, ma proviamo a concentrarci per un attimo sulla stampa “a sinistra”: quello che emerge è che di qui a breve potremmo ritrovarci praticamente senza organi di informazione, nè cartacei, nè web. Una rapida rassegna:

L’Unità ha chiuso l’edizione cartacea il 31 luglio 2014. In settembre il comitato di redazione ha provato a battere un colpo rilanciando il sito in una versione barricadera ed anti-renzi, cavalcando un po’ anche le mobilitazioni sindacali di Fiom e Cgil, ma oltre alla risibile prospettiva di un subentro di qualche nuovo editore, tra cui la Santanchè (Sic!), la situazione sembra destinata ad esaurirsi ed il tentativo di tenere vivo il sito con il lavoro gratuito dei redattori è ovviamente franato;

-Sorte simile per Europa: quotidiano che non ha mai avuto livelli di vendite esorbitanti, anzi, ma che come struttura era di bassa foliazione e quindi relativamente poco costoso. L’ormai ex direttore Menichini scrive “abbiamo conquistato credibilità e lettori sulla rete, con un’edizione online che è affermata, riconosciuta, apprezzata, e in alcuni giorni arriva a contare anche 40 mila contatti”: da alcune settimane tuttavia non è più in edicola e da gennaio la redazione di professionisti operativa in precedenza verrà sostituita dalla redazione di youdem, che svilupperà un prodotto solo online, con relativo “strascico” di auspici e polemiche nei confronti del Pd;

-Come sempre, verrebbe da dire, non se la passano bene al Manifesto, dove è in corso l’ennesima campagna di autofinanziamento per salvare il giornale dalla liquidazione;

-pare durerà ancora poco anche l’esperienza di Pagina99: nato come quotidiano nel 2014, dopo breve trasformatosi in settimanale, il progetto, per quanto mi riguarda, è stato uno dei più innovativi e con maggiore qualità degli ultimi tempi, ma pare non bastare. I curatori specificano che “vendite stabilizzate, sito in crescita, fiducia degli inserzionisti. Eppure non basta per proseguire le pubblicazioni, pagina99 cerca nuova linfa per andare avanti”. A gennaio 2015 si capirà la sorte di questo progetto, ma va da sè che le prospettive non sono rosee.

Fin qui una rapida rassegna dei progetti con edizione cartacea e digitale, ma anche web e radio non se la passano benissimo.

Radio Popolare sta portando a termine l’annuale campagna abbonamenti, che ha permesso fino ad oggi alla storica emittente milanese di mantenersi libera e sopravvivere, ma per quanto funzionerà questo modello di business, alla luce delle modificazioni delle abitudini degli utenti e delle loro caratteriste? Banalmente: quanti giovani precari con stipendio volatile saranno disposti a sostenere un abbonamento come quello della radio nei prossimi decenni a fronte della sterminata e diversificata offerta informativa a cui ci troviamo davanti? Se si tiene conto che anche a Radio Popolare sottolineano come “stiamo discutendo della cassa integrazione in deroga, dell’opportunità di ridurre del 20% il nostro orario di lavoro a tutela di tutte le lavoratrici e i lavoratori della radio. Nessuno escluso. A questo intervento si aggiungerà poi l’azione di ulteriore riduzione delle spese generali” si capisce come anche qui la situazione sia difficile;

Per terminare la rassegna, tralasciando sicuramente qualcosa, anche Linkiesta è in una fase delicata, con un rischio di chiusura scampato nei mesi scorsi, ma un futuro a dir poco incerto. Più stabile pare essere Il Fatto quotidiano, di cui non sono emerse in questi mesi grosse difficoltà, in uno scenario comunque di discesa delle vendite in edicola.

Quello che emerge insomma è che di qui a breve potrebbe esserci una seria desertificazione dell’offerta informativa, in particolare dell’emisfero sinistro del panorama. Certo, direte voi, l’offerta non è entusiasmante, il livello spesso bassissimo, i progetti, a parte alcuni, molto autoreferenziali, in ritardo nel capire la rivoluzione del web, soprattutto negli anni scorsi, oppure si tratta di organi di partito abbandonati, quindi “problemi loro”: tutto vero e condivisibile, ma fermarsi a queste valutazioni “di panza” non basta e non risolve il problema, che è molto articolato e lungi dall’essere risolto.

Ogni testata ovviamente ha la sua storia, le sue specificità, ma il punto centrale sembra essere che nessuno ha ancora trovato la strada per costruire un modello di business nel mondo dell’informazione, ma anche dei blog e dell’editoria indipendente, realmente efficace nel rapporto tra carta e web, o tra radiofonia e web. Dopo l’ubriacatura della rivoluzione digitale infatti, ci si sta rendendo conto che il web non produce dividendi, anzi:

-le sole “politiche dei click” non bastano: non garantiscono dividendi pubblicitari e costringono ad un abbassamento del livello dei contenuti; (per la serie, pur di fare click, vale tutto);

-dall’altra parte però, senza click, non si attrae pubblicità, almeno per ora, e la sola qualità non basta, con il grave rischio del ritagliarsi nicchie destinate a scomparire;

-in questo contesto si inseriscono i primi segni di criticità verso la pubblicità sui social network: certo né Facebook né Twitter sono prossimi al crollo, ma anche qui, la cieca fiducia nella capacità di intercettare gli utenti grazie ai big data (altra moda di cui tutti parlano ma di cui poco si sa per davvero) sta venendo meno, come attestano diversi articoli di recente uscita (per fare alcuni esempi):

-“Facebook è un museo, i social media devono essere come la vita”
-eJournalism: in crisi i sistemi di misurazione della pubblicità online
-Twitter, frena il numero di chi cinguetta e il sito di microblogging crolla in Borsa
Perché Facebook prova a uscire dalla sua mini crisi puntando forte sulla tv

Insomma, la situazione è in divenire e complessa ed a poco valgono esempi di modelli come il NYTimes, o altri colossi editoriali: Roberto Zarriello sul suo blog descrive di recente l’investimento del New York Times su Blendle, “un aggregatore di contenuti che si fonda sul presupposto che le persone sono disposte a pagare per il giornalismo di qualità, ma che non vogliono accontentarsi dell’abbonamento ad una testata”. Certo, interessantissimo, ma è abbastanza “ovvio”, per quanto non scontato, riuscire a sopravvivere, se non altro per questioni di dimensioni per questi colossi dell’informazione (come può essere per Rcs o l’Espresso in Italia, per quanto entrambe in serie difficoltà), non è però detto che economicamente la cosa funzioni: semplicemente, verrebbe da dire, sono gruppi “too big to fail”.

Sta di fatto che, almeno in italia, rischiamo di trovarci a breve con una desertificazione di organi di informazione a sinistra sia in edicola che sul web. Comunque la si pensi e con tutte le critiche che è lecito fare alla qualità dell’informazione nel nostro paese, non è affatto una bella prospettiva.

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Aldo Giannuli

Storico, è il promotore di questo, che da blog, tenta di diventare sito. Seguitemi su Twitter o su Facebook.

Comments (20)

  • Articolo interessante che delinea sinteticamente un panorama desolante rispetto all’informazione di sinistra che purtroppo sconta, da anni, un livello davvero basso della qualità dell’informazione. Si sono recentemente distinti da questo panorama piuttosto piatto gli esperimenti (uso questo termine perchè non è ancora detto che reggano l’urto del mercato editoriale) come Linkiesta e Pagina99. Il fatto che tuttavia anche queste testate vivano difficoltà simili ai vecchi giornali di sinistra dimostra in fondo che c’è qualcosa di sbagliato nel modello di business del giornalismo attuale.
    Il web ha cambiato la possibilità di informarsi e chiunque oggi si informa molto di più su internet che non attraverso la carta stampata, riducendo di molto le entrate delle testate. Il modello del NYT è una provocazione interessante fatta non tanto da una testata “too big too fail” (nel mondo del giornalismo a differenza di quello finanziario abbiamo diversi esempi di fallimenti illustri) ma da una redazione che produce da decenni contenuti di altissimo livello, provando ad immaginare come sarà il lettore di domani.
    Credo che molti giornali di sinistra e organi di informazioni gravitanti intorno a quest’area non siano mai riusciti a trovare una sintesi efficace tra autofinanziamento (prospettiva ideologicamente esaltante ma spesso economicamente debole) e finanziamento dei partiti e siano di nuovo arrivati tardi alla trasformazione del comportamento di consumo dei propri lettori. La domanda che mi faccio è, al di là del sostegno di parte ad organi fondamentali per la vita politica dei partiti di sinistra: perchè leggerli?Offrono davvero un’informazione di livello?Trovo sulle loro pagine informazioni che altri non danno?
    Se la risposta è “no” per molti lettori è facile capire dove stia il problema.

  • Martino ha ragione: il rischio è grosso. I problemi a mio avviso sono molteplici, e molti si intersecano con i nuovi rapporti sorti grazie (oppure a causa) della Rete.
    Ho apprezzato e continuo ad apprezzare Pagina99, progetto secondo me validissimo, ben curato e con molti spunti di riflessione che dovrebbero spingere anche le testate storiche a ripensarsi: purtroppo, a quanto pare, garantire un’offerta online più “ridotta” rispetto al cartaceo non basta a sostenere il prezzo di copertina.
    Penso che più o meno nessuno abbia ancora esattamente capito cosa fare dell’edizione online: deve essere una cosa totalmente diversa? Un’aggregatore delle notizie riportate sul giornale? Dev’essere un’edizione a se stante? Un punto di discussione dovrebbe essere anche la formazione dei nuovi giornalisti, con dei percorsi che richiedono costi difficilmente abbordabili per i più, e che molte volte si traducono in lavoro precario nella speranza di riuscire ad ottenere l’agognato posto. E un pensiero va anche alla mossa di Jeff Bezos di entrare nel mercato dell’editoria.
    A mio avviso, la questione è più ampia: se il progetto unione europea continuerà nella direzione di maggior integrazione e concentrazione di capitale, è probabile che delle vere testate europee sorgeranno nel tentativo di “creare gli europei” che tanto servono all’EU: inevitabili saranno le questioni relative alla lingua e ai contenuti che queste “testate europee” produrranno.

  • Articolo interessante che delinea sinteticamente un panorama desolante
    rispetto all’informazione di sinistra che purtroppo sconta, da anni, un
    livello davvero basso della qualità dell’informazione. Si sono
    recentemente distinti da questo panorama piuttosto piatto gli
    esperimenti (uso questo termine perchè non è ancora detto che reggano
    l’urto del mercato editoriale) come Linkiesta e Pagina99. Il fatto che
    tuttavia anche queste testate vivano difficoltà simili ai vecchi
    giornali di sinistra dimostra in fondo che c’è qualcosa di sbagliato nel
    modello di business del giornalismo attuale.
    Il web ha cambiato la
    possibilità di informarsi e chiunque oggi si informa molto di più su
    internet che non attraverso la carta stampata, riducendo di molto le
    entrate delle testate. Il modello del NYT è una provocazione
    interessante fatta non tanto da una testata “too big too fail” (nel
    mondo del giornalismo a differenza di quello finanziario abbiamo diversi
    esempi di fallimenti illustri) ma da una redazione che produce da
    decenni contenuti di altissimo livello, provando ad immaginare come sarà
    il lettore di domani.
    Credo che molti giornali di sinistra e organi
    di informazioni gravitanti intorno a quest’area non siano mai riusciti a
    trovare una sintesi efficace tra autofinanziamento (prospettiva
    ideologicamente esaltante ma spesso economicamente debole) e
    finanziamento dei partiti e siano di nuovo arrivati tardi alla
    trasformazione del comportamento di consumo dei propri lettori. La
    domanda che mi faccio è, al di là del sostegno di parte ad organi
    fondamentali per la vita politica dei partiti di sinistra: perchè
    leggerli?Offrono davvero un’informazione di livello?Trovo sulle loro
    pagine informazioni che altri non danno?
    Se la risposta è “no” per molti lettori è facile capire dove stia il problema.

  • Un giornalista che scrive “nè” e “ceca” in una sola frase è da solo la spiegazione della crisi del giornalismo, direi.

  • MassimilianoMartucci

    Io credo che la situazione sia critica per tutta l’editoria indipendete, a prescindere se sia o meno di sinistra (anche se i due insiemi si intersecano abbondantemente). Il problema è di due ordini, secondo me: il primo è il rapporto con i lettori e il secondo il modello economico. Per quanto riguarda il primo è evidente che tutti noi siamo ormai abituati ad accedere a contenuti anche di qualità ma gratuiti, e difficilmente saremmo disposti a pagare qualcosa che possiamo trovare gratis altrove; per quanto riguarda il modello economico la pubblicità fa da padrona, e quindi bisogna essere in grado di sviluppare un prodotto capace di attirare inserzionisti, senza però “svendersi”. Inoltre non è più pensabile trovare editori puri che vogliano investire, perchè sanno che il ritorno dell’investimento arriverà tardissimo o mai. E’ urgente trovare una strada per sopravvivere e iniziare una controcampagna per i finanziamenti pubblici. Il giornalismo è un servizio pubblico come la sanità e l’istruzione: la sopravvivenza di una testata non può essere determinata solo dalla volontà del mercato.

    • Grazie Massimiliano. Sono d’accordo in parte. Vero che l’informazione è un servizio pubblico, ma è anche vero che in questi anni con questi metodi si sono tenute in vita redazioni di praterie di giornalisti che non avevano assolutamente motivo di esistere (anche a sinistra). Probabilmente interrogandosi su come gestire i finanziamenti si intraprenderebbe una strada utile, ma sono dubbioso sia realizzabile oggi…

  • Poche parole per aggiungere qualche ragionamento. La precarietà del mercato del lavoro ha fatto peggiorare la qualità del giornalismo: se sono precario sarò ricattabile e dunque non libero; difficilmente farò proposte di articoli non graditi ai miei superiori. Se la sinistra accetta questa filosofia e la trasporta anche nel mondo giornalistico le conseguenze non possono che essere il deterioramento della credibilità, della proposta, della creatività. Inoltre Renzi e i suoi accoliti rivendicano la disintermediazione. Cosa provochi nel lavoro lo stiamo vedendo, Perché non dovrebbero applicarlo anche all’informazione? Che sia l’ufficio stampa del Pd (+ youdem + un pezzo della vecchia redazione di Europa) a mandare in stampa la prossima versione di Europa non deve stupire. Infine – non so se in ordine di importanza – c’è l’incapacità degli organi di informazione di sinistra di governare le nuove tecnologie, prima respingendole come pericolose e poi usandole male, senza alcuna fantasia, scontentando i vecchi utenti e non intercettando quelli nuovi. Facciamo crescere questa discussione.

    • Grazie Danilo del commento. Condivido in pieno il punto relativo alla “crisi dei corpi intermedi” relativo anche alla stampa: vale per Renzi, come per Grillo e, in parte, per Berlusconi e Salvini. Perchè usare i giornali o la mediazione degli organi di informazione, quando posso parlare direttamente alla “sciura maria” guardandola dritta negli occhi delle telecamere? Basta guardare il linguaggio del corpo di Renzi da Fazio, quando guarda più nella telecamera che il suo intervistatore, piuttosto che i commento dei 5 stelle du fb al mio articolo: non ci serve l’informazione “tradizionale”, siamo mediattivisti, ci basta il blog, la rete (e non lo scrivo parodisticamente). Condivido anche il punto sulla precarietà, ma su questo sottolineo un aspetto: bisogna prendere atto che la precarietà è ormai una condizione data, dalla quale non si tornerà alla situazione pre, quindi condivido la tua osservazione, ma penso che i giornalisti di oggi debbano conquistare la propria indipendenza “sul campo”, per quanto difficile, lottando nella precarietà e non contro la precarietà. Non vorrei sembrare pretestuoso, ma mi sembra una prospettiva da tenere in considerazione. Speriamo che la discussione cresca davvero!

    • Gentile Mauro, ho menzionato Il Fatto solo per un breve riferimento perchè tra le testate a sinistra è quella che se la cava forse meglio, per quanto alcune ricerche rintracciabili online ma che non ho verificato, sostengano che sia in sofferenza. Diciamo che forse è quello “meno in emergenza”…

  • Massimiliano Di Giorgio

    Ho lavorato all’Unità, ho collaborato col Manifesto. La stampa di partito (il Manifesto lo è stato, di fatto, giornale di partito) non è un’esclusiva italiana, ma ovunque va male o è andata male (e non solo quella di sinistra). E quando i soldi pubblici non ci sono (quasi) più, finisce.
    Peraltro, nella tua lista direi che Linkiesta non è stampa di sinistra più Repubblica (è stato fondato da un gruppo di ex giovani imprenditori e il fondatore è stato cacciato quando ha parlato male del finanziere renziano Davide Serra), mentre manca al limite Il Post (che mi pare non vada così male).
    Il Fatto è un giornale borderline, nel senso che insieme è un’azienda e un quasi-partito, ma senza finanziamento partitico standard, mi pare.

    Credo che l’unica soluzione per avere una stampa di sinistra (che non sia la Repubblica) sia pagarsela, cioè avere una comunità di lettori-sostenitori-finanziatori.

    • Non ho considerato Repubblica perchè “colosso” più di altri e perchè politicamente è talmente volatile da essere ormai illeggibile (almeno per me…). Il Post non l’ho inserito perchè ormai mi sembra più votato ai click che al giornalismo, per cui non ci vedo un grande livello. Per il resto concordo, ma il problema è che creare una comunità di lettori non mi sembra sufficiente. Pagina99 l’ha creata in breve tempo, ma forse non basterà, L’Unità aveva uno zoccolo duro di militanti Pd Cgil a cui parlava, ma anche qui non è bastato.

      • Massimiliano Di Giorgio

        Do per scontata la ricerca di una qualità, che l’Unità non ha più (mentre secondo me Europa era comunque più interessante e innovativa). Comunque considera che il panorama è grossomodo questo ovunque. In Francia Liberation è in crisi da anni, per dire. E la colpa non è delle “nuove tecnologie” (che ormai sono pure vecchiotte). Magari altrove non si fanno tutte queste pippe mentali, come noi, per non avere stampa di sinistra (ammesso che il termine significhi qualcosa, peraltro)

  • credo che andrebbe distinto tra giornalismo d’informazione e giornalismo di analisi quando le analisi del manifesto non le condiveidevo ed è diventato una costante ho smesso di leggere il manifesto. Personalmente sono interessato da analisi e notizie che chiarifichino la vita circostante, per esempio quali stati arabi importino carne, se la importano viva o morta, la quantità, se questo dipende da eredita coloniali o religiose, la veridicità dell’informazione nel quadro analitico in cui si inserisce e il suo valore contestuale. Poi pensare che la cultura sia indipendente e viva sulle leggi di mercato di libero scambio è irreale come irreale che tutti gli studenti di una università leggano un giornale tutti i giorni (almeno che non lo facciano come lavoro) neanche con le nuove tecnologie (-:le quali prescindono dal colore dei caratteri:-), è un illusione. Non credo che la risposta sia nella crisi ideologica dei lavoratori dipendenti e precari che non riescono ad organizzarzi e utilixìzzare i nuovi strumenti, ma dipenda di più da una mancata analisi del mercato in stato di saturazione.

  • beh un pò credo che sia anche fisiologico: in un contesto in cui i partiti diventano fluidi e le loro idee volatili, un giornale di partito che abbia una sua linea autonoma rispetto alla dirigenza partitica di riferimento è proprio un lusso che quest’ultima non si può permettere. quindi la strada mi sembra che sia proprio quella della lotta ai corpi intermedi della stampa, anche perchè non vedo chi possa opporsi.
    non stimo molto il fatto, ma bisogna ammettere che ha conseguito un grande risultato, soprattutto merito della precedente direzione, ovvero aggregare un pubblico per l’informazione on line “alternativa”, sebbene di scarsa qualità. al contrario il manifesto, nonostante sia stato uno dei primi giornali ad internettizzarsi, non è mai stato in grado di sfruttare la sua presenza in rete in modo efficace; discorso molto simile per l’unità ed europa che non hanno mai brillato troppo nell’online.
    insomma sarà che anche all’estero la stampa è boccheggiante, ma in italia sembra che la stampa di sinistra abbia perso del tempo fondamentale proprio in un periodo determinante per consolidarsi su internet. anche per questo c’è stato più spazio per nuove testate online come, linkiesta, il post, ma anche giornalettismo e in misura minore lettera43. si tratta un pò di una cesura tra il vecchio e il nuovo, sulla quale repubblica è entrata a gamba tesa e ci si è seduta sopra, tentando di accalappiare click dagli utenti di ogni tipo: per quello più di destra c’è il mefitico huffington post, mentre quello più di sinistra si può consolare con l’espresso: la palese mancanza di concorrenti validi ha creato un mostro.

  • Provo a portare un punto di vista diverso, da lettore e non da giornalista. A mio parere, a sx si è mantenuto il feticcio del “giornale” cartaceo anche se le nuove tecnologie non solo rendevano possibile digitalizzarlo (e questo è stato fatto), ma consentivano (e consentono sempre di più) ridifinire il concetto di “fruizione dell’informazione”, I giornali hanno inseguito confusamente il modello tradizionale (magari in formato pdf), la tv on-demand (appoggiandosi a youtube spesso), il blog…. senza mai chiedersi veramente cosa desidera il lettore.
    A puro titolo di stimolo della discussione:
    – c’è informazione indispensabile (pagare le tasse, evitare ebola, tener conto dello sciopero dei mezzi) e questa deve essere attendibile e data per tempo utile (per questo, il migliore di gran lunga è il Sole 24 Ore); un articolo come pagare una tassa il giorno della scadenza fa solo incavolare;
    – c’è l’informazione di riempimento, che è un ricordo di quando le aree stampabili erano fisse e i giornalisti incapaci e in esubero non erano licenziabili. Eliminarla completamente;
    – c’è l’intrattenimento (gattini, storie curiose scopiazzate da Usa Today o dalla Pravda ecc.) confinarla in un’area precisa, in modo che sia facile evitarla completamente, se si vuole;
    – c’è l’infinita informazione su film teatro romanzi moda musica design ecc. Confinarla e tenerla a bada: i capolavori in un secolo si contano sulla punta delle dita. Gli altri copiano e citano.
    – non scrivere articoli effimeri ma il più possibile “duraturi”;
    – curare moltissimo l’archivio, e imparare finalmente ad usare (dopo vent’anni….) l’ipertestualità (imparare da Wikipedia);
    – non usare MAI i traduttori automatici;
    – cercare di non assumere giornalisti laureati in giornalismo, ma insegnate a fare i giornalisti a qualcuno che sa qualcosa d’altro; possibilmente bene;
    – se proprio dovete assumere dei giovani, almeno spiegategli che i videogiochi e la zuppa televisiva a cui sono stati cresciuti NON sono un’immagine attendibile del mondo; e che le fonti vanno verificate con cura e non citate pressappoco;
    – pochissime immagini, ma belle (come il Manifesto prima maniera, pessima carta a parte), anche con possibilità di ingrandimento, se possibile e se meritano. E con didascalie serie e non appiccicate lì per sbaglio.
    Per concludere:
    noi lettori abbiamo molto bisogno di informazione, anche e soprattutto controcorrente, ma abbiamo poco tempo e non è detto che il momento in cui l’informazione è prodotta dal giornalista sia quella in cui il lettore abbia la possibilità di fruirla. E’ per questo che tutto il giornale deve essere visto “dal punto di vista dell’archivio”: oggi posso avere la necessità di ritrovare facilmente tutti gli articoli su Boko Haram o sul shale gas. E vorrei che fossero pochi ma fatti molti bene, con citazioni attendibili e verificabili e discussione di differenti punti di vista.
    PS
    Sono disposto a PAGARE per tutto ciò.

    Giovanni Talpone

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