Ma Al Quaeda o l’Isis sono solo quel che sembrano?
Non è semplice stabilire quali siano i rapporti effettivi fra Al Quaeda e l’Isis. Si sa che il gruppo oggi proclamatosi Califfato è nato intorno al 2004, all’interno del ramo irakeno dell’organizzazione di Osama Bin Laden, e che circa due anni dopo se ne sarebbe allontanato per divergenze con al-Zarqawi. Detto questo, quali sino gli attuali rapporti fra le due organizzazioni, soprattutto dopo la morte di al-Zarqawi, non è affatto chiaro.
Secondo alcuni osservatori, l’Isis ed il suo leader Fazul Abdullah Mohammed sarebbero un costola della dalla vecchia ormai totalmente autonomizzatasi, (pur mantenendosi all’interno della stessa cornice ideologica) e c’è anche chi azzarda che Al Quaeda sarebbe disposta ad una momentanea e tacita intesa con Iran e addirittura gli Usa, pur di sconfiggere l’Isis; secondo altri la separazione sarebbe fittizia o, comunque, meno grave di quel che non sembri. E ci sono anche numerose teorie intermedie che sfumano verso l’uno o l’altro polo.
La chiave di lettura “indipendentista” sembra più convincente dell’altra, ma comunque, allo stato dei fatti, è difficile giungere a conclusioni certe. Che, d’altra parte, potrebbero anche modificarsi rapidamente sia nel senso si un riavvicinamento dei due gruppi, sia nel senso di un ulteriore allontanamento.
Ma, in fondo, quanto questo aspetto è rilevante e quanto occorre riconsiderare di sana pianta il punto di vista dal quale abbiamo guardato ad Al Quaeda ed alle vicende del fondamentalismo islamico in questi anni?
Sin qui, l’atteggiamento prevalente è stato quello di guardare ad Al Quaeda come ad un caso di insorgenza dal basso. Una organizzazione al cui vertice c’era il miliardario Bin Laden, ma a titolo del tutto personale, (dato che la famiglia aveva per tempo provveduto a prendere le distanze dal suo turbolento rampollo) e sovvenzionato da lasciti e donazioni di islamici facoltosi, che però non avevano alcuna voce in capitolo nelle scelte politiche riservate al ristretto gruppo intorno ad Osama. Quanto c’è di vero in questa visione del gruppo? E se Osama fosse stato solo il vertice visibile? Il fatto è che, dopo 13 anni di guerra, noi sappiamo pochissimo su Al Quaeda (e adesso sull’Isis) e, quel che è peggio, è che la stessa condizione di ignoranza –più o meno- affligge l’intelligence occidentale che mostra di capirci poco e niente (ma di questo torneremo a parlare).
Prendiamo il discorso più alla larga.
Il mondo islamico conta più di un quinto della popolazione mondiale, ha un potenziale militare fra i maggiori del mondo, pesa per circa il 9% della finanza mondiale ed ha in pugno la maggior parte delle risorse petrolifere. Ma, essendo frammentato in una trentina di stati, pesa pochissimo nella scena internazionale: non ha un solo membro permanente del Consiglio di Sicurezza o nel G8, conta pochissimo nelle istituzioni finanziarie come nelle alleanze militari ed anche nel G20, ha una presenza del tutto marginale.
Le diverse leadership nazionali hanno collezionato una serie di brucianti sconfitte dal 1948 in poi (si pensi alle ripetute sconfitte degli arabi nelle guerre con Israele, alle batoste inflitte dall’India al Pakistan e da ultimo alle invasioni americane dell’Iraq e dell’Afghanistan, alla secessione del Sud Sudan, alla dissoluzione dello stato somalo), inoltre hanno fallito tutti i disegni di riunificazione (dall’operazione repubblica araba unita ai tentativi di dare qualche concreto potere alla Lega Islamica o alla Lega panaraba).
I regimi militar-repubblicani (Algeria, Libia, Yemen, Egitto, Siria, Iraq, Sudan) hanno fallito tutti i loro programmi di modernizzazione ed oggi sono quelli investiti in prima linea dalle rivolte popolari. Le monarchie classiche (Marocco, Giordania, Arabia Saudita, Kwait, Emirati, Quatar) resistono meglio da questo punto di vista, ma sono socialmente immoti e politicamente incapaci di uscire dal regime di sudditanza rispetto agli Usa.
Più complesso ma non più consolante è il quadro dei paesi islamici non arabi: la Turchia è sicuramente quello economicamente più dinamico, ma è attraversato da un conflitto fra neo islamismo e laicismo di stato (garantito dall’esercito), dalle tendenze centrifughe delle minoranze nazionali e dalle rivolte giovanili e popolari. L’Indonesia è l’altro gigante economico dell’area, ma ha anche essa antiche questioni irrisolte (come Timor est) e fermenti interni non trascurabili. L’Iran è forse il paese che, nonostante le tensioni interne, è quello che forse ha ottenuto i maggiori successi politici.
Il mondo islamico è coinvolto nell’80% dei conflitti armati attualmente in corso ed ha sviluppato un forte antagonismo nei confronti degli altri paesi espressione di diversi modelli di civiltà. Infine, soprattutto nel mondo arabo, c’è una diffusa consapevolezza di stare attraversando una stagione straordinaria grazie alle risorse petrolifere, ma che questo momento magico non durerà ancora a lungo e quando il petrolio sarà esaurito, il mondo islamico avrà perso la sua grande occasione, se non si sarà costituito prima in grande potenza mondiale.
Tutto questo è fonte di esasperate frustrazioni e di uno stato ansioso che investe in particolare buona parte del mondo arabo. Questo senso di frustrazione, sta producendo la nascita di un’area transnazionale (di cui l’elemento più vistoso, ma non unico, sono i Fratelli Musulmani).
Tutto questo trova il suo elemento di precipitazione nella ricerca della costituzione della “grande potenza islamica”, un polo in grado di assumere la leadership dell’intera area, di riscattare le troppe sconfitte subite e che si inserisca nel novero delle maggiori potenze mondiali.
Sino ad un passato relativamente recente (sino agli anni ottanta), la ricerca di questo polo è stata pensata come aggregazione intorno ad uno dei maggiori stati islamici esistenti: sino al 1967 l’Egitto di Nasser, fra gli anni settanta e gli ottanta l’Iraq di Saddam e, concorrenzialmente, l’Iran di Khomeini, mentre tentativi più velleitari o effimeri sono venuti dalla Libia di Gheddafi o dal Sudan di Nimeiri. Mentre una candidatura vera e propria in questo senso non è mai stata posta dall’Arabia Saudita o dai grandi paesi non arabi come Pakistan, Turchia, Indonesia e Nigeria che hanno preferito piuttosto giocare un ruolo di potenza regionale nei rispettivi contesti.
Con la fine del conflitto Iran-Iraq, che logorò entrambi i contendenti per poi sfociare nella prima guerra del Golfo, e con la fine del bipolarismo, si è esaurita la tendenza alla ricerca del paese leader, ma non il disegno di una grande potenza islamica, che ha iniziato ad essere perseguito per una strada diversa, che prescindesse dalla dimensione nazionale. Lo stesso clima della globalizzazione, con la diffusa convinzione del superamento dello stato nazionale, ha influito in questo senso ed hanno preso piede organismi trans-nazionali come i Fratelli Musulmani, le cordate sciite (Iran-Hezobollah) o le reti informali dei gruppi guerriglieri locali (Jihad islamica, Gia, Hamas ecc.): tutti segnali della ricerca di un polo aggregativo transnazionale.
Le èlite nazionali, tanto in versione repubblicana quanto monarchica, hanno perso prestigio e consensi in questi anni: ciascuna di esse, rinchiusa nel proprio recinto di potere, non è credibile come elemento federatore e di qui discende la riscoperta del Califfato (concetto eminentemente teologico e non etnico e tantomeno nazionale) come parola d’ordine mobilitante funzionale alla costruzione della “grande potenza islamica”.
In questo quadro dobbiamo inserire e capire la vicenda di Al Quaeda prima e dell’Isis dopo. Sorge legittimamente il dubbio che Bin Laden non sia stato il solo personaggio di rilievo della finanza islamica a gettarsi in questa avventura e che ad essa abbiamo partecipato altri esponenti delle classi dominanti islamiche e prevalentemente arabe. Infatti, se una grande potenza islamica un giorno dovesse sorgere, molto difficilmente potrebbe venire dai paesi islamici non arabi come Iran, Pakistan, Banghladesh, Turchia, Indonesia, Nigeria. Il “Califfato” può essere costruito solo intorno ad una “centralità araba”. Troppe ragioni influiscono a spingere in questo senso: a cominciare dalla contiguità geografica dei paesi arabi a proseguire con il ruolo della lingua veicolare del mondo islamico che è, appunto, l’arabo, per concludere con la presenza dei luoghi santi dell’Islam in territorio arabo (salvo il caso particolare dell’Iran). E, peraltro, i grandi paesi islamici non arabi, tendono a giocare piuttosto un ruolo di media potenza di interesse regionale che non ad assumere un ruolo guida dell’Umma. D’altro canto, in più di un’occasione sono lampeggiate compiacenze e complicità di classi alte islamiche nei confronti di Al Quaeda: dai comandi militari pakistani (ed in particolare del servizio segreto), ad ambienti non distanti dalla famiglia reale saudita, a intellettuali egiziani, a uomini della finanza islamica in Europa.
Come dicevamo, l’azione di intelligence americana ed europea hannio appurato molto poco del reale funzionamento dell’organizzazione di Al Quaeda, dei suoi finanziamenti, dei suoi meccanismi interni, dei suoi collegamenti politici coperti ecc. Persino sulla reale linea politica del gruppo non si sa molto di più di quello che emerge dalla sua propaganda.
Di fatto, dopo oltre 13 anni di guerra e dopo i durissimi colpi inferti ad Al Quaeda, l’organizzazione non è stata debellata, nonostante il suo gruppo dirigente e quello circonvicino sia stato decimato: Al Zarquawi è stato ucciso nel giugno 2006, Abu Omar al-Qurashi al-Baghdadi è stato ucciso il 18 aprile 2010, Osama Bin Laden nel maggio 2011, Anwar al-Awlaki, il 30 settembre 2011, Sulayman Abu Ghayth è caduto in Somalia nel 2011 Fazul Abdullah Mohammed, (ex portavoce di Osama) è stato catturato nel febbraio 2013. Ma Al Quaeda è ancora in piedi ed ora ci si trova di fronte all’Isis che non si sa se ne sia una articolazione o è totalmente altro da essa.
Resta comunque da capire da dove siano venute le ricorse economiche, umane, militari che hanno consentito questa nuova entrata in scena. Il che la dice lunga sul fallimento di intelligence dei paesi occidentali, fallimento addirittura peggiore di quello militare.
L’ipotesi intorno alla quale conviene ragionare è che ci sua un nucleo (o forse più d’uno) di esponenti delle classi dirigenti islamiche (finanzieri, militari, quadri politici, tecnici d’alto livello) che stia (o stiano) pensando in termini transnazionali al progetto di una grande potenza.
E magari scopriremo che Al Quaeda non è “le Brigate Rosse che parlano in arabo” ma, semmai, “la P2 che si vede alla Moschea”. E di qui occorrerà ripensare tutta la questione. Ad esempio: semmai l’Isis fosse disponibile ad un dialogo (ed ammesso che fosse il caso di accettare l’invito), siamo sicuri che avremmo davanti il vero interlocutore e non un portavoce?
Aldo Giannuli
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Marco
La situazione del mondo islamico attuale dal punto di vista economico somiglia a quella del tardo quattrocento, quando gli europei per arrivare alle spezie in estremo oriente si misero per mare ed inaridirono i prosperi traffici carovanieri che rendevano ricco il mondo islamico.
Allora l’impero ottomano da un lato e gli stati barbareschi dall’altro si mossero armi in pugno per avere dai loro vicini le ricchezze che non potevano più avere con il commercio.
Così adesso, di fronte ad un mondo che cerca di dipendere meno dal petrolio, risorsa finita e dai costi elevati, si muovono sempre armi in pugno per continuare ad avere (ad esempio con i riscatti) i soldi che potrebbero venire meno.
Del resto io penso che l’Isis sia qualcosa di più di una P2 musulmana.
Le monarchie del petrolio hanno speso somme enormi per diffondere l’islam in tutto il mondo, costruendo moschee dalla giungla del Congo alle montagne della Bosnia, finanziando attività economiche di immigrati islamici in tutta Europa e forse perfino finanziando l’immigrazione clandestina.
Normale che seguendo la logica musulmana degli infedeli come dhimmi che devono pagare lo zakat, la tassa ai Credenti, impongano agli stati di cui rapiscono i cittadini richieste di riscatto.
Gli stati barbareschi si comportavano allo stesso modo, poi finirono male, quando l’Europa fu economicamente e militarmente in grado di spazzarli via.
Ora siamo stati infiltrati e dipendiamo molto ancora dai combustibili fossili, però altri stati come l’India guidata dal mahrata di destra attuale premier potrebbe avere meno pazienza.
Vincenzo Cucinotta
Bella analisi, Aldo. Tuttavia, tu non consideri una ulteriore possibilità, che cioè Al Quaeda sia soltanto una sigla di comodo dietro cui ci sia sostanzialmente soltanto il vuoto. Secondo questa ipotesi, la fortuna di questa sigla deriverebbe dall’interesse convergente da una parte dell’occidente di identificare in essa un nemico islamico non meglio specificato, e degli islamisti di usarla come una sorta di parola d’ordine abbastanza flessibile da riempirla dei contenuti volta per volta preferiti.
Gli elementi che supportano questa ipotesi sono l’eccessivo mistero che circonda questa presunta organizzazione, la parabola del suo stesso ispiratore e capo Osama Bin Laden, dalla sua trasformazione di ospite di riguardo della famiglia Bush a loro peggiore nemico, fino alla misteriosa eliminazione senza che sia stata data la possibiltià ai media di potere documentarla. Ciò confermerebbe che, contrariamente a ciò che tu sostieni, non è che l’intelligence non sappia granchè, ma che al contrario ne sappia tutto e ci giochi a scopi di propaganda. Nessuna persona che non sia credulona può non farsi sorgere dubbi profondi su tutta questa vicenda che come viene presentata è del tutto incomprensibile.
Dall’altra parte, il fatto che Al Quaeda sia presentata come un’organizzazione senza alcuna reale centralizzazione, comporta la sua conseguente insignificanza, ognuno fa quello che gli pare anche se ha pieno diritto di usare la sigla.
Per quanto invece riguarda il neocaliffato, alcune cose sembrano molto chiare, che essa è sorta come una forma di riequilibrio da parte delle potenze sunnite rispetto alla predominanza proprio nella regione siriano-irakena degli sciiti, indipendentemente dalla loro reale dimensione quantitativa. Si sa che finanziamento ed armamento di costoro sono state fornite dai sauditi e loro alleati da una parte, e dal Qatar dall’altra, in qualche misura in modo concorrenziale tra loro. Tutto ciò è avvenuto con la piena benedizione degli USA (gli stati europei come al solito tacciono e non contano nulla), almeno in una lunga fase iniziale.
Io mi fermerei qui, la commistione di interessi è così opaca che nessun osservatore dovrebbe spingersi sino al punto di sentirsi solidale con questo genere di parti in gioco, meno che mai con gli USA che sono di gran lunga i maggiori responsabili dei crimini commessi nella regione. Come ragionavo anche su fb, non basta accorgersi che si commettano crimini per schierarsi, non basta vedere che un gruppo criminale sta operando crudelmente per dare solidarietà ad un altro gruppo criminale, solo perchè questo inveisce contro il primo.
VRB
Secondo me dietro l’ISIS ci sono Qatar e/o Arabia Saudita…
mario fragnito
Secondo me per dere un’esatta valutazione dell’ISIL o di Al Quaeda vale ancora un concetto espresso da un esponente dei servizi segreti italiani a Franceschini in carcere. Questo ufficiale disse a Franceschini che le BR erano certamente autonome nel loro operato ma si potevano paragonare ad un fiume in piena straripato in cui i servizi e gli altri apparati dello stato ponevano, a seconda delle loro convenienze, degli argini. L’estrenismo islamico frutto del fallimento del capitalismo occidentale di integrare, su base paritaria, la cultura e gli stili di vita di questa parte del mondo, nonché quella di parte dei mussulmani occidentali di seconda o terza generazione che si considerano nei loro paesi discriminati o emarginati, rende facilmente attrattiva la scelta di combattere per una causa, il califfato, abolito proprio da Kemal Ataturk padre della Turchia moderna. Un uomo politico che sperava in questo modo di ridare dignità, prendendo a prestito il modello occidentale, ad un paese che, sconfitto nella prima guerra mondiale, aveva perso l’impero e rischiava di essere smembrato dalle potenze vincitrici. Io penso che i servizi occidentali non vogliano vedere e sapere quello che non gli fa comodo vedere e sapere. Nel vicino e medio oriente, ma anche nel centro Europa ( ricordate la guerra dei Balcani? o quella attuale dell’Ucrraina ) si gioca in chiave moderna il ” grande gioco ” che si combatteva un tempo per l’assoggettamento dei paesi coloniali. Solo che ora lo si fà in maniera diversa e in modo più sofisticato.
Caruto
Molinari (La Stampa) riportava di un’analisi del Washington Institute per il Vicino Oriente: molti finanziamenti all’Isis provenienti dal Qatar e dall’Arabia Saudita, ma con una conflittualita’ intestina tra il Qatar e l’Arabia Saudita e con un conflittualita’ interna all’Isis tra i gruppi che hanno goduto (o godono tuttora) di questi flussi finanziari di diversa provenienza.
http://www.lastampa.it/2014/08/21/esteri/iraq-lislamismo-da-esportazione-del-qatar-per-il-califfo-un-tesoro-di-due-miliardi-UfDueKARAxYnPOuEhOTfoM/pagina.html
Quirico (sempre La Stampa) e’ intervenuto con un articolo e poi con una lunga e molto interessante intervista a Rainews24. Parla di Jihad Bolscevica; di fallimento del processo di integrazione occidentale (i combattenti di seconda o terza generazione immigrati da regioni isalmiche in occidente e ritornati nel mondo islamico con un programma di morte, propria o di altri); dice che i finanziamenti dall’esterno all’Isis ci sono stati ma che ora l’Isis e’ autonoma; insiste sul fatto che bisogna entrare nel loro cervello per capire come ragionano (in maniera molto differente da noi).
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/che-patatrac-iraq-tutti-dietro-bin-laden-intanto-nasceva-jihad-83175.htm
http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Quirico-ff2de614-80c4-40fb-a798-2853103da360.html
Dell’intervento di Giannuli, la parte che mi sembre piu promettente e’ quella che fa riferimento ad un progetto (quale che sia) transnazionale che si inserisce nell’alveo della progressiva perdita di importanza della forma Stato-Nazione. Come fosse una risposta peculiare, tipica, alla globalizzazione occidentale, che e’ soprattutto economica.
Si parlava anni fa di strani movimenti finanziari intorno all’11 settembre 2001; come se qualcuno sapendo quello che stava succedendo si stava preparando a guadagnare una barca di denaro con la speculazione.
Aggiungo che le cronache riportarono le dichiarazioni di alcuni dei componenti della commissione del Congresso USA proprio sull’11 settembre; piu’ o meno il tono era: “Tutto quello che qui ci e’ stato riferito ufficialmente e’ molto lontano dalla verita’.”
Si potrebbe ipotizzare che da qualche parte esistono materiali informativi e persone in grado di dipanare il groviglio di ipotesi attorno ad Al Quaeda e all’Isis, soprattutto se si segue i flussi informativi e finanziari. Possibile che la NSA abbia dimenticato di intercettare proprio loro?
leopoldo
credo che i petrolieri temono molto di più il superamento del petrolio che la sua fine, (come mai l’energia solare e idrica sono nicchie per ben pensanti mentre il nucleare no).
cmq anche qui abbiamo parlato dei confini del medio oriente e questa sarebbe
l’ultima proposta USA qualche tempo fa circolava una piantina dove c’era anche la syria tutta smembrata secondo le diverse etnie e pure per la libia, secondo la logica che dare dignità di stato ai diversi gruppi porterebbe a una pacificazione e stabilità (con la jugoslavia del dopo tito, non è andata proprio benissimo, ma il modello per adesso regge). Certamente una logica del genere affonda le aspirazioni pan-islamiche dei diversi gruppi e le accentra su domini regionali(finché non si stabiliscano), ma creano una classe commerciale (che per gli arabi è questione religiosa, altro che wall street) che dovrebbe mitigare malsani comportamenti o acuire e radicarli nella società (le aspirazioni di un popolo evolvono a seconda di come crescono e si formano i sui elementi, nella certezza che il commercio funziona tra i vivi a meno che non si voglia vendere sapone [spero che di batista torni in commissione presto. Le proposte che ha fatto non sono sbagliate, ma vanno riviste]).
creare una nuova galassia di Stati basati su etnie e rivoluzionare tutte le strategie di accordi non è una cosa sbagliata né mal sana di per sé, ha il vantaggio di sostituire il vuoto creato con la distruzione e indebolimento dei vecchi regimi, ridare un nuovo dinamismo alla regione – i quali dovranno generare sistemi istituzionali, di varia matrice, per dialogare con il resto del mondo -, ridurre la dimensione dei conflitti (negli stati attuali, multi etnici, un gruppo prevale sugli altri) nel possibile. Concordo con la visione P2istica dell’isis anche se sul campo ormai sono una realtà ben diversa, giulitto chiesa sostiene la natura complice dei tea party limitandosi a delle fotografie. Mentre galli della loggia se la prende con l’incapacità dell’occidente ad avere idee chiare in casa come fuori casa. Gli obbietterei ignora cos’è la realtà di un contratto a progetto, la disoccupazione, ecc… per il puro profitto e che dal resto del mondo emigrano qui perché lì stanno peggio.
cinico senese
L’importante è che non vengano da noi a farsi saltare in metro in nome del Califfato. Per il resto, si governino tra loro e come vogliono nelle loro terre.
Tutto sto casino è stato causato dagli USA esportatori di democrazia. Avessero lasciato Saddam, non saremmo a questo punto. Idem per Afganistan, Siria, Libia, Egitto, ora anche Ucraina. USA crea mostri.
Per tamponare ISIL, USA dovrà chiedere l’aiuto militare all’Iran: i droni sono scorreggine x ISIL, servono truppe terrestri.
Comunque, inutile fare congetture: lo scacchiere arabo è un kaos totale.
Norberto Moretti
Ehi questo si che mi piace
Germano Germani
Islamofobia che i cristianosionisti occidentali(compresi gli atei devoti, “intellettuali di sinistra “tanto in voga da noi)con la loro poderosa macchina da guerra propagandistica, alimenta quotidianamente odio e menzogne,contro gli islamici.Tutto questo disquisire sulla questione islamica, è propedeutico a nuove crociate, nuove primavere arabe, nuove pseudo-rivoluzioni, nuove esportazioni della democrazia stercaiola occidentale, che si è auto compiaciuta dell’eliminazione di Gheddafi.Il tutto a suon di bombardamenti terroristici,magari seduti divorando patatine e bevendo coca-cola,come è accaduto recentemente, ai coloni israeliani che osservavano compiaciuti dall’alto di una collina,lo spettacolo dei bombardamenti sui “terroristi” palestinesi di Gaza, compresi quattrocento bambini fatti fuori preventivamente, prima che diventino adulti.Le menti dei cristianosionisti (ma anche degli atei devoti occidentali) formano la maggioranza della nostra opinione pubblica,imbevuta di odio islamofobico, instillato loro dalle varie iene occidentali alla Oriana Fallaci per intenderci.La porcilaia-occidente, ha i giorni contati,nessuna nuova crociata dei cristianosionisti, potrà impedire la nemesi storica e il meritato decesso.
aristide bellacicco
cerchiamo di cogliere alcuni elementi obiettivi:
1) la guerra Iran -Iraq fu sostenuta dagli USA con vendita di armi ad entrambi i belligeranti;
2) l’attuale situazione dell’Iraq è la diretta conseguenza delle due guerre del golfo, scatenate dagli USA con motivi pretestuosi o addirittura con clamorose bugie (le famose armi chimiche di Saddam Hussein);
3)gli USA, insieme ad altri benemeriti paesi occidentali, offrono copertura politica e tecnica all’opposizione siriana;
4) i paesi che finanziano l’ISIS sono, allo stesso tempo, punti di forza degli USA nell’area.
Tutti questi scenari sono interconnessi, e il loro denominatore comune è la politica imperiale statunitense. Gli USA,quando ciò ha fatto loro comodo, non hanno esitato a giovarsi dell’opera dei fondamentalisti islamici (Al Qaeda, lo sanno tutti, è una creatura USA dai tempi della prima guerra in Afganistan, allo scopo di contrastare i sovietici). E anche nelle attuali circostanze stanno facendo la stessa cosa: l’ intervento armato contro l’ ISIS è, dichiaratamente, il preludio e l’occasione all’intervento militare diretto in Siria (leggi: oleodotti).http://www.washingtonpost.com/news/checkpoint/wp/2014/08/21/pentagon-leaves-door-open-to-strikes-in-syria-to-curb-islamic-state/
aldogiannuli
aristide: mi pare che lei tracci linee troppo dritte e che abbia una visione molto “ottimistica”! degli americani attribuendogli una intelligenza strategica che personalmente non immagino affatto, però le mi ha suggerito un pezzo per i prossimi giorni di cui vorrei discutessimo, non manchi di farsi vivo
Maurizio Melandri
Nell’analisi del compagno Giannuli mi pare manchi una componente: i curdi. Mi sembra che i curdi non filo occidentali, tra cui spicca il PKK stanno combattendo, e con successo, contro l’IS. Ora che l’IS è stato bollato come “la barbarie” come faremo a bollare ancora il PKK come terrorista visto che ci sta aiutando, per interessi suoi e non per i nostri, a liberarcene?
aldogiannuli
Melandroi: infatti i curdi sono una partita a sè stante. Di cui parleremo
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Luigi Pigoli
Leggo sempre i tuoi articoli con interesse. Ho un solo commento da fare: si parla spesso della fine del petrolio, ma non finirà mai. Il “peak” del petrolio é una balla, faccio un esempio: quando la Libia era una colonia italiana, qualcuno già sospettava che giacesse su di un mare di Petrolio, ma non esisteva ancora la tecnologia per estrarlo a a quelle profondità. Adesso si può estrarre a ben più di 10,000 metri di profondità, si estrae i mare, si extra dalla sabbia (Canada), si riesce a perforare in orizzontale. Nascono nuove tecniche come il Fracking. Senza contare che si individuano i giacimenti con le ricerche sismiche, che sarebbe un po come “scannerizzare” la superficie terrestre…ma ovviamente, non é stato fatto su tutta. In poche parole, nessuno può calcolare con sicurezza quanto petrolio c’é, a che profondità, come lo estrarremo domani. Per cui, non illudiamoci si uscire dalla dipendenza energetica semplicemente “finendo il petrolio”, si può uscire solo appoggiando politicamente ogni sforzo tecnologico per arrivare ad una vera energia alternativa rinnovabile, solo allora il Medio Oriente perderá il suo peso, Nessuno andrà più ad intromettersi nelle loro faccende politiche, perché non ci saranno più grandi interessi.
Il governo pon-pon va alla guerra - pleonastico
[…] che la violenza chiama violenza è estremamente banale, ma la realtà spesso lo è. L’Isis è anche il frutto dei disastri che il mondo civile ha provocato in Iraq; disastri giustificati dall’esigenza di cacciare Saddam Hussein, il quale però era a sua […]